Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

sabato 29 gennaio 2022

Sintesi Del Viaggio Di Es

SINTESI DEL VIAGGIO DI ES – Gli Alberi Di Stravropol
Lizard Records
Distribuzione G.T. Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Spesso, credo che sarà capitato anche a voi, che la musica faccia venire alla memoria non soltanto situazioni ma anche colori e perfino odori. Il potere del Progressive Rock è illimitato e se c’è di mezzo il flauto poi accostamenti e paragoni fra Folk e Jethro Tull partono in automatico. Ci sono riflessione, rilassatezza, concentrazione e viaggio nella musica dei bolognesi Sintesi Del Viaggio Di Es, formazione che nasce grazie a tre membri dello storico gruppo prog Sithonia, orgoglio italico del Prog anni ’80. In quegli anni il genere è in sofferenza, salvo ascoltare il Neo prog, e appunto band come i Sithonia hanno ricoperto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dello stesso, mantenendo viva l’attenzione quando una larga fetta di pubblico se n’è andata voltando le spalle. I tre componenti storici sono Valerio Roda (basso), Marco Giovannini (voce), e Sauro Musi (chitarra), che assieme a Eleonora Montenegro (flauto), Nicola Alberghini (batteria) e Maurizio Pezzoli (tastiere) completa la band.
Dopo “Il Sole Alle Spalle” (2017 - Locanda Del Vento) ancora natura in primo piano, “Gli Alberi Di Stravropol”. Stravropol è una città russa ai piedi del monte Elbrus immersa nel verde dove la notte tira molto vento, tanto da far sembrare il rumore delle fronde agitate un vero e proprio colloquio fra alberi. Da qui parte il concept dell’album che contiene anche una suite intitolata proprio “Il Viaggio Di Es”.
Come spesso accade al Progressive Rock, nella musica proposta c’è un rapporto tra passato e presente davvero amalgamato e il genere italiano di questo è infarcito. L’album è diviso in dieci tracce a iniziare da “Come Le Foglie (Parte1) ”. Sin da subito si denota il legame fra il cantautorato e la raffinatezza del genere come spesso hanno saputo fare band come la PFM o le Orme. Ed è con l’arpeggio di chitarra che inizia il viaggio vero e proprio nella title track “Gli Alberi Di Stravropol”, dove il flauto ricopre un ruolo importante indirizzando il sound verso il Folk. Il vento porta il dialogo degli alberi nella stanza del protagonista che ascolta attentamente mentre la voce di Giovannini interpreta al meglio la fotografia sonora, senza mai fare il passo più lungo della gamba. Inizialmente il suono s’indurisce leggermente in “Regina In Lacrime” per poi tornare nel recinto del cantautorato. Interessante la parte centrale, dove la batteria e la chitarra elettrica diventano protagoniste.
“L’Età D’Oro” si presenta come un brano Hard Rock, la parte muscolosa dei Sintesi Del Viaggio Di Es, ma ancora una volta la chitarra elettrica si lancia in un assolo che fa da calmiere assieme all’immancabile flauto di Eleonora Montenegro. Nella successiva e breve strumentale intitolata “Adria” il protagonista è il violino della brava ospite Barbara Rubin, altro nome conosciuto nell’ambito Progressive Rock Italiano. Esso dialoga con la chitarra acustica accompagnati dal pianoforte e le atmosfere diventano bucoliche.
“Una Nuova Passeggiata” sembra un brano de La Maschera Di Cera, variegato sì, ma sempre attento a non deragliare mai dai stilemi che lo contraddistinguono, ossia quelli melodici dalla facile memorizzazione. “Come Le Foglie (Parte 2) ” è un altro breve strumentale dove questa volta la protagonista è la chitarra elettrica. C’è da cantare assieme alla band in “Strade Di Fango”, mentre un roboante tappeto di tastiere accoglie l’ascolto in “Grazie Per Gli Anni E Per I Giorni”, strumentale dalle mille sfaccettature. E come spesso si suol dire, dulcis in fundo, grazie alla suite di quasi quindici minuti intitolata “Il Viaggio Di Es”, qui la band gioca tutte le carte a sua disposizione lasciando un'altra piccola perla al Rock Progressivo Italiano. In alcuni momenti strumentali mi ricordano i finlandesi Fruitcake.
In conclusione “Gli Alberi Di Stravropol” è un album gradevole, canonico e rispettoso della storia passata, un buon pretesto per sedersi ad ascoltare musica che in qualche maniera ti porta via, appunto fra colori ed odori, quelli dell’aria pura. MS






lunedì 24 gennaio 2022

Intervista Kult Underground

 INTERVISTA KULT UNDERGROUND

 




