Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

sabato 31 dicembre 2022

Phoenix Again

PHOENIX AGAIN – Vision
Ma.Ra.Cash
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Quando si ascolta la musica, si crea fra l’artista e l’ascoltatore un ponte di emozioni che si condividono quando queste viaggiano sulla stessa frequenza. Non tutta la musica può piacere, anche se fatta a dovere o con il cuore, ognuno di noi ricerca una sonorità che ricordi in qualche modo la nostra esistenza fatta d’immagini, emozioni e azioni. Quante volte si è detto che dove finiscono le parole arriva la musica. Nel mondo del Rock in generale però creare un album completamente strumentale è un’arma a doppio taglio, molti ascoltatori vogliono sempre un qualcosa da cantare e ricordare, altri invece preferiscono soltanto la musica, specie se il cantante non è all’altezza della situazione. Chi ha ragione? Nessuno, la musica è soprattutto un’espressione di esseri che condividono vibrazioni e quindi in quello che realizzano c’è dentro il proprio essere, ciò che si vuole manifestare, se vogliamo è una valvola di sfogo. In conclusione c’è chi vibra con l’artista allo stesso suo modo e chi invece resta indifferente all’ascolto, non siamo tutti uguali.
Questo nuovo lavoro strumentale dei bresciani Phoenix Again è il quinto in studio e poi vanno aggiunti anche tre live e un EP. La famiglia Lorandi è radicata al mondo del Progressive Rock sin dal lontano 1981 quando ancora si chiamava Phoenix, di certo esperienza e buoni album non mancano oggi nel loro curriculum. Nel 1988 si sciolgono e si rifondano nel 2010 con il nuovo nome Phoenix Again e la prematura scomparsa del fratello Claudio Lorandi nel 2007 è ciò che fa scattare la molla della reunion, una sorta di continuità con il passato per omaggiare e tenere in vita il ricordo del compianto.
Oggi sono formati da Sergio Lorandi (chitarra elettrica, chitarra acustica, voce), Marco Lorandi (chitarra elettrica, chitarra acustica, voce), Antonio Lorandi (basso elettrico, basso acustico, voce), Giorgio Lorandi (percussioni), Silvano Silva (batteria e percussioni) e Andrea Piccinelli (tastiere, pianoforte acustico). Con loro nella stesura di “Vision” compaiono come special guest numerosi altri musicisti: Daris Trinca (glockenspiel), Annibale Molinari (corno), Lorenzo Poletti (trombone), Erika Marca (tromba), Giovanni Lorandi (coro), Karin Pilipp (coro), Simona Cecilia Vitali (coro) e Alessandra Lorandi (coro).
La musica proposta dalla band è variegata, a cavallo fra passato e presente con influenze Jazz Rock, King Crimson, Genesis ed EL&P. Cinquanta minuti di musica divisa in nove tracce fra composizioni più recenti e altre recuperate nel tempo. Ciò che colpisce immediatamente l’ascolto è la quantità di idee che vanno ad attingere da diversi stili e situazioni, il tutto per giungere a un risultato di certo non ripetitivo.
Le tastiere di “Overture” lasciano presagire un viaggio sonoro emozionante relegato anche agli anni ’70 quando la musica correva via a briglie sciolte senza restrizioni. Ovviamente in brani strumentali ciò che serve è una melodia da ricordare, e su questo i Phoenix Again ne sono consapevoli. La mini suite di dieci minuti “Moments Of Life” aleggia fra Genesis ed elettronica, sembra di trovarci al cospetto di una colonna sonora di qualche film, tanto è ampia l’espressività del suono. Più robusta nell’incedere “Triptych” con la chitarra elettrica spesso in primo piano. Arpeggi di chitarra acustica aprono “Air”, nomen omen. Tuttavia il brano che più mi ha accalappiato è “Psycho”, per atteggiamento il più progressivo dell’intero album. Una cavalcata sonora alla Emerson Lake & Palmer con spolverata di Gentle Giant per intenderci, ma anche con suggerimenti che provengono dal sound odierno, un vero gioiello sonoro esempio di capacità tecnica e di gusto per la melodia. Altro pezzo non indifferente è “La Fenice Alla Corte Del Re” e qui siamo sul territorio King Crimson in maniera molto evidente, così come nel successivo “Propulsione” arricchito da coralità che rimandano a “In The Court Of The Crimson King”. Gradevole e geniale “Mamma RAI” basata su un nostalgico suono di tastiere a rendere omaggio a “Intervallo”, e all’“Almanacco Del Giorno Dopo” oltre che alla sigla dell’”Eurovisione” a coccolare l’ascoltatore come volesse proteggerlo e farlo sentire a proprio agio, come spesso è riuscita a fare la TVdi Mamma RAI. La chiusura è affidata a “Threefour”, spensierata e scivolosa nell’incedere Folk.
Personalmente apprezzo molto di più questo “Vision” piuttosto che il precedente “Friends Of Spirit” del 2019, perché lo trovo più snello grazie al suo variare di stili come ho già avuto modo di spiegare. In definitiva "Vision" è un buon ritorno sulle scene che lasciano presagire altre belle emozioni per il futuro, intanto godiamoci di gran lunga queste. MS






venerdì 30 dicembre 2022

The Sundering

THE SUNDERING - Ravenous Silence
Autoproduzione
Genere: Progressive Rock
Supporto: digital / EP – 2022




Il 2022 ha dato molto al genere Rock Progressivo, specialmente per quello che concerne il paese italico, molte le uscite e alcune davvero interessanti a conferma che anche oggi questa musica ha buona salute nonostante l’età. Il tempo sembra non scalfire certe sonorità le quali si adeguano al sound più moderno pur mantenendo il rispetto delle radici.
Da Sassari giungono i The Sundering, band oggi formata da Fabio Cuccu (chitarre, voce, Hammond, clavinet, Wurlitzer, sintetizzatori), Carlo Berretta (basso, contrabbasso, voce, pianoforte, Mellotron, Hammond, sintetizzatori), Lorenzo Murineddu (batteria e percussioni), e Davide Mura (chitarre, mandolino, cori). L’idea prende forma il 2010 e si stabilizza nella line up nel 2012, tuttavia servono altri sei anni prima di debuttare discograficamente e questo accade nel 2018 con “Pentamerone”. A marzo del 2022 è la volta dell’EP “Barren Hearts” e a settembre dello stesso anno il nuovo EP “Ravenous Silence”. Qui assieme a loro partecipa l’ospite Mimmo Fancellu (Low whistle). Il disco è composto di tre brani a iniziare da “An Invitation”, dove flauto e chitarra acustica introducono l’ascolto nel mondo del Progressive Folk. Fra coralità i The Sundering s’immergono nel contesto Jethro Tull di fine anni ’60 spezzando le armonie con un basso slap e buoni assolo sia di chitarra elettrica sia di tastiere. I cambi repentini di tempo fanno tornare alla memoria anche i prestigiosi Gentle Giant. In realtà se andiamo ad analizzare l’insieme della struttura del brano non possono che trapelare anche influenze più recenti, come quelle degli americani Echolyn.
“The Great Siege Of Yleim” è una mini suite di undici minuti dove la band si diverte a scorrazzare nel mondo del Prog, fra tecnica e melodia, quest’ultima di certo non trascurata. Ancora una volta i cori hanno forte valenza, e una certa affinità con la PFM anni ’70 è manifesta. La band quindi dimostra di conoscere tutta la storia del genere, Genesis compresi, peccato solamente per una registrazione che rende il suono un po’ troppo appiccicato, questo solamente per mio gusto personale.
I giovani componenti avvalorano la padronanza degli strumenti, sia il carattere che le idee. La copertina di Carlo Berretta bene introduce all’ascolto, la musica contenuta nell’EP è colorata, enfatica al punto giusto, tanto da catapultare l’ascoltatore nei folcloristici reami rappresentati.
“Weakness” è maggiormente ricercata nella struttura che si apre lentamente fra basso e voci per poi crescere nell’incedere.
Per il 2023 la band promette l’uscita del loro primo concept album e vi assicuro che ci sarà di che ascoltare, se le premesse sono queste. MS



https://thesundering.bandcamp.com/




giovedì 29 dicembre 2022

Nonsolo Progrock e ProgSky

 NONSOLO PROGROCK e PROGSKY




AMICI DEL PROG, da giovedì inizia la mia collaborazione con il programma radio Prog Rock Polis di RADIO PROGSKY Brasile. Leggerò e farò ascoltare alcune mie recensioni che troverete nel mio blog NONSOLO PROGROCK assieme all'amico conduttore Max Prog Polis. Un programma ricco di ospiti, musica ed informazione. Allora se vorrete... A presto, di giovedì o in podcast se meglio preferite. 





