Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

lunedì 31 maggio 2021

Suite Rock

SUITE ROCK – Il Prog Tra Passato e Futuro
Autori: Athos Enrile, Oliviero Lacagnina
Graphofeel
2020





Imbattersi in un libro che parla di Progressive Rock è sempre un piacere per chi segue il genere. Si, sappiamo bene che il mercato al riguardo è inflazionato, sono molte le uscite nel tempo, tuttavia ognuna di personalità, non tutti vedono lo stesso argomento nell’ugual maniera, oppure si vanno a trattare argomentazioni parallele o mai sviluppate nell’ ambito. I nomi di Athos Enrile e Oliviero Lacagnina non sono nuovi nel campo, sono noti a tutti, Athos è uno scrittore musicale attento, collabora con diverse riviste specializzate ed è molto attivo nel web (il magazine MAT2020 su tutti) oltre che essere appassionato di strumenti e coautore di libri come “Cosa Resterà Di Me” (2011), “Le Ali Della Musica” (2016) e Accadde a Buckhannon” (2020).
Oliviero Lacagnina è invece un noto compositore, direttore d’orchestra e tastierista dello storico gruppo musicale progressivo italiano Latte E Miele. Oggi è anche collaboratore nel progetto The Samurai Of Prog.
Il libro come fa intendere il titolo, tende a parlare delle suite Rock, in realtà si dimostra essere un viaggio a 360 gradi nel genere, ricco di testimonianze ed aneddoti sia dei scrittori che di alcuni protagonisti. Si vede che la passione è la guida che possiede la loro mano durante la fase di scrittura, e questa passione è davvero contagiosa, tanto da rendere il lavoro davvero scorrevole e piacevole nella lettura.
Si parte da lontano, dal Proto Prog dei Beatles, Procol Harum, Moody Blues, per compiere l’intero viaggio passando per i soliti noti (Van Der Graaf Generator, Genesis, King Crimson, Yes, etc.) ed album da ricordare.
Interessante il paragrafo dedicato all’importanza delle copertine e del vinile. Una analisi è rivolta al Prog storico italiano e alla strumentazione che lo ha supportato, a partire dal Mellotron. Si passa successivamente allo studio di registrazione ed al cammino che compie dagli anni ’70 ad oggi. Una finestra anche sulle case discografiche italiane, ma non vorrei togliere tutto il piacere della scoperta che lascio a voi e alla vostra curiosità.
Un libro interessante per i motivi ora spiegati, ma soprattutto coinvolgente, adatto soprattutto a chi nel genere non ha mai messo mano, o per meglio dire orecchio.
Buona lettura e buone scoperte. MS






domenica 30 maggio 2021

Blacksmith Tales

BLACKSMITH TALES – Dark Presence
Immaginifica/ Aereostella
Genere: Neo Prog
Supporto: 13xFile, AAC




