Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

domenica 29 maggio 2022

Post Generation

POST GENERATION – Control – Z
Luminol Records
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: File Audio – 2022




I Post Generation nascono come progetto collaterale del bassista dei Diaries Of A Hero, Matteo Bevilacqua, nel 2014. Rispetto la band madre, con esso Matteo si distanzia un poco dal mondo del Metal avvicinandosi a un sound più psichedelico e ricercato come quello dei maestri Porcupine Tree, Anathema, Opeth e così via.
Con lui alla voce e chitarra, suonano Carlo Peluso (tastiere), Antonio Marincola (basso), Christoph Stahl (batteria), Paolo Rigotto (batteria e mixer) e Michaela Senetta (voce). Paolo Rigotto non è di certo un nome nuovo per gli ascoltatori di un certo tipo di Pop Elettronico.
Sono serviti sette anni per realizzare “Control-Z”, album concept riguardante lo stato mentale del genere umano bene descritto già dall’artwork per opera del londinese Juan Blanco. Siamo una comunità di zombie, pilotati dalla sofferenza e dalla paura. Il concetto è spalmato su dodici brani per quasi un’ora di musica, a iniziare da “This Is My Day”. Il pezzo è molto curato e bene arrangiato, specialmente sulle partiture vocali e corali, i cambi umorali sono come il genere esige, presenti e numerosi. Possono venire in menta durante l’ascolto anche certi Fates Warning o Enchant. Bello l’assolo di chitarra e l’accompagnamento con il clarinetto.
“About Last Night” ha un giro centrale di chitarra di chiara matrice Opeth, quelli più acustici, e conduce l’ascoltatore in ambienti leggermente malinconici ma dall’anima pulsante. Divertimento e ariosità fanno comunque di tanto in tanto capolino e coinvolgono a pieno. Qui la band dimostra di avere una vasta cultura al riguardo del genere proposto. “You’re Next In Line” si apre con un pianoforte sopra un tema onirico successivamente sempre dominato dalle tastiere di Peluso che donano all’insieme l’impronta del Progressive Rock. Curata la parte vocale che ha il merito di non strafare mai, piuttosto concentrata nella parte interpretativa più che quella tecnica, così gradevole è la voce di Senetta. Questo brano potrebbe benissimo risiedere nella discografia dei polacchi Riverside, ma improvvisamente anche in quella degli Spock’s Beard. “What’s The Worry” spalanca le ante della mente e si intromette al suo interno di certo senza non lasciare segni. Molti anni ’70 e ancora una volta validissimi arrangiamenti, come sapevano fare i Porcupine Tree della metà carriera. “The Cat And The Chicken” è una passeggiata nella follia, sempre se si è aperti di mente e quindi pronti ad affrontarla, mentre il ritmo sale. “White Lights And Darkest Patterns” è uno dei miei movimenti preferiti dell’intero album, sia perché in me ricordano i migliori Porcupine Tree che i Radiohead, oltre che essere ricco di sorprese che lascio a voi scoprire. “Could It Be You” ha il ruolo di riscaldare il cuore, e successivamente è la volta della title track “Control – Z” qui veramente molto materiale in esame e un viaggio a ritroso nel tempo nella discografia sempre di Wilson & company. I Post Generation non si risparmiano, ricercando sempre melodie accattivanti ma allo stesso momento raffinate. “Nathalie” è maggiormente vicina alla formula canzone ed è bene interpretata ancora una volta dalla bella voce di Michaela Senetta. Ancora Porcupine Tree con “This Cannot Work”, qui in maniera decisamente più marcata. Un breve passaggio acustico in “Raising The Bar”, piccola gemma sonora, per poi giungere alla conclusiva “Unforgotten Wasteland”, e qui siamo su livelli molto elevati.
Nulla di scontato nella musica dei Post Generation, tutto molto curato e ponderato, specialmente riguardo le coralità, tuttavia il risultato non risulta freddo ma contrariamente a come ci si potrebbe attendere decisamente caldo e coinvolgente. Un nome da appuntarsi e seguire con attenzione in futuro, sono sicuro che il mio fiuto non sbagli, è l’inizio, e ne ascolteremo ancora delle belle! MS.





