Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

La storia dei generi enciclopedica
sabato 2 luglio 2022
Fabrizio Tavernelli
FABRIZIO TAVERNELLI – Algoritmi
Lo Scafandro
Genere: Cantautore – Alternative
Supporto: cd – 2022
L’importanza
dei numeri.
Noi
siamo numeri, la vita è piena di numeri con i quali costruiamo, pensiamo,
agiamo, facciamo sport, suoniamo, insomma sono davvero il punto focale
dell’umanità. Possono aiutarci nei problemi, spiegarci l’universo oppure
possono comportarsi in maniera cadenzata e particolare come nella Sequenza di
Fibonacci. Gli elettrodomestici, i computer, i telefonini, sono tutti oggetti
entrati nella nostra vita quotidiana ed hanno sostituito l’umanità con una
sorta di automazione, “i numeri stessi hanno perso l’anima assieme a noi”,
questo è ciò che ispira Fabrizio Tavernelli in “Algoritmi”, sesto album da
solista in studio. Un argomento molto amato da artisti di mezzo mondo, non
dimentichiamo ad esempio il Krautrock dei tedeschi Kraftwerk nel bel disco
“Computer World” del 1981, dove il brano “Numbers” ha fatto impazzire lo stereo
di moltissimi amanti dell’elettronica. Ma qui siamo al cospetto di un
cantautore sagace, riflessivo e addirittura eclettico.
Suonano
con Tavernelli (chitarra, voce), Marco Santarello (chitarra, cori), Alessandro
De Nito (tastiere), Marco Tirelli (basso), e Lorenzo Lusvardi (batteria, cori).
Tra gli ospiti Giorgio Canali e l’orchestra Algoritmo Ensemble diretta da
Simone Copellini. Nell’edizione cartonata del disco all’interno si può godere
di un bel libretto ricco d’immagini, testi e spiegazioni.
Dodici
i brani contenuti e la copertina ai più appassionati di musica di voi avrà
ricordato sicuramente quel “Fear Of A Blank Planet” dei Porcupine Tree, anche
se la musica qui è altra cosa. Lo spirito comunque è lo stesso, quello della sperimentazione.
Detto questo è evidente che il cantautore non naviga in acque chete, ma si
propone come un ricercatore di suoni e di melodie, di ciò se n’è avuta prova
anche con i suoi precedenti lavori.
“Algoritmo
Stocastico” inizia l’album, una sequenza di numeri ci scorre avanti gli occhi e
la musica pacata si supporta di interventi elettronici. Con un richiamo ai
testi di Gianni Morandi e precisamente a “C'era Un Ragazzo Che Come Me Amava I
Beatles E I Rolling Stones”, giunge la più sperimentale “Impantanato Nel
Vietnam”. Qui l’uso della voce è ricercato e rivolto verso la recitazione,
proprio come avviene nella musica del cantautore Gianni Venturi dove la voce è
al servizio della poesia. Onde psichedeliche fungono da evidenziatore ai
ficcanti testi. Ancora elettronica per “Il Bagno E L’Antibagno”, canzone che
mette in evidenza gli opposti dei significati dei termini. Un motivo simpatico
che facilmente si stampa nella mente. Tavernelli, si diverte a cantare, le
canzoni hanno sempre questo sentore di svago, molto spesso grazie alle ritmiche
coinvolgenti, un caso di questi è “Algoritmo Alfanumerico”. Non mancano di
certo attimi più pacati e riflessivi come in “Fallibili” e la successiva “Il
Lupo E Lo Sciacallo”. Le parole sono il fulcro della proposta musicale ed hanno
una valenza considerevole. Ritorna l’elettronica in “Performance”, sonorità che
fanno capolino anche negli anni ’70, quando il cantautorato godeva di splendidi
artisti. Dunque fra le note di Tavernelli c’è molta ricerca, sia strutturale sia
metrica, ciò relega l’artista nel termine “impegnato”. Questo non deve
spaventare l’ascoltatore perché tutto scorre con piacere, anche nei momenti
strumentali come nel caso iniziale di “Al Khwarizmi”. Violini aprono la
scanzonata “Braghetta Digitale”, esempio perfetto di quanto ho descritto sino
ad ora, ossia divertimento, sarcasmo, impegno e ricerca. “Algoritmo Gig” fa
ballare con interventi funky, mentre il cantato è concentrato nella recitazione
salvo nel ritornello. Considerazioni importanti sono palesate in “Nel Libro Di
Storia”, e un pianoforte cadenzato conclude il disco con “L’Angelo Del Focolaio”,
altro movimento dal profumo anni ’70.
Diceva
il grande e indimenticato Lucio Dalla, “Il mondo ha bisogno di stupore” ed è
proprio per questo che dobbiamo liberare, o per meglio dire, lasciare andare i
numeri che abbiamo in noi.
Ed
è proprio Tavernelli a dire “Libera i numeri, non fare calcoli, libera i numeri
infiniti”. Ha ragione anche perché inevitabilmente l’evoluzione passa
attraverso la trasgressione della regola, quindi lasciamoci andare in questa
vita, magari ascoltando buona musica come quella contenuta in “Algoritmi”. MS
domenica 26 giugno 2022
The Tangent
THE
TANGENT – Songs From The Hard Shoulder
InsideOut
Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 2022
Il
mondo della musica è davvero strambo, figuriamoci quello del Progressive Rock
denominato volgarmente dalla massa “musica strana”. Strano perché ci sono fenomeni
non facili da spiegare o perlomeno a cui riesci a dare una razionale
spiegazione. I The Tangent sono una band incredibile, che sforna dischi dalla
capacità emotiva davvero elevata, per poi non parlare della tecnica dei singoli
componenti, eppure il pubblico non relegano loro il meritato successo. Si
spacciano per oro colato band che non hanno quasi nulla da dire o che ancora
penosamente scimmiottano nel 2022 i Genesis mentre formazioni come i The
Tangent, che uniscono tutte le caratteristiche del genere in lunghe suite fra
Jazz, Rock e molto altro, non sono considerate più di tanto. Questa volta però
ci pensa la grande Inside Out Music a iscriverli nella propria scuderia e credo
sia molto improbabile poterli ignorare!
Sono
un progetto originariamente formato da Andy Tillison, Guy Manning e Sam Baine
dei Parallel Or 90 Degrees (Po90) così come da metà dei The Flower Kings tra
cui Jonas Reingold, Zoltan Csorsz e il virtuoso della chitarra ed ex membro dei
Kaipa Roine Stolt. Si, siamo in Svezia e in quel circuito in cui negli anni ’90
grazie a artisti del calibro di Anglagard, Anekdoten, Landberk e appunto The
Flower Kings, si riesce a far rialzare di nuovo la testa al Progressive Rock derivante
da una breve pausa di poco interesse (come accadde alla fine degli anni ’70).
Lo
stile sonoro per chi non li conoscesse ricalca le orme di gruppi quali King
Crimson e Yes. La band di Andy Tillison con questo “Songs From The Hard
Shoulder” giunge al dodicesimo album in studio con una formazione composta da Andy
Tillison (voce, tastiere), Luke Machin (chitarra, voce), Theo Travis (sassofono,
flauto), Jonas Reingold (basso) e Steve Roberts (batteria).
