Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

giovedì 31 gennaio 2019

Presentazione libro e premio Macchina da Scrivere 2018 di Salari Massimo


PRESENTAZIONE LIBRO Rock Progressivo Italiano 1980 - 2013 e Premio Macchina Da Scrivere 2018.


Sabato 2 Febbraio alle ore 18.00 presso la libreria Pandora di Fabriano (AN)Il critico/storico musicale MASSIMO "MAX" SALARI, autore del libro ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013, vincitore del premio Macchina Da Scrivere 2018 per la categoria "Migliore enciclopedia dell'anno", parlerà oltre che del suo libro, del Rock e della musica in generale con brevi esempi sonori. Dove sta andando oggi la musica, come si è evoluta, e resterà a disposizione per qualsiasi vostra curiosità.


Per info. 0732-771200



Libreria Pandora Fabriano www.antichilibrionline.com
Via Giuseppe Verdi, 3, 60044 Fabriano


sabato 26 gennaio 2019

Gianni Venturi


GIANNI VENTURI – Mantra Informatico (Of Voice And Men)
M.P. & Records / G.T. Music Distribution
Genere: Sperimentale
Supporto: cd – 2018



L’universo Venturi è un universo di poesie, suoni, riflessioni, constatazioni, grida, ricerca…
L’universo di Venturi è oggettivamente pericoloso perché fa pensare.
L’universo di Venturi è in fase di continua espansione, come la materia che compone il tutto, quindi in perfetta sintonia con le cose.
Venturi è un narratore dei tempi, senza filtro, acido, duro, consapevole e diretto. Negli anni ho imparato ad ascoltarlo e ad apprezzarlo in tutti i suoi progetti, dai primordiali Altare Thotemico a Vuoto Pneumatico, Moloch, il risultato è sempre poesia e riflessione. Nella fine del 2018 apre la collaborazione con Vannuccio Zanella ed approda nella prestigiosa ed attenta G.T. Music. Il risultato è “Mantra Informatico (Of Voice And Men)”, composto da tredici tasselli sonori. Assieme a Gianni c’è il fido ed immancabile fratello Valerio Venturi al basso, mentre il fonico programmatore di ritmiche ed arrangiamenti è Daniele Bagnoli. Il libretto che accompagna il cd contiene foto e testi ed è ad opera di Alessandro Corona.
Le riflessioni nei confronti della società iniziano immediatamente su un ritmo spezzato in “Distonia”, fra sussurri e grida. Il sunto è una sentenza glaciale, “Nulla sono, nulla sarò”. Giochi e ricerca vocale accompagnano tutti i brani, anche “Isole” in cui si parla di stranieri, il vagabondare nel nostro stesso mondo, significativo lo stralcio “Ora vago con gambe molli alla ricerca dell’infelicità sconosciuta…”.
Non sfugge alle analisi di Venturi neppure il mondo  dell’informazione, argomento principe ed ispiratore dell’album, quel “Mantra Informatico” che ci mette avanti ad un mondo nudo e freddo, dove un clic basta per far sparire una notizia che non ci piace, “E tutto si acquieta”.
“Plastica Lucente” è una vera poesia che oserei definire in maniera blasfema “giornalistica”, in essa fotografie di parole e situazioni. Il ritmo qui si fa pulsante, tuttavia la musica non è mai protagonista nelle opere di Venturi, ma un necessario pennarello evidenziatore.
Il concetto sullo straniero si fa ancor più rilevante in “Straniero Ovunque”, mentre la melodia si piega al volere delle parole.
A sottolineare il pensiero “Nulla sono, nulla sarò” giunge il brano “Assenza” dove l’autore si sente “La pietra lapidaria non angolare, nel muto dialogare”. Una visione pessimistica della vita societaria che molto spesso sa di inesorabile sentenza. Eppure nella poesia di Venturi c’è anche spazio all’amore, ma un amore ponderato, raccontato in maniera dettagliata per sensazioni ataviche che raccontano di noi. Il velo di tristezza e crudezza è sempre posato sulle parole. “Dolore Antico” spiega.
Chiuso in un bozzolo inossidabile, Venturi cerca di proteggersi dalla massa di cervelli spenti che vede attorno a se, uomini grigi “che sembrano umani in divenire” ed aggiunge: “ La massa mi spaventa”, il “Nulla”.
Non la passa liscia neppure la politica delle banche, ci pensa “Pensiero Portante”. Si torna a parlare d’amore in  “Dimmi Che Mi Ami”, “Fa che duri la notte, reagisci colpo su colpo” perché si ha bisogno di amare, in uno sfogo che comunque naviga nel dolore.
Si analizza il razzismo in “La Visione Di Leonardo!”, traccia più dura dell’intero “Mantra Informatico”, qui Venturi va a briglia sciolta, arrabbiato e duro come non mai. Ce n’è per tutti!
Il frangente più sperimentale del disco è “Iside”, poesia ed elettronica, un connubio fra passato e presente davvero coinvolgente e toccante (ma anche destabilizzante).
L’album si chiude con “Mother”, voce/fonetica e ritmica in una sorta di world riveduta e corretta. Nel brano sono ospiti Lucien Moreau (voce), Debora Longini (elettronica) ed Emiliano Vemizzi (sax).
So bene che la musica serve per distrarsi, per sfogarsi, cantare, o ballare, ma c’è musica e musica, qui serve per riflettere. L’autore è un poeta del presente dal quale oramai, annosamente, non posso più fare a meno di attingere alla sua fonte, per capire in maniera distaccata dove stiamo andando e cosa stiamo facendo. La sua visione delle cose è pessimistica, ma se in realtà si vanno ad approfondire i concetti, non sono altro che cruda e sporca verità, piacciano o meno.
Che il pessimista sia un ottimista informato con esperienza? Ecco il “Mantra Informatico”.
Venturi, mi hai illuminato ancora una volta, grazie.  MS