Aura

AURA – Underwater
My Kingdom Music
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022




Ho parlato spesso del Post Prog Moderno e ne ho scritto un libro per Arcana Edizioni intitolato proprio “Post Prog Moderno – L’Alba Di Una Nuova Era”, decantando le gesta di band che tracciano nella ricerca musicale una linea retta con il passato. Si necessita dunque di un nuovo termine, perché ad esempio i Genesis non suonano come i Porcupine Tree. Non posso trovare al riguardo esempio migliore che la carriera dei salernitani Aura, al quarto album passano dalle sonorità Genesis e Dream Theater a queste di “Underwater” fra Porcupine Tree e Leprous. Un’evoluzione se vogliamo anche naturale in linea con i tempi e altresì una maturazione sonora tangibile della band rispetto agli album precedenti. La band è composta oggi da Giovanni Trotta (batteria, voce), Giuseppe Bruno (chitarre), Angelo Cerquaglia (basso), e Francesco Di Verniere (tastiere, synth).
La copertina realizzata da Annalisa Di Verniere rappresenta al meglio quello che è oggi il suono Aura, fatto di melodie intense e atmosfere sognanti.
Nella musica di quest’album si bada dunque al sodo senza troppi fronzoli, cercando emozioni piuttosto che elucubrazioni anche se non mancano i classici tempi dispari e annessi cambi umorali. Il mutamento della pelle si denota immediatamente dall’ascolto di “Lost Over Time”.
Il suono rude delle chitarre non scarseggia neppure in “Keep It Safe”, così il cantato sognante e il moderarsi delle arie che puntualmente giunge e si da staffetta con il Metal. Il ritornello funziona e si ascolta anche un (seppur breve) assolo di chitarra che spettina l’ascoltatore. “On Time” è attualissima nel sound e lascia strabordare malinconia ponderata, mai eccessiva, quel tanto che basta a rendere il pezzo onirico. Dalle spalle robuste il riff di “Time To Live”, immaginate di ascoltare gli inglesi IQ suonare Metal, strano vero? Eppure in qualche modo sembra funzionare.
A metà album c’è il pezzo intimistico, “My Last Words To You”, qui il carattere probabilmente esce poco perché c’è molto deja vu quindi si tarda a decollare. Il discorso cambia con “Promises”, il range torna nella media Aura.
“Eternal Bliss” ricorda sia per titolo sia per stacco iniziale materiale dei Muse, ma siamo in un altro contesto seppure adiacente. Più ricercato “Lights Behind The Clouds”, strumentale vigoroso e convincente. La title track chiude ottimamente il disco per lasciare successivamente spazio alla cover di “Astronomy Domine”, storico brano dei Pink Floyd a testimonianza che il passato è comunque nel DNA. Come l’hanno rifatta? A mio gusto personale direi ottimamente, molto fedele all’originale seppure con qualche piccola variazione.
“Underwater “ è consigliato a chi ascolta Porcupine Tree, Opeth, God Is An Astronaut e Leprous la band, sta crescendo disco dopo disco e qui siamo nel professionismo. MS






mercoledì 28 dicembre 2022

Marco Ragni

MARCO RAGNI - Anything You Want
Mind Dazed Records
Genere: Psichedelico / Progressive Rock
Supporto: Bandcamp, Spotify – 2022




Non è di certo mia consuetudine rilasciare recensioni di raccolte, credo in questi decenni sia la prima volta che mi accade, tuttavia è in effetti il viatico più adeguato per addentrarsi nel fantastico mondo di Marco Ragni.
Il polistrumentista, chitarrista e produttore di Rovigo ha alle spalle una nutrita discografia che inizia nel 2010 con “In My Eyes” per poi rilasciare in totale undici album in studio, due live, tre raccolte e undici singoli, niente male per un artista italiano che si cimenta in una delle prove più difficili che si possa affrontare, ossia il mondo infinito dei Pink Floyd. Non che Ragni sia un autore privo di personalità, intendiamoci, ma l’amore per la band di Camdridge è grande, così che il suono della chitarra spesso è debitore a quello di David Gilmour. E se tutto questo non dovesse bastare, io vado a parlare proprio di una raccolta di brani suonati con il popolare chitarrista nordico della band Airbag Bjorn Riis, lui si davvero debitore ai Pink Floyd in maniera maniacale.
Poco negli anni si è parlato di Marco Ragni, raffinato compositore che si avvicina al mondo musicale alla tenera età di sei anni grazie alla tastiera Farfisa ricevuta per regalo nel 1975. Approccia alla musica in modo diretto attraverso la band Deshuesada, dedita a un Rock Psichedelico che lo tiene impegnato fino al 1998. Dal 2000 al 2007 fa parte della band Quartafila (successivamente Heza), mentre nel 2008 è la volta dei Mokers, ma tutto questo comincia a stare stretto a un artista compositore dalla spiccata fantasia. Nella carriera solista consiglio vivamente l’ascolto di “Mother From The Sun” del 2014 vera e propria opera Psichedelica che sicuramente farà la gioia dei Pink Floyd fans.
Anche con questa raccolta “Anything You Want” il discorso per i suddetti fans cambia di poco, qui i brani con Riis sono davvero tanti, così da formare addirittura un doppio cd. Nella carriera Ragni si coadiuva spesso di special guest e anche di alto calibro come ad esempio Marius Halleland dei Wobbler oppure Luca Zabbini dei Barock Project, il risultato è sempre sopra la media delle produzioni al riguardo, questo tengo a sottolinearlo.
E anche certi titoli restano avvinghiati ai Pink Floyd, o perlomeno li richiamano di striscio, qualche analogia nella mente sopraggiunge leggendo “Anything You Want” e pensando a “Any Colour You Like”.
Sedici i brani contenuti in questa raccolta per una durata totale di un’ora e quarantasei minuti di musica. Le atmosfere sognanti sono all’ordine del giorno, ogni brano si lascia ascoltare interamente a occhi chiusi, un poco come accade per la già nominata band Airbag, molte le similitudini. Le parti strumentali sono tutte di ottima fattura, come ad esempio nella strumentale “Anything You Want (Part Two)”.
Toccanti e oniriche le partiture acustiche e arpeggiate, ma è la musica in generale che segue questo binario psichedelico orecchiabile e sempre supportato dal suono delle chitarre elettriche che sostengono le note a lungo. Non esulano frangenti maggiormente vigorosi e tuffi nel Progressive Rock oltre che nel mondo dei Beatles, band sempre amata da Ragni.
Questa raccolta potrebbe essere il primo passo per addentrarvi al meglio nel mondo musicale di quest’artista che a mio modo di vedere è sempre stato poco considerato e in maniera ingiusta, ma tranquilli, abbiamo tutto il tempo per rimediare. MS





domenica 25 dicembre 2022

Pryzme

PRYZME – Four Inches
Autoproduzione / Bad Dog Promotion
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2021