domenica 8 maggio 2022

Melanie Mau & Martin Schnella

MELANIE MAU & MARTIN SCHNELLA – Invoke The Ghosts
Autoproduzione
Genere: Acustic Folk / Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Quante volte nella vita c’è capitato di evocare fantasmi, ossia ricordare il passato a volte con nostalgia e in altri casi con un velato timore. Sono sensazioni molto potenti che ci fanno sentire vivi, il sentimento, la paura, la mancanza di un caro l’amore, avvenimenti che tuttavia fanno del nostro percorso terreno un vero e proprio bagaglio d’esperienza. La musica non è altro che un amplificatore di queste sensazioni, se vogliamo anche attraverso i testi che possono divenire una vera e propria valvola di sfogo. “Invoke The Ghosts” attraverso le parole, racconta storie che riguardano proprio il nostro quotidiano essere.
Prima di entrare a parlare della musica di questo nuovo disco di Melanie Mau & Martin Schnella (il secondo con brani propri tralasciando gli album cover), vorrei soffermarmi sul grande sforzo creativo riversato sulla confezione, essa si presenta cartonata, apribile in due parti con foto di Bodo Kubatzki, disegni splendidi per opera di Isa Hausa Illustrations, pitture di Anish Jewel Mau con la supervisione di Martin Huch e poi testi e credits dettagliati. Quando un prodotto è così curato, è giusto presentare i suoi autori, specialmente poi se stiamo trattando un’autoproduzione. Davvero complimenti.
La band è composta da Melanie Mau (voce), Martin Schnella (chitarre, voce), Mathias Ruck (voce),
Lars Lehmann (basso), e Simon Schröder (percussioni, batteria, voce). Tre gli special guest chiamati a impreziosire l’album, Jens Kommnick (fiati, violoncello, strumenti celtici, chitarra acustica, voce),
Siobhán Kennedy (voce) e Steve Unruh (violino).
Come avrete già avuto modo di intuire leggendo i partecipanti, la voce è un punto focale per la musica del duo tedesco, vocalità anche a cappella sono uno dei punti forti dell’intero lavoro. Musica Folk a tratti celtica si va a sposare anche con il mondo del Metal Prog inteso non come suono elettrico distorto bensì come intensità, infatti l’innesto di Simon Schröder apporta al sound un indurimento rispetto i canoni sonori del passato. Tuttavia le ballate sono la prevalenza, così il Folk e il Progressive Rock, infatti l’esperienza di Schnella lo porta negli anni ad ascoltare un ampio spettro di musica, ne abbiamo avuto prova negli album di cover “Live In Concert” (2017) “Pieces To Remember” (2018) e “Through The Decades”.
Dieci nuove composizioni a iniziare da “Nur Ein Spiel” brano cantato in lingua madre. E la storia si palesa immediatamente avanti a noi grazie ai cori in classico stile Gentle Giant. La voce vigorosa di Melanie è sempre gradevole, mentre ci sembra di ascoltare un brano acustico dei Blind Guardian.
Ritorno al classico inglese per “The Beast Is Lurking” dove ho parvenze sonore The Ghatering, in cui l’incedere vivace e insistente conduce verso un Hard Prog influenzato dal Folk, qui addirittura fa capolino una parte vocale in Growl.  In “Solumate” si espongono strumenti a fiato, violino, coralità, un ampio spettro sonoro che riempie la mente durante l’ascolto, decisamente consigliato in cuffia.
Un dolce arpeggio di chitarra inizia “Where’s My Name”, questo è il territorio dove il duo sa dare il meglio di se, un mondo fatto di dolcezza e melodie in una ballata curata e ricca di sentimento. A metà il brano si lancia in una parte percussionistica accompagnata sempre dalla chitarra e dal whistle in cui fanno capolino anche i primi Spock’s Beard, questo per chi dovesse conoscerli approfonditamente. “Of Witches And A Pure Heart” è un movimento decisamente Prog e anche il più lungo del disco grazie ai suoi quasi dieci minuti. Tanta la carne al fuoco, ma non si brucia, l’alternanza dei ritmi garantiscono una freschezza all’ascolto davvero scorrevole. Il fil rouge è comunque e sempre resta il Folk. Martin Schnella si dimostra un bravissimo chitarrista e compositore, ascoltare “Calypso” per entrare nel concetto. Qui l’andamento si dimostra “Metallico” malgrado non siano presenti le classiche chitarre distorte. “Red Beard” procede il cammino sulla stessa lunghezza d’onda mentre con “Ein Stummer Schrei” e “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen) ” si ritorna al cantato in lingua madre. “Ein Stummer Schrei” ha un intro di matrice classicheggiante, una ballata che sfocia in un assolo di chitarra elettrica dall’ampio respiro, sempre dall’impatto emotivo elevato. “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen) ” è un'altra mini suite di nove minuti in cui l’andamento ripercorre le orme del suo precessore. Bellissima “Wholeheartedly” che chiude l’ascolto con voci a cappella come nell’inizio, una composizione di Melanie che sembra provenire da un tradizionale.
“Invoke The Ghosts “ è quindi un disco curato in ogni particolare, la bellezza della musica risiede anche nella propria totalità, dall’abito al corpo passando direttamente attraverso l’anima, se a tutto questo si aggiungono esperienza e cultura allora il risultato positivo è garantito. Molto consigliato, ma molto, molto. MS







