Goodbye Kings
GOODBYE,
KINGS - The Cliche Of Falling Leaves
Overdrive
Records
Genere:
Post Rock – Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022
Dove
finiscono le parole, li inizia la musica. Ma che musica? Dipende da cosa si
vuole dire, l’argomento è di per se fondamentale. Le emozioni che scaturiscono
all’ascolto variano da soggetto a soggetto, c’è chi non ne vuole sapere troppe
e bada direttamente al sodo ascoltando canzoni facili da cantare o da ballare,
e chi invece dalla musica vuole sempre di più: lo stupore. Ecco… Lo stupore, il
sale della vita, ciò che ognuno di noi vive a modo proprio perché spesso si ha
paura dell’ignoto, questo è uno dei motivi per cui la musica di ricerca, quella
maggiormente sperimentale, non è sempre bene accetta o compresa.
I
milanesi Goodbye, Kings non fanno ostaggi, sono spietati e hanno una concezione
dell’arte davvero elevata. “The Cliche Of Falling Leaves” è il quarto lavoro in
studio senza contare il live autoprodotto “Musicolepsia Live”, dopo l’ottimo “A
Moon Daguerreotype” del 2019. Partono nel 2014 con “Au Cabaret Vert” e
replicano nel 2016 con “Vento (Argonauta Records), una discografia che va ad
attingere sia dal Post Rock sia nella psichedelia, in realtà mutano album dopo
album, proprio come un vero artista ama fare, ossia ricercare sempre nuove
soluzioni.
In
questo ultimo lavoro lo sforzo è davvero notevole, ben sedici musicisti s’immergono
in un'unica suite suddivisa in cinque parti e l’argomento sono le stagioni.
Fotografie sonore che impressionano la pellicola della mente attraverso fiati,
percussioni, tastiere e chi più ne ha più ne metta. Tanta l’oscurità che
aleggia fra le note spesso vicine anche alla musica da camera, e poi Jazz, psichedelia,
Prog, dove tutto sembra a tratti impalpabile come una fitta nebbia di notte.
“Part
1 – Autumn” è semplicemente un lungo loop sonoro che si staglia nella penombra
fresca della stagione dove le tastiere rimbombano a destra e a manca, in un
assoluto e lugubre passaggio nell’ignoto. “Part 2 – Winter” vede l’ingresso dei
fiati, tuba compresa, qui l’aria diventa leggermente più rarefatta, grazie
anche al lavoro della ritmica, piccoli squarci di sole raggiungono l’ambiente,
anche se una sensazione d’inquietudine insegue sempre. Un pianoforte sgocciola
note e lascia entrare la chitarra acustica nell’inizio di “Spring” che potrei
definire una speranza sonora in quanto maggiormente delicata quasi in stile
Ennio Morricone.
“Part
4 – Summer” ha folate roboanti di suoni che si alternano a momenti riflessivi e
alcuna rumoristica. Ma il piatto forte è la conclusiva suite “Part 5 – Autumn
Again…” dove il suono passa dal sussurrato al possente, un crescendo che
incolla l’ascoltatore sul divano.
Come
ho già avuto modo di dire, questa è musica che osa, un motivo per alzare il
volume perché le sensazioni forti devono travolgere, non sfiorare.
Posso
concludere dicendo che si è di fronte ad un affresco sonoro dalle tinte fosche,
un disco che squarcia lo stato d’animo senza se e senza ma. Consigliato solo a
chi dalla musica vuole di più. MS
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