Il Neo Prog sta vivendo in Europa una seconda giovinezza grazie ad innesti di suoni Metal e Folk, alle sinfonie Genesis e alla psichedelia di matrice Pinkfloydiana. Ciò accade anche in Italia con molte band che si cimentano in lavori più o meno complessi, fra di questi risultano gli udinesi The Blacksmith Tales.
Si formano grazie ad un idea del tastierista cantante David Del Fabro nel 1990 ispirati dal Prog inglese dei noti maestri già nominati ai quali vado ad aggiungere Gentle Giant, Kansas e Rush.
Iniziare a mettere da parte idee sonore sin dagli anni ’90 e realizzare in tutto l’arco dell’esistenza un solo album in studio, fa pensare ad un risultato quantomeno interessante e così in effetti si dimostra essere. Un concept album con cura di particolari dedicato ai simboli ed alle immagini che partono dall’antico Egitto sino giungere al medioevo. Un viaggio introspettivo soprattutto alla ricerca del proprio essere, nel cuore e nella mente del protagonista.
Per realizzare cotante argomentazioni servono necessariamente composizioni sonore ed interpretazioni di stampo cinematografico, in pratica una vera e propria colonna sonora da supporto ai testi. La musica in generale ha queste capacità intrinseche, anche il Neo Prog, a prova del concetto basta andare ad ascoltare la discografia e le opere composte dal tastierista Clive Nolan (Pendragon, Shadowland, Strangers On A Train, Arena, Caamora etc) su tutti.
In questo viaggio sonoro formato da tredici episodi, David Del Fabro si circonda di musicisti come Michele Guaitoli (voce), Beatrice Demori (voce), Stefano Debiaso (batteria), Denis Canciani ( basso), Marco Falanga (chitarre), e Luca Zanon (tastiere, flauto).
Il disco si apre con la mini suite di quasi dodici minuti “The Dark Presence”, la voce richiama il Neo Prog style, come ha saputo insegnare Fish dei Marillion in cattedra, mentre le tastiere abbondano e rendono l’ascolto intriso di anni ’80. La chitarra elettrica dona energia al contesto sferzando il brano rendendolo più fruibile. Molto curate anche le coralità. In “Golgotha” risiedono numerose peculiarità dello stile in analisi, tuttavia David Del Fabro filtra il tutto attraverso la personalità. I frangenti strumentali come nel caso dell’assolo della chitarra, lasciano ampio spazio all’immaginazione rendendo l’ascolto ricco di suoni avvolgenti e penetranti. Il suono diventa sensuale quando giunge anche la tabla indiana e poi Minimoog, Mellotron, insomma tutto quello che un vero progfans desidera ascoltare da un lavoro del genere. “Let Me Die” ha un sound moderno ed incisivo, sembra uscito da un disco dell’olandese Lucassen ( Ayreon).
Una nota di piano in stile “Echoes” dei Pink Floyd sta a riportare il suono della goccia perché ora…“Rain... Of Course!”. La canzone è semplice rispetto quanto ascoltato sino ad ora e scorre velocemente sino a “Into The Sea (Apocatastasis)”. L’opera prosegue con la breve ed acustica “Interlude”, impreziosita dalla voce di Beatrice Demori. Tutto il disco è un piacevole scorrere di emozioni differenti, sino giungere alla suite “Possessed By Time” vero e proprio fiore all’occhiello dell’album. Qui l’ensemble sonoro raggiunge vette davvero elevate, sia in ambito esecutivo che compositivo, davvero musica totale.
Tutto “Dark Presence” è suonato molto bene, così risulta buona la registrazione, un prodotto che a mio gusto personale, si candida per diventare uno dei migliori cinque album  italiani di questo 2021. Solo complimenti. MS
 
 

sabato 29 maggio 2021

Evership

EVERSHIP - The Uncrowned King Act 1
Atkinsong Productions
Genere: Progressive Rock sinfonico
Supporto: Flac – 2021




Incredibile come un certo tipo di Progressive Rock nel 2021 ancora sopravviva pur rimanendo esclusivamente radicato al passato, questo testimonia che la qualità paga. Evidentemente il genere in questione possiede uno zoccolo duro che non tradisce, sempre affamato di novità e vivo acquirente. E la storia continua.
Ecco il progetto americano  del compositore, polistrumentista, produttore e ingegnere Shane Atkinson venire all’uopo per la causa. Evership  viene creato nel 2013 in America, più precisamente a Nashville.
Shane Atkinson  è molto attivo in ambito produttivo, realizza anche lavori per pubblicità oltre che  rappresentazioni teatrali. Nella sua carriera ad un certo momento sente la necessità di dare sfogo alla propria creatività realizzando appunto questo progetto Evership. Atkinson esordisce nel 2016 con “Evership” (Atkinsong Productions) proponendo un Prog sinfonico adatto per ascoltatori amanti degli Styx, EL&P e Yes su tutti. Il successo è buono tanto da convincere l’artista a replicare nel 2018 con “Evership II” (Atkinsong Productions). Oggi lo ritroviamo con un concept ambizioso diviso in due dischi, al momento esce soltanto il primo atto “The Uncrowned King Act 1”, il re senza corona.
Ed è subito mini suite con il primo brano “The Pilgrimage”, vetrina per i gusti musicali dell’autore, gli anni ’70 sono davvero marcati ma con una produzione sonora abbastanza felice. Gli Yes ed i EL&P sono presenti e rimanendo in ambito regale si può dire che le tastiere e la voce regnano sovrane.
Giunge la bucolica “The Voice Of The Waves” ad accompagnare l’ascoltatore verso il vero e proprio ascolto dell’album, ossia tutto ciò che ne consegue, un universo sonoro fatto di moog, cori, mellotron e chitarre.
Il primo assaggio proviene da “Crownshine Allthetime”, undici minuti di grande e magniloquente Prog. Gli autori di cotanta musica sono Beau West (voce), Shane Atkinson (tastiere, batteria, voce, percussioni), James Atkinson (chitarra), John Rose (chitarre), Ben Young (basso) e Matt Harrell (chitarra a 12 corde).
Un piano apre “The Tower” e sembra di immergersi nella discografia degli Yes grazie soprattutto all’uso delle voci a cappella. Brano per gli amanti di Hammond e Mellotron.
“The Voice Of The Evening Wind” è un frangente d’atmosfera acustico ed introverso che conduce alla suite “Yettocome Itmightbe” vera e propria scorpacciata vintage. Il disco si conclude con il pezzo più orecchiabile dell’album con riferimenti questa volta rivolti verso i Camel ed i Kansas.
Musica melodiosa e tecnica al punto giusto, la classica che ti fa stare bene. Non un capolavoro ma neppure un passo falso dettato dai troppi richiami al passato perché in Evership risiede anche personalità. Si sente che Atkinson ama il proprio mestiere e ciò che realizza è sicuramente fatto con il cuore. Contagioso. MS