giovedì 24 gennaio 2019

Litai

LITAI - Litai
Open Mind

Distribuzione italiana: Lizard
Genere: Jazz Prog
Support: CD - 2012




In ambito musicale capita anche di vincere prima un concorso (Omaggio A Demetrio Stratos) e poi di esordire discograficamente. Ciò è accaduto ai veneziani Litai, autori di un Jazz Prog marcato e dalle spigolature Crimsoniane. Il genere proposto dal quartetto non è sicuramente dei più commerciali, ma si indirizza verso un pubblico preparato ed attento.
Stefano Bellan (batteria), Mattia Dalla Pozza (sax), Francesco Piraino (chitarra) e Michele Zavan (basso), ci accompagnano verso un viaggio lungo otto tracce per una durata di cinquanta minuti di musica.
Ascoltare "Vadapianov" che apre il disco è come fare un salto sia nel tempo che fra generi musicali quali il Prog, il Jazz e la Scuola Di Canterbury, un concepimento strutturale al quale bisogna dedicare attenzione. Non passano di certo inosservati i giri di chitarra in stile Fripp (quello più recente) sopra i quali il sax di Pozza si diverte a rotolare. Brividi scorrono sulla pelle all'ascolto dell'intro arpeggiato di "Bagnasco", sensazioni dettate dal profumo degli anni '70 che emana la musica. Queste di tanto in tanto fanno capolino fra le note che comunque tendono a restare relegate ad un contesto più moderno. Ovviamente non possono mancare i cambi di tempo ed umorali, i Litai tendono a muoversi in base alla loro apertura mentale, senza vincoli o restrizioni di sorta. Buono il lavoro della ritmica a dimostrazione di una band coesa e per nulla inesperta.
"Babinia" in alcuni tratti mi fa ritornare alla mente gli Arti & Mestieri, per poi però lasciarsi andare verso contesti più attuali, una sorta di Akinetòn Retard (per chi conoscesse questi cileni) all'italiana. Narrazione vocale introduce "Cantico", acido e tagliente, una sorta di Area più King Crimson, il tutto sempre sotto la supervisione del sax.
"Hybris" ha il retrogusto dei paesi nordici e l'artwork del disco ad opera di Marta Cupoli, ben rappresenta la situazione con grigiore e nebbia. Rabbia e dolore nel cantato recitato. Così è anche per "Olio Su Tela", qui cadono proprio a pennello (scusate il gioco di parole) i termini degli Arti & Mestieri di "Tilt": "Immagini Per Un Orecchio".
Ritmiche stoppate aprono il brano che si sviluppa fra sussurri e buoni basi ritmiche dettate dal preciso basso di Zavan. Quando parte la chitarra elettrica, personalmente mi giungono alla mente i Landberk, ma i Litai fanno presto a cambiare nuovamente strada. Questo è uno dei brani che apprezzo di più.
"Oltraggio" prosegue il cammino di ricerca strutturale e a questo punto dell'album l'orecchio si è piacevolmente adeguato all'andamento della situazione. "Kamasutra Gong" chiude il discorso e mi ritornano alla mente di nuovo le band nordiche, ma questa volta si trattano degli Anekdoten.
Avrete dunque notato la quantità di paletti che vi ho piantato per i punti di riferimento stilistici, molti nomi a paragone e questo dimostra la preziosa proposta dei veneti. Un disco non scontato ed aperto a tante soluzioni, sono certo che alcune di loro piaceranno ai più "open mind" di voi. MS

lunedì 21 gennaio 2019

Speciale ANTILABE'


Speciale ANTILABE'



ANTILABE’ – Diacronie
Autoproduzione
Genere: Folk – Jazz Prog
Supporto: cd – 2010