Grazie a Davide Riccio e a KULT UNDERGROUND per questa bella intervista.


http://kultunderground.org/art/40444/





martedì 18 gennaio 2022

Rastroni

RASTRONI – Anime Da Frutto
Angapp
Genere: Rock Psichedelico, Indie-Rock, Progressive
Supporto: mp3 – 2021




Ma cosa ho ascoltato?
Scusate il modo non convenzionale di iniziare una recensione, ma davvero resto basito. Taglio subito la testa al toro dicendo che “Anime Da Frutto” è un nuovo “Orfeo 9”, ma anche no. Dico che è psichedelia, ma anche no. Un cantautore che suona alla Porcupine Tree, ma no. Punti di congiunzione con il Fabio Zuffanti solista ne ho intravisti, ma… Sono confuso. Suoni anni ’70 e moderni allo stesso momento, Hammond e altro compreso. Un nuovo Tito Schipa Jr.?
Testi alla “Felona E Sorona” (Orme) che parlano di due mondi, una metrica lirica che spesso è slegata dalla musica perché le parole possono essere lette anche da sole, senza ascoltare i suoni. Un racconto vero e proprio, ma le sorprese non sono finite. Su You Tube potete godere dell’intero album completamente visivo come un film! No, non voglio confondervi, è la verità.
L’autore di cotanta creatività è Antonio Rafaschieri, in arte Rastroni. Proveniente dal gruppo Pop Rock Wide, Rafaschieri nasce nel 1987 a Bari ed è matematico oltre che musicista. Attualmente fa parte del duo Gestalt  Finale con Enrico Ghedi dei Timoria.
Questo viaggio allucinante conduce il protagonista ad alternarsi su due pianeti, Anima e Terra fra prese e perdite di coscienza. La psichedelia sonora sottolinea le visioni lisergiche e durante il percorso incontra sentimenti, il Caso che gli parla, il paradiso, fino a sentirsi un profeta con un faccia a faccia finale con se stesso.
Per la realizzazione di “Anime Da Frutto” Rastroni si coadiuva di ben venti musicisti, ma la formazione base è composta da lui (voce, chitarra, synth), Davide Fumai (tastiere), Giovanni Monopoli (basso, synth) e Saverio Pastore (batteria, chitarra). Tredici le tracce per poco più di tre quarti d’ora di musica. Il primo ascolto mi è volato in una maniera inattesa, le canzoni unite fra loro anche attraverso una narrazione sembrano creare un’unica e lunga suite. Ecco quindi un altro fattore che porta a catalogare il disco nel settore del Rock Progressivo. Lo è a tutti gli effetti, cambi umorali e di ritmo, di genere, in parole povere un vero e proprio caleidoscopio sonoro.
“Un Pianeta Vergine” è un intro narrato che conduce al vero primo brano intitolato “Corri”. Noterete da subito la strana metrica lirica per il motivo di cui sopra, mentre la voce richiama quella del già citato Tito Schipa Jr. Vincente il ritornello che s’intermezza a sonorità psichedeliche, ma non dimentichiamo il soggetto, ossia che Rastroni è un cantautore. I cori in sottofondo gettano l’ascoltatore nel mondo degli anni ’70, mentre l’assolo di chitarra ci riporta ai giorni d’oggi. Le tastiere ricoprono un ruolo importante donando potenza al brano.
Non voglio spoilerare tutto l’album, perché di sorprese ce ne sono a ogni angolo del percorso, tuttavia tengo a sottolineare gli interventi di sax che arricchiscono l’enfasi della narrazione, come in “Dalla Prima Lettera Del Telecomandante”, canzone molto Porcupine Tree style. Personalmente resto affascinato da “Bagagli”, dalla sua pacatezza e dagli arrangiamenti, qui con la tromba in sordina.
Mai come con quest’album mi sono trovato in difficoltà a recensire, perché è davvero un contenitore di suoni e soluzioni astruse che alla fine potrei riassumere nel termine Progressive Rock.
Rastroni è un grande cantautore con forte personalità e dalle mille idee, impossibile ignorarlo, sarebbe davvero un vero e proprio delitto alla cultura. MS





hanno collaborato:

Luca Antonazzo (sax tenore in 6.) Donny Balice (tromba in 5.) Daniela Capriati (voce in 1.) Marco Capriati (batteria in 7.) Mario Coccioli (basso elettrico in 10.) Alfredo Colella (voce in 4. e 10.) Marco De Bellis (drum machine in 7.) Manrico De Iacovo (basso elettrico in 5. e 7.) Giorgio Distante (tromba in 10.) Giuseppe Fallacara (aka Glanko) (drum machine e synth in 11.) Antonio Flores (violino elettrico in 7.) Beppe Garavelli (batteria in 12.) Roberto Gernone (aka Bob Wild Deer) (flauto in 7.) Valerio Guido (drum machine in 7.) Leonardo Lamacchia (voce in 3.) Gigi Lorusso (chitarra elettrica in 4.) Gianvito Novielli (guitar design in 12.) Davide Palagiano (basso elettrico in 6.) Gianni Pollex (voce in 2. e 11.) Mirko Priore (basso elettrico in 12.) Fabio Properzi (percussioni ed engineering in 10.) Alessandro Ragno (sax tenore in 4.) Giulia Riboli (theremin in 10.) Ylenia Tattoli (aka Carillon.C) (voce in 13.)

 

prodotto e mixato da Antonio Rafaschieri

post-prodotto da Eleven Mastering

 

illustrazioni di Lilly Antonacci (@lilyartillustration)

realizzazione grafica Simone De Venuto (@monakodeve)

sabato 15 gennaio 2022

Aparticle

APARTICLE - The Glamour Tapes
Ritmo & Blu Records
Genere: Jazz Rock
Supporto: Digitale – 2002




Il Jazz è un linguaggio universale, dove molti artisti si incontrano e scambiano le proprie conoscenze. L’improvvisazione fa del genere un viatico importante per la relazionalità, l’esperienza, l’amore per la musica, un mettersi a nudo e mostrare le sensazioni che si provano all’istante, e quando ciò accade attraverso quattro anime distinte assume un valore particolare, a seconda dei caratteri dei strumentisti. Le alchimie dunque sono molteplici e mutano di volta in volta in base a chi si relaziona. Nel caso dei Aparticle i protagonisti si chiamano Cristiano Arcelli (sax contralto), Michele Bonifati (chitarra), Giulio Stermieri (tastiere) e Ermanno Baron (batteria) e si formano nel 2017. Registrano in studio due album, “Bulbs” nel 2018, e “The Glamour Action” nel 2020. “The Glamour Tapes” non è altro che la rivisitazione del disco “The Glamour Action”, arricchita da nuovi interventi di carattere vintage.
Cristiano Arcelli, Michele Bonifati, Giulio Stermieri e Ermanno Baron  sono artisti noti nel campo del Jazz, se vogliamo possiamo quindi appellare Aparticle un supergruppo. Bonifati diplomato con lode in “Discipline Musicali Jazz” presso il Biennio del Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma si è esibito in platee importanti come l’EFG London Jazz Festival, Ashkenaz Festival (Toronto, Canada), Foligno Young Jazz, Opus Jazz Club (Budapest) e moltissime altre. Stermieri è considerato fra i tastieristi migliori del Jazzit Awards, dal 2011 al 2014. Arcelli ha composto per l’Italian Jazz Orchestra, l’Orchestra Bruno Maderna, Orchestra da Camera di Mantova, e la Bangkok Symphony Orchestra. Baron annovera moltissime collaborazioni fra le quali Antonello Salis, Frank Tiberi, Marcello Allulli, David Binney, Ada Montellanico, Gianni Gebbia, Giovanni Falzone, Francesco Bearzatti, Shane Endsley, Ohad Talmor, Roberto Bellatalla, Brad Shepik, Fabrizio Bosso solo per fare qualche nome.
Tre i brani contenuti ad iniziare da “The Glamour Tapes Part 1”. Immediati i deja vù all’ascolto, ecco passare nella mente band anni ’70 come Perigeo, Area, Arti & Mestieri, Agorà, Bella Band etc. L’improvvisazione proposta lascia incantati perché si denota una forte intesa fra i componenti e molta elettricità. Praticamente rispetto “The Glamour Action” siamo al cospetto di nuove composizioni che testimoniano una continua ricerca collettiva. La chitarra elettrica è spesso protagonista mentre la ritmica è attenta e attraverso passaggi astrusi riesce sempre a sottolineare il linguaggio proposto, come una sorta di evidenziatore. Spesso sembrano parlare fra di loro più che suonare, tanta è l’intimità che si crea attraverso i suoni. Il sax contribuisce in maniera indispensabile, proprio qui si avverte l’alchimia in cui gli Aparticle risiedono.
Ma non ci sono soltanto richiami vintage, il Jazz in certi istanti sembra non avere tempo, aleggia in un limbo comunque noto a tutto il pubblico amante di questa musica.
Come in una sorta di suite “progressiva”, il brano si districa fra cambi di tempo ed umorali davvero importanti, avvicinando al prodotto anche un altro tipo di pubblico, quello del Rock Progressive e soprattutto della Scuola Di Canterbury.
I brani che seguono si intitolano “The Glamour Tapes Part 2” e “The Glamour Tapes Part3”, sempre immessi nei binari ora descritti.
In conclusione la musica non è solo arte , ma soprattutto è condivisione e io ruberei indegnamente la frase del grande Giorgio Gaber per aggiungere che “la libertà è partecipazione”. MS

