Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

venerdì 29 aprile 2022

Massimo Dellanilla

MASSIMO DELLANILLA – Riso, Pianto E Disincanto
Uroboro Records
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2022
 




Come dice il famoso detto, “Non c’è due senza tre”. Il cantautore gabianese Massimo Gabanetti, in arte Dellanilla, ritorna dopo il doppio cd “Sottosopra” dell’anno 2020. Lo ritroviamo ancora immerso nel cantautorato, quello che oggi è sempre più difficile incontrare, ma che negli anni ’70 ha spopolato in ogni dove. La musica acustica, fatta con garbo e con la chitarra protagonista, era quella che ti faceva passare serate con gli amici a cantare avanti una tavola, in una spiaggia o avanti ad un buon bicchiere di vino. Spesso faceva riflettere, non soltanto cantare e in alcuni casi diveniva addirittura “musica impegnata”. Ne abbiamo conosciuti molti di cantautori al riguardo, due nomi su tutti per farvi un esempio sono Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè.
Dellanilla si pone in una via di mezzo, fra impegno e disimpegno, ma i testi proposti nelle canzoni hanno sempre una storia da raccontare. In “Riso, Pianto E Disincanto” l’autore dei brani si diverte a collezionare una serie di ritratti, con racconti di diversi personaggi che spesso fanno da trampolino a considerazioni di livello generale o a metafore.
Il disco è accompagnato da un’edizione cartonata con la copertina rappresentante un volto dipinto ad acquarello per opera di Gianantonio Gennari. Con Dellanilla suonano Renato Podestà (chitarre, mandolino, banjo, piano, percusssioni e cori), Davide Mariotti (chitarra in “Susy”, “Epitaffio”, “Intro” e “Coda”), Cek Franceschetti (chitarra resofonica e cori in “Amalia”) e Fabrizio Baselli (tromba e trombino). Le canzoni contenute nell’album sono quattordici, e il singolo estratto di cui viene girato anche il video s’intitola “Susy”.
Il cammino da intraprendere passa attraverso il “Preludio”, strumentale di un minuto che fa da apripista a “Balla Willy”. Divertente, su un ritmo salterello racconta la storia di questo personaggio che mette allegria mentre balla. Immaginate di prendere la musica di Stefano Rosso e miscelarla con le canzoni più allegre di Faber. “Ester” è una ballata malinconica con un testo che s’interseca con la poesia dove l’uso della parola è ragionato, immaginifico, vera e propria fotografia del racconto in questione. “Passi” ha l’incedere dello chansonnier, lo stile ricalca perfettamente le orme dei Modena City Ramblers nella loro famosa “I Cento Passi”. Con “Nora” un balzo fra il Rock e il Country, l’andatura del ritmo e la metrica lirica può anche ricondurre verso il cantautorato di quel gigante di nome Ivan Graziani. La tromba in alcune canzoni ha l’incarico di far tornare l’ascoltatore indietro nel tempo, così accade in “Lisa”, altra storia di una donna questa volta dalle sensazioni sonore anni ’30. Dopo la breve “Baffofulvo” giunge “Amara” ad alzare il ritmo e diverte in un'altra ballata dalle origini francesi. I testi sono contrari alla musica, ficcanti, duri, e ancora una volta riflessivi. Il nome di donna questa volta è quello di “Susy”, brano principale dell’album, dove Dellanilla mette davvero dentro tutta la propria anima.
Ancora trombe ad accompagnare la storia di “Amalia” e il ritorno del Rock alla Graziani, un connubio particolare che fanno della musica di Dellanilla un genere comunque di personalità. Una sorta di “Monna Lisa” acustica e retrò. Buono anche l’uso delle coralità, arrangiamenti in cattedra e per chi vi scrive questo episodio resta fra i migliori dell’intero album. Intensità in “Manichino”, un quadro sonoro ricco di colori che tuttavia tendono tutti verso il grigio. “Epitaffio” ha davvero molti deja vù e il disco si conclude con la breve “Coda” dove una slide accarezza l’ascoltatore e lo rimanda indietro ancora una volta agli anni ’70.
Oggi il cantautore è un artista da preservare come l’oro. Sempre più raro, è lui che impreziosisce la nostra musica, la cultura, quella che ci ha fatto crescere attraverso ascolti e ragionamenti. Il testimone dagli anni ’70 a oggi è passato attraverso diverse mani, una di queste è di Massimo Dellanilla. MS





lunedì 25 aprile 2022

G - Delic

G-DELIC – Magish
Autoproduzione
Genere: Space Rock – Psichedelia
Supporto: digital - 2022