Gli Antilabè sono di Treviso e l’embrione del gruppo si forma nel 1993. Dopo l’esordio targato 1997 dal titolo “Dedalo” (Tring), è la volta di “Diacronie”, album di musica totale che spazia dalla World al Jazz, passando per il Folk e quindi racchiusa nel calderone del cosiddetto Rock Progressivo. Il disco è suonato da Carla Sossai (voce), Luca Crepet (batteria), Adolfo Silvestri (basso, chitarra, contrabbasso, bouzouki), Luca Tozzato (batteria) e Marino Vettoretti (chitarra, synth guitar).
Antilabè è il nome di un soldato combattente a Sparta ed in greco il nome significa “impugnatura”, probabilmente riferita al suo scudo di battaglia. Il concepimento sonoro come detto, spazia in differenti territori multietnici, con un cantato ricercato fra esperanto, Maja, dialettale ed italiano. Un affresco sonoro colorato proprio come la copertina che ben lo rappresenta ad opera di Paolo Bressasn. Nel disco si avvalgono della presenza di numerosi special guest, fra i quali spiccano l’americano Mike Applebaum, tromba principale nell’orchestra del maestro Ennio Morricone, e  Vittorio Matteucci alla voce, artista eclettico presente anche in musical di successo quali Notre-Dame de Paris e I Promessi Sposi.
Dodici storie ad iniziare da “Esperi” con Mike Applebaum e tanto calore sonoro, quasi accarezzati da reminiscenze world, dove la terra racconta e insegna.
Con la voce di Stefano Dall’Armellina giunge “Come Un Canto”, canzone spensierata, ricca di percussioni e molto cantautorale, il duetto vocale con Carla funziona ed il tutto su un testo in lingua italiana. Ancora sole in “Indionimago”, nello specifico  il calore sembra provenire dal Brasile, il viaggio mentale si intraprende in un attimo. Percussioni aprono “Deserto” e qui il sound è jazzy, da sottolineare anche l’interpretazione vocale di Carla Sossai, davvero ottima interprete dei testi con modulazione malleabile a seconda della necessità del caso.
Riuscite ad immaginare i Maja in versione Jazz? Gli Antilabè si adoperano anche in questo settore regalandoci “Quetzal”. In questo brano apprezzo le coralità che in me richiamano reminiscenze anni ’70.
Tradizioni partenopee, odore di vicoli intrisi di sugo con la pummarola in pentola, finestre che si aprono e persone che si parlano da un balcone all’altro mentre stendono panni, tutto questo ed altro che la vostra fantasia può sprigionare all’ascolto di “Notte Partenopea”. Musica che mette gioia e che ancora una volta presenta una cartolina ben distinta della nostra terra.
Si sogna ad occhi aperti in “Hadaha As-Sabah II”, il suono del vibrafono incanta. E a proposito di sogni, una fisarmonica apre “Danza Invisibile”, fantasmi e spiriti della notte danzano per noi.
Non svelo altro in quanto la musica degli Antilabè va scoperta capitolo per capitolo.
“Diacronie” è un disco che narra la storia dell’uomo in senso generale, la sua terra e la cultura, il tutto in maniera professionale perché i musicisti sono davvero di spessore tecnico elevato e aggiungo suonato anche con garbo, senza mai alzare troppo i toni.
Dicono nel libretto del cd: “Diacronie, alla scoperta del passato per vivere il presente e sognare il futuro”…Davvero! MS




ANTILABE’ - Domus Venetkens
Lizard Records / G.T. Music Distribution
Genere: Folk – World Prog
Supporto: cd - 2018