Luca Di Gennaro

LUCA DI GENNARO – The 2nd Coming
Lion Music
Genere: Progressive Metal – Virtuoso
Supporto: Digitale – 2022




Per l’Italia la musica è importante, lo spirito del popolo ne trae giovamento dall’innata giovialità. Notoriamente siamo molto legati a questa musa sin dai tempi antichi, basta già leggere la storia dell’impero romano per fare un esempio. Siamo autori di opere, tanto da farci invidiare dal mondo intero. Perché questo preambolo? Perché chi non crede a queste potenzialità innate sono solamente e paradossalmente i governi stessi, i quali relegano gli artisti e la musica a un mestiere di serie B. Poco considerati i musicisti in questo periodo di restrizioni si barcamenano come possono, trovando molte difficoltà ad adempiere proprio lavoro. Ma lo spirito è sempre alto, proprio perché siamo italiani. Non ci buttiamo giù di morale e a risposta di cotanta infamia si controbatte con la creatività. Internet ci giunge d’aiuto per la diffusione della musica, certo non è mai come andare a vedere un concerto, ma perlomeno ci si diletta all’ascolto e all’acquisto.
Il genere Metal Progressive Italiano da noi è seguito in maniera non proprio approfondita, perché abbiamo questo difetto, quello di essere esterofili, pensiamo sempre che ciò che viene da fuori sia sempre migliore di quello che sappiamo fare. Sbagliatissimo, in casa abbiamo artisti che sanno creare questa musica e anche con tecnica sopraffina oltre che possessori di un gusto per la melodia che è innato e incastonato nel DNA dell’italiano, se vogliamo possiamo anche chiamarla solarità. Personalmente ho scritto un libro enciclopedico al riguardo, “Metal Progressive Italiano” (Arcana), ma il seguito è stato pressoché nullo a testimonianza proprio di quanto ho riportato in questo preambolo con giusta causa. I like di facebook sono soltanto fumo e falsità, siamo seriamente  nei guai culturalmente parlando.
Il nome Luca Di Gennaro sicuramente non è nuovo a chi invece segue il Metal Progressive Italiano, tastierista della band Soul Secret, Di Gennaro inizia a scrivere canzoni nel 2009 per poi metterle da parte. Nel corso degli anni il risultato è “The 2nd Coming”, album formato da otto canzoni fra le quali spicca la suite title track. L’asticella della difficoltà si alza ulteriormente quando un disco è completamente strumentale, quindi Metal Prog Italiano addirittura strumentale e sperimentale, oggi come oggi è quasi un suicidio a detta di molti critici, non per gli amanti del genere che invece gridano al miracolo e godono a ragione di questa musica. Guarda caso è proprio la prestigiosa casa discografica Lion Music ad accaparrarsi il lavoro dell’artista napoletano.
In questo viaggio sonoro Di Gennaro si coadiuva di special guest del calibro di Alfonso Mocerino (batteria), David Wise (sax), Maria Barbieri (chitarra), Stefano Festinese (chitarra), e Frank Cavezza (chitarra).
Il brano che apre il disco è proprio il singolo “Chasing Next”, sonorità moderne ed elettroniche si accasano in quel modulo sperimentato molto negli anni ’80 anche nella new wave. Le soluzioni scelte propendono verso un Progressive Rock corale e roboante. Il suono avvolge l’ascoltatore lasciandolo estasiato da così tante sonorità che giungono da ogni dove. La breve e barocca “The Spiteful Lair” introduce a “Shannon Tree” dal sapore Neo Prog. Il movimento potrebbe benissimo risiedere nella discografia di Clive Nolan (Pendragon, Arena, etc.). Il piano apre “Into The Rainfall” e l’anima dell’artista esce a nudo nella raffinata eleganza esaltata dal sax di David Wise. Si alza il ritmo in “Route 24”, qui il Metal Prog è più evidente, forte delle fughe nei tasti d’avorio. “Climb” nell’intro porta la fantasia di chi ascolta in fredde lande, dove ci sono altri tastieristi come Erik Norlander e Vitalij Kuprij ad attenderci. I suoni ricercati sono molto interessanti e donano all’ascolto quella nota caratteriale in più. Le gradevoli melodie di “A Rose In The Sand” evidenziano nuovamente le caratteristiche del musicista che non si risparmia di certo nel ricercare soluzioni mai banali. Ma come spesso si dice, dulcis in fundo, la title track ha al proprio interno tre assolo di chitarra pregevoli per opera dei già nominati Maria Barbieri, Stefano Festinese e Frank Cavezza.
Vorrei spendere anche una parola per l’artwork sempre per opera di Luca Di Gennaro, la mantide religiosa che guarda una città capitanata da monoliti di natura aliena è angosciante ma anche intrisa di un velo di speranza, una seconda venuta, o una nuova possibilità?
Come avrete avuto modo di vedere non ho accostato Di Gennaro a nessun ex o tastierista dei Dream Theater, come solitamente accade in questi casi, proprio perché la nostra solarità già da me declamata in precedenza questi signori non l’hanno, Luca di Gennaro sì. E come disse il Marchese Del Grillo interpretato dal grande Alberto Sordi: “Mi dispiace, io so io e voi non siete un cazzo”. MS