Cinque
le canzoni in palio, tra cui quattro lunghe suite, come la band ci ha abituati
nel tempo. Cosa si ascolta? Tutto! Fughe strumentali eseguite da mostruosi
musicisti, melodie orecchiabili, cambi umorali e quindi di ritmo, tastiere,
chitarre in assolo convincenti… Inutile stare a sottolineare questo o quel
particolare, lascio a voi e alla vostra curiosità scoprire cosa esiste dietro
al mondo The Tangent. Certo è che non si tratta di musica mordi e fuggi, è
rivolta a un pubblico adulto, attento e preparato alla volontà di ascoltare.
Tutti gli altri possono anche girare alla larga. Un gran disco, ma davvero
bello. MS.
venerdì 24 giugno 2022
Ghost Of The Machine
GHOST
OF THE MACHINE – Scissorgames
Autoproduzione
Genere: Neo Prog
Supporto: digital – cd – 2022
In
attesa del nuovo album della band di Clive Nolan, Arena, l’ascoltatore e amante
del Neo Prog troverà nei debuttanti Ghost Of The Machine una bella sorpresa. In
realtà così giovani i membri non sono perché molti sono provenienti dalla
scissione della band This Winter Machine che va a separarsi dal suo primo
cantante Al Winter per unirsi con Charlie Bramald, flautista della band Nova
Cascade. Questo accade nel recente gennaio del 2021 sempre in Inghilterra.
Sono
una nutrita formazione composta da Graham Garbett (chitarra), Mark Hagan
(tastiere), Stuart McAuley (basso, mellotron), Andy Milner (batteria), Scott
Owens (chitarra), e appunto Charlie Bramald.
Tanti
Marillion fra le note, specialmente quelli del periodo Fish nelle sette
composizioni, per cui trattasi di musica decisamente orecchiabile che lascia
spazio sì ai cambi umorali, ma anche ad assolo strumentali spesso monolitici.
La tecnica è ottima, ma la carta vincente di questo debutto intitolato “Scissorgames”
è proprio la melodia ruffiana.
E
meglio non potrebbe iniziare se non con una suite di diciassette minuti
intitolata “Scissors” che da sola vale l’acquisto dell’album. Le parti
strumentali sanno colpire il cuore del Neo Prog fans, alternando malinconia a
epicità.
Argomento
tipico del genere è l’amore non corrisposto, lo abbiamo ascoltato con
Pendragon, IQ, Marillion, Pallas etc, i Ghost Of The Machine non esulano da
questo modus operandi e lo raccontano nei quasi otto minuti di “Mountain”. Nel
complesso le tastiere e il basso sono coloro che maggiormente portano avanti il
sound della band che comunque resta personale nonostante le influenze citate.
In “Just For Reference” un malinconico piano e un arpeggio alla Steve Rothery
accolgono l’ascoltatore. Il pezzo è un crescendo sonoro che tratta il duro
argomento degli abusi sessuali. Un'altra canzone che colpisce per enfasi e
creatività è “January's Child”, un Rock graffiante rispetto a quanto ascoltato
sino ad ora, mentre nella cronologia dell’esistenza della band va a collocarsi
fra le prime composizioni. Dice il cantante Charlie Bramald di questo brano: “January's Child affronta un viaggio di
autoriflessione per superare il trauma di un'adolescenza difficile e diventare
la persona che davvero si vuole essere”.
Il
mio brano preferito dell’album s’intitola “Mercury Rising (Parts I and II) ”,
con una buona batteria di fondo. In esso si alternano tutte le caratteristiche
del genere e il suono corposo appaga l’ascolto. Non manca neppure la ballatona
di turno, molto triste e priva di ritornello dal titolo “Dead To Me” e mi
sovvengono gli Arena di “Cry For Me” per chi li dovesse conoscere. Ottima l’interpretazione
vocale. Il lavoro si conclude con la ripresa di “Scissors”, altri dieci minuti
di grande Neo Prog.
In
conclusione posso dire che Ghost Of The Machine è un buon debutto, anche se in
realtà abbiamo visto che proprio così non è. Un disco senza picchi e senza
cali, costantemente ben suonato e pieno di scelte compositive gradevoli, da
cantare anche con loro durante l’ascolto. Passano gli anni ma la buona musica
resiste malgrado tutto e i tempi, bene così. MS
sabato 18 giugno 2022
CONFERENZA MASSIMO SALARI
ProgressivaMente - Storia Del Progressive Rock E Dintorni
Evento organizzato da Read and Play
Martedì 5 luglio alle ore 19.00 apericena con i piedi sulla sabbia! A Fosso Sejore Fano (PU) conferenza ascolto sulla storia del genere Progressive Rock e presentazione dei libri di Massimo Salari.
Sessantanni di musica riassunti attraverso i passaggi più importanti che hanno cambiato la storia del Rock.
Un percorso storico e narrativo sul Rock Progressivo.
A partire dai suoi libri:
- Rock Progressivo Italiano 1980 - 2013
- Metal Progressive Italiano
- Neo Prog
pubblicati da Arcana Edizioni, Massimo Salari svelerà aneddoti e curiosità su questo genere musicale e sui suoi protagonisti, e guiderà all'ascolto di alcuni brani simbolo.
Un percorso storico e narrativo sul Rock Progressivo.
A partire dai suoi libri:
- Rock Progressivo Italiano 1980 - 2013
- Metal Progressive Italiano
- Neo Prog
pubblicati da Arcana Edizioni, Massimo Salari svelerà aneddoti e curiosità su questo genere musicale e sui suoi protagonisti, e guiderà all'ascolto di alcuni brani simbolo.
Con i primi due libri Massimo Salari vince il premio “Macchia Da Scrivere” nella categoria “Migliore Enciclopedia Dell’Anno”.
L’evoluzione passa attraverso l’infrazione della regola: Prog!
𝗟'𝗮𝘂𝘁𝗼𝗿𝗲
Massimo Salari ha scritto su riviste musicali come Andromeda di Gianni Della Cioppa, Rock Hard e Flash.
Scrive su Rock Impressions.
Ha condotto programmi radiofonici sul Rock a Radio Gold.
Conferenziere sulla storia del Rock con il progetto ROCK & WORDS con Fabio Bianchi e socio fondatore di FABRIANO PRO MUSICA.
Assieme alla band storica SKYLINE gira per i teatri a narrare la storia del Rock a partire dal Blues degli anni ’30 ad oggi. Ha scritto i libri per la casa editrice ARCANA “Il Rock progressivo Italiano 1980 – 2013”, vincitore al premio "Macchina Da Scrivere 2018" per la categoria "Migliore enciclopedia dell'anno" e "Metal Progressive Italiano" a sua volta vincitore nel 2019 dello stesso premio. Nel 2020 è uscito il suo terzo libro NEO PROG, sempre per Arcana Edizioni.
Massimo Salari ha scritto su riviste musicali come Andromeda di Gianni Della Cioppa, Rock Hard e Flash.
Scrive su Rock Impressions.
Ha condotto programmi radiofonici sul Rock a Radio Gold.
Conferenziere sulla storia del Rock con il progetto ROCK & WORDS con Fabio Bianchi e socio fondatore di FABRIANO PRO MUSICA.
