RING
VAN MÖBIUS – Firebrand
Apollon
Records Prog
Genre:
Progressive Rock
Format:
Digital / CD / LP – 2025
Chi
non conosce la band norvegese Ring Van Möbius e ama il Prog anni ’70, quello
ridondante di tastiere (ELP docet), leggendo questa recensione avrà una
graditissima sorpresa.
Si
può suonare oggi come nel 1970 ma allo stesso tempo risultare moderni? È un
ossimoro, quindi poco credibile, eppure il trio, formato da Thor Erik Helgesen
(voce, tastiere), Dag Olav Husås (batteria) e Håvard Rasmussen (basso,
tastiere), a tratti ci riesce, salvo quando si lascia prendere la mano dalle
tastiere vintage; ma questo per me non è di certo un difetto, anzi, è il
pregio.
Chi
ama le terminologie, il genere suonato è quindi il Retro‑Prog, con tanto di
lunghissime suite a carico. Purtroppo il gruppo ha annunciato già nel 2024 lo
scioglimento, e questo quarto album, intitolato “Firebrand”, è il loro
epitaffio. Discograficamente attivi dal 2018 con lo splendido “Past The Evening
Sun”, i Ring Van Möbius nella loro musica intraprendono spesso la strada della
jam con un mix di influenze che vado ad elencare sin dal primo brano
“Firebrand”, nove minuti e mezzo di scorribande sui tasti d’avorio. L’inizio è
molto ritmato e fa capolino anche nella scena Psichedelica; uno sguardo attorno
a sé per poi virare nel territorio dei The Nice. Il cantato è inesorabilmente
Van Der Graaf Generator, poi spazio a Emerson, Lake & Palmer. Non paghi, ci
regalano stralci di King Crimson, organi, Moog, Hammond, sinfonie… Un ricco
panorama in cui i cambi di ritmo la fanno da padrona; insomma, una vera e
propria scorpacciata che già rende sazi. Ma loro godono nel metterci il carico:
sappiate che in totale i brani sono soltanto tre e che il secondo dura tredici
minuti e mezzo, mentre il conclusivo quasi venticinque!
E
veniamo dunque a “The Fever”, dove il canto è limpido, il basso ricopre un
ruolo di livello e la composizione, in senso generale, ha un’attenzione particolare
per la melodia che strizza l’occhio ai Spock’s Berad. Rispetto a “Firebrand”,
noto uno sforzo compositivo ulteriore e comunque molto vicino al classico Prog
nordico e, come sempre, gli immancabili EL&P. Tendono a stamparti nella
memoria un andamento che, strada facendo, muta, viene rilasciato e infine
ripreso, come solitamente accade in una suite degna di questo nome. La
conclusione è psichedelica.
“False
Down” è la canzone più lunga e conclusiva; qui c’è tutto quanto ciò che ho
descritto sinora, in più stralci di Deep Purple. Oltre la metà della durata
sottolineo un bellissimo momento pianistico. Ad un certo punto i testi
diventano criptici e al contempo propiziatori per il loro futuro (questo è
quello che penso io, non la verità); sicuramente da interpretare:
“Senso
di appartenenza / Alla vita abbandonata / La loro vita fallita. / Abbiamo
vissuto le assurde verità delle nostre fantasie / Per sognare il nostro
destino. / Nessuna luce qui fuori, ma le fredde stelle. / Fissiamo la nostra
falsa alba / E tutto ciò che vediamo è la morte.”
In
conclusione, tantissima è la malinconia per aver perso una band così ispirata,
ma allo stesso tempo mi sento di ringraziarli per averci deliziato con la loro
musica; poi si sa, soprattutto nella musica, mai dire mai. Io comunque vi
aspetterò sempre. MS
Versione Inglese:

Ho sempre amato questa strepitosa band soprattutto il loro disco d'esordio, sicuramente uno dei gruppi più importanti degli ultimi anni in ambito Prog, dal talento eccelso. D'altronde la Norvegia degli ultimi dieci anni è stata la portatrice della migliore musica progressiva, e non serve fare l'elenco delle altre band. Dispiace che questo ultimo lavoro sia il loro canto del cigno, speriamo di risentire questi musicisti in altri progetti.
RispondiEliminaCordiali Saluti.
Infatti. A parte che avranno sicuramente in mente progetti paralleli, però questa alchimia fra loro tre era davvero invidiabile. Conoscendo i musicisti (un esempio Wilson con i Porcupine Tree che diceva "mai più con questo progetto") non è detto che prima o poi ci ricadino. Speriamo.
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