venerdì 7 gennaio 2022

Apogee

APOGEE – The Blessing And The Curse
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2021




La Germania sembra essere un fiume in piena riguardo il filone Rock Progressivo, ma questo non soltanto negli ultimi anni, ciò accade da decenni. Hanno sempre avuto la capacità di aggiornarsi, oltre che creare musica dalle soluzioni innovative. Se andiamo ad analizzare ad esempio gli anni ’80 e ’90 noteremo parecchie formazioni ricche di buone idee, tanto da essere collocate nel genere Crossover Prog, una su tutte i Versus X, band del polistrumentista Arne Schäfer. L’ultima loro realizzazione è datata 2008 con l’ottimo “Primordial Ocean” (Musea). Parallelamente ai Versus X, Schäfer crea un suo progetto solista dal nome Apogee con il quale debutta nell’anno 1995 con “The Border Of Awareness” (Musea). Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, Apogee rilascia una nutrita scia di album, ben dieci e tutti di buona fattura. La tecnica è sempre a disposizione della melodia, certo immancabili sono i numerosi cambi umorali e di ritmo come il genere esige, ma il tutto è relegato al senso di gradevolezza. I punti di riferimento sono circa gli stessi di chi ha amato il genere negli anni ’70, ossia nel momento del massimo splendore, quindi fra le note si possono godere richiami ai Genesis, Pink Floyd, Gentle Giant, Yes, ELP etc.
L’undicesimo album targato Apogee s’intitola “The Blessing And The Curse” ed è composto di cinque canzoni tutte mini suite di circa quindici minuti, questo per rilevare quanto sono immersi nel Progressive Rock. Sto parlando in plurale proprio perché Arne Schäfer si coadiuva dell’aiuto dell’oramai fido Eberhard Graef alla batteria.
Sia l’artwork, sia il libretto al proprio interno sono curati con testi finalmente ben leggibili, il tutto sempre per opera del tuttofare Arne Schäfer.
Il disco si apre con “Out Of Control”, la musica è un viaggio sonoro dalle tinte pastello, la tavolozza Apogee è intrisa di molti colori, ma quelli che ricoprono la chitarra sono davvero i migliori. Ogni passaggio è un ricordo, gli anni ’70 sono fortemente presenti, anche se la volontà di sorprendere è sempre e comunque dietro l’angolo. Un flauto arricchisce l’inizio di “Congealing Ground”, mentre la voce posata e mai forzata tesse scene barocche. Passaggi Neo Prog fanno capolino, le tastiere non sono solamente da supporto ma vere e proprie colonne portanti. Personalmente mi ricordano suoni scandinavi riconducibili a band quali Anglagard e Sinkadus su tutte. L’alchimia funziona, a testimonianza depone la canzone che è già finita, quattordici minuti sono sembrati cinque.
“Hard To See” si apre con un lungo intro strumentale per poi giungere al cantato semplice e diretto, a seguire si aleggia sul territorio IQ. Arie distese fanno viaggiare la fantasia, la musica si alterna e lascia l’ascoltatore sempre con l’attenzione accesa, questa in effetti è la magia del Progressive Rock. Con “The Inspiring Tune” e la conclusiva “The Blessing And The Curse” il livello sale maggiormente e alla fine del tutto si ha la sensazione di appagamento.
Il Progressive Rock è questo, chi ama la musica ed ha la pazienza di sedersi ad ascoltare, ha di che godere, se poi ci aggiungiamo anche una buona qualità di registrazione allora è bingo! In conclusione gli Apogee proseguono il loro cammino senza mai inciampare, se non li conoscete già ascoltateli. MS