mercoledì 19 maggio 2021

Massimo Salari a Trasimeno Prog

 INTERVISTA A MASSIMO SALARI 



Domenica 23 maggio alle ore 21:00 nuova puntata, la quattordicesima, della rubrica "La musica nelle parole", con interviste agli scrittori di libri sulla musica.
** Attenzione al nuovo orario / ore 21:00 **
Questa volta l'ospite sarà Massimo Salari, con cui parleremo dei suoi tre libri, pubblicati tra il 2018 ed il 2020; "Il rock progressivo italiano dal 1980 al 2013", "Metal progressive italiano" e "Neo Prog, Storia e discografia essenziale".
Il tutto ascoltando / vedendo frammenti di brani musicali scelti dall'autore.
Canale Youtube e Pagina Facebook di Trasimeno Prog; Pagine Facebook di Area Prog e Vivo Umbria


Questo è il link dove potrete seguire la diretta




Grazie ad ALFREDO BUONUMORI e all'organizazione TRASIMENO PROG

sabato 15 maggio 2021

Officina F.lli Seravalle

OFFICINA F.LLI SERAVALLE – Blecs
Lizard Records / ZeiT Interferance
Distribuzione: BTF, GT Music, Pick Up, Ma.Ra.Cash, Syn Phonic
Genere: Sperimentale
Supporto: cd – 2021




Quando si ama la musica in maniera passionale, si tenta di renderla personale, la si modifica fino a farla diventare speciale…Unica. Non è una pretesa, bensì una esigenza, quando l’artista è degno di questo nome non segue ciò che dice la moda, neppure suona per il pubblico, ma esclusivamente per se stesso. Il classico “Chi mi ama mi segua”.
I fratelli Seravalle tornano sul luogo del delitto con il terzo lavoro in studio dopo “Us Frais Cros Fris Fics Secs” (ZeiT Interference, Lizard – 2018) e “Tajs!” (Lizard – 2019) a conferma che la vena artistica in pochi anni è davvero fluida. Il duo Alessandro (chitarre elettriche, elettronica, voce oggetti, tastiere) e Gian Pietro (ritmiche, tastiere, basso generatore di frequenze) questa volta si coadiuvano di guest musicians come Simone D’Eusanio (violino elettrico), Andrea Massaria ( chitarra), Alessandra Rodaro (Horn francese) e Paolo Volpato (chitarra). Per chi non conoscesse l’artista Alessandro Seravalle ricordo che proviene dall’esperienza annosa con la band storica di Progressive Rock e Metal sperimentale Garden Wall.
“Blecs” in gergo friulano sta a significare “rattoppo”, un chiudere una falla aperta dall’esplosione della vita quotidiana che ci mette avanti a mille problemi, la musica è qui intesa come un palliativo, un “Blecs”. La Psichedelia che circonda l’ascolto così come la sperimentazione, sono come una droga che anestetizza il nostro essere, basta non aver paura nel lasciarsi trasportare.
Non bisogna soffermarsi ad un solo ascolto, la profondità di alcuni passaggi ed elementi meritano davvero una concentrazione particolare, proprio per questo in apertura ho parlato di “artisti”.
Undici rattoppi , undici differenti stati d’animo ad iniziare da “Imprevisto Cristallo”, brano più lungo dell’album con i suoi nove minuti abbondanti. Un tunnel sonoro avvolge l’udito in una sorta di bolla, spezzato solo dall’elettronica che di tanto in tanto fa riaprire gli occhi cogliendoci alle spalle, perché l’ascolto deve essere come dicevo “concentrato”.
In “Shady Business” sensazioni oniriche aleggiano sulle note del violino elettrico, il tutto in una ritmica spezzata ma insistente. Il crescendo sonoro ha sempre il suo maledetto fascino, il coinvolgimento è dunque garantito. L’elettronica prende il sopravvento sulla psichedelia in “Digital Panoptikon”, nomen omen.
Instabilità, nervosismo e senso di ipnotica destabilizzazione portano all’incanalarsi nell’era della digitalizzazione.
Ma non serve soffermarsi sulla descrizione di ogni singolo brano, perché il bello di questo lavoro è proprio la scoperta che personalmente non intendo rovinare.
Posso dire invece che la copertina è un dipinto ad opera di Giovanni “Ninos” Seravalle, davvero una vera e propria famiglia di artisti che calzano a pennello l’aggettivo in questione, oggi troppo spesso adoperato in maniera superficiale. Spazio dunque a chi osa, perché non sempre si ha voglia di ascoltare musica per cantare o ballare, spesso si ha anche voglia di sentirsi stupiti. La vita è stupore come diceva il grande Lucio Dalla, ed è vero, quando non ci stupiremo più avremo perso il significato della nostra esistenza.
“Blecs” lassù, dove osano le aquile. MS
 