Personalmente nutro una grande debolezza per la psichedelia in senso generale, sia quella derivativa dal sound Pink Floyd, sia quella cosmica o trascinante degli Hawkwind, ma chi nella mia formazione culturale ha tracciato un solco indelebile nei primi anni ’90 sono stati i Porcupine Tree del prolifico Steven Wilson e chi mi conosce bene questo, lo sa. Qui mi si è aperto un altro mondo, buone melodie associate a riff ipnotici, battenti oltre che eterei. 
Vengo a conoscenza in Italia di una band che a sua volta mi colpisce in tal senso, si chiama No Sound, con Giancarlo Erra nella cabina di pilotaggio. A tal riguardo nel tempo riesco a trovare realtà che altrettanto m’intrigano, come ad esempio i Metronhomme o gli Aldi Dallo Spazio e in cattedra i Karmamoi di Daniele Giovannoni, insomma il genere è vivo, anche se poi non molto frequentato da tantissimi fans. C’, è anche un’altra band che stupisce per inventiva e genialità, questa si chiama Pelikan Milk, spesso recensita anche dal sottoscritto, è la band di Alex Savelli. Savelli è un nostro genio, sempre disposto a sfornare soluzioni differenti, un onnivoro musicale che spazia dal Jazz al cantautorato passando anche per la psichedelia e il Prog. In alcune delle sue registrazioni si trova al suo fianco il polistrumentista Gabriele Tosti, in arte G-Delic e proprio di lui che vado a parlare.
Con “Magish” il musicista romano è al secondo album in studio dopo “G​-​Delic In Space” dell’ormai lontano 2007. Il disco composto da otto movimenti è registrato al Planet Utopia Studio e nel percorso sonoro possiamo anche ascoltare la voce della special guest Eleonora Tosti, precisamente nel brano “Shazir”. L’artwork anche lui molto intrigante è per opera di Elio Tosti e Mail Tosti per il design.
Già dalle prime note di “Orirides” si decolla per un trip pindarico in cui l’estraniazione dal mondo è facilmente attuabile. Mi vengono in mente gli Øresund Space Collective e i Ozric Tentacles, a pieno titolo! Ancora più intensa e ricercata è la nominata “Shazir” dove un ritmo insistente ci rende molto difficoltosa la possibilità di restare fermi durante l’ascolto. Suoni dalla cadenza arabeggiante sono sottolineati dalle coralità di Eleonora. Si ritorna nello spazio con “Space Flower”, quasi un intro che si potrebbe anche ascoltare nei primi album dei francesi Rockets negli anni ’80. Ovviamente nessuna correlazione, la sottolineatura sta solamente a far intendere il tipo di sound. La chitarra è protagonista. Ed ecco a seguire la title track, “Magish”, qui c’è tutta l’anima e la cultura musicale di G-Delic, un andamento sornione che ti accalappia e nuovamente ti esterna da questo mondo traslandoci direttamente in un'altra dimensione. Se potete passarmi il termine, “Awan” risulta più commerciale, grazie alla drum machine in evidenza (a tratti anche Dub) con un insieme di soluzioni che tendono a far ballare. “Morning Trip” nel titolo ha la soluzione, così come “In The Out And In”, questa volta però ci troviamo in pieno territorio Pink Floyd primissimi anni ’70. Questa mini suite di quasi dieci minuti non a caso è uno dei brani dell’album che più ho apprezzato.
Natura, acqua, uccelli e suoni nella conclusiva “Peace Forest” dove una voce maschile intona un canto quasi tribale per immergerci totalmente in questo contesto. La chitarra è colei che traccia le melodie durante l’ascolto.
La psichedelia di G-Delic è delicata e gentile, ha sempre una coccola sonora da fare senza spingere troppo sull’acceleratore dell’ alienazione. Il merito di “ Magish” è proprio questo, il saper dosare saggiamente le sonorità a favore di un coinvolgimento mentale e fisico appagante. Mind in flight. MS
 


BANDCAMP: https://planetutopia1.bandcamp.com/album/magish?fbclid=IwAR2IxOkU-1zNxU0mQr8JXJjEaEY-Unm0nspzxLFJszZUSHbNOcQ8HWD0iR8


sabato 16 aprile 2022

Cristiano Coppa

CRISTIANO COPPA – Prayer In The Battlefield
Autoproduzione
Genere : Heavy Metal
Supporto: digital – Spotify – 2022




L’Heavy Metal è sempre stato tacciato nel tempo in maniera superficiale da molti come un genere statico e senza futuro. Mi ricordo ancora oggi perfettamente le riviste addette ai lavori degli anni ’80 e i giornalisti anche di fama, sentenziare che il Metal avrebbe avuto un futuro breve, una moda passeggera perché non trattasi di musica, bensì di rumore. Per fortuna sono esistite alcune riviste che invece hanno supportato il movimento. Cosa invece sia accaduto nel tempo è l’esatto contrario di quanto esternato da questi signori critici. Siamo nel 2022 e l’Heavy Metal non soltanto ha ottima salute, ma si è ramificato in numerosissimi sottogeneri, a testimonianza che il metallaro stesso non è chiuso di mente, al contrario accetta di buon grado le contaminazioni e le condivide. Possiamo elencare una lista lunghissima di generi a partire dal Thrash Metal, al Death, al Doom, Black, Progressive, Grunge, Nu etc. etc. Fra questi esiste anche il Christian Metal, detto anche White Metal. In Italia fra i maggiori esponenti di spicco posso nominare i siciliani Metatrone, Hypersonic oppure i toscani Inside Mankind, o i lombardi Timesword, Seven Horizons e così via regione per regione. Anche all’estero il genere ha esempi nobili, sempre negli anni ’80 fra i primi troviamo gli americani Stryper o i Deliverance, Vengeance Rising e altre centinaia di band che lascio alla vostra ricerca se siete curiosi.
Quindi oltre che alla famigerata musica del diavolo esiste anche la musica di Dio.
Nella regione Marche il fenomeno Heavy Metal è ben rappresentato sin dai tempi della nascita del genere, Gunfire, Centurion, Kurnalcool, Hydra a seguire i fabrianesi Death Riders oggi Walls Of Babylon. Proprio nei Death Riders ha militato il musicista Cristiano Coppa, ora chitarrista ma nel periodo 2001 – 2010 ha ricoperto il ruolo al basso. Coppa è di Jesi ed è insegnante di religione. Successivamente ai Death Riders ha militato con la band Christian Rock "The Branches" di Jesi. Oggi si getta in questa nuova esperienza da solista con l’EP solista intitolato “Prayer In The Battlefield”. Con lui un altro artista del fabrianese, Sauro Mori (Hellcome) che ricopre il ruolo del tutto fare: batteria, basso, chitarre, tastiere, arrangiamenti, registrazione e mixaggio. Completano i crediti altri due special guest, Federico Mori al basso nel brano “Nella Lotta” e Nadia Girolamini voce in “Ashen Eyes”, “In The Heart Of Time”, e “Prayer In The Battlefield”.
Le tematiche sono profonde e narrano le vicissitudini della storia umana impegnata nell’eterna lotta fra il bene e il male, una battaglia infinita. Bene è rappresentato il concetto nella copertina del disco per opera di Pietro Nicusanti, Giuseppe Asciolla e Giacomo Bussaglia.
I sette brani iniziano con l’immancabile intro intitolato “Open Wounds”, dove la chitarra acustica di Coppa trasmette sofferenza ma anche guarigione e quindi rinascita. Spetta a “Shine” aprire le danze elettriche, un brano dalle marcate caratteristiche Power Metal ma quando meno te lo aspetti si apre verso il Metal Progressive con buoni assolo di chitarra e arrangiamenti vari. Qui il testo tratta di un uomo che nella difficoltà della vita, chiede aiuto a Dio. Unico pezzo cantato invece in lingua italiana è “Nella Lotta”, maggiormente vigoroso ma con un ritornello davvero melodioso, la chiave della musica di Coppa risiede proprio nel buon uso delle armonie, sempre gradevoli e facili da memorizzare.
Amore e dolore sono facce della stessa medaglia e l’argomento è approfondito nella ballata “Ashen Eyes”, ovviamente toccante e malinconicamente sentita. Nuovamente le chitarre elettriche si evidenziano positivamente durante l’assolo finale. Tornano le rasoiate in “Don’t Fear The Storm”, esperienza fra amici passata a risalire il monte sacro che in tante religioni e filosofie rappresenta il cammino verso la verità, la liberazione. Il messaggio è che nel farlo non si è mai da soli. Qui è territorio Heavy Metal puro, qualcosa nelle coralità mi ricorda molto gli Iced Earth. In “In The Heart Of Time” si parla della vita dopo la morte ed è bello vedere uscire questo EP proprio in questi giorni di Pasqua. Ancora chitarra acustica e suoni gentili accolgono l’anima dell’ascoltatore. Le voci femminili nelle coralità impreziosiscono l’enfasi del brano. Per chi ama il Metal dico che potrebbe risiedere nella discografia dei Blind Guardian, ovviamente in quelli acustici.
La title track chiude l’EP, essa è un movimento dal sapore medioevale dove una voce femminile si sostituisce a quella di un menestrello narrante sogni infranti, ma la cavalcata Metal è dietro l’angolo, un brano che dimostra potenza e speranza.
Cristiano Coppa così si presenta da solista nel mondo della musica, un esordio a mio avviso più che lodevole, a dimostrazione che il passato dell’artista è stato utile per la formazione del carattere musicale. Per chi ama questo tipo di Metal c’è davvero molto da ascoltare e tanti buoni arrangiamenti, una musica a tratti cinematografica.
Cristiano Coppa, nel nome il proprio cammino. MS
 