I più appassionati di Rock Progressivo francese di sicuro conosceranno il nome Lingus, primo logo della band Pryzme formatasi nel 2014 per il volere dei chitarristi e cantanti Dominique Blanchard e David Chollet. Nel 2015 trovano il definitivo nome Pryzme e stabilità con l’ingresso di Maxence al basso fino alla fine del 2018, e di Gabrielle Duplenne alla batteria fino al 2019 i quali consentono loro di partire per date live anche in Inghilterra.
Invece ai più arguti di voi il nome Pryzme avrà sicuramente suggerito qualcosa, quella storica copertina di Storm Thorgerson a favore di un album epocale intitolato “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd: il prisma. Giunti al 2019 subiscono un cambio nella line up, Lucas Planque alla batteria e Benoit Toquet al basso sostituiscono Gabrielle e Maxcence ed è la volta dell’esordio discografico intitolato “Four Inches”.
La musica contenuta in quest’album spazia notevolmente, va dai Porcupine Tree ai Pink Floyd passando anche per Toto e Pat Metheny, a testimonianza di un ampio spettro di cultura musicale da parte dei componenti. Otto canzoni che lasciano l’ascoltatore sempre attento grazie al proprio stile raffinato.
Nel genere, con annessa e immancabile voice phone in stile Steven Wilson, ecco immergerci nell’ascolto attraverso l’iniziale “Fusion”, canzone ricca di buoni spunti, cori e un ritornello piacevole. La ritmica è ottima, oserei dire trascinante, così interessante è anche il lavoro della chitarra che fa sia da accompagnatrice ritmica sia da solista. Sale ulteriormente il ritmo in “Vision”, dai e vai fra le chitarre come in una staffetta e un ritornello indovinato per orecchiabilità. In dischi così le canzoni vanno spillate come le carte al poker, ognuna ha un valore e “After Wichita” probabilmente è un Jack, fra le più alte. Qui sento maggiore personalità, ossia più sincerità rispetto gli altri brani comunque nel contesto in qualche maniera derivativi.
Il giro di basso all’inizio di “Nothing To Say” è gradevole, così l’evolversi del brano molto attento alle giuste melodie, qui si denota l’amore della band per un certo tipo di Rock anni ‘80/90. In fondo, cosa si desidera da una canzone? Vanno bene ricerca e tecnica come esige il Prog Rock, ma anch’esso ha bisogno del suo “I Know What I Like (In Your Wardrobe)” oppure sempre restando nel mondo Genesis al “Follow You Follow Me” etc. Come amo dire spesso, qualcosa alla fine dell’ascolto deve rimanere, se non da cantare almeno da fischiettare.
“Pretty Princess” suggerisce una passeggiata nel mondo della psichedelia, quella composta di chitarre sostenute, fra eco e suoni. Ben ci sta a questo punto dell’ascolto, perché l’attenzione sale nuovamente, assieme all’elettronica del pezzo che sfocia in un riff quasi funky. “The Ride Of Your Life” è un brano maturo, fra deja vu e raffinatezza, qui a tratti la batteria segue la strada intrapresa da Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson, Claudio Baglioni, The Pineapple Thief, etc).
“Morning Song” è fragrante, fresca, ricca di buone proteine a questo punto oserei dire in stile Pryzme. La suite omonima “Four Inches” chiude il disco come fanno i fuochi d’artificio al termine dell’esibizione, tirando fuori di tutto e di più.
A dispetto del nome Pryzme in “Four Inches “ci si sarebbe atteso molto Pink Floyd style, invece a parte qualche parentesi, si è ascoltata molta musica multicolore e anche farina del proprio sacco. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è il tempo, che durante l’ascolto mi è volato via e questo sappiamo bene tutti cosa sta a significare. MS






sabato 24 dicembre 2022

Moon Letters

MOON LETTERS  – Thank You From The Future
Autoproduzione / Bad Dog Promotion
Genere: Prog Rock/Psychedelic Rock
Supporto: cd / vinile - 2022




Nuovi Echolyn avanzano? Probabilmente sì, e poi i Moon Letters sono guarda caso sempre americani. Se pensate che io l’abbia sparata grossa, date prima un ascolto a questo secondo lavoro della band di Seattle. Si formano nel 2016 ed esordiscono attraverso “Until They Feel The Sun”, con il prezioso apporto produttivo di Barrett Jones (Foo Fighters). La tecnica individuale dei componenti John Allday (tastiere, voce), Mike Murphy (basso, voce), Kelly Mynes (batteria), Michael Trew (voce, flauto) e Dave Webb (chitarra) è eccelsa, così la capacità di comporre canzoni a tempi dispari fra complessità e immediatezza. Testi fantascientifici avvicinano la band anche al mondo degli Yes, così le strutture corali che giocano in questo senso un ruolo davvero fondamentale.
In “Thank You From The Future” la produzione è affidata a Robert Cheek (Band Of Horses) e i Moon Letters giocano con le complessità astruse del Rock Progressivo anni ’70 con delle soluzioni maggiormente approcciabili oltre che gradevoli. Sette le canzoni rappresentate dalla copertina dell’artista argentino Mariano Peccinetti attraverso l’opera “Visiting Of The Children”.
“Sudden Sun *The Astral Projectionist*” è il primo pezzo che mi ha fatto scaturire in mente l’accostamento con i suddetti Echolyn, qui i giochi sono apparentemente semplici, ma con i dovuti e ripetuti ascolti le analogie affiorano di volta in volta sempre di più. Splendido l’inizio di “The Hrossa” per poi svilupparsi in una parte giocosa ricca di cori e di un ritmo irresistibile che in buono stile Prog si spezza spesso e volentieri.
Più ariosa “Mother River”, essa naviga nella saggezza del Rock che fu, ma attraverso nuovo materiale dettato dai tempi più moderni per un mix stupefacente dal risultato eccellente. Non si può restare indifferenti avanti tanta intesa e sonorità. Bello il motivo centrale ritmato e bene arrangiato.
Per chi possiede o vuole comprare il vinile, dico che il lato A si conclude con “Isolation And Foreboding” dove i Gentle Giant fanno spesso e volentieri capolino fra le note. La ritmica della band s’intende alla perfezione e sono motorino oliato per il cammino sonoro della band.
Vintage l’inizio di “Child Of Tomorrow”, pezzo più orecchiabile dove l’attenzione dei componenti si concentra maggiormente sulla melodia e sul buon ritornello, l’anima dei Moody Blues aleggia nell’aria, questo però non so se sia un fatto puramente voluto, oppure inconsapevole, comunque il loro DNA comprende anche questa band storica. Quando poi partono le scorribande strumentali c’è di che godere!
“Fate Of The Alacorn” è un gioiellino da coccolare, come lui fa con noi. La chiusura è affidata a “Yesterday Is Gone” che nulla toglie e nulla aggiunge a quanto esaminato sino ad ora.
La musica dei Moon Letters non va sentita, ma ascoltata, in più si necessitano ripetuti ascolti per goderne al meglio il risultato finale che vi assicuro è decisamente sopra la media dei prodotti usciti in questo comunque ottimo 2022. Ma come si fa a dire che la musica oggi non regala più nulla di buono? Misteri della massa, quest’album invece è da possedere e basta! MS






Fearful Symmetry

FEARFUL SYMMETRY – The Difficult Second
Distrokid / Bad Dog Promotion
Genere: Progressive Rock/Crossover/Fusion
Supporto: Bandcamp, Spotify – 2022