Venticinque anni di carriera musicale oggi come oggi è un traguardo davvero importante e i trevigiani Antilabè raggiungono questo obbiettivo probabilmente con il disco più interessante: “Domus Venetkens”.
Lo sforzo creativo è notevole, ne scaturisce un concept che narra la storia dell’antico popolo veneto. Racconta la leggenda che il popolo Enetioi (o Venetkens) parta dall’Asia Minore per giungere alle attuali coste venete per insediarsi e fondare alcune città. La suite musicale ispirata da questa trama è tratta dal libro che Adolfo Silvestri (basso) sta scrivendo, un fantasy/storico che viaggia nel tempo, dal 1700 d.C. al 1256 a.C..
Anche in questo caso, come è accaduto per l’ottimo “Diacronie” (2010 – autoproduzione), le lingue utilizzate nel canto di Carla Sossai sono differenti, dal veneziano del 1700 all’illirico raguseo del 1400, oltre che griko salentino su ritmi balcanici e mediorientali.
Ad oggi il gruppo viene completato da Luca Crepet (Batteria, percussioni, vibrafono), Graziano Pizzati (pianoforte, tastiere), Luca Tozzato (batteria) e Marino Vettoretti (chitarra, synth guitar, flauto). Anche in questo caso non esulano ospiti qui del calibro di Elvira Cadorin (voce), Piergiorgio Caverzan (clarinetto, sax) e Sara Masiero (arpa celtica).
Molta carne al fuoco dunque da ascoltare, ma anche sostanza per le mani e per la vista, il cd viene presentato in una edizione cartonata accompagnata da un libretto davvero ben confezionato con tanto di testi, fotografie e spiegazioni. La grafica di Laura Nardelli avvalora il progetto intero rendendolo completo e donando lui quel tocco di “Prog” che un amante del  genere percepisce al primo sguardo.
La musica scritta da Graziano Pizzati inizia con il pianoforte, come un narratore delicato accompagna l’ascoltatore nel viaggio in “Enetoi” nella Venezia del 1559. Viene fuori un antico segreto di cui gli Enetoi ne sono custodi gelosi. Le tastiere donano quel tocco di “progressivo” che ben si incastona con la musica ricercata fra il Jazz e il folk/world. Un festoso carnevale giunge magicamente nel brano “L’e’ Riva Carnoval”, ispirato dalle “Canzonette Veneziane Da Battello” del settecento. Gli strumentisti dimostrano ancora una volta di essere in possesso di una tecnica strumentale individuale notevole, ma mai sparata li in inutili virtuosismi, bensì badando alla sostanza emotiva. Gli assolo strumentali risultano essere sempre gradevoli e aggraziati, trapelando basi solide di studio. “Ignote Visioni” è un momento quasi del tutto strumentale nel quale il concetto si può evincere.
Bosnia 1463, “Glavize Visokoska” racconta della ricerca di un simbolo misterioso, la musica storica che scaturisce dagli strumenti degli Antilabè ne è ottimo supporto, in qualche frangente anche giocoso. Breve strumentale “In Balia Dei Flutti” per giungere naufraghi sulle coste bizantine, ed è “Orria Festa”. Esso è quasi un saltarello, musica tradizionale miscelata con alcuni passaggi più moderni, legati dalla bella voce di Carla. Altro breve strumentale in “Ionios Kolpos” , movimento che si lascia trasportare ed alzare in volo dalle note del pianoforte e del basso, esso porta a “Yi Eleuthera”, battaglia navale del 480 a.C. per la libertà.
In questa lunga suite c’è meno jazz rispetto ai lavori passati del gruppo, anche se di tanto in tanto affiorano alcuni movimenti, tuttavia lo stile è ben marcato, la personalità è calcata, per meglio dire “radicata”. Ottima l’interpretazione vocale dell’ospite Elvira Cadorin, vibrata quando serve e con un controllo estensivo ragguardevole. Si giunge quasi alla fine del viaggio, con la strumentale “Pythia” e “Gangra”, canzone più lunga della suite con i suoi quasi otto minuti lo conclude. 1256 a.C., il ritorno alle origini nella città dai tetti dorati.
“Domus Venetkens” è uno sforzo artistico gradevole sotto molteplici aspetti, elegante in tutto e scorrevole nell’ascolto, gli Antilabè la sanno lunga e la sanno pure raccontare. MS


domenica 20 gennaio 2019

Parafulmini


PARAFULMINI – Tenere Fuori Dalla Portata Dei Bambini
Lizard Records
Genere: Alternative Rock
Supporto: cd – 2017




La storia dei pisani Parafulmine inizia da lontano, nella seconda metà degli anni ’80 dove si chiamavano Zampironi e suonavamo nei centri sociali. Nel tempo diversi cambi di line up, specialmente al basso, e vincono il premio della critica al Rock Contest di Controradio, a Firenze, nel 1988. A seguire una pausa che dura dal 1994 al 2011, quando si riformano con il nome Parafulmini. Oggi li ritroviamo  accasati alla Lizard Records per esporre questo debutto dal titolo “Tenere Fuori Dalla Portata Dei Bambinbi” che qui abbrevieremo in TFDPDB.
Lo stile proposto va a ricercare in artisti come Frank Zappa, John Zorn, XTC, Wall Of Voodoo, ma anche nel buon Surf Rock.
TFDPDB è formato da venti canzoni, tutte concatenate fra di loro per formare mini e medie suite. Un concept album? Si e no, c’è molta ironia fra le righe dei brani e nelle argomentazioni stesse, la storia che attraversa l’album si intitola “Parrucchieri dall’Ultraspazio – L’incredibile storia del Professor Magnifizio.”, per cui…
I Parafulmini definiscono la loro musica Progressive Surf Rock, giusto creare una propria definizione, magari certi generi sono restrittivi per la proposta, diciamo che nella musica dei Parafulmini si possono evincere punk, alternative, lounge, RIO, jazz ed altro ancora!
Il progetto è composto da il Parafulmine Percussore Marco Bigliazzi (tamburi, piatti) e il Parafulmine Elettrcordaio Stefano Masoni (chitarra, basso).
Nel disco compaiono “Parafulmini Onorari” e in questo contesto non può mancare un artista del rango di Patrizio Fariselli (Area) alle tastiere, qui perfettamente a suo agio, e poi Luca Cantasano (basso), Alfonso Capasso (basso), Fabrizio Bondi (chitarra), Filippo Brilli (sax basso), Riccardo Zini (sax baritono) ed il Professor Magnifizio interpretato da Sergio Taglioni (voce).
Il simpaticissimo libretto di accompagnamento al cd si apre a soffietto e racchiude in una ottima grafica tutta la storia dei brani, uno ad uno.
Suoni elettrici e Punk si sposano molto spesso fra di loro, ma anche interventi Prog, sberleffi, ritmiche spezzate, Jazz, citazioni e frangenti quasi improvvisati.
Di certo TFDPDB è una proposta mirata ad un pubblico esigente e che ama stupirsi con la musica, non di certo gradita a chi canta ad alta voce sotto la doccia brani con sole, cuore ed amore. MS