 
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giovedì 14 aprile 2022

The Rome Pro(g)ject

THE ROME PRO(G)JECT – V – Compendium Of A Lifetime
Autoproduzione TRP
Genere: Progressive Rock Sinfonico
Supporto: cd – 2022



Per un amante del Progressive Rock classico, ascoltare ogni lavoro dei The Rome Pro(g)ject è sempre un piacere. Dico questo perché al suo interno navigano musicisti non solo famosi, ma anche preparati. Vincenzo Ricca è l’artefice del progetto e si circonda sempre di special guest, soltanto due fanno sempre parte della lista, ossia Steve Hackett ex chitarrista dei Genesis e David Jackson ai fiati (Van Der Graaf Generator). Basterebbero solo questi due nomi per attirare l’attenzione sul prodotto, ma le sorprese non finiscono qui, si esibiscono alternandosi nei brani anche John Hackett, Bernardo Lanzetti, Tony Levin, Nick Magnus, Frank Carducci, Tony Patterson, Daniele Pomo, Paolo Ricca e Roberto Vitelli.
Parlare del tastierista Vincenzo Ricca è un’impresa titanica, perché la carriera che ha percorso dagli anni ’80 a oggi è davvero colma di realizzazioni, fra colonne sonore, sigle televisive in RAI, dischi, Radio RAI e molto altro ancora. Ha collaborato con Folco Quilici, per la Nuova Fonit Cetra incide i suoi primi tre cd di sonorizzazione (“Argomenti” – “Medioevo, Rinascimento e ‘700” – “Americhe”) e un suo brano è stato anche interpretato da Katia Riccarelli. Ecco, questo a grandi linee è il curriculum di Ricca, ma quello che a noi interessa maggiormente è il progetto The Rome Pro(g)ject, con il quale incide cinque album compreso quest’ultimo “V – Compendium Of A Lifetime”. Da sempre la critica di settore ha dimostrato di apprezzare ogni lavoro, a iniziare da “The Rome Pro(G)ject” del 2012. Seguiranno “Of Fate And Glory” (2016), “Exegi Monumentum Aere Perennius” (2017), e “IV - Beaten Paths Different Ways” (2020).
Chi è veramente cultore della musica, ama tutto quello che circonda un disco, ossia la qualità sonora e l’artwork in primis, spesso negli ultimi anni troppo trascurato dagli artisti stessi in quanto si è puntato di più sulla musica liquida che su questa solida, con ciò voglio rimarcare il bellissimo libretto che accompagna il cd in versione cartonata. All’interno si possono vedere dipinti, le fotografie dei musicisti partecipanti oltre che i testi.
Questo disco consentitemi di chiamarlo più opera, in quanto il lavoro certosino che lo consolida è sicuramente da rimarcare.
Otto le tracce che lo compongono, compresa una nona finale bonus track del 2021. Come spesso accade il primo brano è un intro, qui intitolato “V”, aperto sontuosamente da un organo imponente che lascia spazio alla roboante batteria di Daniele Pomo. Il Prog anni ’70 fa capolino immediatamente, nella fattispecie ha le vesti dei Genesis, il mellotron pone la propria valenza e il disco si apre con enfasi. Ed è subito mini suite con “Compendium Of A Lifetime”, chitarra e flauto dialogano fra di loro, la chitarra elettrica di Steve Hackett fa venire i brividi per come solo lui sa adoperare, sembra quasi che ragioni sopra ogni nota, a volte sostenendola altre suonando con dolcezza. Franck Carducci al basso esegue un lavoro ineccepibile, così i fiati di David Jackson. La parte vocale è lasciata a Bernardo Lanzetti e il tempo sembra fermarsi.
“Vesuvius” è una vera e propria opera strumentale seppur breve, una fotografia su Pompei. Questa volta è la chitarra di Paolo Ricca a impreziosire le melodie. La voce di Tony Patterson inizia “The Last Night In The World” e subito sembra di trovarci al cospetto di Peter Gabriel. Questo è uno dei brani che ho apprezzato maggiormente, per le armonie, l’enfasi, e il carattere. L’assolo sostenuto di Hackett mi fa volare nel tempo ancora una volta. Con il basso di Tony Levin (Peter Gabriel, King Crimson) è la volta di “Have Caesar!”, uno strumentale che riconduce direttamente nell’antica Roma, così come “Morituri Te Salutant”, “Gladiatores” e “Have Caesar! (Reprise)” in definitiva tutti questi movimenti possono considerarsi a tutti gli effetti una suite. Anche la bonus track “Exegi Monvmentvm 2021” emoziona fortemente, un lento strumentale dove ognuno mette il cuore mentre passeggia nel Prog.
Il potere di questa musica è proprio quello di farci estraniare dal mondo che ci circonda, un turbinio di emozioni che si accavallano proprio come i strumenti dei protagonisti che di certo non si sono risparmiati nelle esecuzioni. Un disco professionale, colto, adatto a un pubblico preparato e attento perché certi passaggi vanno assaporati con consapevolezza. Il Prog scusate se lo dico ma non è per tutti, oggi la musica si ascolta troppo distrattamente e di certo questo va a cozzare con l’appartenenza del genere in questione. Certo è che può piacere a tanti, perché no anche a neofiti che per fortuna si aggiungono sempre di volta in volta nel tempo, tuttavia qui dentro c’è molta storia che parte dai Genesis, passando per i Van Der Graaf Generator fino ad arrivare alla nostra PFM. Musica per la mente, è stato mai detto? Complimenti a Vincenzo Ricca per questo ennesimo gioiello sonoro. MS