E… se delle donne suonassero come fossero gli Yes? Dall’Inghilterra ci provano Suzi James (chitarra, basso, tastiere, mandolino, violino, oud, darbuka), Yael Shotts (voce) e Sharon Petrover (batteria). Chiederete subito voi, “E il risultato?” Beh, sia ben chiaro che gli Yes sono quasi alieni su questo mondo, anche come tecnica individuale, non c’entra essere maschi o femmine, ma anche la brava polistrumentista Suzi James non scherza. Se la cavano! Il gusto per la melodia è davvero elevato questo si, e gioca decisamente a favore della formula canzone da ricordare e cantare assieme a loro.
I Fearful Symmetry esordiscono discograficamente nel 2019 con “Louder Than Words” ispirato dalla vita e dalle opere di William Blake. Il disco in questione vuole essere un omaggio affettuoso al Prog classico.
“The Difficult Second” oggi ha un approccio maggiormente variegato nei confronti della musica e dei suoi stili, non solo Prog quindi ma Jazz, Fusion, Rock, Symphonic e World spiccano fra tutti.
Questi sono brani comunque del periodo 2019 ma tenuti da parte per un ulteriore sviluppo che giunge appunto in questo lavoro. Dieci i brani contenuti, compresa la suite finale di quindici minuti “Warlords” per una durata complessiva di un’ora di musica. In questo lavoro c’è un distacco dal classico sound Yes.
Ascoltare le coralità iniziali dell’allegra “Mood Swings And Roundabouts” conduce davvero nel mondo Yes anni ’80, qui tanto Prog.  Invece, avete mai dedicato una canzone a una sveglia?  Suzi ci riesce attraverso “The Difficult Second”, bizzarro? Forse si, ma il ritmo è divertente mentre la chitarra elettrica mostra le proprie capacità balistiche. Più malinconica “Light Of My Life”, anche perché è dedicata alla morte di musicisti che oggi non ci sono più ma che ci hanno lasciato la loro musica. Questa è una canzone semplice e senza troppe pretese. Un passaggio nella musica World avviene attraverso la strumentale “Shifting Sands" con una vocalizzazione mediorientale di Yael Shotts. Uno dei brani che mi hanno maggiormente colpito s’intitola “Eastern Eyes”, sia per energia che per l’approccio strumentale tra intermezzo jazzato e finale toccante, dove i testi auspicano benauguratamente un’uguaglianza fra le generazioni.
Un piano apre “The Song Of The Siren” fra mitologia e “predatori” sessuali, un pezzo che successivamente si sviluppa nella semplice formula canzone dimostrando una buona attitudine alla composizione diretta. Altra canzone che tratta la speranza dell’umanità quando tutto sembra avere un accrescimento avverso s’intitola “Hope”, qui ancora una volta la voce di Yael bene si sposa con l’armonia del brano. “Sandworm” è strumentale, scritto dieci anni fa ma che con la giunta di alcuni testi vive una vita attraverso una nuova pelle. Ritorna il motivo arabeggiante nello strumentale “Shukraan Jazilaan” dove la chitarra elettrica è protagonista. Chiude l’album la suite “Warlord”, qui i Fearful Symmetry si giocano tutte le carte a loro disposizione, sicuramente un momento sonoro ben riuscito e concepito.
“The Difficult Second” è un album gradevole, niente di superlativo ma funzionante, con importanti accenni storici riguardanti alcuni generi musicali fra cui spicca il Progressive Rock, un disco che si lascia ascoltare con piacere senza eccessivi picchi emotivi ma che sa bene dove andare a parare. MS






giovedì 22 dicembre 2022

Nine Skies

NINE SKIES – 5.20
FTF-Music / Bad Dog Promotion
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd/dvd – 2022




Quest’album dei francesi Nine Skies ritorna in veste maggiormente curata e con un dvd allegato come documentario nel 2022, dopo la prima uscita ufficiale del giugno 2021. Il prodotto anche come artwork di Steve Anderson si presenta curato, con opere d’arte e un libretto di dodici pagine. La copertina dell’album è per mano del pittore Michael Cheval.
La discografia della band vede iniziare il proprio corso nel 2017 con l’esordio di “Return Home”, l’anno successivo è la volta di “Sweetheart Grips” con ospiti importanti, un nome su tutti Clive Nolan alle tastiere (Pendragon, Arena, Shadowland, etc). Questi due album sono entrambi di alta qualità, tanto da dare al gruppo attenzione di pubblico e successo di critica, inevitabile quindi nel 2021 il suggello live intitolato “Live @ Prog En Beauce”.
E con la consueta cadenza annuale ritornano oggi con questo nuovo album acustico intitolato “5.20” fra suggestiva poesia e brani ricchi di archi. La formazione è nuovamente allargata con l’innesto di famosi special guest per una squadra composta da Eric Bouillette (chitarra, violino, mandolino, tastiere), Alexandre Lamia (chitarra, tastiere), Anne-Claire Rallo (tastiere, testi), Achraf El Asraoui (voce, chitarra), Basma El Hamraoui (voce), David Darnaud (chitarra), Alexis Bietti (basso), Fabien Galia (batteria), Laurent Benhamou (sax), e poi Penny Mac Morris flauto in “Return Home”, Craig Blundell batteria in “Sweetheart Grips”, Dave Foster chitarra in “Sweetheart Grips”, Johnny Marter chitarra in “Sweetheart Grips”, Clive Nolan tastiere in “Sweetheart Grips”, Riccardo Romano voce in “Sweetheart Grips”, Pat Sanders tastiere in “Sweetheart Grips”, Cath Lubatti violino e viola in “5.20”, Lilian Jaumotte violoncello in “5.20”, Steve Hackett chitarra in “5.20”, John Hackett flauto in“5.20” e Damian Wilson voce in “5.20”. Non ancora paghi di cotanti artisti si aggiungono alle voci Alexandre Boussacre in “Return Home”, Freddy Scott in “Return Home”, Aliénor Favier in “Sweetheart Grips”, “Live@PeB”, “5.20” e Bernard Hery basso in“Return Home”, “Sweetheart Grips”, “Live@PeB” e “5.20”.
L’album contiene undici brani, ma la special edition a mia disposizione ne ha cinque aggiuntivi e un dvd suddiviso in tre parti, 5.20 recording documentary, Wilderness (Livestream) e Porcelain Hill (Livestream).
Il disco lo avrete intuito è una piccola opera d’arte fatta di canzoni positive, ariose, dall’ampio respiro e cantate in lingua inglese. In molte funziona il gioco a più voci, maschili e femminili. I richiami acustici spesso sono comuni a quelli di band come Opeth e Porcupine Tree, ma coesistono anche passaggi nel classico Prog, nel Jazz e nel mondo dei Pink Floyd. I nomi ora citati vi fanno capire al meglio il contesto in cui stiamo viaggiando. Steve Hackett suona magistralmente la chitarra in “Wilderness” e quando arriva avanti a noi, si stagliano gli anni ’70, non nascondo anche una certa commozione perché oltre che struggente ha proprio il sapore del tempo che fu, per me tanti ricordi…
Il disco è tutto bello, nessun brano spicca più di un altro, anche se nella mia classifica personale metterei “Porcelain Hill” con la voce di Damian Wilson (Threshold, Arena) fra malinconia, archi e pianoforte, una prova decisamente sopra le righe.
I Nine Skies sono una band in continua evoluzione, disco dopo disco ponderano e suonano ciò che sentono al momento e questa è la vera essenza dell’artista, sì il pubblico è importante, ma prima di tutti mi devo divertire io. Questo è Post Prog Moderno, giusto e avanti così. MS





mercoledì 21 dicembre 2022

Solace Supplice

SOLACE SUPPLICE - Liturgies Contemporaines
FTF Music / Bad Dog Promotion
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022