Assieme alla band storica SKYLINE gira per i teatri a narrare la storia del Rock a partire dal Blues degli anni ’30 ad oggi. Ha scritto i libri per la casa editrice ARCANA “Il Rock progressivo Italiano 1980 – 2013”, vincitore al premio "Macchina Da Scrivere 2018" per la categoria "Migliore enciclopedia dell'anno" e "Metal Progressive Italiano" a sua volta vincitore nel 2019 dello stesso premio. Nel 2020 è uscito il suo terzo libro NEO PROG, sempre per Arcana Edizioni.
sabato 11 giugno 2022
Alice & Peter
ALICE & PETER – L’Amore E’ Una
Grazia
PMS Studio - BMRG edizioni
Genere: Poesia / Pop / Jazz
Supporto: Libro, cd – 2022
Non
basta mai parlare d’amore! Sembrerà banale, lo so, ma oggi più che mai abbiamo
bisogno di parlarne, cercare di capire l’altro, smetterla di ringhiarci contro
tutte le difficoltà aberranti che la vita quotidiana ci rovescia addosso.
L’amore è tanto ed è tutto nella vita, l’esistenza gira attorno ad esso e può
essere di molteplici tipi: c’è l’amore nei confronti di una persona, di un
caro, di un parente, di un animale, un oggetto, un lavoro e così via.
C’è
bisogno e non vogliamo ammetterlo, quasi oggi ci facesse paura. L’amore spesso
è inconsciamente associato alla fragilità, si ha paura di mettere a nudo la
propria anima e il sentimento, oltre che l’angoscia di un eventuale rifiuto da
parte della persona coinvolta. Il mondo dell’arte ne è stracolmo di odi,
canzoni, quadri, fotografie, film e quindi si potrebbe pensare a un tema
inflazionato. No, mi ripeto ma è necessario, l’amore fa girare il mondo.
Ora
vi parlo qui di uno sforzo creativo rilevante, realizzato da un artista che il
mondo della musica e della poesia oramai conosce da decenni, il cantante Gianni
Venturi (Banda Venturi, Altare Thotemico, Moloch e altri progetti solisti). Per
chi invece non lo conoscesse, dico che il bolognese ama sperimentare con la
voce, cimentandosi in canto armonico, diplofonie oltre che in canti sciamanici.
Arguto e attento osservatore della società moderna, trascrive i propri pensieri
e rabbie in molteplici testi, poi interpretati nei relativi progetti. Questa
volta si getta anima e corpo nella poesia d’amore, “L’Amore E’ Una Grazia” è il
risultato raccolto in un libro che accompagna il cd ispirato a esso. La band
occasionalmente organizzata per l’evento, porta il nome di Alice & Peter.
Con lui suonano tre musicisti di sesso femminile, migliore sensibilità non
poteva palesarsi, poiché la donna è il fulcro della vita e dell’amore. Direi
che è una perfetta armonia. Margherita Parenti è una batterista laureata con
110 e lode presso il Conservatorio di Mantova e che partecipa a numerosi
contesti Jazz. Chiara Brighenti anche lei proviene dal Jazz e suona il basso e
il contrabbasso, mentre Marika Pontegavelli è una pianista e cantante Jazz che
ha collaborato anche al disco degli Altare Thotemico “Selfie Ergo Sum” (2020 -
Ma.Ra. Cash Records).
Galeotto
fu il brano “Luci Spente Sul Palco", nato in una serata malinconica di
prove in studio, dove Venturi decanta la poesia e Marika Pontegavelli comincia
a seguire con il piano. A loro si aggiungono Margherita e Chiara e tutto prende
magicamente forma. Il brano malinconico racconta della fine di un tango e delle
braccia di una donna in cerca d'amore e attenzione, che danza e si abbraccia da
sola. La fine del tango come la fine dell’amore. Del singolo viene estratto il
video per opera del regista Eugenio Squarcia.
Dieci
lodi delicate fra pop e Jazz, a iniziare dalla breve “Per Te Che Sei Grazia”,
brano aperto da una tromba, “Fiori di grazia per te che sei grazia”. Si possono
cantare poesie? Non è una domanda poi così scontata in quanto sono due potenti
mezzi di comunicazione, Venturi si adopera nello scopo con vigore, come solo
lui ci ha dimostrato negli anni, ascoltate “Cuore Cemento” per entrare nel
concetto. Il suono del contrabbasso sciolina calde atmosfere per un’ode
intitolata “Amiamoci Di Più” ed entriamo a pieno titolo nel Jazz.
Amore
è anche sofferenza e l’interpretazione spesso raggiunge connotati dolorosi.
Tuttavia non mancano frangenti maggiormente ritmati come nel caso di “Sinfonia
Del Colore”. Venturi ha cantato nel passato versi del maestro Roberto Roversi
(anche Lucio Dalla) e l’impronta sembra rimasta scalfita nel cuore del
vocalist. Momenti più riflessivi colgono l’ascolto in “Saudade”, composto di
ricordi e nostalgie. Le dita volano leggere sui tasti d’avorio e una fievole
luce illumina la musica di Alice & Peter. “Il Tango Di Buenos Aires” è il
sunto di ogni concetto espresso sino ad ora. C’è ricerca nella musica, spesso le note si
sostituiscono alle parole, di per se impresa difficile eppure riescono, l’intro
di “Prima Tu O Io?” è esplicativo. Circolare l’armonia di “Ti Amo Ne Sono
Certo”, mentre “Luci Spente Sul Palco” potrebbe risiedere nella discografia del
maestro Paolo Conte. A chiudere “Ritratto Di Vecchio Allo Specchio”, ritmata,
ruffiana con un testo a tratti anche ironico.
In
questo lavoro Alice & Peter mettono in pasto al pubblico la loro fragilità
amorosa, i sentimenti in cui anche moltissimi di noi possono rispecchiarsi,
quindi hanno avuto il coraggio di essere umani e questo è un atto semplicemente
splendido. Attenzione però, non vorrei che passasse il concetto di musica
melensa tantomeno mielosa, qui non siamo al cospetto della classica formula
canzone e quindi distanti da certi inflazionati stilemi.
Credetemi,
per un mondo malato d’interessi e gelido nei rapporti, l’amore è l’unica cura e
questo libro/disco è un inno all'esistenza oltre che alla caparbietà. MS
giovedì 2 giugno 2022
Crystal Palace
CRYSTAL
PALACE – Still There
Progressive
Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Neo Prog
Supporto: cd – 2022
Non
so se è mai capitato anche a voi che al termine dell’ascolto di un disco si ha
la voglia di riascoltarlo immediatamente. In alcuni casi capita perché non è
ben capito, oppure altre volte perché è semplicemente di compagnia, sincero e
gradevole. Nel caso dell’ultimo lavoro degli storici tedeschi Crystal Palace
“Still There” è voglia di compagnia, un ascolto non impegnato ma allo stesso
tempo ricco di storia e di passaggi tecnici. Il Neo Prog di scuola Marillion
& company è galeotto, i Crystal Palace che si sono formati nel 1994 e che
hanno rilasciato undici album da studio, conoscono molto bene la materia e
sanno dove andare a pescare.
Negli
anni subiscono diversi cambi all’interno della formazione, così oggi sono
composti da Jens Uwe Strutz (basso, voce), Tom Ronney (batteria), Nils Conrad
(chitarra), Frank Köhler (tastiere) e Roxy Furcht (voce).
Il
disco è un concept che narra la storia di una giovane ragazza che nel 2014 ha
scritto misteriose parole su un muro di una torre di osservazione di Berlino.