Aleco

ALECO – Il Sapore Della Luna
Music Force / EgeaMusic
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2021




La luna.
Quante volte abbiamo alzato lo sguardo anche solo per coglierne la magica energia che riesce ad emanare. Colei che non ha paura del buio è una sicurezza, come il sole di giorno ogni notte è li e accompagna i sogni, le emozioni e le esperienze vissute da tutti noi. Il fascino intimo nel poterla osservare senza il caos del giorno nella quiete più riflessiva, rende l’atmosfera magica e ci affeziona maggiormente ad essa pur essendo in realtà un semplice sasso arido di pietre e polvere.
La luna accompagna le notti passate a ricordare certi eventi che hanno fatto il dna della nostra vita, è stata sempre presente e lo è tutt’ora. Proprio come ci racconta il cantautore Aleco nel suo secondo lavoro in studio intitolato “Il Sapore Della Luna”. Ognuno di noi ha passato una gioventù con esperienze proprie, ricordi indelebili, e qui Alessandro Carletti Orsini ci confessa i propri, vissuti nei pieni anni ’80 con personaggi che ti hanno segnato l’esistenza, così come certi film ed è proprio con l’amico Enio Drovandi in una giornata passata in un traghetto che certi aneddoti fanno riaffiorare ricordi vissuti nella felicità, il tutto sempre sotto l’occhio vigile della luna.
Ne scaturisce questo album  di nove canzoni, sempre solari come lo stile che contraddistingue Aleco, apprezzato al meglio nell’album d’esordio “L’Ultima Generazione Felice”. Il disco è accompagnato da un libretto esaustivo nei testi con tanto di preludi che introducono l’argomento trattato nella canzone. Le foto contenute godono di un fascino particolare, un poco offuscate tendente al  rosa antico, come fossero ricordi passati, salvo imbattersi nel paginone centrale dove la foto dimostra ariosità, bellezza e natura, qui l’uomo ritrova se stesso immerso in un senso di serenità apparente.
Nel disco partecipano anche Martina De Cesare (voce), GiuliaLuz (voce) e Andy Micarelli (tutti gli strumenti).
“Preludio Alla Luna” è anche l’intro dell’album che fa il verso a Stanlio ed Ollio nella loro storica canzone “Guardo Gli Asini Che Volano Nel Ciel”. Musicalmente si inizia con “Il Sapore Della Luna”, un mondo sonoro vicino a quello di Max Gazze ma anche agli anni ’80 soprattutto nei suoni, l’intento dell’artista è proprio quello di immergere l’ascoltatore nel contesto. Assieme ad Aleco canta Martina De Cesare.
In “Godi E T’Amo”  c’è sentimento, il piano fa scorrere immagini narrate nei testi in maniera reale mentre il sound è molto vicino allo stile di Lucio Battisti. Musica semplice e diretta al dunque, senza fronzoli. Torna la solarità che contraddistingue il cantautore questa volta anche nel titolo “No Agosto No”. In “Dalmazia” l’atmosfera è più intima, la chitarra elargisce un gradevole arpeggio su un testo importante, descritto nel libretto con le seguenti parole: “Ogni persona di qualunque etnia, colore o religione dovrebbe avere il diritto di vivere nella propria terra…”, dire che è vero è dire poco.
La cultura musicale di Orsini è palesata fra le note di “E Me Ne Vado Via”, canzone che non nascondo mi fa ritornare alla memoria alcune cose di Pino Daniele tratte dai primi tre album. “Il Sapore Della Luna 2” torna sull’argomento, ricordi narrati attorno ad un fuoco riguardanti gli anni passati. Musicalmente più ricercata e arrangiata “Due Cose”, con alcuni interventi elettronici  e la voce di GiuliaLuz. “Io Sono Eternamente Felice” è degna chiusura dell’album, ancora una volta intima e sentita.
Non esulano all’ascolto alcune piccole imperfezioni che rendono tuttavia l’insieme sincero ed aggiungerei “ruspante”, quando la musica si fa con la testa ed il cuore il messaggio di piacere passa senza restrizioni ed Aleco si diverte a farla così tanto da risultare inevitabilmente coinvolgente. MS