 



DeaR

DEAR – Out Of Africa
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2021




Dietro al nome DeaR c’è Davide Riccio. Torino è città intrigante per l’arte e argomentazioni, come Genova riesce a sfornare una lista molto lunga di artisti in ambito musicale. Probabilmente esistono alcune alchimie che senza un vero e proprio perché vanno a tessere un legame uomo-cttà-arte davvero marcato. La ricerca e la sperimentazione, non sempre sono di facile apprendimento per tutto il tipo di pubblico, ma l’artista vero, si sa, è colui che esprime soltanto ciò che pensa e senza compromessi. In fin dei conti la musica è sempre un linguaggio, c’è chi l’ha dotto, chi superficiale. Ascoltando “Out Of Africa” si viene immersi dentro centinaia di differenti sensazioni. Immaginate voi di avere un album di figure in bianco e nero, quello che prendevamo da bambini per poi colorarne l’interno, ecco, questa è la sensazione che si prova durante l’ascolto. Un’interazione fra ascoltatore e artista.
“Out Of Africa è un disco molto lungo, oltre che il titolo di un famoso film americano del 1985, al limite della capienza stessa di un cd che si aggira attorno agli 80 minuti e poco meno. Diciannove tracce tutte differenti l’una dall’altra per un viaggio sonoro accattivante da gustare in tutta rilassatezza. Si apre con il country di “Halfaway To You”, la chitarra slide ha un fascino tutto suo, così la voce profonda di Riccio. Percussioni ed elettronica avvolgono l’ascolto iniziale in “Go Back And Get It (Sankofa) e l’Africa si palesa nella nostra immaginazione con l’inserimento delle coralità tribali. La title track “Out Of Africa” coinvolge e ci spara un tramonto africano in piena faccia, quasi nel fissarlo a cecarne la vista. Gli arrangiamenti sono uno dei punti di forza della musica di DeaR. Sale ulteriormente il ritmo nella calda “Highlife”, questa volta il territorio si aggira maggiormente attorno alla semplice formula canzone e non nascondo un sentore di anni ’80.
“I Am From Babylon” è quasi dance nell’atteggiamento, profonda e ricercata anche nell’espressione dei testi. DeaR gioca molto con la doppia voce, quella normale e una di alcuni toni più bassa sovrapposta. Maggiormente nervosa “Sayings”, anche in questo caso le ritmiche di tamburi giocano un ruolo fondamentale. “Far Are The Shades Of Arabia” è pacata e avvolgente, mostrante un differente lato dell’artista. Qui la musica è minimale e raggiunge immediatamente l’obbiettivo di penetrare dentro l’ascoltatore in maniera seducente. Ritmica elettronica in “Tigritude”, brano dance anni ’80 a dimostrazione della poliedricità del compositore. Un'altra sorpresa giunge dalla breve “Abra Zebra Cadabra”, strumentale che trasporta la fantasia in piena savana, ma è solo un istante, perché la ripartenza nel mondo della dance è immediata attraverso “What’s Done Is Done”. Riccio più che cantare narra ed interpreta i propri brani in maniera spesso anche cantilenante. Il viaggio prosegue nella seconda strumentale “Mozambique”, altro cambio di stile, questa volta in un contesto maggiormente altolocato, dove la musica diventa elegante in giacca e cravatta. E via verso il Reggae con “Bring About A Change”, ma non quello di matrice giamaicana, bensì quello bianco che ha saputo ben rappresentare la band inglese UB40. Barriti di elefanti ci vengono incontro in “Heathen And Hell (The Preacher)”, canzone narrata fra ritmiche afro e disco, un mix divertente  che rende difficile  l’immobilità durante l’ascolto. Serve un altro momento di pacatezza e questa ce la fornisce il piano di “Habanera”, l’artista sa bene come dosare le sonorità per rendere il lavoro scorrevole e mai noioso. “The Half Lost” gioca con la musica attraverso cori ed arrangiamenti importanti, mentre “Love Of The Solitude” è una semplice canzone che mostra il lato più standard di DeaR. Voce e piano per “Song Of A Man Who Has Come Through”, altro momento riflessivo e profondo per poi cambiare ritmo ed arruffianarsi ulteriormente all’ascoltatore. Intelligente l’uso dell’insieme che risulta notevolmente gradevole all’ascolto. Chitarra acustica e uno sguardo al mondo del Folk con sussurrato coro femminile nel brano “No Words Again”, mentre la chiusura viene affidata a ”In The Beginning (A Pigmy Prayer)”, qui addirittura si spazia nella psichedelia.
Ho detto tutto, credo che siate consapevoli della proposta sonora del progetto DeaR, un vero caleidoscopio fatto di suoni e colori, davvero molta carne al fuoco. La musica è un mondo speciale dove le sorprese non finiscono mai, per fortuna… MS