 

 




 
 

Saints Trade

SAINTS TRADE – The Golden Cage
Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2022



Siamo sinceri, il periodo interminabile del lockdown che abbiamo passato ci ha davvero stressato la vita, restrizioni varie hanno impedito soprattutto agli artisti di proporsi dal vivo con danni economici enormi per chi vive di musica. Un lato positivo tuttavia c’è stato, molti hanno composto nelle quattro mura, una valvola di sfogo che in certi casi ha dato anche vita a buoni risultati. Parlare dei Saints Trade è parlare di Hard Rock e questo genere ha un habitat che non è quello delle stanze, ma dei palchi, della strada, della folla, l’Hard Rock è vita. Può piacere o no, ma di certo la purezza sulla quale si sorregge questo stile non va scalfita, più che purezza aggiungerei sincerità. Chi suona Hard Rock e anche coloro che lo seguono sa bene cosa significa tutto questo.
Il trio Saints Trade è sempre formato da Santi Libra (voce), Andrea Sangermano (basso) e Claus (chitarre), così come nel precedente “Time To Be Heroes” dell’anno 2019, si avvalgono del supporto di special guest: Paolo Caridi (batteria), Pier Mazzini (tastiere) e Roberto Priori (assolo di chitarra nel brano “Once And For All”). I bolognesi in “The Golden Cage” ci propongono undici canzoni registrate, mixate e masterizzate ai Pri Studio di Roberto Priori, lo sottolineo perché la qualità sonora ben si sposa con le sonorità grezze del genere proposto.
Tutte le canzoni solo raramente superano i quattro minuti, a testimonianza di una snella capacità di badare al sodo, al divertimento, come sa trascinare “Neverland” grazie al ritornello ruffiano e perfetto per una riuscita live coinvolgente. Si apre con enfasi “Break The Chain”, la prova vocale è giusta per la musica proposta, senza strafare. Questa canzone potrebbe risiedere tranquillamente anche in un disco degli Scorpions.
Sale il ritmo con “Casino Royale”, singolo estratto del quale è girato anche il video. Tutte le canzoni godono di un breve assolo di chitarra, sicuramente un piacere aggiunto all’ascolto. “That’s What I Know” ha un intro iniziale che mi rimanda ai Saxon di fine anni ’80 per poi proseguire con vivacità e un ritornello corale ancora una volta atto alla sede live. Una ballata coglie l’ascoltatore quasi a metà del disco, “Stay With Me” è un mix fra Bon Jovi e Scorpions tanto per rendere l’idea. Musica semplice e diretta, da ascoltare sicuramente ad alto volume. Ho parlato nell’intro della recensione di lockdown, e lo fanno anche i Saints Trade in “Lockdown Blues”, il Blues si fonde con l’Hard Rock come hanno fatto gli AC/DC per quasi cinquanta anni. Un altro riff indovinato apre “Mirror Of Myself”, canzone che nulla toglie e neppure aggiunge a quanto detto sino ad ora. Effetti elettronici invece introducono “Once And For All”, altra impennata alla Saxon con il ritornello inevitabilmente da cantare assieme a loro. “Together We Stand” è un’altra ballata, a mio gusto personale anche superiore alla precedente, qui l’assolo di chitarra è coinvolgente. Ruffiana “Double Trouble”, dalle potenzialità d’ipotetico secondo singolo, quando il trio parte in coralità, l’effetto è decisamente interessante. La chiusura spetta a “Born To Do (What I Want)” e lo fa con energia.
I Saints Trade con “The Golden Cage” dimostrano un’ulteriore crescita, una maturazione dovuta a mio avviso anche alla buona amalgama fra i musicisti i quali si conoscono a memoria e si divertono, così anche noi! MS






domenica 10 aprile 2022

Moonwagon

MOONWAGON - The Efficient Use Of Space
Presence Records
Genere: Rock Progressive – Strumentale – Psichedelico
Supporto: cd – 2022




