NONSOLO PROGROCK, blog di informazione musicale ed altro
a cura di MASSIMO SALARI
Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica
martedì 4 aprile 2023
Great Wide Nothing
GREAT
WIDE NOTHING - Hymns For Hungry Spirits, Vol. II Autoproduzione Genere: Neo Prog Supporto: Bandcamp – Spotify – 2023
L’America
si è subito inserita nel mondo del Progressive Rock proposto dall’Inghilterra
negli anni ‘70, ne ha studiate le fasi e assimilato il succo per poi proporre a
sua volta band davvero interessanti. Già nei tempi più recenti basta nominare
gli Echolyn, oppure i Spock’s Beard di Neal Morse, Discipline, Moon Letters, ma
la lista è davvero lunga e a chi vuole documentarsi al riguardo consiglio la
visione del sito https://www.progarchives.com/
. La
grande America tuttavia si distingue dalle sonorità più complesse e ricercate
degli europei, sa bene come in ogni cosa il guadagno è in vetta all’interesse
del cittadino, ma se negli anni ’70 la ricerca e l’inventiva sono state
rispettate, con lo scadere della moda Prog l’americano ha pensato più al
profitto. Ciò non significa sminuire una musica, ma renderla più orecchiabile e
alla portata di un pubblico più ampio. In questi ultimi anni l’America ha
proposto tante validissime band, una ad esempio è capitanata da Daniel Graham (basso,
voci) e si chiama Great Wide Nothing di Atlanta. Con lui suonano Dylan Porper (tastiere)
e Jeff Matthews (batteria). Un altro
grande pregio che ha l’America (sempre in senso generale intendiamoci) è quello
di curare attentamente le produzioni a livello tecnico e di registrazione,
tanto che anche le autoproduzioni spesso raggiungono risultati più che
professionali, come nel caso del terzo disco dei Great Wide Nothing. La qualità
sonora è ottima, e le prerogative per fare bene i ragazzi in esame le hanno
tutte, compresa un’ampia cultura sulla musica soprattutto degli anni ’80 i
quali fuoriescono spesso attraverso band come Marillion, The Cure, e del buon
Hard Rock come hanno saputo fare gli Spock’s Beard stessi, ma quelli degli
esordi. Non esulano gli anni ’70 con i classici richiami ai Pink Floyd,
EL&P, Deep Purple, Uriah Heep, insomma avete capito che sto parlando di una
vera e propria centrifuga musicale. Come
il titolo del disco lascia intuire, qui siamo al cospetto di una seconda parte,
infatti, nel 2020 il trio propone “Hymns For Hungry Spirits, Vol. I” e
raccoglie un discreto consenso da parte di pubblico e critica anche se con
riserva e alcune perplessità da parte di alcuni critici. Dopo quasi tre anni
ecco la seconda parte composta di cinque brani tra cui una suite di venti
minuti. L’album si apre subito con l’esplosiva “Blind Eye To A Burning House”
quasi sette minuti di vetrina per le capacità tecniche dei componenti che
mettono subito le cose in chiaro, sembrano volerci dire “Noi sappiamo suonare”.
Buoni gli arrangiamenti e il lavoro del piano su una robusta ritmica ben
curata. Gli anni ’80 sono presenti, anche inserti di AOR, ma la carta vincente
del brano è ovviamente il ritornello ruffiano e per questo, a chi ispirarsi per
essere più orecchiabili possibile? Ovviamente ai Beatles. Un inizio con i
fiocchi che passa la staffetta a “The Portal And The Precipice” con l’Hammond
che ruggisce in modalità Uriah Heep e Deep Purple. S’intuisce molto il
divertimento che provano i musicisti a suonare questo tipo di musica e si sa
che il divertimento diventa contagioso all’ascolto condiviso. “Viper” si apre
con il pianoforte e poi si evolve fino a diventare un mix fra Supertramp e King
Crimson, di certo ai Great Wide Nothing la fantasia non manca. Ancora ritmo
sostenuto e arie allegre in “Inheritor”, e siamo sempre li, negli anni ’80 con
The Cure come riferimento, per fortuna Daniel Graham ha anche personalità,
tanto da stravolgere certe regole e plasmare un prodotto finale davvero
gradevole. Per il Prog fans il gioiellino del disco s’intitola “To Find The
Light, Part Two” non tanto perché suite, ma per l’insieme degli elementi che lo
compongono, sempre con lo sguardo attento per le buone melodie. Con “Hymns For Hungry Spirits, Vol. II”
i Great Wide Nothing compiono a mio avviso un notevole passo in avanti rispetto
i precedenti lavori, i ragazzi sembrano scrollarsi di dosso la paura di suonare
materiale Prog e lo fanno dando un calcio a certi stilemi, quindi miscelando
(per alcuni sicuramente con sacrilegio) il passato con il presente. Avanti per la
vostra strada ragazzi, così piacete anche a me. MS
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