Max Casali

MAX CASALI - St3rzo
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Cantautore
Supporto: cd 2021




Quando fuoriesce il termine “cantautore”, la mente inevitabilmente va a ritroso nel tempo incollando il termine su chi spesso con la propria chitarra ha raccontato storie del proprio tempo. Chi con ironia chi con saggezza, con rabbia oppure semplicemente con amore, tutti i cantautori hanno narrato gli eventi. Gli anni ’70 soprattutto ce ne hanno forniti a centinaia. Oggi gli argomenti sociali per un cantautore sono davvero numerosi, viviamo un mondo pieno di eventi sia negativi che positivi. La tecnologia ci ha portati a correre e spesso diventiamo superficiali proprio per questo. Bombardati da notizie continue probabilmente non riusciamo a digerire il tutto, ma questo è pane per un cantautore. I tempi moderni lo hanno reso un artista raro, il genere è di fatto poco considerato (basta guardare le classifiche delle vendite per capirlo), e ciò se ci pensiamo bene è strano.
Questa introduzione ha lo scopo di accendere almeno la curiosità di voi che state leggendo nei confronti di un genere che meriterebbe di più. Un piccolo approfondimento quindi è necessario, si può iniziare da Max Casali, cantautore compositore e attento critico musicale.
L’ironia di Max oltre che contagiosa è estremamente palese, “St3rzo” con la “E” rovesciata sta a indicare il terzo lavoro in studio dell’artista.
Come il genere insegna, nell’album composto di dodici canzoni ed una bonus track, ce ne sono per tutti: denunce sociali, problemi italici e molto altro, il tutto sempre con garbo e intelligenza, ma soprattutto ironia, quella che hanno le persone intelligenti.
Nel disco vi sono due ospiti importanti, il polistrumentista e music-maker Valerio Carboni (Masini, Amoroso, Finardi, Nek, Stadio ed altri ancora) e Andrea “Zanna” Zannoni come produttore artistico e co-arrangiatore. Mi sento di spendere una parola per l’artwork, molto semplice ma esaustivo, con i testi dei brani e delle immagini a supporto di ogni singola canzone, questo è anche essere cantautore, ossia dare visione alle parole per renderle ancora di più ficcanti.
I tempi cambiano, la tecnologia avanza, ma la noia prevale su molti ragazzi di oggi, questo è l’argomento del primo brano intitolato “Segnali Di Noi(A)”. Un monito per non cadere nella droga. Il lato musicale è molto semplice, delicato e bene arrangiato con interventi di piano e una fisarmonica. Lo stile è rivolto agli anni ’70 e non poteva essere differente, quando si ha sete si cerca l’acqua. Resto felicemente colpito dall’argomento del secondo brano, ossia l’arte dello sminuire la scrittura. Oggi i social hanno fatto più danni della grandine, sappiamo bene che molti italiani sanno insegnare l’ignoranza e Max Casali tratta l’argomento con intelligenza e schiettezza. Il pezzo s’intitola “Contenudi”. Il tono sale così il ritmo, distanziandosi da certi stilemi del genere. Sul personaggio Arsenio Lupin invece sappiamo tutti molto, il famoso ladro è anche il titolo del terzo brano dell’album. Qui lo stile cambia nuovamente, ritmo gitano, una ballata che sa quasi di taranta, per darvi un esempio c’è molto dei  Modena City Ramblers, precisamente quelli de “I Cento Passi”. Altra piaga sociale del momento è il bullismo, Casali in “Bulli E Rupe” tratta l’argomento con riflessioni narrate sopra accordi di chitarra acustica ed un piano che supporta a loop il tutto. Rimanendo nei tempi moderni non si può non parlare dei leoni da tastiera e del mondo del web paragonato dall’artista ad un vero e proprio Far West, anzi un “Far Web”. La gente è li dietro pronta a sbranarti, nella tela del web. Particolare la metrica lirica che il cantautore spesso adopera, fuori da certe regole e canoni, come sapeva fare in alcune canzoni il grande Ivan Graziani, ad esempio in “Scappo Di Casa”. Altra piaga sociale prettamente italica è il malfunzionamento della giustizia e delle sue interminabili tempistiche, argomento di “Di Stra-Foro”, certo che essere italiani oggi è davvero  un impresa, non è vita ma sopravvivenza. Vogliamo entrare nel mondo della politica? In “Il De(re)litto Perfetto” l’andamento delle cose è palese, un quadro sconfortante di cui tutti noi siamo consapevoli. Tutto ciò porta l’uomo ad ingegnarsi, e a sua volta a cercare di fregare il sistema, ecco quindi ad esempio il furbetto del cartellino in azione. Tutte le canzoni hanno un loro perché, lo si evince anche dai titoli, “Non So Perché”, “Tanto Pubblico”, “Manipolazione”, “Il Resto Manc(i)a”, e “Alla Resa Dei Ponti”. La bonus track è “Popolo Di Maghi” tratta dall’album del 2018 “Secondo A... Nessuno!” (Terre Sommerse).
Mi piace questo modo d’ intendere oggi il cantautorato, variare negli stili e nel tempo,  mantenendo intatta l’importanza dei testi e dei messaggi che l’artista vuole esprimere.
E’ proprio il caso di dire che Max Casali anche questa volta ce l’ha cantate di santa ragione! MS