Attendevo con ansia l’uscita del nuovo disco dei finlandesi Moonwagon, questo semplicemente perché sono un amante della musica Rock supportata da buone chitarre, tastiere e un pizzico di Psichedelia, quella che ti fa ritornare indietro nel tempo a quegli anni ’60, ’70 quando tutto era una scoperta.
Il Progressive Rock condito di Psichedelia è musica per il corpo, che ti prende, ti ricarica, e ti fa muovere al suo ritmo in maniera ariosa e incontrollata. I Moonwagon si divertono a suonare, sono musicisti che conoscono gli strumenti e sanno qual è il confine fra il tecnicismo esasperante e la giusta esibizione, un sottile filo che traccia un segno oltrepassato il quale tutto l’ascolto diventa molto pesante.
Si fondano nel 2008 a Kokkola e sono in origine quattro elementi, oggi ridotti a trio con Joni Tiala (chitarra, sintetizzatore, pianoforte, voce), Janne Ylikorpi (basso, sintetizzatore), e Jani Korpi (batteria, cori). “The Efficient Use Of Space” è il quarto album in studio senza contare il live del 2018 intitolato “Zen Out Of Ten – Live”. L’album d’esordio datato 2010 “Night Dust” li mette subito sotto l’attenzione del grande pubblico perché diretto, coinvolgente e furbescamente nostalgico, avvinghiato ai tempi che furono. Ciò accade per tutti i loro dischi nel tempo, infatti, la media delle recensioni e dei voti che ricevono dagli addetti ai lavori, è sempre elevata e aggiungo io anche meritata. Rispettano dunque uno standard qualitativo alto, anche in questo “The Efficient Use Of Space”, dove potete ascoltare dieci canzoni che fanno volare sul “carro della luna”.
“Banzai Boogie” mette immediatamente le carte in tavola, l’energia sprigionata racchiude le intenzioni del trio, guai ascoltare e restare fermi, impossibile. Due i nomi ai quali possiamo accostare come stile i Moonwagon, ossia gli Hidria Spacefolk e Hypnos 69. Un arpeggio di chitarra inizia “Far Apart”, un movimento ciclico di riff è raggiunto dalle tastiere per far volare l’ascolto nello Space Rock. La musica ipnotizza ma quando ci siamo abituati a un andamento, il ritmo e la situazione muta, ecco il motivo per cui ho relegato la band anche nel Progressive Rock. Ciò che mi fa apprezzare la musica dei finlandesi sono le parti di chitarra, protagonista sì ma con garbo, ascoltate “Waiting For Tomorrow” per avere l’idea del mio concetto. “Left Dangling” lascia invece il testimone alle tastiere, ecco il variegare che mi piace, quello che fa scorrere l’ascolto di un album senza mai annoiare. “Neverending Sky” è scritta per il basso, strumento ancora poco nominato nel corso del cammino sonoro. Non che qui faccia qualcosa di straordinario, ma un breve assolo lo presenta con semplicità. La breve “Strange Encounters” accompagna verso “Nights Of Neon”, qui gli anni ’70 ci colpiscono in faccia come un pugno, anche disco dance! “Northern Secrets” invece spezza nuovamente l’ascolto, riportando lo stile Moonwagon nei ranghi. “Smoke & Mirrors” con i quasi undici minuti è una mini suite dove tutte le capacità tecniche dei singoli componenti fuoriescono con forza, comprese le caratteristiche culturali, a dimostrazione che il trio è giovane, ma conosce molto bene la storia della musica. “Orbits” chiude in modo spaziale il disco, grazie al piano e al vento che lo accompagna (qualcosa dei Pink Floyd si avverte).
“The Efficient Use Of Space” è prettamente un disco strumentale, un ulteriore gradevole tassello nella Psichedelia di classe, dove ci sembra di volare ma senza mai perdere il controllo. Tutto è ponderato e in qualche maniera rassicurante, un territorio che potrebbe piacere anche a chi non si è mai approcciato a questo tipo di sonorità. Consigliatissimo! MS






sabato 9 aprile 2022

Kalle Wallner

KALLE WALLNER – Voices
Gentle Art of Music
Genere: Rock – Virtuoso- Progressive Rock
Supporto: Digital – 2022