Ernest Lo

ERNEST LO – Io So Essere Macchina
Music Force / Egea Music
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2021




Il cantautore in senso generale del termine è mutato negli anni, questo è un fatto inopinabile dettato dalla normale evoluzione delle cose. Gli avvenimenti e la società del momento fanno in modo che ci sia un certo tipo di approccio alla composizione, così nei testi che nella musica. Si è potuta ascoltare la melodia italiana negli anni ’60, il cantautorato impegnato nei ’70, il melodico commerciale nei ‘90 per poi trovare una stasi dettata proprio dalla globalizzazione della società. Internet ci ha legato tutti, il mondo in tasca ha fatto in modo che l’individuo non fosse più al centro dell’interesse bensì riunito in una sorta di rassicurante gregge, dove la pecora nera (o perlomeno differente) è necessariamente da isolare. Tutti uguali, allineati, ci muoviamo ed agiamo come avanti ad uno specchio o ad un ballo di società. La musica rappresenta oggi questo, ma attenzione perché il bello, l’idea, il messaggio forte, esiste sempre pur se in  maniera celata, va solo cercato con parsimonia in questo immenso calderone mediatico. Chi è geniale o perlomeno individuo a se, apporta sempre evoluzione e aria fresca nel contesto in cui agisce.
La musica cantautorale è quindi in fase evolutiva si adegua ai tempi, li racconta e si reinventa.
Remo Santilli è Ernest Lo, un arguto ed ironico cantautore che si propone nel mondo della musica con questo esordio intitolato “Io So Essere Macchina”. La prima cosa che colpisce nel disco sono le frasi contenute all’interno del libretto, ossia “A piccoli parolieri buone intenzioni”, “Impara la parte e mettila ad arte”, “A mali rimedi estremi bancari” e “Chi trova un tesoro perde un amico”, ottimo preludio per l’ascolto che inizia con “Ssialaè”. Il brano giocoso è quasi rappato assieme all’ospite Micromega, una canzone che descrive in maniera ironica cosa piace della vita e di una donna da parte dell’artista. Il sound è moderno, Ernest Lo naviga i mari dei tempi e lo fa con scaltrezza oltre che con fare ruffiano grazie all’immediatezza dei suoni e delle soluzioni si già sfruttate, ma pur sempre piacevoli.
Ancora con Micromega in “Errore 404”, quella fastidiosa scritta che vorremmo mai apparisse nel computer, canzone che viaggia nel mondo di internet mostrandone più che altro i difetti, soprattutto quelli dei social. Lo sguardo ironico di Ernest Lo si posa successivamente sul “Bla Bla Bla” della gente, piccoli reminiscenze di Rino Gaetano più che altro per l’approccio al brano non per la musica che piuttosto potrebbe essere accostata al mondo di Alex Britti.
Simpaticissima “I Gatti Del Borgo” mentre acidamente analitica è “Ti Piace?”, sunto del modus operandi della società del momento, un auto-deridersi fatto in modo intelligente.
“Alla Coop” è il brano più lungo dell’album con i quattro minuti e mezzo. Non proprio cantato piuttosto narrato risulta sia divertente che storicamente legato a certi stilemi vissuti con i grandi Squallor e scusate se dico poco.
“Serena Vuole Andare A Nanna” è il pezzo più canzone dell’album, diciamo anche il momento ballata e qui l’artista mostra diverse potenzialità rispetto quanto ascoltato sino ad ora, pur rimanendo sul binario dell’ironia. Cesare Cremonini sembra aver lasciato qualche segno sonoro. “Numeri” è un altro momento simpatico e diretto apparentemente banale, ma ascoltate il testo. 
Ridere su “Talpe Ubriache” è facile, ma se lo si ascolta più volte c’è meno da ridere. Chiude “Bar Lume”, un luogo dove si trinca e si vive un certo tipo di quotidianità. Non so il perché ma Pino D’Angiò mi passa per la mente e anche questo particolare mi conferma la caratura delle potenzialità dell’autore in analisi.
Ernest Lo è un personaggio da tenere sott’occhio, ha cose differenti da dire, quelle che servono all’attuale cantautorato per mutare, poi i difetti nel tempo si possono smussare, ma credetemi, qui c’è molta carne in fuoco. MS




sabato 8 maggio 2021

Inner Prospekt

INNER PROSPEKT – Canvas Two
Somnus Media Ltd
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2021