sabato 19 gennaio 2019

The Piano Room


THE PIANO ROOM – 2084
Irma Records | Self distribuzione
Genere: Strumentale/elettronico
Supporto: cd – 2019




Dietro al progetto The Piano Room risiede il musicista e compositore di musiche per il cinema e tv Francesco Gazzara. “2084”  è il quarto titolo in studio, dopo “The Piano Room” (2006), “Early Morning” (2007) e “Breath Feel” (2009).
Qui l’artista vuole omaggiare “2084: The End Of The World” di Boulaem Sansal che riprende a sua volta  il romanzo “1984” di George Orwell, pubblicato nel 1949. Altra fonte d’ispirazione è quel “1984” del chitarrista ex Genesis Anthony Phillips.
Il disco elettronico è supportato da numerose tastiere, molte delle quali donano al lavoro quel profumo vintage che spesso è anche sinonimo di alta qualità. Ecco allora Polymoog, Arp 2600, Arp Odyssey, Prophet 5, Korg MS20, Mellotron, Hammond B3, pianoforte Yamaha CP80 e l’ inconfondibile drum machine Roland CR-78 per intenderci quella usata dai Genesis in “Duke” e da Phil Collins in “In The Air Tonight”.
“2084” è composto fondamentalmente da quattro tracce di medio lunga durata, fra gli otto ed i nove minuti l’uno, in più ci sono tre bonus tracks, “2084 Part1”, “2084 Part2” e “Epilogue 2084” tutte e tre in versione piano acustica.
Molto del lavoro è strutturato sul piano elettroacustico Yamaha CP80 e il sound Genesis è inevitabilmente  e fortemente presente, così come certi passaggi strutturali.
Una dolce melodia quasi nenia, si sciolina durante l’ascolto di “Prologue 2084”, e riesce ad ipnotizzare l’ascoltatore trasportandolo in una dimensione di assoluta tranquillità e rilassatezza. Questo è il brano più breve dell’album con i suoi cinque minuti e mezzo.
Gli anni ’70 si affacciano da “2084 Part1” in poi, la musica è molto semplice e cura l’aspetto emotivo oltre che sonoro, senza strafare. “2084 Part2” non fa altro che confermare l’andamento di quanto descritto sino ad ora, anche se in maniera più gioiale ed aperta. Praticamente il disco si evolve in un suo crescendo sia sonoro che emotivo.
La conclusiva “Epilogue 2084” fa la gioia di tutti i sostenitori di queste tastiere, drum machine compresa. Molti i ricordi che affiorano all’ascolto.
Le tre bonus tracks solo piano trascinano l’ascoltatore ancora più in alto, in lidi eterei e ariosi. Le versione di questi brani acquistano una nuova magia.
“2084” è una vera e propria colonna sonora, sembra di guardare un film, tante le sensazioni che ne scaturiscono, magari ognuno di noi ne abbiamo una differente, ma tutte riconducibili a quegli anni che hanno saputo dare tanto alla musica mondiale, gli anni ’70 e Francesco Gazzara lo sa. MS