Il polistrumentista Eric Bouillette e l’autrice di testi oltre che tastierista Anne-Claire Rallo, sono due elementi della band Prog Rock francese con sede in Inghilterra Nine Skie e fondano il progetto Solace Supplice nel 2020. Qui suonano Rock con atmosfere impegnate e nello stesso anno si fanno subito notare grazie all’ep “Solace Supplice” (Anesthetize Productions).
Ritornano all’attenzione del pubblico grazie al disco “Liturgies Contemporaines” composto di undici canzoni, in formato digipack e con l’artwork di Steve Anderson a ben rappresentare le arie custodite all’interno delle composizioni mai banali. Purtroppo una tragedia colpisce la coppia nella vita, Anne-Claire ed Eric, la dipartita prematura di quest’ultimo poco dopo l’uscita dell’album.
In “Liturgies Contemporaines” con loro suonano la figlia di Nick Beggs Willow (basso), Jimmy Pallagrosi (batteria) e Laurent Benhamou (sax).
La radio BBC ci introduce nel mondo Solace Supplice attraverso il brano “Le Tartuffe Exemplaire”, un immediato “mettiamo le cose in chiaro” attraverso una ritmica serrata ma soprattutto la chitarra elettrica in cattedra a esibirsi anche in un assolo ficcante. Ipnotica la voce di Eric Bouillette. Basso roboante, suono cadenzato e mesto in “Sunset Street”, reminiscenze Queensryche mi colgono durante l’ascolto e ancora una volta la chitarra di Eric è devastante durante il suo solo. L’elettronica e il sax che fa il verso ai Pink Floyd vengono in aiuto per la riuscita di “A Demi-Maux” canzone sentita e a tratti sognante, il tutto sempre in stile Solace Supplice che già dopo pochi ascolti risulta essere di forte personalità.
Ma veniamo ora a uno dei punti più alti dell’album ossia “Les Miradors” dove materiale di Steven Wilson aleggia fra le note. Qui neppure a dirlo è la chitarra elettrica a fornire le emozioni più grandi assieme alla voce corale femminile, mentre un cambio di ritmo rende il tutto molto più greve e interessante. Le tastiere hanno il loro fascino e portano un importante contributo al brano. E’ ora la volta del cosiddetto pezzo relax, le arie si placano, “Cosmos Adultérin” ci fa conoscere il lato più intimistico della band. Effetti vocali mi riportano per l’ennesima volta nei paesaggi Porcupine Tree ed è un bel vedere. La tregua dura poco, “Schizophrénie Paranoïde” riporta l’auto in carreggiata seppure in un pezzo breve, dove il Metal è al confine, comunque le arie sono sempre inquietantemente grevi. Così si sono divertiti molte volte gli Anathema.
“Au Cirque Des âmes” l’inquietudine mi assale in maniera violenta, potere della musica che riesce a coinvolgere l’ascoltatore a proprio piacimento. A questo punto succede una cosa molto particolare, i Solace Supplice s’immergono nel mondo della musica World con bonghi, ritmiche ipnotiche e Synth, tutto ciò accade in “En Guidant Les Hussards” dove il sax tesse armonie suadenti.
Sorprendente anche la title track “Liturgies Contemporaines” fra elettronica e loop di melodie, ancora una volta durante l’ascolto mi coglie l’essenza degli inglesi Anathema.
Un triste piano apre “Dans La Couche Du Diable” mentre la mesta voce di Eric ipnotizza così bene che non mi accorgo neppure del bellissimo crescendo sonoro a cui sto andando incontro. A chiudere ci pensa “Marasmes Et Décadence” e l’angoscia sale ancora di più, un nodo strozza la gola.
C’è poco da fare, quando la musica fatta con il cuore sale in cattedra non si può che restare in silenzio ad ascoltare. Grazie Eric per questa tua ultima testimonianza su questa terra, indelebile! MS







Auguri Di Buon Natale

 BUON NATALE





Auguri a tutti voi




martedì 20 dicembre 2022

Airportman

AIRPORTMAN – Il Raccolto
Opend Mind / Lizard Records
Genere: Alternative, Post Rock
Supporto: cd – 2022




Dopo una giornata pesante le alternative per volerci coccolare e riposare un attimo sono diverse, guardare la tv, giocare, leggere o ascoltare un bel disco. Quest’ultima categoria è sempre più rara (purtroppo), ma vi assicuro che ancora c’è chi gode di questo rito epocale, dove il relax è garantito. Per fare ciò necessita ovviamente un disco all’altezza della situazione e chi conosce il nome Airportman di certo, sa cosa attendersi, fra musica e poesia. Il duo cuneese Giovanni Risso (chitarra) e Marco Lamberti (chitarra, tastiere, basso) s’incontra nell’estate del 2003 per dare vita al progetto Airportman, concentrato sulle forti emozioni ma soprattutto sull’importanza dei testi.
Ogni album è una storia a se, ricordo nella loro vasta discografia composta di diciassette album la storia toccante di “David” (2014 – Lizard Records), o quella di “Nino E L’Inferno” (2011 – Lizard Records), qui nella cantina di Canelli nel profumo inebriante del vino e in altri luoghi c’è la storia di Tony, Febo, Ciro, Stefano, Roberto, Lucia e della quotidianità, piccoli affreschi sonori in cui s’interfacciano i personaggi.
Con Risso e Lamberti suonano alla batteria Francesco Alloa, al basso Carlo Barbagallo, e Stefano Giaccone al sax, voce e chitarra, mentre la copertina è realizzata da Dionisio Capuano.
Quattro sono le canzoni, la prima s’intitola “Il Raccolto/The Pirate Song”, aperta dal vento, il sax e quella psichedelia che affonda le proprie radici non nei ’60 ma nei primi anni ’70. L’improvvisazione sembra essere la chiave di questa struttura sonora, in realtà dopo aggiunti ascolti denoto una certa continuità d’intenti che mi fa pensare ad una vera e propria composizione. Fuori ogni dubbio la validità della carta vincente giocata sul classico crescendo sonoro, sino a raggiungere una vetta alta, tanto da sentirmi avvolto dalla musica in maniera ipnotica. Cambia il ritmo a metà del brano, divenendo cadenzato e marziale, ma il sax imperterrito continua a parlottare sulla struttura sonora un poco come accade nel finale di “Shine On You Crazy Diamond pt.5” dei Pink Floyd. Questa suite di quasi diciotto minuti si conclude nel narrato e in un assolo di batteria ponderato, atto soltanto insieme al vento a far volare con la fantasia l’ascoltatore.
Assieme a “Nei Kiwi C’è Il Mare” il Post Rock sprofonda nella Psichedelia fra echi e rumoristica. Voci sussurrate rendono l’ambiente inquieto, qui è il basso a suonare con maggiore presenza, tutto è lento ma occhio ai particolari, sempre dietro l’angolo a nostra insaputa. Voce narrante e chitarra acustica per “La Yurta Montata”, ancora una volta vicina al mondo dei Pink Floyd, questa volta a quello di “Welcome To The Machine” in pieno loop.
A chiusura c’è il brano più breve dell’album con i suoi tre minuti e mezzo intitolato “Tony E La Meraviglia /The Pirate Song”, ancora una volta le atmosfere sono grigie, ma il suono questa volta è pulito, senza rumoristica, e attenzione alla sorpresa vocale finale a due voci.
Gli Airportman questa volta rispetto alla discografia passata fanno un passo avanti nei confronti dei suoni piuttosto che verso la canzone, traghettando l’attenzione nei meandri nascosti della mente fra ricordi e sensazioni forti, oggi sono il Caronte della musica alternativa e Post Rock italiana. MS

sabato 17 dicembre 2022

Goodbye Kings

GOODBYE, KINGS - The Cliche Of Falling Leaves
Overdrive Records
Genere: Post Rock – Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022