Il significato sarà compreso dalla gente soltanto qualche giorno dopo leggendo
i giornali di cronaca locale. Lei, stanca della vita ristretta di campagna in
Inghilterra, convince il suo ragazzo a trasferirsi a Berlino in Germania. Piena
di buoni intenti per iniziarne un nuova, dopo alcuni giorni scrive alla madre
che le cose non sono andate poi così bene come ci si attendeva. Lasciata dal
ragazzo entra in depressione e la città caotica non le è certo di supporto. La
società nevrotica e la difficoltà di relazionarsi con le persone non sono altro
che un macigno che le fa capire che non è più un mondo per lei. Un giorno
all’apice della depressione, sale sulla torre di osservazione situata alla
periferia di Berlino per farla finita, ma alzando lo sguardo al cielo vede uno
spettacolare tramonto che scatena in lei ricordi bellissimi, compreso un buon
gelato mangiato in compagnia. La spensieratezza torna in lei, tanto da scendere
e fargli scrivere sul muro delle scale della torretta le seguenti parole: “8
marzo 16... Sono ancora qui". Ma presto il suo umore si oscura di nuovo...
Il giornale riporterà il tragico evento.
Il
Neo Prog non è nuovo nel trattare amori andati a male o difficoltà giovanili,
basti pensare ad esempio ai già citati Marillion e al loro “Misplaced
Childood”, oppure “Brave”.
L’artwork
che accompagna il disco è come da tradizione Progressive Promotion Records,
cartonato e contenente l’immancabile esaustivo libretto con tanto di foto,
testi e spiegazione della storia. L’oscurità che inghiotte le parole
nell’inchiostro nero delle pagine trasmettono questo senso di dolore, così le
foto.
Dodici
le canzoni, iniziando dalla più breve “126 Steps” con i suoi tre minuti quasi
completamente strumentali. Le atmosfere sono subito malinconiche, le tastiere
sembrano avere le parole, la scena è già pronta. “Leaving This Land” subentra
adiacente con un ritmo cadenzato che lascia spazio al classico Neo Prog. Ai
cultori del genere tedesco posso paragonarvi alcuni passaggi alla musica dei
Chandelier. Nella parte centrale del brano l’elettronica viene a supporto,
donando all’insieme un’impronta di freschezza, io invece da bravo nostalgico e
romantico mi sciolgo avanti ad un breve e semplice assolo di chitarra.
“A
Plan You Can't Resist” dura quasi dieci minuti, ma sembrano la metà tanto è ricca
di movimenti interessanti, impreziositi da giochi stereo intriganti. Il ritmo è
sempre pesante, così le arie ma già ci si è fatta l’abitudine e ascoltare qui i
Crystal Palace è come entrare in una favola. Una parola in più per l’ottima
qualità sonora. “Winters End On Water” è una ballata che racconta la partenza
della ragazza per la Germania, un bagaglio pieno di buone aspettative e
l’amore. L’elettrica “Dear Mother” alza il volume e il ritmo, pur restando
sempre nei binari del genere. Cambi di tempo? Ovviamente non possono mancare.
“Planned
Obsolescence” mostra ancor più i muscoli, ma la teatralità è sempre dietro
l’angolo, buona vetrina per l’interpretazione vocale di Roxy Furcht. Il Neo
Prog ha nel proprio DNA melodie che sposano immediatamente l’anima
dell’ascoltatore, semplici, dirette come nel caso di “Orange Popsicle Sky”. Ritorna
l’elettronica in “Shadows”, dove è la voce a creare la melodia per poi
scansarsi all’ingresso delle chitarre Heavy Metal. “ A Scream From A Wall” si avvicina al mondo dei Porcupine
Tree, mentre “These Stairs” a quello degli Arena.
Il brano più lungo dell’album grazie ai dieci
minuti s’intitola “The Uniquite Window”, non per la lunghezza, ma è quello che
ho più apprezzato nell’interezza, amo i crescendo che si spezzano a metà
dell’ascolto e in più qui ritornano anche le atmosfere della band di Steven
Wilson. Il tragico concept finisce con un'altra mini suite, la title track “Still
There”. In questo movimento sonoro suddiviso in due fasi i Crystal Palace
giocano tutte le loro carte a disposizione.
A
questo punto chi si vuole approcciare al genere ha una bella occasione e un
disco che si lascia ascoltare con piacere. Dategli almeno un ascolto, visto
mai? MS
domenica 29 maggio 2022
Post Generation
POST
GENERATION – Control – Z
Luminol
Records
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: File Audio – 2022
I
Post Generation nascono come progetto collaterale del bassista dei Diaries Of A
Hero, Matteo Bevilacqua, nel 2014. Rispetto la band madre, con esso Matteo si
distanzia un poco dal mondo del Metal avvicinandosi a un sound più psichedelico
e ricercato come quello dei maestri Porcupine Tree, Anathema, Opeth e così via.
Con
lui alla voce e chitarra, suonano Carlo Peluso (tastiere), Antonio Marincola
(basso), Christoph Stahl (batteria), Paolo Rigotto (batteria e mixer) e
Michaela Senetta (voce). Paolo Rigotto non è di certo un nome nuovo per gli
ascoltatori di un certo tipo di Pop Elettronico.
Sono
serviti sette anni per realizzare “Control-Z”, album concept riguardante lo
stato mentale del genere umano bene descritto già dall’artwork per opera del londinese
Juan Blanco. Siamo una comunità di zombie, pilotati dalla sofferenza e dalla
paura. Il concetto è spalmato su dodici brani per quasi un’ora di musica, a
iniziare da “This Is My Day”. Il pezzo è molto curato e bene arrangiato, specialmente
sulle partiture vocali e corali, i cambi umorali sono come il genere esige,
presenti e numerosi. Possono venire in menta durante l’ascolto anche certi
Fates Warning o Enchant. Bello l’assolo di chitarra e l’accompagnamento con il
clarinetto.
“About
Last Night” ha un giro centrale di chitarra di chiara matrice Opeth, quelli più
acustici, e conduce l’ascoltatore in ambienti leggermente malinconici ma dall’anima
pulsante. Divertimento e ariosità fanno comunque di tanto in tanto capolino e
coinvolgono a pieno. Qui la band dimostra di avere una vasta cultura al
riguardo del genere proposto. “You’re Next In Line” si apre con un pianoforte
sopra un tema onirico successivamente sempre dominato dalle tastiere di Peluso
che donano all’insieme l’impronta del Progressive Rock. Curata la parte vocale
che ha il merito di non strafare mai, piuttosto concentrata nella parte
interpretativa più che quella tecnica, così gradevole è la voce di Senetta.
Questo brano potrebbe benissimo risiedere nella discografia dei polacchi
Riverside, ma improvvisamente anche in quella degli Spock’s Beard. “What’s The
Worry” spalanca le ante della mente e si intromette al suo interno di certo
senza non lasciare segni. Molti anni ’70 e ancora una volta validissimi
arrangiamenti, come sapevano fare i Porcupine Tree della metà carriera. “The
Cat And The Chicken” è una passeggiata nella follia, sempre se si è aperti di
mente e quindi pronti ad affrontarla, mentre il ritmo sale. “White Lights And
Darkest Patterns” è uno dei miei movimenti preferiti dell’intero album, sia perché
in me ricordano i migliori Porcupine Tree che i Radiohead, oltre che essere ricco
di sorprese che lascio a voi scoprire. “Could It Be You” ha il ruolo di riscaldare
il cuore, e successivamente è la volta della title track “Control – Z” qui
veramente molto materiale in esame e un viaggio a ritroso nel tempo nella
discografia sempre di Wilson & company. I Post Generation non si
risparmiano, ricercando sempre melodie accattivanti ma allo stesso momento
raffinate. “Nathalie” è maggiormente vicina alla formula canzone ed è bene
interpretata ancora una volta dalla bella voce di Michaela Senetta. Ancora
Porcupine Tree con “This Cannot Work”, qui in maniera decisamente più marcata.