PER ORDINARE COPIE: http://www.thepianoroom.it/

Brent Steed


BRENT STEED – Jungleheart
Autoproduzione
Genere: Rock
Supporto: ep – 2018


 “Jungleheart” è il terzo album di Federico Sadocco, in arte Brent Steed. Un album in cui le sue atmosfere cupe  narrano la storia del musicista ed alcuni momenti non proprio brillanti della sua più recente vita, il rapporto con se stesso, sensazioni complicate e comunque affrontate con autenticità.
Sadocco sin da giovanissimo impara a suonare il pianoforte e la chitarra, iniziando così a comporre le prime canzoni. Un artista a tutto tondo che si avvale per questo nuovo ep della collaborazione di alcuni musicisti come Eric Kostas (batteria), Uri Bartor (basso), Darin Marshall (chitarre), Amir Frahin (tastiere), Mark Milan (fisarmonica), Chris Westlake (sax), Francesca Stella (flauto traverso), Elisabetta Montino (voce) e Silvya (percussioni).
Il genere proposto in realtà non è ben definito, siamo nel limbo del Rock, ma anche del Dark, tutte etichette che al prodotto possono tuttavia risultare strette. Il disco si trova sia su cd Baby che in forma fisica ed è composto da sei tracce, mentre l’artwork è ad opera della pittrice veneziana Elisabetta Guarino.
Brent Steed ha una voce intrigante, buona interprete ed un approccio in stile anni ’80, questo lo si può apprezzare sin dal primo brano “Jungleheart”.
 La musica è diretta al dunque, ossia senza troppi fronzoli e punta alla melodia semplice e di facile memorizzazione. Uso perfetto per il ritornello ed un breve assolo di chitarra che fa la spia sulla capacità compositiva di Sadocco, l’artista sa perfettamente come strutturare un brano in maniera scorrevole. L’esperienza insegna.
Si percorrono sentieri più Dark in “24”, qui con la partecipazione di Elisabetta Montino e Francesca Stella. Non posso ancora una volta che rimarcare la presenza di richiami agli anni ’80 e a quella New Wave che tanto ha spopolato nel periodo, questo grazie all’uso delle tastiere. Piacevole l’uso delle voci.
Fase più Rock con “Am I My Best Friend”, le chitarre elettriche di supporto sono la spina dorsale del brano, vigore e ritmica ammaliante, il tutto con il sax nel finale.
“Passion Of Pain” mostra il lato più melodico di Brent Steed, una ballata che è vetrina per la voce ma anche per l’anima dell’artista. Si riparte con il gas aperto con “Get Your Price Down”, canzone Hard Rock con la partecipazione di Silvya alle percussioni.
L’ep si conclude con “Martina” e per chi vi scrive questo è il brano più intrigante e coinvolgente dell’intero lavoro grazie alla sua struttura più malleabile e con cambi di ritmo e di situazioni.
Brent Steed ci ha proposto un lavoro degno di essere ascoltato ed acquistato, per la sua sincerità, eleganza e semplicità. Rock che dimostra ancora una volta se ce ne dovesse essere il bisogno, che in Italia sotto questo aspetto non si molla. MS

venerdì 18 gennaio 2019

Premio Macchina Da Scrivere 2018

PREMIO MACCHINA DA SCRIVERE 2018





Il Mio Libro ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 edito da ARCANA EDIZIONI, ha vinto il premio MACCHINA DA SCRIVERE 2018 come migliore enciclopedia Italiana dell'anno.


Grazie a tutti voi che lo avete acquistato, grazie a tutti gli addetti ai lavori che si prodigano per questa sensazionale musica che mai vedrà fine, ma grazie soprattutto agli artisti che la creano, questo premio è vostro.




https://www.facebook.com/notes/premio-macchina-da-scrivere/premio-macchina-da-scrivere-2018-i-risultati/2002936576494695/

giovedì 17 gennaio 2019

Bullfrog


BULLFROG – High Flyer
Grooveyard Records
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2018




Possiamo definire oggi a ragione i Bullfrog una band storica italiana in ambito Hard Rock. In attività dal 1993 il trio veronese giunge con “High Flyer” al loro quinto sigillo da studio. Una band che ha vissuto molto sui palchi, e che ha respirato molta polvere in strada per andare di concerto in concerto, ma anche con grandi soddisfazioni, hanno aperto per miti come Uriah Heep, Glenn Hughes (ex – Deep Purple), Uli Roth (ex-Scorpions) e moltissimi altri ancora. Il trio è composto da Silvano Zago (chitarra), Francesco Dalla Riva (basso, voce) e Michele Dalla Riva (batteria).
“High Flyer” si presenta in veste cartonata con l’artowrk  ad opera di Nicolò Carozzi e undici brani da sciropparsi tutti di un botto! Si perché è il genere stesso che lo esige, come si dice a tavola, “una ciliegia tira l’altra”.  Ho vissuto gli anni dell’Hard Rock con impeto e veemenza, essendo stato giovane, e ne ho ascoltato e visto live così tanto da poterne restare sazio, ma così mai è stato, anzi restando su argomentazioni culinarie, dico che l’appetito vien mangiando.
L’Hard Rock lo si ha nel sangue, scorre, e quando partono le chitarre nel brano d’apertura “Lola Plays The Blues”, mi sconquassa dentro. Fare esempi di punti di riferimento è alquanto semplice, alcuni nomi potrebbero essere Led Zeppelin, Deep Purple, Cream, Bad Company, Lynyrd Skynyrd, Hendrix, Mountain, alcuni Saxon ed altre cento storiche band, perché questo è il sentiero.
Mid tempo per “Losing Time” dal profumo zeppeliano alquanto marcato, tanto Hard Blues e sudore.
Resto folgorato da “Dangerous Trails”, più di otto minuti di goduria, piacevolmente colpito dal Rock sudista di “Hot Rod”, e ci sono anche momenti più rilassati ed acustici come “Johnny Left The Village” e la conclusiva “River Of Tears”, ma è tutto l’album che ha numerosi picchi di piacere.
Se vi chiedono che il genere oggi non esiste più o che perlomeno non ha validi spunti, sbattetegli in faccia “High Flyer”, e visto che vi ci trovate ditegli pure che bisogna farla finita di essere esterofili, qui appunto… “Si vola alto”. MS