Dove finiscono le parole, li inizia la musica. Ma che musica? Dipende da cosa si vuole dire, l’argomento è di per se fondamentale. Le emozioni che scaturiscono all’ascolto variano da soggetto a soggetto, c’è chi non ne vuole sapere troppe e bada direttamente al sodo ascoltando canzoni facili da cantare o da ballare, e chi invece dalla musica vuole sempre di più: lo stupore. Ecco… Lo stupore, il sale della vita, ciò che ognuno di noi vive a modo proprio perché spesso si ha paura dell’ignoto, questo è uno dei motivi per cui la musica di ricerca, quella maggiormente sperimentale, non è sempre bene accetta o compresa.
I milanesi Goodbye, Kings non fanno ostaggi, sono spietati e hanno una concezione dell’arte davvero elevata. “The Cliche Of Falling Leaves” è il quarto lavoro in studio senza contare il live autoprodotto “Musicolepsia Live”, dopo l’ottimo “A Moon Daguerreotype” del 2019. Partono nel 2014 con “Au Cabaret Vert” e replicano nel 2016 con “Vento (Argonauta Records), una discografia che va ad attingere sia dal Post Rock sia nella psichedelia, in realtà mutano album dopo album, proprio come un vero artista ama fare, ossia ricercare sempre nuove soluzioni.
In questo ultimo lavoro lo sforzo è davvero notevole, ben sedici musicisti s’immergono in un'unica suite suddivisa in cinque parti e l’argomento sono le stagioni. Fotografie sonore che impressionano la pellicola della mente attraverso fiati, percussioni, tastiere e chi più ne ha più ne metta. Tanta l’oscurità che aleggia fra le note spesso vicine anche alla musica da camera, e poi Jazz, psichedelia, Prog, dove tutto sembra a tratti impalpabile come una fitta nebbia di notte.
“Part 1 – Autumn” è semplicemente un lungo loop sonoro che si staglia nella penombra fresca della stagione dove le tastiere rimbombano a destra e a manca, in un assoluto e lugubre passaggio nell’ignoto. “Part 2 – Winter” vede l’ingresso dei fiati, tuba compresa, qui l’aria diventa leggermente più rarefatta, grazie anche al lavoro della ritmica, piccoli squarci di sole raggiungono l’ambiente, anche se una sensazione d’inquietudine insegue sempre. Un pianoforte sgocciola note e lascia entrare la chitarra acustica nell’inizio di “Spring” che potrei definire una speranza sonora in quanto maggiormente delicata quasi in stile Ennio Morricone.
“Part 4 – Summer” ha folate roboanti di suoni che si alternano a momenti riflessivi e alcuna rumoristica. Ma il piatto forte è la conclusiva suite “Part 5 – Autumn Again…” dove il suono passa dal sussurrato al possente, un crescendo che incolla l’ascoltatore sul divano.
Come ho già avuto modo di dire, questa è musica che osa, un motivo per alzare il volume perché le sensazioni forti devono travolgere, non sfiorare.
Posso concludere dicendo che si è di fronte ad un affresco sonoro dalle tinte fosche, un disco che squarcia lo stato d’animo senza se e senza ma. Consigliato solo a chi dalla musica vuole di più. MS





giovedì 15 dicembre 2022

Sterbus

STERBUS - Solar Barbecue
Zillion Watt Records
Progressive Rock
Supporto: Bandcamp /EP – 2022




Noi italiani sappiamo suonare il Progressive Rock come Dio comanda! Abbiamo una predisposizione dovuta un poco all’amore per la musica inglese degli anni ’70 con la quale abbiamo convissuto per decenni, e poi per la nostra mediterraneità, la voglia solare di divertimento, ricerca… follia. E a proposito di follia, chi conosce il mai troppo ricordato Frank Zappa sa bene a cosa mi riferisco, quindi, se siete amanti del suddetto chitarrista, non potete restare indifferenti all’ascolto dei romani Sterbus.
Il progetto è per mano di un duo, Emanuele Sterbini e Dominique D'Avanzo. Suonano da una quindicina d’anni, ossia prima dell’esordio discografico intitolato “Chi Ha Ordinato Gli Spinaci?” del 2010. Rilasciano cinque album in studio e un ep, e ritornano oggi con “Solar Barbecue” dopo il buon “Let Your Garden Sleep In” del 2021. In quest’album sono contenute canzoni, stralci, idee e quant’altro di album passati e un nuovo brano, “The Great Wallop Dollop”, nove canzoni all’insegna del divertimento ma anche della buona tecnica strumentale.
Si, trattasi di un disco completamente strumentale, dove la passione dei componenti ce la mette tutta per soddisfare le esigenze del vero Prog fans che sono sicuro, apprezzerà non poco lo sforzo creativo. Tanti i musicisti che partecipano e si danno la staffetta nei brani dilazionati nel tempo, possiamo ascoltare strumentazioni quali flauto, violoncello, sax, strumenti a corda, piano, tastiere, organo, un vero e proprio calderone come ha saputo fare appunto il grande Frank. Non c’è da stupirsi se all’interno dell’album aleggiano anche riff feroci, quasi alla Metallica come in “Back To Black Delivery”, oppure strutture complesse alla Spock’s Beard, vedi “Razor Legs”. Nella seppur breve “Ruben, Raja, Lieve, Nike” le tastiere stendono un tappeto dove i fiati interagiscono con il piano e il violoncello, un pezzo maggiormente ponderato e dal profumo Beatles anni ’60. Prog DOC.
Gli Sterbus amano giocare con la musica, hanno l’approccio giusto in quanto a divertimento e follia, ascoltate cosa fa il sax in “The Amazing Frozen Yogurt” e poi mi dite. Riescono anche a fare piccole capatine nel mondo nervoso Crimsoniano di Robert Fripp, cosa volere di più? Un minuto di Rock elettrico con “Any Minute Now” e poi è la volta di “Congratulator”, altra pazza passeggiata nel mondo del Prog.
L’EP della durata di ventisei minuti si conclude con “Big Daisy”, qui un mondo dentro.
La copertina mostra un dipinto di Stefano Fiore, dentro all’artwork ci sono le foto di Marco Ferrara e Francesco Gentile. Che altro dire? Niente, mi dispiace solo per chi lo ignora.
L’ascolto lo avete qui: https://sterbus.bandcamp.com/album/solar-barbecue MS 







mercoledì 14 dicembre 2022

Endless Season

ENDLESS SEASON - Paths And Crossroads
Autoproduzione
Genere: Progressive Jazz
Supporto: Bandcamp.com – 2022




L’ascolto di questo nuovo disco dei veneziani Endless Season mi ha fatto fare un salto nel tempo, quando anche da ragazzo ascoltavo Jazz Rock, sensazioni che poi ho provato più poco salvo in qualche sporadico caso. M’immergevo nei Perigeo, Arti & Mestieri, Agorà solo per fare tre nomi e mi sentivo grande, perché già allora questa era musica non per tutti ma per i cosiddetti intenditori. Probabilmente leggendo queste righe penserete che il quintetto formato da Lorenzo Di Prima (basso), Paolo Busatto (chitarra), Andrea Cecchetto (batteria), Francesco Pollon (tastiere), e Luca Ardini (sassofono) sia una copia del passato, e invece no. La base musicale sicuramente prende spunto dai tempi che furono, è ineluttabile, ma con uno sguardo rivolto ai tempi moderni dove le melodie e l’innesto fra generi giocano un ruolo fondamentale.
Si formano nel 2014 ed esordiscono nel 2016 con l’album omonimo e oggi ritornano con “Paths And Crossroads”.
Il disco è formato di otto brani a iniziare da “No Excuses” che mette subito in tavola tutte le carte della band, ossia intesa, tecnica e gusto per le melodie eleganti. La batteria gioca un ruolo fondamentale in questo brano, dove Cecchetto mette le virgole al posto giusto, ma è l’amalgama che funziona e già si è intenzionati a pensare di trovarci al cospetto di un ottimo album. Le premesse sono confermate da “Paradox”, con un’attenzione particolare per il sound fusion della band canadese UZEB, questo per chi li dovesse conoscere. Il basso dunque si esprime al meglio, così il dialogo batteria tastiere è intenso, tanto da farci muovere al ritmo del brano. La chitarra è la protagonista e si getta in un assolo lungo ed efficace che va a tracimare nel suono nervoso dei King Crimson.
Il livello già alto si incrementa grazie a “47”, solo durante l’ascolto mi accorgo che il tempo è in 7/4, sarà un gioco di cifre? Non saprei, tuttavia l’assolo di batteria e di basso mi stendono. Non manca di certo la cosiddetta ballata se così vogliamo chiamarla in questo contesto, s’intitola “Moonlight Promenade”. La chitarra acustica di Paolo Busatto sposa il piano di Pollon, l’ingresso del sax in lontananza con effetto eco donano all’ascolto freschezza, la musica degli Endless Season è senza ombra di dubbio un caleidoscopio di colori.
“Do You Wanna Play With Me?” è per struttura un brano decisamente Prog, con una spolveratina di Frank Zappa. Qui la band fa la voce grossa e mostra tutti i muscoli a disposizione. In “Squaring The Circle” palesano anche il divertimento, la gioia di suonare, giocare con le note e il risultato è decisamente contagioso. E poi il brano che non ti aspetti, sorretto dalla chitarra elettrica arpeggiata in un tuffo nel Post Rock arriva “Exhalations” a spaesare l’ascoltatore. Questo si che è saper mantenere alta l’attenzione dell’ascolto.
Chiude “Deep Surface (Outro: Remembering)” altro pezzo a cavallo fra Prog e Jazz ricco d’idee e variazioni.
Il ritorno degli Endless Season è notevole, siamo al cospetto di un signor gruppo, di quelli che hanno talento da vendere, non facciamoceli sfuggire ma supportiamoli perché la musica italiana, sembrerà banale, ma ha bisogno di artisti del genere. Davvero consigliato. MS







lunedì 12 dicembre 2022

Whimsical

WHIMSICAL – Emissary
Luminol Records
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: EP / Spotify – 2022




