IL CASTELLO DI ATLANTE - Sono Io Il Signore Delle Terre A Nord
Vinyl Magic
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 1992
Mi piace scegliere nella bella discografia della band di Vercelli, Il Castello Di Atlante, il disco d’esordio (senza considerare il singolo del 1983 “Semplice…Ma Non Troppo”), perché come in tutti questi casi, gli albori hanno un fascino davvero particolare. La band di Roberto Giordano si forma nel lontano 1974, proprio per questo le basi strutturali si ergono su influenze Genesis, Yes, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, ma anche sopra quel New Prog che ha riportato in auge il genere negli anni ‘80. La band è composta da Aldo Bergamini (alla chitarra), Massimo Di Lauro (al violino), Paolo Ferrarotti (alla batteria) e Dino Fiore (al basso), questi sono i "soci fondatori", mentre Roberto Giordano (alla tastiera) è nella band a partire dal 1982.
Il New Prog si presenta subito all’ascolto di “Tirando le Somme”, con quell’incedere Marillioniano era Fish, che piace per emotività e semplicità. Le tastiere inevitabilmente sono al centro dell’attenzione e non esulano cambi di tempo. La band si muove bene all’unisono e questo è il frutto delle serate passate a suonare dal vivo negli anni, memorabili le date fatte al Nord Italia con rappresentazioni anche visive e teatrali dei concerti. E’ inevitabile l’accostamento ad altre band nostrane dei tempi che furono, come Quella Vecchia Locanda, questo per l’uso del violino da parte di Massimo Di Lauro. Esso riesce ad impreziosire il suono e ben si districa assieme alle onnipresenti tastiere di Roberto. “La Foresta Dietro Il Mulino Di Jhoan” è un brano lungo e ricco di spunti Progressivi, dove la mente spazia fra i suoni dall’antico profumo e qui sono i Genesis a comparire più volte. “Il Saggio” con voce e violino in evidenza, attinge a piene mani nel vascone degli anni ’70, quelli però delle band nostrane. Soffice e delicata negli interventi di piano alla Nocenzi. Il ritmo sale stile PFM con “Semplice Ma Non Troppo”, divertente e solare, come tutta la nostrana mediterraneità. Il violino si diverte a scorrazzare in questo strumentale davvero energetico. Bello anche il lavoro al basso di Fiore.
L’atmosfera torna riflessiva in “Il Pozzo”, medievaleggiante stile Branduardi, il che non guasta, in quanto spezza l’ascolto, rendendo il disco più fruibile nell’insieme. Giochi di coralità in “Non C’è Tempo” e a me torna alla mente quella grande band degli anni ‘60/70 dal nome Giganti. “Estate” è un pezzo stupendo, quasi otto minuti di pianoforte dedicati agli animi sensibili, mentre “Il Vessillo Del Drago” chiude più che degnamente questo cd d’esordio.
Non mancano comunque pecche ed ingenuità, magari una produzione migliore avrebbe reso giustizia a questo album che non sfigura di certo in mezzo a molti altri classici del periodo anni ’90. Come dicevo all’inizio, il fascino dell’esordio è un qualcosa che si percepisce nell’aria, c’è una freschezza differente, quella data dall’amore per la musica, quando la si suona per il proprio piacere. Bravi davvero. (MS)
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