THE
FORTY DAYS – The Colour Of Change
Lizard
Records
Genere:
Progressive Rock
Supporto:
cd – 2017
Vedere
oggi in Italia un numero crescente di
giovani musicisti che formano band di musica Progressive Rock fa veramente
piacere. Nuova linfa, freschezza e idee.
I
The Forty Days sono toscani (Pisa/Livorno) e nascono come cover band Rock di
gruppi anni ’70. Fra le loro influenze ci sono Pink Floyd, King Crimson, Supertramp, Led Zeppelin, ma
anche gruppi più recenti come Porcupine Tree e quindi Steven Wilson, Marillion ed
altri ancora.
Il
nome The Forty Days deriva dal fatto che tra la prima prova ed il primo live sono
intercorsi circa 40 giorni. La band nel tempo è soggetta a cambiamenti di line
up, sino a giungere oggi alla formazione con Giancarlo Padula alla voce e
tastiere, Dario Vignale chitarra e voci,
Massimo Valloni al basso e Giorgio Morreale alla batteria. “The Colour Of
Change” si può considerare un concept album pur non avendo un vero filo
conduttore narrativo, perchè racconta un certo periodo della vita attraverso
molteplici punti di vista. Le canzoni vengono concepite nel corso degli anni
2015 e 2016.
Sette
i brani contenuti nel disco accompagnato da un libretto dettagliato di testi
(il cantato è in lingua inglese) disegnato da Giancarlo Padula, con l’artwork
di Matteo Di Giacomo e le foto di Laura Messina.
Essendo
i Pink Floyd nel loro background, il disco non si poteva che aprire con un
tappeto sonoro mix fra “Shine On You Crazy Diamond” e “Sorrow”, il titolo è “Looking
For A Change”. Ma ovviamente trattasi solamente dell’intro, il brano si svolge
in successione fra cambi di tempo ed umore, anche con un piccolo balzello nel
Neo Prog di matrice anni ’80. Davvero godibile il tutto in quanto spezzato
anche da un solo di chitarra, seppure breve ed incisivo. La voce è grintosa ed
ottima interprete.
Godibilissima
la strumentale “Uneasy Dream”, qui le tastiere giocano un ruolo centrale fra
fraseggi e rincorse con la chitarra elettrica. In questo frangente si
esibiscono anche le buone doti tecniche dei singoli strumentisti. Un arpeggio
di chitarra apre la bellissima “The Garden”, le atmosfere si fanno pacate ed il
cantato è inizialmente più sussurrato, un mix di influenze che danno come
risultato una canzone di classe e toccante, i The Forty Days puntano
direttamente al cuore dell’ascoltatore. Trovo affinità anche con i tedeschi
RPWL per chi li conosce. Personalmente poi i solo di chitarra così mi mettono
ko. “Homeless” è quasi una suite con i suoi nove minuti abbondanti, la canzone
più lunga dell’album. Ebbene qui troviamo un mix dei loro punti di riferimento
sopra citati e ancora una volta molta enfasi e fughe strumentali.
Altro
piccolo gioiello è “John’s Pool”, pacato all’inizio per lanciarsi nel crescendo
emotivo e sonoro sempre di grande presa, assolo di chitarra annesso. Il piano
apre “Restart”, altro volo pindarico con richiami Pink Floyd e Marillion.
Finale stupendo che potrebbe trovare locazione anche nella discografia dei
norvegesi Airbag. Il discorso è analogo per la conclusiva “Four Years In A
While”.
Trattasi
di debutto, e la cosa quindi diventa ancora più interessante, in quanto ci si
attende anche una ulteriore crescita e visto quanto abbiamo ascoltato, le
premesse sono tutte buone. Bel periodo, il Progressive Rock italiano può dormire
sonni tranquilli. Bravi. MS
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