Fa estremamente piacere vedere ragazzi nati negli anni ’90 cimentarsi in un genere che in molti danno per vecchio e stantio, ossia il Progressive Rock, proprio per questo il sestetto di Verona Whimsical non è legato al solito passato bensì innesta nel proprio sound quelle sonorità moderne che provengono da band Prog più attuali come Haken, Porcupine Tree, Leprous e molte altre ancora. Detto questo, l’EP “Emissary" lo inserisco nel filone Post Prog Moderno.
La band è composta da Enrico Marchiotto (tastiere, synths, voce), Alice Morin (voce), Leila Lazrague (voce), Matteo Pozza (chitarra), Giacomo Giarola (batteria) e Dimitri Maragna (basso).
Whimsical nasce nel 2017 come progetto solista di Enrico Marchiotto (Watershape, Alchemy Victory, etc.) e nel 2018 esordiscono con “Steamed Landscapes” portato anche al Prog festival Shades Of Prog assieme ad artisti come Dark Ages e Dark Quarterer. La necessità dunque di riportare questa musica dal vivo richiede alle spalle una vera e propria band, da qui in poi la formazione è completa.
Folk, Metal, elettronica, Pop, Rock Progressivo, sono tutti ingredienti che entrano a far parte del DNA della band e le due voci femminili che definirei ottime entrambe, apportano al risultato finale un valore aggiunto.
“Emissary” pur essendo un EP è composto di sei brani che trattano lo stato d’animo dei giovani d’oggi fra futuro e speranze, ecco dunque che il titolo può avvalersi di differenti significati, può essere sia inteso come un fiume che si genera (in questo caso di generi musicali?), oppure come un portatore di messaggi.
L’onere di iniziare l’ascolto aspetta a “Flamboyant” del quale esiste anche il video ufficiale. La qualità della band fuoriesce immediatamente dalle note mostrando sia tecnica individuale che gusto per la composizione. Il suono è avvolgente, ricco di sonorità che sopraggiungono da ogni parte e che al momento giusto sanno lasciare il palco alle voci di Alice Morin e Leila Lazrague. Molti di voi potrebbero definire questa musica Metal Progressive, in effetti i punti in comune sono molti, in realtà non del tutto, aperture ariose lasciano spaziano a frammenti maggiormente Rock. Le tastiere si lanciano in un assolo in stile Dream Theater e a complicare di più la descrizione di questa musicalità ci aggiungo anche del Neo Prog inglese.
Un piano elettrico apre “The Time Trickster 2”, e qui le atmosfere sono pacate, la musica diventa improvvisamente raffinata, come un bell’abito da sera. L’assolo di chitarra lascia in me un segno, amo molto questi interventi strumentali a spezzare l’ascolto, questa è l’essenza del Progressive Rock.
Un occhiata anche al mondo del Folk inglese, chitarre sia elettriche che acustiche  introducono “The Green Sea In July”, qui il livello emotivo sale assieme alla sensazione di trovarsi in ampi spazi bucolici. Musica dall’ampio respiro, senza troppi fronzoli o orpelli. Ritornano a ruggire le chitarre con “When We Dare” e l’ausilio dell’elettronica, ma anche del suddetto Neo Prog, questo almeno per quello che concerne l’uso della chitarra elettrica nell’assolo. Resto piacevolmente colpito dalla musicalità di “Kappasparkle”, epica ma allo stesso tempo ricca di spunti sonori, una apertura strumentale dalle mille sfaccettature, perfino semplice da stamparsi nella mente. Tanta materia al dentro e  nel finale un ritmo contagioso tanto da farmi trovare a muovere le gambe a ritmo senza essermene neppure accorto. L’EP si conclude con “Green” altro brano in pieno stile Whimsical, fra Folk, Metal, Rock e Neo Prog.
Questo EP è davvero scorrevole, un piacere da ascoltare tutto di un fiato. Avendo letto la recensione probabilmente avrete avuto la sensazione di semplicità ed immediatezza, ma attenzione perché così non è del tutto, nei brani si nascondono chicche e passaggi davvero interessanti, ma questi li lascio scoprire a voi. MS






domenica 11 dicembre 2022

Speciale Daniele Faraotti

 SPECIALE DANIELE FARAOTTI


DANIELE FARAOTTI – English Aphasia
Creamcheese Records
Genere: Alternative Rock / Cantautore
Supporto: Vinile – 2019




La musica ci veste a pelle, ci rappresenta come la scelta di un abito. Ognuno di noi ha un gusto a se, e lo abbiamo tutti, chi più elegante chi meno. Non è semplice muoversi nel tessuto musicale, c’è chi lo fa per soldi, chi per passione e c’è chi vuole divertirsi semplicemente con gli amici, per non dimenticare colui che decide di realizzare un qualcosa di nuovo, se mi passate questo termine. Resta il fatto che la musica che si crea è parte della nostra personalità, ora è solo questione di percentuale stabilire chi ne ha di più o chi ne ha di meno.
Qui risiede il segreto di chi riesce a realizzare prodotti assolutamente non scontati che si staccano dalla media della superficialità: la personalità.
Bologna è una città ricca di cantautori, la lista è lunga e costellata di nomi altisonanti (Dalla, Morandi, Guccini etc.), e anche di chi non ha avuto la strada spianata da successi perché creatore di uno stile piuttosto inconsueto. Daniele Faraotti riesce a miscelare differenti tendenze a partire dal Punk all’elettronica, al Rock e l’Art Rock, insomma una fucina d’idee che vanno a convogliare nella musica del cantautore. Faraotti cresce ascoltando Beatles, Led Zeppelin, Stones, King Crimson, Gentle Giant, direi musica non proprio banale.  A sedici anni studia al conservatorio di Cesena, mentre a ventidue passa al “Verdi” di Milano. Gli studi proseguono negli anni a venire, di città in città, fino a giungere alle attività concertistiche. Collabora con Patty Pravo, Claudio Lolli e con altri artisti, in parole povere un musicista impegnato, insegnante di chitarra nella Scuola Media Rolandino Pepoli di Bologna.
Nel 2009 esce con “Ciò Che Non Sai Più” (Alka Records) e a seguire dopo uno stop nel 2012 è la volta di “Canzoni In Salita” (Bombanella Records) e nel 2014 per “Exit From The Cage” una composizione strumentale di ventuno minuti omaggio a John Cage “In Cage’s Shoes”. Eccoci dunque giunti nel 2019 a quest’album intitolato “English Aphasia”.
Per tirare fuori la personalità di certo serve anche una buona quota d’improvvisazione e questa nelle otto canzoni che compongono il vinile “English Aphasia” non manca di certo, a iniziare dalla title track supportata da rumori, suoni ed elettronica. Per chi conoscesse i primi lavori di Steven Wilson della fine anni ’80, primi ’90, dico che probabilmente rimarrete stupiti. Ora, che per esternare un certo tipo di comportamento possa servire molto coraggio non lo metto in dubbio, oppure è semplicemente carattere? Poco importa la risposta, perché come ho scritto anche in alcuni miei libri “L’evoluzione passa attraverso la trasgressione della regola”.
“I Got The Blues” è una ballata che gira attorno un arpeggio di chitarra, mentre il cantato è ancora una volta vicino al Punk, ma ciò non accade sempre, Faraotti su questo sa giocare molto bene. Interessante lo sviluppo del brano che attraverso i fiati e la chitarra elettrica sa costruire una struttura che è sicuramente la gioia dei fans di Frank Zappa.
“Connection” anche lei gioca su sonorità apparentemente stonate come spesso hanno saputo fare i geniali Radiohead. Il suono è minimale ed elettronico. Torna una melodia più accettabile e diretta in “Between For A Day Trust” ma l’autore ancora una volta sembra divertirsi a giocare con il pentagramma, sviluppando nel proseguimento soluzioni di certo non convenzionali. Immaginate di prendere i Gentle Giant e dirgli di suonare del Punk!
Con “Zawie III” si canta un brano quasi Beatlesiano, su suoni elettronici che si reggono attraverso una ritmica monotona dove la variante la fa la voce fra sali e scendi, a volte anche senza una logica precisa rispetto alla musica. Il mondo di Faraotti è questo, “Leonore Sprache” ci immerge dentro ancora una volta senza soluzione d’uscita. Su “Seat Elephant” c’è un’attenzione maggiore alla musica e i Beatles di “Magical Mystery Tour” sono di certo galeotti. Questa cosa mi piace molto perché ricercare va bene, ma sempre attraverso la storia assimilata. Il cantato qui è in lingua italiana.
In “Telephone Line” Faraotti torna a fare il Faraotti, anche se gli strumenti questa volta bazzicano territori Crimsoniani, non il cantato, sempre apparentemente distaccato dal contesto sonoro. Buone le coralità. Chiude l’album “Joni George Igor And Me” canzone più malinconica dell’album che nulla toglie e nulla aggiunge a quanto detto.
Sicuramente ad ascoltare quest’album non ci si annoia, serve comunque un pubblico preparato all’ascolto perché qui di normalità c’è davvero ben poco. Faraotti sa ricercare e a tratti anche stupire e di questo la musica ne ha bisogno come l’aria. MS