Un breve passaggio acustico in “Raising The Bar”, piccola gemma sonora, per poi
giungere alla conclusiva “Unforgotten Wasteland”, e qui siamo su livelli molto
elevati.
Nulla
di scontato nella musica dei Post Generation, tutto molto curato e ponderato,
specialmente riguardo le coralità, tuttavia il risultato non risulta freddo ma
contrariamente a come ci si potrebbe attendere decisamente caldo e
coinvolgente. Un nome da appuntarsi e seguire con attenzione in futuro, sono
sicuro che il mio fiuto non sbagli, è l’inizio, e ne ascolteremo ancora delle
belle! MS.
domenica 8 maggio 2022
Melanie Mau & Martin Schnella
MELANIE
MAU & MARTIN SCHNELLA – Invoke The Ghosts
Autoproduzione
Genere: Acustic Folk / Progressive Rock
Supporto: cd – 2022
Quante
volte nella vita c’è capitato di evocare fantasmi, ossia ricordare il passato a
volte con nostalgia e in altri casi con un velato timore. Sono sensazioni molto
potenti che ci fanno sentire vivi, il sentimento, la paura, la mancanza di un
caro l’amore, avvenimenti che tuttavia fanno del nostro percorso terreno un
vero e proprio bagaglio d’esperienza. La musica non è altro che un
amplificatore di queste sensazioni, se vogliamo anche attraverso i testi che
possono divenire una vera e propria valvola di sfogo. “Invoke The Ghosts” attraverso
le parole, racconta storie che riguardano proprio il nostro quotidiano essere.
Prima
di entrare a parlare della musica di questo nuovo disco di Melanie Mau &
Martin Schnella (il secondo con brani propri tralasciando gli album cover),
vorrei soffermarmi sul grande sforzo creativo riversato sulla confezione, essa
si presenta cartonata, apribile in due parti con foto di Bodo Kubatzki, disegni
splendidi per opera di Isa Hausa Illustrations, pitture di Anish Jewel Mau con
la supervisione di Martin Huch e poi testi e credits dettagliati. Quando un
prodotto è così curato, è giusto presentare i suoi autori, specialmente poi se
stiamo trattando un’autoproduzione. Davvero complimenti.
La
band è composta da Melanie Mau (voce), Martin Schnella (chitarre, voce), Mathias
Ruck (voce),
Lars
Lehmann (basso), e Simon Schröder (percussioni, batteria, voce). Tre gli
special guest chiamati a impreziosire l’album, Jens Kommnick (fiati,
violoncello, strumenti celtici, chitarra acustica, voce),
Siobhán
Kennedy (voce) e Steve Unruh (violino).
Come
avrete già avuto modo di intuire leggendo i partecipanti, la voce è un punto focale
per la musica del duo tedesco, vocalità anche a cappella sono uno dei punti
forti dell’intero lavoro. Musica Folk a tratti celtica si va a sposare anche
con il mondo del Metal Prog inteso non come suono elettrico distorto bensì come
intensità, infatti l’innesto di Simon Schröder apporta al sound un indurimento
rispetto i canoni sonori del passato. Tuttavia le ballate sono la prevalenza,
così il Folk e il Progressive Rock, infatti l’esperienza di Schnella lo porta
negli anni ad ascoltare un ampio spettro di musica, ne abbiamo avuto prova
negli album di cover “Live In Concert” (2017) “Pieces To Remember” (2018) e “Through
The Decades”.
Dieci nuove composizioni a iniziare da “Nur
Ein Spiel” brano cantato in lingua madre. E la storia si palesa immediatamente
avanti a noi grazie ai cori in classico stile Gentle Giant. La voce vigorosa di
Melanie è sempre gradevole, mentre ci sembra di ascoltare un brano acustico dei
Blind Guardian.
Ritorno
al classico inglese per “The Beast Is Lurking” dove ho parvenze sonore The
Ghatering, in cui l’incedere vivace e insistente conduce verso un Hard Prog
influenzato dal Folk, qui addirittura fa capolino una parte vocale in Growl. In “Solumate” si espongono strumenti a fiato,
violino, coralità, un ampio spettro sonoro che riempie la mente durante
l’ascolto, decisamente consigliato in cuffia.
Un
dolce arpeggio di chitarra inizia “Where’s My Name”, questo è il territorio
dove il duo sa dare il meglio di se, un mondo fatto di dolcezza e melodie in
una ballata curata e ricca di sentimento. A metà il brano si lancia in una
parte percussionistica accompagnata sempre dalla chitarra e dal whistle in cui
fanno capolino anche i primi Spock’s Beard, questo per chi dovesse conoscerli
approfonditamente. “Of Witches And A Pure Heart” è un movimento decisamente
Prog e anche il più lungo del disco grazie ai suoi quasi dieci minuti. Tanta la
carne al fuoco, ma non si brucia, l’alternanza dei ritmi garantiscono una
freschezza all’ascolto davvero scorrevole. Il fil rouge è comunque e sempre resta
il Folk. Martin Schnella si dimostra un bravissimo chitarrista e compositore,
ascoltare “Calypso” per entrare nel concetto. Qui l’andamento si dimostra
“Metallico” malgrado non siano presenti le classiche chitarre distorte. “Red Beard”
procede il cammino sulla stessa lunghezza d’onda mentre con “Ein Stummer Schrei”
e “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen) ” si ritorna al cantato in lingua
madre. “Ein Stummer Schrei” ha un intro di matrice classicheggiante, una
ballata che sfocia in un assolo di chitarra elettrica dall’ampio respiro,
sempre dall’impatto emotivo elevato. “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen)
” è un'altra mini suite di nove minuti in cui l’andamento ripercorre le orme
del suo precessore. Bellissima “Wholeheartedly” che chiude l’ascolto con voci a
cappella come nell’inizio, una composizione di Melanie che sembra provenire da
un tradizionale.
“Invoke
The Ghosts “ è quindi un disco curato in ogni particolare, la bellezza della
musica risiede anche nella propria totalità, dall’abito al corpo passando
direttamente attraverso l’anima, se a tutto questo si aggiungono esperienza e
cultura allora il risultato positivo è garantito. Molto consigliato, ma molto,
molto. MS
Sammary
SAMMARY
– Monochrome
Progressive
Promotion Records
Genere:
Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022
Mi
sono reso conto con il passare degli anni di essere un critico musicale
anomalo, un onnivoro vorace ma che allo stesso tempo sa scegliere cosa
mangiare. Non mi sono fermato con il gusto a un cibo in particolare, ho amato
sempre ogni periodo del Rock. Certo che se vogliamo dire qual è stato il
momento migliore per idee e fertilità con certezza trattasi dello spicchio decennale
che va dal 1965 al 1975, ma a seguire c’è stato sempre un qualcosa di buono, d’innovativo.