La band romana di Rock Progressivo Italiano (RPI)  Mad Crayon ha lasciato nel suo percorso storico quattro album importanti.  Tralasciando il demo “Far From The Clouds - Someone Wants To Play” del 1992, l’esordio ufficiale risale al 1994 con “Ultimo Miraggio” (Cygnus Records). Questo album mostra al pubblico uno stile radicato nell’ RPI più classico, quello suggerito da band come Genesis, Orme ma soprattutto Banco Del Mutuo Soccorso.
Il viaggio sonoro prosegue sino ai nostri giorni con l’ottimo “Drops” (2020), autoproduzione digitale uscita solo su internet in FLAC. Il talentuoso tastierista dei Mad Crayon si chiama Alessandro Di Benedetti e nel 2014 inizia la carriera da solista con l’album “Dreaming Tony Banks” (autoproduzione). Il titolo lascia trapelare le origini alle quali si ispira, il suono delle tastiere di Tony Banks (Genesis) hanno segnato la storia sia del Progressive Rock che della musica Rock in generale.
Alessandro quindi fonda il progetto Inner Prospekt con il quale negli anni rilascia ben dieci album. “Canvas Two” è l’undicesimo da studio e seconda parte di “Canvas One” realizzato nel 2020 del quale esiste anche una versione completamente strumentale.
“Canvas Two” è suddiviso in otto tracce e ci suonano Alessandro Di Benedetti (tastiere, voce, batteria), Rafael Pacha (12-string e chitarra elettrica), Federico Tetti e Carmine Capasso (chitarre), Giovanni Maucieri (batteria nel brano “Abby's Escape”) e Giuseppe Militello (sassofono).
Difficile non restare concentrati durante l’ascolto di questa musica che sembra voler ipnotizzare l’ascoltatore, di certo non adatta ad un ascolto distratto o perlomeno superficiale.
Proprio il pianoforte apre la strumentale “Glimpse”, composizione leggera ma al contempo sofisticata, arrangiata con archi in maniera accurata.
Come il genere spesso ci mostra, non manca nell’insieme la lunga suite, qui intitolata “Soul Of Hundred Lives” della durata di diciassette minuti abbondanti. In essa circolano differenti soluzioni e cambi di ritmo, perfino schegge di Jazz caldo e riflessivo. Qui c’è il cantato in lingua inglese, la voce non è incisiva ma neppure scadente, diciamo che è da contabilizzare nella media del genere italico, dove solitamente risulta essere vero e proprio tallone d’Achille. Mentre la suite prosegue di sorpresa in sorpresa con energia, molto spesso compaiono durante l’ascolto sonorità e situazioni tipicamente anni ’70. A mio gusto questa musica è perfetta per accompagnare anche dei telefilm di quegli anni, tanto per rendere l’idea di come riesca a far confluire nella mente dell’ascoltatore immagini nitide e precise. Sempre protagoniste le tastiere in generale, in “King Of Spades” però sono il sassofono e le chitarre arpeggiate ad arricchire il contesto e l’atmosfera si fa immediatamente calda e soft. Qui migliore anche l’interpretazione vocale ed evidente l’ispirazione a Tony Banks. Personalmente apprezzo molto “Why Me” che mi riporta anima e corpo dentro il mondo Genesis anni ’70, ma anche di personalità con un equilibrio che apprezzo vivamente. “Abby's Escape” prosegue il contesto senza aggiungere o togliere nulla, facendo così proseguire l’ascolto nella fluidità. Altre mini suite portano il titolo di “White Skies” e “The Knight And The Ghost”, nuova vetrina per i musicisti impegnati oltre che per le tastiere di Alessandro. A concludere giunge la bonus track “The Queen Of Clubs”, sexy, fumosa e da drink, grazie ancora al sax di Giuseppe Militello.
Quindi avrete avuto modo di capire cosa elargisce la musica di “Canvas Two”, un disco che coccola ma al contempo sa colpire. MS





Loonypark

 