Fist Of Rage


FIST OF RAGE – Black Water
Andromeda Relix
Distribuzione: G.T. Music Distribution
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2018



Siete estimatori  dell’Hard Rock anni ’70?  Gruppi come Deep Purple e Rainbow fanno oramai parte integrante del vostro DNA? Allora fermatevi ad ascoltare i friulani Fist Of Rage, il discorso vale anche per chi non li conosce, date una occhiata a questa recensione.
I Fist Of Rage si formano alla fine del 2004 per suonare classici dell’Hard Rock, la loro passione. Accumulano esperienza live, sino a sentire nel tempo la necessità di comporre brani propri e nel 2010 esordiscono con l’album “Iterations To Reality” per la Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa. La critica apprezza e con l’evolversi degli eventi riescono anche a suonare con Eric Martin, Kee Marcelo, L.A. Guns e Ian Paice.
Oggi sono composti da Piero Pattay (voce), Marco Onofri (chitarra), Davide Alessandrini (chitarra), Stefano Alessandrini (tastiere), Alfredo Macuz (batteria) e Saverio Gaglianese (basso). Macuz è una new entry ed ha suonato con artisti come Milan Polak, Krampus ed Insanity Fair.
Il disco è accompagnato da un bel libretto contenente testi e foto della band, mentre l’incisione risulta pulita e ben equilibrata. La voce di Pattay gioca un ruolo importante, malleabile a seconda delle necessità, lo si evince sin dal primo brano “Just For A While” dal profumo anni ’80.
L’asso nella manica dei Fist Of Rage sono le melodie, gradevoli e da cantare a squarciagola con loro. Si muovono con sicurezza, una macchina perfettamente oliata, con una sezione ritmica importante. Conoscono molto bene le regole del gioco, si giocano tutte le carte e le opzioni possibili ed immaginabili, come i crescendo vocali su scala, i brevi e ficcanti assolo, i coretti e i ritornelli che richiamano un sensuale Hard Rock, come ad esempio nel brano “New Beginning” di scuola Bon Jovi. La title track  ha un inizio più ricercato, voce ed effetti su arpeggi di chitarra per poi svolgere il compito diligentemente, questa volta infiltrandosi in territori Aerosmith.
A metà percorso giunge l’immancabile ballata che spezza l’ascolto in una tregua gradevole e di classe, qui dal titolo “Lost”, ovviamente nello svolgersi del brano la voce sale e così l’enfasi. Buono il lavoro delle tastiere. Passata la tregua si riprendono le fughe metalliche in “These Days” che vanno in crescendo con la successiva “Awake”. Ricercata  “Set Me Free”, una composizione che mostra una natura differente, si rude ma anche “progressiva” sotto certi aspetti.
Il disco si conclude con la seconda ballata “September Tears” fra piano, voce ed effetti, grande prova di Pattay, struggente ed epica.
Bentornati Fist Of Rage, però questa volta non fateci attendere altri otto anni per ascoltare nuova bella musica. MS

sabato 12 gennaio 2019

Deadburger Factory


DEADBURGER FACTORY – La Fisica Delle Nuvole
Goodfellas/Snowdonia Dischi
Genere: Sperimentale
Supporto: 2013 -  Cofanetto 3cd



Cosa significa avere rispetto della musica e di chi l'acquista, i Deadburger Factory di Vittorio Nistri con il triplo cd "La Fisica Delle Nuvole" si presentano nel 2013 con una storia teatrale ed un cofanetto contenente un libretto con 72 pagine esplicative del tutto. Artwork perfettamente incastonato nella musica da sentire e da vedere, sperimentazione e tecnica. Se si uniscono i tre cd uno a fianco dell'altro si ha il disegno del poster che rappresenta la cover del disco.
Ma veniamo con ordine al contenuto del cofanetto, tre i cd, il primo intitolato “Puro Nylon” con tanto di partiture cameristiche, il secondo “Microonde E Vibroplettri” con la chitarra suonata attraverso l’uso di vibratori al posto dei plettri ed il terzo “La Fisica Delle Nuvole” con tanto di orchestra psichedelica composta da otto elementi.
Tre album e tre storie completamente distinte.  Il disegno di Bacilieri come già detto, unisce le tre copertine con un filo conduttore alquanto etereo.
“La Fisica Delle Nuvole” è il quinto album dei Deadburger, qui nominati Deadburger Factory  per il grande lavoro industriale che risiede nel complesso. Non solo ogni album è una storia a se, ma anche un suono a se, qui si evince l’immane sforzo artistico e di personalità che risiede dietro a questo grande lavoro che difficilmente negli anni ho riscontrato con altre band. Un opera unica nel suo campo.
Cosa si ascolta? Jazz, Avanguardia, Rock, Psichedelia, Prog, Krautrock e molto altro, un calderone di suoni assolutamente variegato. Risiedono provocazioni in stile Area, specialmente nel secondo cd “Microonde E Vibroplettri”, dove Nistri nel pezzo “Microonde” ricerca e disturba l’ascoltatore rendendolo spettatore disarmato. Un mondo di suoni, jam e anche poesia, il tutto esaltato anche da una buona incisione sonora. Efficaci gli effetti stereo che riescono a coinvolgere a pieno, dando la sensazione durante l’ascolto di trovarsi proprio al centro della musica.
“Vibroplettri di Alessandro Casini agisce nel profondo con sonorità elettriche, violente come un fulmine su delle lamiere.
Fase più musicale nel terzo cd, dove la fisica delle nuvole prende corpo in maniera reale. Anche qui risiede ricerca strutturale, tuttavia la melodia è maggiormente  presente.
Nel complesso un opera importante, provocatoria e immagine di uno stato musicale libero, ma talmente libero che credo in pochi oggi lo apprezzino. Non ci sono canoni, solo comunicazione di stati d’animo, il tutto distante anni luce dal music business. Devastante. MS