L’evoluzione va avanti anche senza di noi, è nella natura delle cose. La musica
rappresenta sempre la società del momento, insomma se ne potrebbero dire davvero
tante al riguardo, ma lasciatemi affermare che oggi amo da morire il Post Prog
Moderno. Per capire dettagliatamente cosa è il Post Prog Moderno vi rimando fra
pochi mesi in libreria perché ne ho scritta la storia, intanto per abbreviare
il concetto vi dico che è un paletto che mette le distanze fra il Progressive
Rock degli anni ’70 e quello attuale, maggiormente psichedelico a tratti etereo
e in altri metallico. Questa frantumazione definitiva del Classic Prog parte
dai Radiohead e di cose ne sono successe dopo gli anni ’90.
I
Sammary sono figli di questi tempi, sound moderno alla Pure Reason Revolution,
Anathema e Within Temptation ma con influenze del passato con echi di Pink Floyd,
Abba e molto altro ancora.
Sammary
è il progetto del polistrumentista e cantautore Sammy Wahlandt in collaborazione
con la cantante Stella Inderwiesen. Assieme a loro Marie Stenger (voce),
Larissa Pipertizis (voce) ed Elena Pitsikaki (Kanun). “Monochrome” è il debutto
discografico che si apre con la psichedelia di “ Black And White”, un crescendo
roboante di suoni e sensazioni oniriche che fanno da preludio a “Soft”. Qui il
Metal aggredisce l’ascoltatore sino al sopraggiungere della voce di Stella che
fa da paciere. Aperture spaziali fanno del ritornello un punto di forza. Molti
i cambi d’umore che sono anche questi parte del DNA del genere, altrimenti il
termine Prog non avrebbe qui il senso di esistere. Un piano a effetto apre
“218”, l’artwork che accompagna il disco ben rappresenta le atmosfere eseguite,
un velo di grigia malinconia aleggia sempre sopra di ogni nota. Il suono duro
delle chitarre qui è semplicemente una parentesi d’accompagnamento. Le tastiere
che occupano il posto degli archi ben supportano l’incedere sonoro. Sentita l’interpretazione
della giovane Stella durante la ballata “A Kiss Without A Meaning”, un altro
motivo in cui l’apertura a metà brano porta a volare alto con la fantasia.
Massiccia “219”, tuttavia maggiormente vicina alla classica formula canzone.
Elettronica fa capolino all’inizio di “Sweet Affliction”, qui sento anche
influenze anni ’80 derivanti dalla New Wave, il tutto rivisitato in chiave
decisamente moderna. Ancora una volta la voce è protagonista.
Arpeggi
di chitarra per “Open”, un motivo di riflessione e di ascolto a occhi chiusi
che lasciano soltanto successivamente strada ad aperture sempre dall’ampio
spettro. Territorio Anathema? In alcuni casi si. “220” è lieve, ancora una
volta dipinge una tela dallo sfondo grigio ma questa volta a pastello. Bene “Killing
Another Person”, gradevole canzone di facile assimilazione. Ancora elettronica
per “Monochrome” che potremmo definire il suggello del disco poiché “Epilogue”
non è altro che un breve strumentale di tastiere a concludere.
Ragazzi,
questo è Post Progressive Moderno, come detto ne sentiremo parlare più
approfonditamente nel tempo, intanto complimenti al progetto Sammary, adatto a
un pubblico che non disdegna il sound Metal con annesse dolci melodie e una
voce sopra le righe. MS
sabato 7 maggio 2022
Anims
ANIMS
– God Is A Witness
Burning
Music / Atomic Stuff / Sneakout Records
Genere:
Hard Rock
Supporto:
cd – 2021
Esistono
stereotipi che sono radicati nel tempo, ma non sempre hanno giusta causa. Molti
sono i casi in cui vengono scambiati per “l’eccezione che conferma la regola”,
questo è un superficiale errore. Nella musica ne incontriamo a centinaia, ad
esempio si dice che l’Hard Rock è un genere per un pubblico di sballati, o
perlomeno di personaggi poco raccomandabili, grezzi e chissà quanti altri aggettivi
si saranno letti negli anni in ogni dove. Vogliamo poi aggiungere che il genere
in teoria dalla nascita avrebbe dovuto avere i mesi contati? Nulla di più
sbagliato, da Hendrix a oggi l’Hard Rock è vivo e vegeto anche qui in Italia e
non ci crederete mai, ma c’è chi lo suona anche con classe ed eleganza.
Vi
dimostro uno di questi casi, e non poteva che essere un disco composto e
suonato da un veterano con spalle un’esperienza invidiabile: Francesco Di
Nicola. Il chitarrista bolognese degli storici Danger Zone e Crying Steel si
cimenta in questo nuovo progetto intitolato Anims, con lui suonano Elio Caia
(basso), Diego Emiliani (batteria), e al microfono la cantante Elle Noi. Luca
Bonzagni sempre dei Crying Steel ha contribuito inizialmente alla stesura
dell’album nelle parti vocali, ma per motivi personali ha dovuto abbandonare la
causa.
I
dieci brani contenuti nell’album in realtà sono editi e autoprodotti in digitale
già nell’agosto del 2021, solo oggi grazie al buon fiuto della Burning Music li
possiamo godere oggi anche in versione ottica in formato CD.
La
title track che apre anche il disco dimostra tutta la competenza e la cultura
della band al riguardo, ritagliando alla voce un ruolo non proprio
convenzionale per l’Hard Rock, si denota una certa ricerca nell’esibizione. “God
Is A Witness” è dunque un granitico mid tempo dove la ritmica risulta rodata e
precisa, mentre il motivo potrebbe far venire alla mente un nome importante:
Saxon. Scivolano le chitarre nell’intro di “Freedom” preparando il terreno a un
classico dell’Hard Rock, dove la buona melodia s’immette nella distorsione che
fa da sfondo alla voce di Elle, solo a tratti spezzata da veloci e brevi assolo
di Francesco. In “Around Me” tanta storia e sensualità mentre “Live For
Somebody” all’inizio avvolge con il suo arpeggio iniziale e la voce sostenuta.
Le atmosfere si fanno più dense e ricercate, un brano davvero intrigante fra i
miei preferiti dell’intero album. Si ritorna a ruggire attraverso “Boring
Lovers”, uno dei movimenti più veloci dove la semplicità la fa da padrona,
anche grazie a rullate esibite con maestria e sicurezza. La bellezza della voce
di Elle risiede nella volontà di non strafare, anche se a tratti si permette di
scalare buone vette. “Bright Eyes” ha un titolo importante e si dimostra un
altro classico del genere. “Look Who’s Back” lancia ancora la chitarra in
funambolici passaggi sempre in un contesto classico del genere. Mi piace la
ricerca ritmica di “The Dangers”, un motivo articolato ma molto melodico, quasi
Hard Prog. “He Says” mette in cattedra le capacità balistiche della band, una
vetrina dell’esperienza citata, altro frangente elevato del disco. “Like
Colours Of Flowers” ha l’onere di concludere con vigore e pesantezza.