Sammary

SAMMARY – Monochrome
Progressive Promotion Records
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022




Mi sono reso conto con il passare degli anni di essere un critico musicale anomalo, un onnivoro vorace ma che allo stesso tempo sa scegliere cosa mangiare. Non mi sono fermato con il gusto a un cibo in particolare, ho amato sempre ogni periodo del Rock. Certo che se vogliamo dire qual è stato il momento migliore per idee e fertilità con certezza trattasi dello spicchio decennale che va dal 1965 al 1975, ma a seguire c’è stato sempre un qualcosa di buono, d’innovativo. L’evoluzione va avanti anche senza di noi, è nella natura delle cose. La musica rappresenta sempre la società del momento, insomma se ne potrebbero dire davvero tante al riguardo, ma lasciatemi affermare che oggi amo da morire il Post Prog Moderno. Per capire dettagliatamente cosa è il Post Prog Moderno vi rimando fra pochi mesi in libreria perché ne ho scritta la storia, intanto per abbreviare il concetto vi dico che è un paletto che mette le distanze fra il Progressive Rock degli anni ’70 e quello attuale, maggiormente psichedelico a tratti etereo e in altri metallico. Questa frantumazione definitiva del Classic Prog parte dai Radiohead e di cose ne sono successe dopo gli anni ’90.
I Sammary sono figli di questi tempi, sound moderno alla Pure Reason Revolution, Anathema e Within Temptation ma con influenze del passato con echi di Pink Floyd, Abba e molto altro ancora.
Sammary è il progetto del polistrumentista e cantautore Sammy Wahlandt in collaborazione con la cantante Stella Inderwiesen. Assieme a loro Marie Stenger (voce), Larissa Pipertizis (voce) ed Elena Pitsikaki (Kanun). “Monochrome” è il debutto discografico che si apre con la psichedelia di “ Black And White”, un crescendo roboante di suoni e sensazioni oniriche che fanno da preludio a “Soft”. Qui il Metal aggredisce l’ascoltatore sino al sopraggiungere della voce di Stella che fa da paciere. Aperture spaziali fanno del ritornello un punto di forza. Molti i cambi d’umore che sono anche questi parte del DNA del genere, altrimenti il termine Prog non avrebbe qui il senso di esistere. Un piano a effetto apre “218”, l’artwork che accompagna il disco ben rappresenta le atmosfere eseguite, un velo di grigia malinconia aleggia sempre sopra di ogni nota. Il suono duro delle chitarre qui è semplicemente una parentesi d’accompagnamento. Le tastiere che occupano il posto degli archi ben supportano l’incedere sonoro. Sentita l’interpretazione della giovane Stella durante la ballata “A Kiss Without A Meaning”, un altro motivo in cui l’apertura a metà brano porta a volare alto con la fantasia. Massiccia “219”, tuttavia maggiormente vicina alla classica formula canzone. Elettronica fa capolino all’inizio di “Sweet Affliction”, qui sento anche influenze anni ’80 derivanti dalla New Wave, il tutto rivisitato in chiave decisamente moderna. Ancora una volta la voce è protagonista.
Arpeggi di chitarra per “Open”, un motivo di riflessione e di ascolto a occhi chiusi che lasciano soltanto successivamente strada ad aperture sempre dall’ampio spettro. Territorio Anathema? In alcuni casi si. “220” è lieve, ancora una volta dipinge una tela dallo sfondo grigio ma questa volta a pastello. Bene “Killing Another Person”, gradevole canzone di facile assimilazione. Ancora elettronica per “Monochrome” che potremmo definire il suggello del disco poiché “Epilogue” non è altro che un breve strumentale di tastiere a concludere.         
Ragazzi, questo è Post Progressive Moderno, come detto ne sentiremo parlare più approfonditamente nel tempo, intanto complimenti al progetto Sammary, adatto a un pubblico che non disdegna il sound Metal con annesse dolci melodie e una voce sopra le righe. MS 






sabato 7 maggio 2022

Anims

ANIMS – God Is A Witness
Burning Music / Atomic Stuff / Sneakout Records
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2021