Il chitarrista Tedesco Kalle Wallner è la “W” del logo RPWL, band famosa nel genere Progressive Rock per essere dedita a un sound Pink Floyd e Genesis nel circuito mondiale. Se Andiamo a vedere, i componenti stessi della band RPWL sembrano essersi presi un attimo di pausa dalla band madre, addentrandosi o in collaborazioni o in album solisti. Una pausa è sempre rigenerativa, non soltanto per l’energia che la musica espelle, ma è soprattutto una sorta di reset, dove una volta espresse le proprie idee, si hanno voglia e desiderio di ritrovarsi ancora insieme per crearne delle nuove. Si è visto negli anni con tutti i gruppi di grandi artisti a iniziare dai Genesis ai Pink Floyd e a chi volete voi con la vostra curiosità e l’amico Google.
Kalle è al suo esordio da solista e per realizzare “Voice” si avvale di special guest. Nomi come Marco Minnemann (batteria), Arno Menses (voce), Tancy (voce) e l’amico RPWL Yogi Lang (tastiere), fanno intendere la caratura della tecnica proposta. I nomi sono importanti, così come le canzoni contenute nell’album che sono sette, ognuna con il titolo della cifra che la colloca nel contesto, ossia “One”, “Two”, “Three” etc.
Come spesso si dice in gergo, molta la carne al fuoco a iniziare dal Rock vigoroso di “One” dove la chitarra è assolutamente la protagonista. Un riff Rock è cadenzato nell’incedere, ma gli effetti elettronici programmati da Lang donano un fascino particolare e non a caso durante l’ascolto potrebbero salire alla mente i Muse. La melodia è indovinata, facile da ricordare e quindi si può addirittura fischiettare, cosa che nei brani di artisti solisti di chitarra elettrica è quantomeno rara. Ancora Rock in “Two”, anzi lo definirei più Hard Rock. Semplice e diretto con arpeggi che spezzano le vibrazioni elettriche “Two” spiega anche bene la provenienza di Kalle, qui, infatti, il sound RPWL è maggiormente marcato.
Senza mai gettarsi in inutili tecnicismi, il chitarrista procede il percorso sonoro in “Three” questa volta con l’ausilio della voce di Arno Menses. Ora siamo al 100% in un album della band madre. Ancora elettronica programmata nell’inizio di “Four”, qui il ritorno verso l’Hard Rock e al ritmo cadenzato esprime chiaramente l’amore per i riff forti e semplici, con aperture ampie che danno adito a un ascolto dall’ampio respiro. “Five” è ancora una volta genuina oltre che la più breve dell’album. “Six” è la mia preferita, maggiormente riflessiva e ricercata, con un assolo centrale spaziale e psichedelico. Un brano vero e proprio di Progressive Rock. La conclusione è affidata a “Seven Out”, altra semi-ballata da fischiettare per la riuscita delle melodie.
Quello che un attento lettore potrebbe aver notato in questa mia recensione è il fatto che non ho mai paragonato la chitarra di Wallner a quella di David Gilmour (Pink Floyd), questo sta significando che il musicista non ha ripreso il percorso RPWL, bensì ha scritto materiale che veste a pelle esclusivamente la sua personalità, questo fa di lui un vero musicista dal forte carattere. La valvola di sfogo ha prodotto il suo scopo? Chissà se RPWL tornerà più sulle scene, intanto godiamoci questo disco che non ha grandi picchi emotivi, ma sicuramente è infarcito di buone canzoni. MS






domenica 3 aprile 2022

Zolder Ellipsis

ZOLDER ELLIPSIS - Entropy Override
Lizard Records – Open Mind
Genere: Jazz, Rock, Avantgarde, Prog Rock
Supporto: cd – 2022




L’evoluzione passa attraverso l’infrazione della regola, questa frase l’ha sposata un certo Frank Zappa e la musica mondiale ha ringraziato questo fenomenale chitarrista. Tutto ciò che al momento non è capito, ossia l’osare, lo stravolgere, l’estro, con gli anni trova una sua giusta posizione. Il tempo come si dice in gergo è galantuomo, se tu oggi crei e ti distingui dalla massa stai pur certo che un domani qualcuno prenderà spunto dalla tua idea magari per migliorarla con la propria personalità. E’ la legge dell’evoluzione, è un ricevere e un dare. Chiunque che ha preso uno strumento in mano l’ha fatto perché ha ascoltato musica di altri. Anche l’ascoltatore non è standard, c’è anche oggi chi dalla musica vuole qualcosa di più, il piacere di essere travolto da nuove situazioni. Personalmente mi ritrovo mentalmente in questo filone, cioè amo essere destabilizzato, mi piace concentrare l’ascolto e lasciarmi travolgere dal suono non convenzionale. Tutto questo per dire che l’avanguardia nel Prog è linfa vitale e necessaria, dove da ogni spunto può nascere un’idea per il futuro.
Zolder Ellipsis è il progetto iniziale del tastierista americano Tom Aldrich, valvola di sfogo per il proprio estro, ma che nel tempo si è arricchito di altri musicisti che a loro volta hanno contribuito attraverso un’invidiabile alchimia, a rendere il sound coeso e speciale. Compagni di viaggio in “Entropy Override” sono Sean Moran (chitarra), Chad Langford (basso elettrico e acustico), Thèo Lanau (batteria) e Ivo Bol (sampler ed elettronica).
L’improvvisazione gioca un ruolo importante per la causa Zolder Ellipsis e fondamentale è l’intesa fra i componenti i quali in una settimana d’estate del 2019 realizzano otto brani che compongono questo debutto. Dentro ogni singola nota si palesa una grande cultura musicale, non soltanto tecnica, infatti, si possono estrapolare dall’interno richiami al Jazz, al Metal, e addirittura istanti di musica greca romana. Le canzoni variano da pochi minuti a mini suite, nell’ascolto si ha la sensazione di viaggiare nelle montagne russe fra rallentamenti preoccupanti e discese improvvise. Già dall’iniziale “Craig Gets Reanimated” s’intuisce la voglia di colloquiare fra gli strumentisti in una sorta di divertente gioco dove la musica nasce spontaneamente e allegramente. Personalmente ho apprezzato molto il momento dell’assolo del basso di Langford. Un minuto e poco più di rumoristica in “Zap Gun”, altro minuto di dissonanze sonore con “Q+A” per poi addentrarci nella prima mini suite intitolata “Imperial Enlightenmant”. Qui si ascolta veramente di tutto, dal Jazz all’improvvisazione in stile Area, l’effetto stereo poi amplifica le sensazioni che si hanno dandoci la sensazione di essere circondati da suoni a tratti isterici. I musicisti si ascoltano, si aspettano, si sfidano e si divertono, sappiamo bene poi che il divertimento è contagioso anche per chi ascolta. Colpiti ai fianchi come in un incontro di pugilato, ci si appresta caracollanti ad ascoltare “Magnetic Object”, tutta un'altra storia, due minuti abbondanti di tastiere ed elettronica che fa leggermente rifiatare prima di immergersi nei nove minuti di “Android Coronation Ball”. Le tematiche cui s’ispirano gli Zolder Ellipsis riguardano appunto la tecnologia (specificatamente la robotica) e l’essere degli zombie, proprio a testimonianza della freddezza a cui questo modo di operare moderno ci sta conducendo. Una chitarra elettrica inizia il brano in un inquietante e preoccupante intro nervoso alla King Crimson per poi lanciarsi nell’inevitabile corsa verso un colloquio strumentale spontaneo, spezzato di tanto in tanto da brevi assolo dei musicisti. Il colpo di grazia arriva dagli undici minuti di “The Antidote Game”, inizialmente sorniona ma sappiamo già bene cosa attenderci. Adiacente giunge la conclusiva “In The Hole”, svisata delle dita di Tom Aldrich sui tasti d’avorio. L’insegnamento di “Entropy Override” è semplice, come suggerisce proprio l’etichetta che li ha pubblicati, ossia l’Open Mind: aprite la mente, lasciatevi contagiare, siate spontanei, osate, la vita è bella per questo, la monotonia è qui fuori della porta di casa e per stare bene non serve. Non dico sempre, ma almeno qualche volta proviamoci e qui gli Zolder Ellipsis ci vengono incontro. MS