Nulla
di trascendentale, “God Is A Witness” non ha nessuna pretesa di cambiare chissà
quali regole, piuttosto bada al sodo attraverso buone canzoni registrate con
professionalità da professionisti veri dello strumento e del genere, di questi
tempi credetemi è cosa ben rara. Gli Anims ci lasciano un debutto piacevole da
cantare con loro e godere, perché no, anche nello stereo della macchina in un
bel viaggio sull’autostrada, musica per ogni palato e per ogni luogo. Immagino
sicuramente coinvolgenti in sede live. Godi popolo. MS
venerdì 6 maggio 2022
Project: Patchwork
PROJECT:
PATCHWORK – Ultima Ratio
Progressive
Promotion Records
Distribuzione: G. T. Music
Genere: Progressive Rock/Metal
Supporto: cd – 2022
Negli
anni abbiamo imparato ad apprezzare la musica Progressive Rock proveniente
dalla Germania. La nazione è sempre stata storicamente vivace nell’ambito,
molte le band che hanno dato il proprio contributo alla causa iniziando proprio
dagli anni ’70. Vogliamo poi parlare del Krautrock? Anche nei tempi moderni le
realizzazioni si susseguono con intensità e qualità, soprattutto in un
rispettoso equilibrio fra passato e presente. Chi ad esempio non dovesse
conoscere gruppi come Seven Steps To The Green Door, Flaming Row, RPWL solo per
fare tre nomi a caso, potrebbero dare loro un ascolto.
Uno
degli esponenti più interessanti del circuito Prog tedesco è sicuramente Gerd
Albers (Groovefabrik), polistrumentista amante delle grandi collaborazioni
autore del fortunato Project: Patchwork. Come accade per Arjen Lucassen negli
Ayreon, anche per Albers la lista dei partecipanti che ruotano di volta in
volta attorno alla musica è davvero nutrita. In questo terzo album in studio
intitolato “Ultima Ratio” questi sono i nomi di alcuni dei partecipanti alle
strumentazioni: Lars Köhler (voce), Arno Menses (voce), Miriam Kraft (voce),
Olaf Kobbe (voce), Anne Trautmann (voce),
Jean Pageau (voce, flauto), Matthias Bangert (basso), Johannes Pott (batteria),
Marek Arnold (tastiere), Daniel Eggenberger (tastiere), Volker Wichmann (tastiere),
Ben Azar (chitarre), Peter Koll (chitarra), Martin Schnella (chitarre), e Marco
Wriedt (chitarre).
Il
libretto interno che accompagna il formato cd dell’edizione cartonata, oramai caratteristica
della Progressive Promotion Records, include un’interessante e approfondita
descrizione del tema sulla pandemia che stiamo vivendo in questo periodo.
L’artista non vuole dare regole precise o dettare sentenze categoriche, bensì intende
narrare le effettive difficoltà in cui la società è caduta nel corso di queste restrizioni, che ci hanno privato di
molte attività quotidiane. La vita che stiamo vivendo è quindi esaminata in
questo corposo artwork. Nove le tracce a iniziare dall’immancabile intro qui
intitolato “Ultima Ratio Pt.1 – Prologue”. L’imponenza delle tastiere presenta
al meglio il genere Progressive Rock e precisamente quello sinfonico, lo
strumentale ha un fascino tipicamente moderno, infarcito solamente in maniera
misurata dalle chitarre Heavy. La batteria con ogni rullata evidenzia i passaggi che soltanto alla fine
lasciano spazio alle chitarre acustiche, ed è la volta di “New Normality”,
legata all’intro e cantata in inglese. Qui è trattata la “nuova” normalità
quotidiana, mentre la musica è un mix fra Ayreon e Porcupine Tree, questo per
gli amanti dei suddetti gruppi. La
canzone è strutturata sia per la formula canzone classica che per l’immancabile
cambio di ritmo come esige il Progressive Rock. “Weeks Of Sorrow” è il brano
più diretto dell’intero album con un ritornello interessante e un andamento
tipicamente variegato, molti i deja vu durante l’ascolto e il riff che lo
accompagna è davvero indovinato. Atmosfere graffianti si alternano a frangenti maggiormente
pacati e il risultato è davvero di appagamento. Ancora una volta attaccata come
in una suite giunge “Code Red” aperta dalla bella voce di Miriam Kraft, una
semi ballata dal sapore Folk fra le mie preferite di “Ultima Ratio”. Due minuti
e mezzo di chitarre acustiche ed elettriche in “Hope”, composizione che lascia
spazio a voli pindarici in cielo aperto, quando la musica riesce alla perfezione
a sostituire le parole, questo è il risultato. Terminato il movimento parte
immediatamente “Dead-End Street”, tanta materia all’interno, vibrazioni
elettriche, enfasi e armonie delicate compongono il DNA del pezzo. “Depressed
Sentiments” è nomen omen e gioca molto su gradevoli coralità, mentre è presente
anche una mini suite intitolata “Keepers Of The Fire della durata di quasi
tredici minuti. Tutte le capacità compositive di Albers si evidenziano nel
corso del brano, anche la cultura musicale che palesa un attento ascolto negli
anni di buona musica. Il disco come si è aperto si chiude con “Ultima Ratio
Pt.II – Epilogue” e l’opera è conclusa.
Vorrei
terminare questa recensione con una analisi dell’ultimo periodo musicale nel
quale ci siamo immersi, la qualità si è elevata a tutti i livelli e generi. La
pandemia ha forse dato la possibilità agli artisti di sedersi e riflettere
maggiormente lasciando così spazio alla fantasia e alla voglia di esternare
tutto il loro essere, Project: Patchwork non esula da questo mio pensiero.
Un'altra chiave di lettura potrebbe essere che abbiamo avuto anche più tempo
per tutti noi di ascoltare, leggere, informarci, tutto questo grazie ad
internet che riporta il mondo in casa, facendo si che la contaminazione e la
cultura aumenti l’asta della cultura personale.
“Ultima
Ratio” è un bel disco, registrato a dovere, un ulteriore finestra sul
Progressive Rock che sta mutando nella normale evoluzione delle cose, così come
deve essere ma sempre con il rispetto del passato. MS
venerdì 29 aprile 2022
Massimo Dellanilla
MASSIMO DELLANILLA – Riso, Pianto E
Disincanto
Uroboro Records
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2022

Come
dice il famoso detto, “Non c’è due senza tre”. Il cantautore gabianese Massimo
Gabanetti, in arte Dellanilla, ritorna dopo il doppio cd “Sottosopra” dell’anno
2020. Lo ritroviamo ancora immerso nel cantautorato, quello che oggi è sempre
più difficile incontrare, ma che negli anni ’70 ha spopolato in ogni dove. La
musica acustica, fatta con garbo e con la chitarra protagonista, era quella che
ti faceva passare serate con gli amici a cantare avanti una tavola, in una
spiaggia o avanti ad un buon bicchiere di vino. Spesso faceva riflettere, non
soltanto cantare e in alcuni casi diveniva addirittura “musica impegnata”. Ne
abbiamo conosciuti molti di cantautori al riguardo, due nomi su tutti per farvi
un esempio sono Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè.
Dellanilla
si pone in una via di mezzo, fra impegno e disimpegno, ma i testi proposti
nelle canzoni hanno sempre una storia da raccontare. In “Riso, Pianto E
Disincanto” l’autore dei brani si diverte a collezionare una serie di ritratti,
con racconti di diversi personaggi che spesso fanno da trampolino a
considerazioni di livello generale o a metafore.