LOONYPARK - The 7th Dew
Lynx Music
Genere: Crossover Prog
Supporto: cd – 2021




La Polonia è una nazione molto attenta al fenomeno Progressive Rock, soprattutto nei confronti del Neo Prog. Non è un caso che i storici Pendragon oppure gli Arena o i Shadowland vadano a registrare molti dei loro live, sia in cd che in dvd, proprio in questa nazione. Il pubblico è attento al fenomeno, ma anche disposto a suonarlo, creando davvero una serie di sterminati gruppi. Il bello è che la qualità di essi si aggira tutta attorno alla sufficienza, ossia sono band che sanno suonare, emozionare e creare anche del proprio. Ci sono nomi che spiccano di più, come i Millenium, i Riverside, Abraxas, Amarok, Quidam, Collage, Moonrise, Hipgnosis, Albion e moltissimi altri, ed il livello è davvero invidiabile.
Una delle band più giovani a cimentarsi in questo stile sono i Loonypark.
Si formano grazie ad un idea di Krzysztof Lepiarczyk (tastiere) e Jakub Greslo (batteria) con diversi strumentisti che si sono affiancati a loro per raggiungere ad oggi dopo alcune defezioni la seguente formazione: Sabina Godula-Zając  (voce), Piotr Grodecki (chitarra), Krzysztof Lepiarczyk (tastiere), Piotr Lipka (basso) e Grzegorz Fieber (batteria).
L’esordio discografico risale al 2008 con “Egoist” (Lynx Music) disco che raccoglie immediatamente consensi di pubblico e presentano al mondo una nuova e fresca band. Dopo altri quattro album tutti di medio buona fattura, giungono oggi a “The 7th Dew”, formato da otto tracce tutte di media durata.
Con “The Heart” si palesa immediatamente una formazione coesa, attenta alle belle melodie e capace di unire al Prog anche un certo tipo di AOR. Brano dall’energia pulita, vigoroso ma al contempo gentile. La voce di Sabina è bella con il pregio di non cercare di strafare in base alle proprie possibilità. Le chitarre sono a tratti rudi, per poi lanciarsi in un assolo davvero al fulmicotone, mentre le tastiere arrangiano e sostengono il brano come il Prog ci ha insegnato. Immaginatevi se i primi Anathema si mettessero a suonare Prog classico.
La title track è profonda, con il crescendo sonoro che funziona al 100% delle volte che viene effettuato, una carta vincente che non tradisce mai. Il ritornello è ruffiano, il cantato in lingua inglese rende tutto molto assimilabile e gradevole. Ancora una volta la chitarra elettrica regala un bell’assolo.
“The Fever” fa capolino nel mondo del Metal Prog e qui si percepisce che i Riverside nella nazione hanno lasciato un segno indelebile. Segue “Virtuality”, molto semplice e lineare così come il prosieguo del disco sempre basato sulla musicalità diretta ed una piacevole ballata dal titolo “The Tree Of Life”.
Nessun miracolo, soltanto un buon disco che si lascia ascoltare con piacere e in questi tempi moderni è già un serio risultato. MS


 


 

domenica 2 maggio 2021

Cirkus

CIRKUS – Page 12 (On The Right)
Ramshaw Records
Genere: Rock progressive
Supporto: cd – 2021



Cirkus è un nome molto adoperato in ambito musicale, chi lo gestisce con la lettera K chi meno. Anche in Italia negli anni ’70 avevamo i nostri bravissimi Circus 2000, oppure gli ottimi ed attuali Cirkus canadesi, ma in questa recensione parlo dei storici Cirkus, quelli inglesi.
Si formarono a Sunderland nel 1973 e rilasciano nel tempo sei album, ma il più interessante risale al 1974 e si intitola “One”. Dopo una lunghissima pausa ritornano nel 1994, quando il Prog rialza la testa per la terza volta dopo la spinta delle band nordiche come Anglagard, Anekdoten, Landberk e altre come in America i Spock’s Beard ed in Europa i Porcupine Tree. Si formano dalla fusione delle band Moonhead e Lucas Tyson per suonare un genere ispirato a gruppi come King Crimson e Yes. Sin da subito sono palesi le caratteristiche tecniche dei singoli componenti che oggi sono Derek Miller (tastiere e programmazione), Nick Mao (voce, chitarra, tastiera), Michael Maughan (chitarre), Brian Morton (basso), Dave Ramshaw (voce), Rosie Prince (flauti) e Alex Saxon (sassofono).
L’album è composto da dieci canzoni e subito dico che qui non ci sono lunghe suite, ma tutti brani medi molto scorrevoli.
La title track inizia con il vociare di gabbiani (chi ha detto Procol Harum?), uno strumentale vigoroso che lascia presagire un bel viaggio Prog visto anche l’utilizzo massiccio delle tastiere e delle chitarre Hard Rock. L’interesse si accende immediatamente, la successiva “Angel” abbassa i toni presentando un eleganza raffinata grazie all’uso dei fiati. La melodia è altresì piacevolmente orecchiabile. Un giro di basso apre “Good News Week” con tanto di vocoder, una canzone che aleggia fra il passato anni ’70 ed il presente in maniera molto equilibrata e solare. Tornano i gabbiani in “Alive”, frangente Rock semplice e diretto mentre “Back & Fourth” è una semi ballata che si staglia nell’alta classifica del disco grazie agli arrangiamenti e alle idee ben incastonate fra di loro. I Cirkus riescono a stupire ma non con effetti speciali, bensì con la semplicità e questo non è assolutamente semplice da applicare.
Piano e fiati in apertura di “I'm With You “, altra ballata gentile e calda accompagnata dalla chitarra acustica. Se avesse avuto maggiori arrangiamenti avrebbe potuto risiedere benissimo in “The Final Cut” dei Pink Floyd. Xilofono per “One More Day”, brano niente di che, semplice e forse un pochino più stanco del resto del contesto, ma il vero cavallo di battaglia è “The Lure Of Santa Monica”, qui la band elargisce tutta l’esperienza annosa in cambi di stile e di ritmo, ancora una volta fra passato e presente. Più elettrica la breve “So It Goes”, a chiudere “Forever Tonight” con un pizzichino di Folk.
Non si grida al miracolo, tantomeno al capolavoro, distante davvero da certi irraggiungibili vette, però è inconfutabile la bellezza di questo disco che riesce nella sua semplicità a farti una coccola come una carezza nella guancia. Di questi tempi ne abbiamo tutti bisogno, chi più chi meno. MS