Sintesi Del Viaggio Di Es

SINTESI DEL VIAGGIO DI ES - Gli Alberi Di Stavropol
I Dischi Della Locanda Del Vento – Lizard Records
Distribuzione: BTF, GT Music, Pick Up, MaRaCash, Syn-Phonic
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Se ancora oggi ascoltiamo Progressive Rock Italiano, questo lo dobbiamo anche a tutte le band che si sono prodigate dagli anni ’80 in poi, ossia quando il genere non è andato più di moda. Facile fare musica quando si segue una tendenza di successo, provate a farlo quando questa tendenza non è più in auge. Si è come dei salmoni controcorrente. Si sa che alla fine se una cosa è veramente valida, emerge, magari a fatica e nel tempo, ma emerge. Questo è quello che è accaduto negli anni ’90 al Progressive Rock Italiano, è ritornato grazie a gruppi che hanno insistito negli anni ’80 come i Nuova Era, Mo.Do, Aurora Lunare, Arcansiel, Goad, Ezra Winston, Edith, Sithonia e moltissime altre ancora. Ed è proprio sui Sithonia che mi soffermo, Valerio Roda (basso e autore di testi e musica) e Marco Giovannini (voce) sono i componenti storici che danno vita a Bologna nel 2014 al progetto Sintesi Del Viaggio Di Es. Nel 2017 debuttano con “Il Sole Alle Spalle”, album acustico e Folk in perfetto equilibrio con il Rock, grazie ad esso si fanno conoscere in tutto l’ambiente lasciando da subito una buonissima impressione che è confermata (e questo già lo anticipo) da questo nuovo lavoro intitolato “Gli Alberi Di Stavropol”. Il gruppo è completato da Sauro Musi (chitarra), Maurizio Pezzoli (tastiere), Eleonora Montenegro (flauto traverso) e Nicola Alberghini (batteria). Durante il percorso sonoro si avvalgono della partecipazione di alcuni special guest fra i quali incontriamo con piacere Barbara Rubin al violino nel brano “Andria” e Maria Grazia Ponziani con l’organetto diatonico in “Grazie Per Gli Anni E Per I Giorni”.
La fotografia della copertina è per opera di Andrej Loginov mente le fotografie della band contenute nel bell’artwork, sono di Marco Capozzi.
Il flauto dona alla musica Rock un fascino del tutto particolare, personalmente mi colpisce molto, ritengo sia un evidenziatore di passaggi gentili per l’anima, questo lo riscontro per l’ennesima volta nell’iniziale “Come Le Foglie (Parte 1). Il cantautorato si sposa con la musica Prog in maniera elegante, un poco come hanno saputo fare certe Orme solo per citare un nome popolare. Ed è il caso di “Gli Alberi Di Stavropol”.
“Regina In Lacrime” racconta la storia di una regina che descrive un mondo che non esiste più, la musica bene accompagna la narrazione, sono immagini per la mente. Il tono sale con “L’Età Dell’Oro” dove anche la chitarra elettrica fa la voce grande. La band qui mostra le proprie capacità balistiche. Ma è in “Adria” che l’enfasi sale, il violino di Barbara (già nota al mondo Prog per le sue piacevoli realizzazioni) coccola l’ascoltatore facendogli ascoltare spontaneamente a occhi chiusi l’evolversi delle melodie. Ritornano gli alberi di Stavropol in “Una Nuova Passeggiata”, bel connubio fra chitarra elettrica e mellotron e quando entra il flauto non posso fare a meno di ricordare altri passaggi Prog di band svedesi, probabilmente anche per un certo velo di malinconia che avvolge il tutto. Un'altra coccola giunge da “Come Le Foglie (Parte 2)”, più precisamente dalla chitarra di Sauro Musi. Con un ritmo cadenzato inizia “Strade Di Fango”, la musica sottolinea con energia il narrato degli eventi a Stavropol, città della Russia sud-occidentale occupata dall'Armata Rossa il 29 gennaio 1920 e occupata dall'esercito della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. Ma il brano che ho maggiormente apprezzato di più in senso generale è “Grazie Per Gli Anni E Per I Giorni” e non perché sia uno strumentale, ma proprio per la scelta delle melodie e delle soluzioni adoperate nella composizione che si avvicina di più al mondo puro del Progressive Rock, quello storico. A finire c’è la suite “Il Viaggio Di Es”, altra cattedra per le capacità dei Sintesi Del Viaggio Di Es.
In conclusione si può dire che il Progressive Rock Italiano nel 2022 può dormire ancora sonni tranquilli, esso è supportato ancora sia da band storiche che da nuove leve, in questo caso abbiamo i piedi in due staffe il che raddoppia la sicurezza… E il piacere. MS






venerdì 1 aprile 2022

The Old Castle

THE OLD CASTLE – Wistful
Thomas Barrow Entertainment
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022