DANIELE FARAOTTI – Phara Pop Vol. 1
Creamcheese Records
Genere: Alternative Rock / Cantautore
Supporto: Vinile /cd – 2022




In questo periodo il cantautore bolognese Daniele Faraotti è particolarmente ispirato, la sua musica colorata fatta di nonsense anche strumentali e di coraggiose scelte spesso dettate dall’improvvisazione, ci travolge nel doppio lavoro “Phara Pop Vol.1”.
Quello che si recepisce alla fine dell’ascolto di un album del chitarrista cantautore è la sensazione forte di libertà. Di cose in questo tempo ce ne sono da dire, il ritorno alla socializzazione post virale tira fuori molti argomenti che qui in “Phara Pop Vol. 1” a differenza del suo predecessore “English Aphasia” sono decantati in lingua italiana.
Con lui nel doppio disco formato da venti tracce per settantasette minuti di musica, collaborano Valeria Sturba (theremin, violino), Domenico Caliri (chitarra), Daniele D’Alessandro (clarinetto), Matteo Zucconi (contrabbasso) e Simone Pederzoli (tromba).
L’artwork gatefold conferma quello che si ascolta al proprio interno, follie, colori e tanta ironia a partire da “Stagioni” dove l’artista rivolge lo sguardo alla vita e alla morte, anche attraverso gli occhi di un bambino.
Ogni pezzo è una stanza a se e gli insiemi formano una casa dove l’artista sa muoversi in perfetta armonia con l’arredamento pensato e creato da lui stesso. Ricordi di gioventù amorosi in “Johnny B.Good 74” dove elettronica fa da sfondo alla musica che lascia la sensazione d’improvvisazione. Di certo il cantato non è in forma convenzionale, anche se in alcuni tratti si lancia in una sorta di Rap. Denoto sinapsi comunicative con Elio E Le Storie Tese, ma questa è solo una mia impressione, probabilmente non la verità. Ma nell’ironia dei testi e fra i ricordi, balenano anche riflessioni importanti come ad esempio nel brano “La Ruota” dove il cantautore consiglia di informarci meglio a riguardo dei fatti storici accaduti, spesso manipolati con omissioni solo per tornaconti politici e quant’altro. La metrica lirica è sempre stravolta come oramai siamo abituati a sentire, non vorrei però che questo alla lunga possa destabilizzare troppo l’ascoltatore. Il roboante basso nella breve “Pia Rossi” conduce a “Una Sfida” dove si parla di evoluzione industriale a partire dalla macchina a vapore. Sempre di elettronica e di metrica stravolta si tratta, qui però impreziosita da buoni intrecci vocali. Faraotti spara contro il pessimismo cronico che ci portiamo sempre appresso in “L’Ospite” in questo caso, il brano ha una musicalità maggiore rispetto quanto ascoltato sino ad ora, anche se Faraotti canta una cosa e la musica sembra farne un'altra, quando le due cose collimano c’è la sensazione di essere avanti ad una genialata. Di certo non è banale.
“La Nave” ha del Jazz all’interno e i ricordi della propria terra assieme ai profumi inebriano il cantautore. Più malinconica “ La Felicità Non E’ Allegra”, fatta di fiati, mellotron e una ritmica semplice e ammaliante. Quante volte abbiamo passato giornate con gli amici a parlare dei bei tempi passati avanti ad un buon bicchiere di vino, nel caso di Faraotti alla posta Hotel di Dobbiaco, ce lo racconta in “DeZo e Dan” canzone dalla struttura Rock… E prosit!
Il primo disco si chiude con “I Sogni Di Luis” con tanto di sound Area che pervade l’ascolto e plagi che aleggiano nell’aria, da Heine a Borges, poeti e scrittori d’avanguardia.
Il secondo disco inizia con i ricordi di un’amica, “Isolde”, altra struttura Rock con chitarra elettrica impegnata nello stile King Crimson. Il viaggio nel “Phara Pop” conduce a questo punto al mix fra “La Primavera” di Vivaldi e “We Love You” degli Stones, dove passato e recente passato si convogliano in un'unica struttura per un risultato alquanto curioso dal titolo “Vivaldi We Love You”. Ritmata “Le Chiome E I Falò”, la struttura Prog e la cadenza mi ricordano passaggi della band toscana Deus Ex Machina. Ispirata dal “Piacere” di Ophusls “Il Ballerino Di Quadriglia”, racconta di un ballerino che in pista si scatena fino allo svenimento, mentre la musica suona in maniera compulsiva. Le atmosfere si fanno cupe nell’incontro con il diavolo Faraon (come lo chiamano in Romania) ma l’episodio ha dell’ilare, ascoltate voi cosa accade. Non manca neppure una riflessione sulla preziosità del tempo che non va mai sprecato, ciò si ascolta in “Frugale”, canzone in perfetta linea nello stile personalissimo di Faraotti. Altro episodio decisamente umoristico arriva da “Edison Dino”, ossia Dino Campana rinchiuso in un manicomio. Ciò che si dice è perfettamente interpretato dal nonsense vocale del cantautore, sempre capace di colpire l’ascoltatore magari fino allo sfinimento. La traccia più lunga dell’album s’intitola “Come Vincere La Timidezza”, una canzone d’amore composta di stralci sonori che molto hanno di dejà vu, il lato Prog fuoriesce prepotentemente, Gentle Giant inclusi. L’inverno malinconico si posa su “Il Villaggio” e il disco si conclude con “La Visione Di Proculo” ancora una volta tratta da un racconto di Heine.
Un consiglio mi sento di lasciare a questo intelligente e sagace cantautore, attenzione a non spingere troppo l’acceleratore sul cantato che spesso sa d’improvvisazione perché alla fine un brano deve lasciarti un qualcosa, magari da fischiettare o cantare dentro, e qui francamente la faccenda è davvero difficile. Per il resto siamo al cospetto di un ennesimo professionista che sa dove andare a parare, un disco ricco d’idee, storia e riflessioni. MS