Esistono stereotipi che sono radicati nel tempo, ma non sempre hanno giusta causa. Molti sono i casi in cui vengono scambiati per “l’eccezione che conferma la regola”, questo è un superficiale errore. Nella musica ne incontriamo a centinaia, ad esempio si dice che l’Hard Rock è un genere per un pubblico di sballati, o perlomeno di personaggi poco raccomandabili, grezzi e chissà quanti altri aggettivi si saranno letti negli anni in ogni dove. Vogliamo poi aggiungere che il genere in teoria dalla nascita avrebbe dovuto avere i mesi contati? Nulla di più sbagliato, da Hendrix a oggi l’Hard Rock è vivo e vegeto anche qui in Italia e non ci crederete mai, ma c’è chi lo suona anche con classe ed eleganza.
Vi dimostro uno di questi casi, e non poteva che essere un disco composto e suonato da un veterano con spalle un’esperienza invidiabile: Francesco Di Nicola. Il chitarrista bolognese degli storici Danger Zone e Crying Steel si cimenta in questo nuovo progetto intitolato Anims, con lui suonano Elio Caia (basso), Diego Emiliani (batteria), e al microfono la cantante Elle Noi. Luca Bonzagni sempre dei Crying Steel ha contribuito inizialmente alla stesura dell’album nelle parti vocali, ma per motivi personali ha dovuto abbandonare la causa.
I dieci brani contenuti nell’album in realtà sono editi e autoprodotti in digitale già nell’agosto del 2021, solo oggi grazie al buon fiuto della Burning Music li possiamo godere oggi anche in versione ottica in formato CD.
La title track che apre anche il disco dimostra tutta la competenza e la cultura della band al riguardo, ritagliando alla voce un ruolo non proprio convenzionale per l’Hard Rock, si denota una certa ricerca nell’esibizione. “God Is A Witness” è dunque un granitico mid tempo dove la ritmica risulta rodata e precisa, mentre il motivo potrebbe far venire alla mente un nome importante: Saxon. Scivolano le chitarre nell’intro di “Freedom” preparando il terreno a un classico dell’Hard Rock, dove la buona melodia s’immette nella distorsione che fa da sfondo alla voce di Elle, solo a tratti spezzata da veloci e brevi assolo di Francesco. In “Around Me” tanta storia e sensualità mentre “Live For Somebody” all’inizio avvolge con il suo arpeggio iniziale e la voce sostenuta. Le atmosfere si fanno più dense e ricercate, un brano davvero intrigante fra i miei preferiti dell’intero album. Si ritorna a ruggire attraverso “Boring Lovers”, uno dei movimenti più veloci dove la semplicità la fa da padrona, anche grazie a rullate esibite con maestria e sicurezza. La bellezza della voce di Elle risiede nella volontà di non strafare, anche se a tratti si permette di scalare buone vette. “Bright Eyes” ha un titolo importante e si dimostra un altro classico del genere. “Look Who’s Back” lancia ancora la chitarra in funambolici passaggi sempre in un contesto classico del genere. Mi piace la ricerca ritmica di “The Dangers”, un motivo articolato ma molto melodico, quasi Hard Prog. “He Says” mette in cattedra le capacità balistiche della band, una vetrina dell’esperienza citata, altro frangente elevato del disco. “Like Colours Of Flowers” ha l’onere di concludere con vigore e pesantezza.
Nulla di trascendentale, “God Is A Witness” non ha nessuna pretesa di cambiare chissà quali regole, piuttosto bada al sodo attraverso buone canzoni registrate con professionalità da professionisti veri dello strumento e del genere, di questi tempi credetemi è cosa ben rara. Gli Anims ci lasciano un debutto piacevole da cantare con loro e godere, perché no, anche nello stereo della macchina in un bel viaggio sull’autostrada, musica per ogni palato e per ogni luogo. Immagino sicuramente coinvolgenti in sede live. Godi popolo.  MS





venerdì 6 maggio 2022

Project: Patchwork

PROJECT: PATCHWORK – Ultima Ratio
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G. T. Music
Genere: Progressive Rock/Metal
Supporto: cd – 2022