Che spettacolo il mondo del Progressive Rock, quante volte il genere è stato dato per finito e quante volte è risorto dalle proprie ceneri, così è per la sorte di molte band del passato più o meno famose. La musica in generale è questo, anche se la lasci per un periodo, prima o poi ti viene a cercare e ti assale. Non è nostalgia, e chi è artista capisce bene cosa intendo, è l’arte che è parte del nostro DNA che comanda, possono esistere momenti di scarsa ispirazione oppure quando non giungono risultati si ha inevitabilmente voglia di rovesciare il carretto, ma tanto prima o poi la lampadina si accende nuovamente. E’ la vita, e noi siamo umani.
Un musicista mette sempre a nudo la propria anima, traslandola attraverso i suoni in pasto al mondo intero. Questa è la storia di moltissimi artisti, ma immagino sia anche quella di Gabriel Kiss, poliedrico tastierista di Tolentino. Dimostra sin dagli esordi un grande amore per il genere Prog e precisamente quello più datato e rivolto verso  maestri come Emerson Lake & Palmer. Tutto questo lo si evince dall’ascolto del buon esordio intitolato “Working Travellers” del 1995. La musica prodotta è di buona fattura ed è un peccato che non abbia raggiunto il pubblico a dovere. E’ vero che nella metà degli anni ’90 il Prog Italiano di certo non è che sta vivendo il suo momento più splendente, ma in quegli anni comincia a muoversi nuovo interesse attorno ad esso, anche se  sempre rivolto ad un pubblico di pochi ma fedeli affezionati. Passano sei anni per poter riascoltare il secondo album “Storie Nascoste”, qui c’è un approccio differente, la musica si spinge verso un Prog più Pop, in stile primi Pooh per intenderci. Anche in questo caso il risultato è gradevole, ma siamo alle solite, l’interesse attorno al mondo The Old Castle sembra aggirarsi attorno alla sufficienza e nuovamente è un peccato. A questo punto passa un lunghissimo periodo di assenza, almeno per quello che mi è capitato di constatare, ma a sorpresa dopo ventuno anni il marchigiano Gabriel Kiss ritorna al pubblico con questo nuovo album intitolato “Wistful”. 
Il disco è composto da otto canzoni e gli artefici del risultato sono Gabriel Kiss (tastiere, basso, voce), Stefano Conforti (sax, flauto), Jean Luc Delmonac (batteria), Roberto Gatta (chitarra in “Black Sunday”), Massimiliano Luciani (voce in “Mario”), Tonino Monachesi (chitarra in “Mario” e “Return From Fantasy”), Paolo Pagliari (chitarra e basso in “Angel Fall” e “Hurt My Heart”), e Alberto Quacquarini (batteria in “Angel Fall”, “Hurt My Heart”, “Il Mare” e “The Camel”).
Registrate fra il 2021 ed il 2022 nei Quack Studios, le canzoni sono rimaste congelate negli anni, e soltanto ora edite in questo album.
Veniamo alla musica, essa si barcamena fra Prog e canzone, ad iniziare dalla vigorosa “Return From Fantasy” dove le fughe di tastiera e chitarra ci gettano anima e corpo negli anni ’70. Le parti cantate  riportano ai Van Der Graaf Generator. Il flauto di “Mario” ci presenta un ambiente più ricercato, almeno nella ritmica ma relegato al mondo del Folk e del passato. La voce impostata di Luciani dona enfasi mentre effetti sonori lo impreziosiscono. Come tradizione Prog insegna,  il brano si lancia nel proseguo in un incedere differente e strumentale. La canzone alla maniera di una suite lascia la staffetta a “Angel Fall”, orecchiabile, decisamente da singolo dell’album. In essa aperture quasi AOR  soprattutto nel ritornello oltre che rimembranze IQ ed un assolo di chitarra in stile Rainbow. “Interlude For Jacky” è un breve ed affascinante assolo di tastiere di poco più di un minuto, a seguire “Hurt My Heart” che prosegue nel binario di “Angel Fall”, Rock e AOR pur mantenendo salde alcune prerogative Prog (qualcuno ha detto Toto? Perché no). Qui anche adeguate coralità. Il sax di Conforti è importante per “Il Mare”, canzone che ritengo la più interessante dell’album, qui c’è la voglia di Gabriel Kiss di portare in musica certe immagini naturalistiche. Lo strumentale ha anche passaggi antichi all’interno, quasi medievali, ma in realtà qui c’è tutta la passione del tastierista per Keith Emerson, un ritorno al passato The Old Castle. Come dicevo nel preambolo, è la musica che prima o poi ti viene a cercare se ce l’hai nel DNA. A questo punto dell’ascolto c’è un brano tratto dal precedente album “Storie Nascoste”, ossia “Black Sunday (Giornate)”, un bel classico The Old Castle ricco di belle sonorità, garbate e raffinate.
Il disco si conclude con “The Camel” dove l’incedere iniziale lascia spazio a motivi Jazz per poi svisare nel classicismo. Ottima dunque la prova pianistica a dimostrazione della sicura tecnica individuale di Gabriel Kiss.
Consiglio solo di porre più attenzione alle parti vocali che non sempre si trovano all’altezza del brano (ad esempio in “The Camel” sono buone), ma sono particolari che non intaccano il fascino di questo album che spero non faccia nuovamente la strada dei precedenti perché The Old Castle merita sicuramente più rispetto di tanti altri album maggiormente blasonati ma privi di anima. In “Wistful” c’è tanta sincerità ed amore, esse trasudano da ogni nota. MS

Per ricevere il prodotto contattare info@the-old-castle.com