ALAN MORSE - Four O’Clock And Hysterya
Insideout
Genere:Guitar-Prog
Supporto: cd 2007
Se il New Progressive contemporaneo ha fatto per l’ennesima volta rialzare il capo ad un genere apparentemente morto, lo dobbiamo soprattutto a gruppi svedesi come Anglagard, Anekdoten e Landberk tanto per fare alcuni nomi, mentre dall’altra parte dell’oceano il merito spetta ai Spock’s Beard dei fratelli Morse. Neal, cantante e polistrumentista della band sappiamo bene il corso che ha intrapreso, abbandonando la band per una dignitosa carriera solista con tanto di devozione per il cristianesimo. Alan invece resta con i suoi compagni d’avventura Dave Meros (basso), Nick D’Virgilio (batteria) e Ryo Okumoto (tastiere).
In questa prima avventura da solista gli Spock’s Beard sono tutti al suo fianco, compreso il fratello alle tastiere, quasi a volerlo lanciare al meglio.
Mentre Neal ci ha abituati a canti logorroici, al contrario Alan tace, ma fa cantare le sue mani. In alcuni frangenti sembra quasi di essere ritornati dieci anni addietro, quando il gruppo faceva gridare al miracolo, oggi questi cambi di tempo e d’umore non stupiscono più, ma hanno intatto il loro fascino. Il ritornello di “Return To Whatever” è l’emblema dello stile Spock’s Beard. Alan si diverte a lanciarsi in veloci esercizi per le dita, ma anche in melodie accattivanti e ben pensate, come nella graziosa “Drive In Shuttle” che ricorda “Devil’s Got My Throat” tratta dal fortunato doppio “Snow”.
Il disco trasmette allegria, Alan è un personaggio positivo e sa ben dosare tecnica con cuore. Ci sono momenti davvero di grande Rock misto a Blues, come in “R Bluz” e nella sofisticata e toccante “First Funk”. A differenza della maggioranza di dischi Progressive, “Four O’ Clock And Hysteria” non contiene suite e se vogliamo esula in parecchi particolari dalla maggioranza dei prodotti del caso.
Al basso compare Gary Lunn e alla batteria Scott Willianson, mentre l’intervento con il violino elettrico è affidato alle mani di Jerry Godman. Il lato più duro (ma non troppo) di Alan è descritto nell’elettrica “The Rite Of Left”, mentre “Chroma” ci espone nuove sonorità, per paragonarle alle nostrane diremmo alla Perigeo. Davvero emozionante la conclusiva “Home”.
Questo lavoro solista è più che onesto, un disco di vera musica senza troppi orpelli, chitarristico ed immediato, dove i sentimenti si intrecciano come in una scaletta DNA con la tecnica.
Non c’è niente da fare, la famiglia Morse è veramente toccata da un talento fuori dal comune, lunga vita ai Morse! Amanti della chitarra, mano al portafoglio.
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