sabato 1 maggio 2021

Sproingg

 

SPROINGG – Clam
Autoproduzione
Genere: Eclectic Prog
Supporto: Digitale  - 2021



C’è musica e musica, così ci sono momenti differenti per ascoltarla. Il cultore del Rock Progressivo si ciba prettamente di musica ricercata, oppure di sinfonie  magniloquenti, il tutto sempre dietro la corazza della consapevolezza di ascoltare musica “acculturata” mai banale. Momenti e momenti, come dicevo, serve molto spesso lo stato d’animo adeguato per farlo o per ascoltare un certo tipo di musica. Quello che è indubbio e che mette d’accordo tutti i fans del Prog è il come ascoltarla, ossia con un buon impianto stereo, seduti o magari in cuffia e sicuramente non da un telefonino o da un tablet. Chi ama la musica ricerca ed ascolta, non subisce e sente. Sentire è distrazione, ascoltare è concentrazione.
Sempre vengono presi gruppi storici come riferimento di stile risalenti agli anni ’70, mai dagli ’80, ’90 e via dicendo salvo in alcuni sporadici casi, sarebbe anche ora di cambiare questo atteggiamento visto che stiamo ascoltando ancora Prog nel 2021 (se vogliamo che esso sopravviva ancora). Quindi cosa fanno i tedeschi Sproingg? Si gettano anima e corpo nel tempo, saccheggiando a destra e manca tutto quello che si può assimilare in tutti i stili ed anni. Sono amanti totali della musica tanto da autodefinire il proprio genere “Experimental-prog-chaos, Excessive polyrhythmic minimalism, Space-Punk-Ambient-Psychedelic e Dramatic, jazz & classically influenced rock”.
Presunzione? Pazzia? Realtà? Nulla di tutto questo a mio modo di vedere, loro amano gettarsi nella musica e lasciarsi trasportare.
Stupirsi.
L’improvvisazione regna sovrana, ma chiari sono i punti di riferimento a cui fanno capo nei decenni.
I Sproingg provengono da Friburgo ad eccezione del batterista americano e sono un trio composto da  Prudi Bruschgo (chitarre), Erik Feder (batteria) e Johannes Korn (Chapman Sticks, violino elettrico). L’esordio discografico risale al 2017 con l’ottimo “Sproingg”, facendo molto discutere pubblico e critica, così oggi tornano con “Clam”, lavoro composto da otto tracce tutte di medio/lunga durata.
Immediatamente sin da “Stuffer Gapes And Drapes His Cape On A Vaping Ape (including Destiny's Abortion)” ci rovesciano addosso la loro provenienza musicale. Chi fa maggiormente capolino fra le note del brano ancora una volta è lo stile nervoso dei King Crimson, vero e proprio punto di riferimento per chi è immerso in questo mondo sonoro. Dissonanze, elettricità, ritmi spezzati, sincopati per un suono che di certo non può definirsi prettamente melodioso. Si passa di palo in frasca (come si dice nel mio dialetto marchigiano), ossia da una parte all’altra della musica, essa è vista a tutto tondo ed è strattonata per la maglia.
La Psichedelia è ben rappresentata in “(Impure Thoughts) Pure Cushion”, o forse dovrei dire improvvisazione. Ma ha un senso effettivo dover descrivere brano per brano? Non credo proprio, perché “Clam” è in realtà un viaggio unico, distorto, visionario e leggiadro al contempo.
Musica per chi vuole tutto del mondo sperimentale del Prog, brani esclusivamente strumentali che potrebbero destabilizzare l’ignaro ascoltatore della domenica. I Sproingg sono tosti e perché no…anche un poco folli! Voi cosa vedete, cosa immaginate durante l’ascolto? Sapete ancora stupirvi? Vi invidio. MS



https://sproingg.bandcamp.com/


erik_feder@yahoo.com