Il
disco è accompagnato da un’edizione cartonata con la copertina rappresentante
un volto dipinto ad acquarello per opera di Gianantonio Gennari. Con Dellanilla
suonano Renato Podestà (chitarre, mandolino, banjo, piano, percusssioni e cori),
Davide Mariotti (chitarra in “Susy”, “Epitaffio”, “Intro” e “Coda”), Cek
Franceschetti (chitarra resofonica e cori in “Amalia”) e Fabrizio Baselli (tromba
e trombino). Le canzoni contenute nell’album sono quattordici, e il singolo
estratto di cui viene girato anche il video s’intitola “Susy”.
Il
cammino da intraprendere passa attraverso il “Preludio”, strumentale di un
minuto che fa da apripista a “Balla Willy”. Divertente, su un ritmo salterello
racconta la storia di questo personaggio che mette allegria mentre balla.
Immaginate di prendere la musica di Stefano Rosso e miscelarla con le canzoni
più allegre di Faber. “Ester” è una ballata malinconica con un testo che s’interseca
con la poesia dove l’uso della parola è ragionato, immaginifico, vera e propria
fotografia del racconto in questione. “Passi” ha l’incedere dello chansonnier,
lo stile ricalca perfettamente le orme dei Modena City Ramblers nella loro
famosa “I Cento Passi”. Con “Nora” un balzo fra il Rock e il Country, l’andatura
del ritmo e la metrica lirica può anche ricondurre verso il cantautorato di
quel gigante di nome Ivan Graziani. La tromba in alcune canzoni ha l’incarico
di far tornare l’ascoltatore indietro nel tempo, così accade in “Lisa”, altra
storia di una donna questa volta dalle sensazioni sonore anni ’30. Dopo la
breve “Baffofulvo” giunge “Amara” ad alzare il ritmo e diverte in un'altra
ballata dalle origini francesi. I testi sono contrari alla musica, ficcanti,
duri, e ancora una volta riflessivi. Il nome di donna questa volta è quello di
“Susy”, brano principale dell’album, dove Dellanilla mette davvero dentro tutta
la propria anima.
Ancora
trombe ad accompagnare la storia di “Amalia” e il ritorno del Rock alla
Graziani, un connubio particolare che fanno della musica di Dellanilla un
genere comunque di personalità. Una sorta di “Monna Lisa” acustica e retrò.
Buono anche l’uso delle coralità, arrangiamenti in cattedra e per chi vi scrive
questo episodio resta fra i migliori dell’intero album. Intensità in
“Manichino”, un quadro sonoro ricco di colori che tuttavia tendono tutti verso
il grigio. “Epitaffio” ha davvero molti deja vù e il disco si conclude con la
breve “Coda” dove una slide accarezza l’ascoltatore e lo rimanda indietro
ancora una volta agli anni ’70.
Oggi
il cantautore è un artista da preservare come l’oro. Sempre più raro, è lui che
impreziosisce la nostra musica, la cultura, quella che ci ha fatto crescere
attraverso ascolti e ragionamenti. Il testimone dagli anni ’70 a oggi è passato
attraverso diverse mani, una di queste è di Massimo Dellanilla. MS

lunedì 25 aprile 2022
G - Delic
G-DELIC – Magish
Autoproduzione
Genere: Space Rock – Psichedelia
Supporto: digital - 2022
Personalmente
nutro una grande debolezza per la psichedelia in senso generale, sia quella
derivativa dal sound Pink Floyd, sia quella cosmica o trascinante degli Hawkwind,
ma chi nella mia formazione culturale ha tracciato un solco indelebile nei
primi anni ’90 sono stati i Porcupine Tree del prolifico Steven Wilson e chi mi
conosce bene questo, lo sa. Qui mi si è aperto un altro mondo, buone melodie
associate a riff ipnotici, battenti oltre che eterei.
Vengo a
conoscenza in Italia di una band che a sua volta mi colpisce in tal senso, si
chiama No Sound, con Giancarlo Erra nella cabina di pilotaggio. A tal riguardo nel
tempo riesco a trovare realtà che altrettanto m’intrigano, come ad esempio i Metronhomme
o gli Aldi Dallo Spazio e in cattedra i Karmamoi di Daniele Giovannoni, insomma
il genere è vivo, anche se poi non molto frequentato da tantissimi fans. C’, è
anche un’altra band che stupisce per inventiva e genialità, questa si chiama
Pelikan Milk, spesso recensita anche dal sottoscritto, è la band di Alex
Savelli. Savelli è un nostro genio, sempre disposto a sfornare soluzioni differenti,
un onnivoro musicale che spazia dal Jazz al cantautorato passando anche per la
psichedelia e il Prog. In alcune delle sue registrazioni si trova al suo fianco
il polistrumentista Gabriele Tosti, in arte G-Delic e proprio di lui che vado a
parlare.
Con “Magish”
il musicista romano è al secondo album in studio dopo “G-Delic In Space”
dell’ormai lontano 2007. Il disco composto da otto movimenti è registrato al Planet
Utopia Studio e nel percorso sonoro possiamo anche ascoltare la voce della
special guest Eleonora Tosti, precisamente nel brano “Shazir”. L’artwork anche
lui molto intrigante è per opera di Elio Tosti e Mail Tosti per il design.
Già dalle
prime note di “Orirides” si decolla per un trip pindarico in cui
l’estraniazione dal mondo è facilmente attuabile. Mi vengono in mente gli Øresund
Space Collective e i Ozric Tentacles, a pieno titolo! Ancora più intensa e
ricercata è la nominata “Shazir” dove un ritmo insistente ci rende molto
difficoltosa la possibilità di restare fermi durante l’ascolto. Suoni dalla
cadenza arabeggiante sono sottolineati dalle coralità di Eleonora. Si ritorna
nello spazio con “Space Flower”, quasi un intro che si potrebbe anche ascoltare
nei primi album dei francesi Rockets negli anni ’80. Ovviamente nessuna
correlazione, la sottolineatura sta solamente a far intendere il tipo di sound.
La chitarra è protagonista. Ed ecco a seguire la title track, “Magish”, qui c’è
tutta l’anima e la cultura musicale di G-Delic, un andamento sornione che ti
accalappia e nuovamente ti esterna da questo mondo traslandoci direttamente in
un'altra dimensione. Se potete passarmi il termine, “Awan” risulta più
commerciale, grazie alla drum machine in evidenza (a tratti anche Dub) con un
insieme di soluzioni che tendono a far ballare. “Morning Trip” nel titolo ha la
soluzione, così come “In The Out And In”, questa volta però ci troviamo in
pieno territorio Pink Floyd primissimi anni ’70. Questa mini suite di quasi
dieci minuti non a caso è uno dei brani dell’album che più ho apprezzato.
Natura,
acqua, uccelli e suoni nella conclusiva “Peace Forest” dove una voce maschile
intona un canto quasi tribale per immergerci totalmente in questo contesto. La
chitarra è colei che traccia le melodie durante l’ascolto.
La
psichedelia di G-Delic è delicata e gentile, ha sempre una coccola sonora da
fare senza spingere troppo sull’acceleratore dell’ alienazione. Il merito di “
Magish” è proprio questo, il saper dosare saggiamente le sonorità a favore di
un coinvolgimento mentale e fisico appagante. Mind in flight. MS
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