Melanie Mau & Martin Schnella


MELANIE MAU & MARTIN SCHNELLA – Pieces To Remember
Autoproduzione
Genere: Rock/Progressive Rock
Supporto: cd – 2018





Che bella la musica quando si ha la voglia di spaziare di genere in genere e di esternare tutto il proprio bagaglio personale. Da dove veniamo, quali sono le canzoni che ci hanno segnato o quelle che ci hanno stupito e fatto amare la musica, magari proprio facendoci prendere in mano una chitarra. Chi almeno una volta nella vita ci ha provato, o lo ha fatto magari anche solo cantando.
Melanie Mau & Martin Schnella sono tedeschi e dopo due album interessanti come “The Oblivion Tales” e “Gray Matters – Live In Concert” del 2017, ritornano a far parlare di loro tramite un album acustico e di cover proprio per narrare il loro cammino sonoro. Melanie Mau è la voce, mentre Martin Schnella è voce, chitarra, basso e voce. Con loro suonano Lars Lehmann (basso), Fabian Godecke (batteria), Simon Schroder (percussioni) e Niklas Kahl (percussioni).
“Pieces To Remember” è un viaggio lungo quindici brani, tutti famosi e di band blasonate, quelle a cui mi riferivo in precedenza, ossia coloro che in qualche modo hanno segnato il cammino di questi artisti. Numerosi e rinomati anche i special guest che si prestano alla riuscita dei brani, ecco quindi Jens Kommnick (Iontach, Reinhard Mey) al whistles, Eric Brenton (Neal Morse) al violino, Martin Huck (Fury In The Slaughterhouse) alla chitarra, Leo Margarit (Pain Of Salvation) alla voce, Johan Hallgren (Pain Of Salvation) alla chitarra, Kristoffer Gildenlow (Pain Of Salvation, Kayak) al basso e Rolf Wagels (Cara) al Bodhràn.
Penserete a questo punto che sto trattando il solito album di cover, ebbene non è proprio così, qui le canzoni rivivono una nuova veste, una taglia che calza alla perfezione a questi bravi artisti che riescono a farle rivivere in maniera acustica e con forte personalità. Bella la voce di Melanie e ottimo l’approccio acustico della chitarra di Martin. Un gioco? Forse, proprio spensierato e dispettoso come quello che si può vedere nella scherzosa copertina dove in cucina si suona, si fanno biscotti e ci si tira la farina. Sono venuti buoni? Non si direbbe dalla faccia di Melanie, ma la musica di sicuro si!
Cosa si riesce a fare con una chitarra acustica quando si ha la capacità e la tecnica… Si spazia dall’Heavy Metal al Folk passando per il Progressive, il Punk ed il Pop. Si riesce a sopperire alla mancanza di ogni strumentazione aggiunta, si fa ballare, o far battere il piede in maniera incondizionata al suo ritmo, poi in alcuni assolo? Pelle d’oca. Notevoli le coralità, intesa e grado di scale che ben si incastonano nel brano. Adoro “Lay It Down/Carie” degli americani Spock’s Beard, “We All Need Some Light”, ma non dico altro per non penalizzare altri brani della  stessa caratura. Poco altro da dire, solo i titoli che compongono questo album che ha saputo farmi una grande compagnia con grazia e serenità: “Can’t Fight This Feeling” (REO Speedwagon), “With This Heart” (Kansas), “Be Good To Yourself (Journey), “Message In A Bottle” (The Police), “Sledgehammer” (Peter Gabriel), “Mission Profile/Stars And Satellites/Snowblind” (Threshold), “Land Of Confusion” (Genesis), “Like A Prayer” (Madonna), “Lay It Down/Carie” (Spock’s Beard), “Valley Of The Queens” (Ayreon), “Amaranth” (Nightwish), “A Touch Of Evil” (Judas Priest), “Wasted Years” (Iron Maiden), “We All Need Some Light” (Transatlantic) e “Love Will Keep Us Alive” (The Eagles). MS