Dance Floor Closed

DANCE FLOOR CLOSED – Top 10
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Dance/Elettronica
Supporto: cd – 2021




Il debutto del duo Dance Floor Closed composto da Gianni Mini e Simone Serotti ha all’interno del disco questa dicitura: “We would like people listen to our music having fun, as it happened to us while were making it!”, ossia “Vorremmo che le persone ascoltassero la nostra musica divertendosi, com’è successo a noi mentre la stavamo realizzando!”. Se vogliamo la recensione potrebbe essere già finita qui, perché in effetti, in queste poche righe c’è il sunto dell’opera.
Musica è divertimento ed esso è contagioso, fate caso ad esempio se in una stanza una persona senza saperne il motivo, cominciasse a ridere a crepapelle, tutte le persone all’interno si metterebbero a ridere a loro volta senza sapere il perchè, questo è il vero contagio del divertimento, e accade sempre, anche nella musica.
“Top 10” è il titolo dell’album che raccoglie in se dieci brani più tre remix e sto parlando di musica dance elettronica.
Immediatamente coinvolgente “Count On Me”, il cantato ha un ritornello ruffiano e ben congeniato, proprio come ascoltavamo in discoteca nei famigerati anni ’80, ma anche nei ’70, questo è il contesto della successiva “Top Ten”. La chiave risiede nelle coralità femminili davvero gradevolissime affidate a Elisa Bisceglia, Francesca Novelli e Barbara Pierucci.
Buona la voce di Gianni Mini in “Rebel Song”, canzone più ricercata e impegnata se così si può dire del contesto. Le melodie gradevoli sono in ogni canzone, anche in “Crazy World” e “Skin”, brani non solo da ballare, ma anche da ascoltare. “Urban Jungle” ha richiami ai Talk Talk, divertimento si, ma di classe.
Si alza il ritmo in maniera stroboscopica in “Be White Me”, il ritorno degli anni ’70. Ma la mia preferita è quella che praticamente è fuori contesto, ossia la ballata “Golde Cage” in stile Simply Red. Qui il duo mostra di saper gestire ogni tipo di situazione, “Top 10” sarà anche un debutto, ma i Dance Floor Closed la sanno lunga. Anche “Best Decade” è un sunto di quanto detto sino ad ora.
Tanto, ma tanto spasso in questa musica e in questo periodo oscuro della nostra esistenza  posso dire con assoluta certezza che “Top 10” è semplicemente una finestra di luce aperta in una stanza buia. Divertiamoci. MS