Negli anni abbiamo imparato ad apprezzare la musica Progressive Rock proveniente dalla Germania. La nazione è sempre stata storicamente vivace nell’ambito, molte le band che hanno dato il proprio contributo alla causa iniziando proprio dagli anni ’70. Vogliamo poi parlare del Krautrock? Anche nei tempi moderni le realizzazioni si susseguono con intensità e qualità, soprattutto in un rispettoso equilibrio fra passato e presente. Chi ad esempio non dovesse conoscere gruppi come Seven Steps To The Green Door, Flaming Row, RPWL solo per fare tre nomi a caso, potrebbero dare loro un ascolto. 
Uno degli esponenti più interessanti del circuito Prog tedesco è sicuramente Gerd Albers (Groovefabrik), polistrumentista amante delle grandi collaborazioni autore del fortunato Project: Patchwork. Come accade per Arjen Lucassen negli Ayreon, anche per Albers la lista dei partecipanti che ruotano di volta in volta attorno alla musica è davvero nutrita. In questo terzo album in studio intitolato “Ultima Ratio” questi sono i nomi di alcuni dei partecipanti alle strumentazioni: Lars Köhler (voce), Arno Menses (voce), Miriam Kraft (voce), Olaf Kobbe  (voce), Anne Trautmann (voce), Jean Pageau (voce, flauto), Matthias Bangert (basso), Johannes Pott (batteria), Marek Arnold (tastiere), Daniel Eggenberger (tastiere), Volker Wichmann (tastiere), Ben Azar (chitarre), Peter Koll (chitarra), Martin Schnella (chitarre), e Marco Wriedt (chitarre).
Il libretto interno che accompagna il formato cd dell’edizione cartonata, oramai caratteristica della Progressive Promotion Records, include un’interessante e approfondita descrizione del tema sulla pandemia che stiamo vivendo in questo periodo. L’artista non vuole dare regole precise o dettare sentenze categoriche, bensì intende narrare le effettive difficoltà in cui la società è caduta nel corso di  queste restrizioni, che ci hanno privato di molte attività quotidiane. La vita che stiamo vivendo è quindi esaminata in questo corposo artwork. Nove le tracce a iniziare dall’immancabile intro qui intitolato “Ultima Ratio Pt.1 – Prologue”. L’imponenza delle tastiere presenta al meglio il genere Progressive Rock e precisamente quello sinfonico, lo strumentale ha un fascino tipicamente moderno, infarcito solamente in maniera misurata dalle chitarre Heavy. La batteria con ogni rullata  evidenzia i passaggi che soltanto alla fine lasciano spazio alle chitarre acustiche, ed è la volta di “New Normality”, legata all’intro e cantata in inglese. Qui è trattata la “nuova” normalità quotidiana, mentre la musica è un mix fra Ayreon e Porcupine Tree, questo per gli amanti dei suddetti gruppi.  La canzone è strutturata sia per la formula canzone classica che per l’immancabile cambio di ritmo come esige il Progressive Rock. “Weeks Of Sorrow” è il brano più diretto dell’intero album con un ritornello interessante e un andamento tipicamente variegato, molti i deja vu durante l’ascolto e il riff che lo accompagna è davvero indovinato. Atmosfere graffianti si alternano a frangenti maggiormente pacati e il risultato è davvero di appagamento. Ancora una volta attaccata come in una suite giunge “Code Red” aperta dalla bella voce di Miriam Kraft, una semi ballata dal sapore Folk fra le mie preferite di “Ultima Ratio”. Due minuti e mezzo di chitarre acustiche ed elettriche in “Hope”, composizione che lascia spazio a voli pindarici in cielo aperto, quando la musica riesce alla perfezione a sostituire le parole, questo è il risultato. Terminato il movimento parte immediatamente “Dead-End Street”, tanta materia all’interno, vibrazioni elettriche, enfasi e armonie delicate compongono il DNA del pezzo. “Depressed Sentiments” è nomen omen e gioca molto su gradevoli coralità, mentre è presente anche una mini suite intitolata “Keepers Of The Fire della durata di quasi tredici minuti. Tutte le capacità compositive di Albers si evidenziano nel corso del brano, anche la cultura musicale che palesa un attento ascolto negli anni di buona musica. Il disco come si è aperto si chiude con “Ultima Ratio Pt.II – Epilogue” e l’opera è conclusa.
Vorrei terminare questa recensione con una analisi dell’ultimo periodo musicale nel quale ci siamo immersi, la qualità si è elevata a tutti i livelli e generi. La pandemia ha forse dato la possibilità agli artisti di sedersi e riflettere maggiormente lasciando così spazio alla fantasia e alla voglia di esternare tutto il loro essere, Project: Patchwork non esula da questo mio pensiero. Un'altra chiave di lettura potrebbe essere che abbiamo avuto anche più tempo per tutti noi di ascoltare, leggere, informarci, tutto questo grazie ad internet che riporta il mondo in casa, facendo si che la contaminazione e la cultura aumenti l’asta della cultura personale. 
“Ultima Ratio” è un bel disco, registrato a dovere, un ulteriore finestra sul Progressive Rock che sta mutando nella normale evoluzione delle cose, così come deve essere ma sempre con il rispetto del passato. MS