Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
mercoledì 24 agosto 2022
Wired Ways
WIRED WAYS – Wired Ways
sabato 20 agosto 2022
Giorgio Pinardi
GIORGIO PINARDI – MeVsMyself “Aion”
Alterjinga /Panidea Studios
Genere: Sperimentale – solo voce
Supporto: file – 2022
Oramai
chi segue le mie recensioni sa bene che solitamente non vado alla ricerca di
musica banale o convenzionale, al riguardo esistono già migliaia di siti e
giornali che ne decantano le qualità più o meno elevate. Io amo la musica che
fa pensare, quella da ascoltare, e magari anche non da capire all’istante o per
niente. Amo stupirmi, le emozioni sono il propellente della vita, ecco quindi
che vado a scovare artisti che fanno della musica anche un sentiero al buio,
dove ci s’incammina, ma non si sa dove e quando si potrà uscire. Se andiamo a
parlare poi di chi sperimenta con la voce, qui la lista diventa molto lunga,
per gli italiani posso nominare alcuni come Demetrio Stratos, John De Leo,
Gianni Venturi, Claudio Milano (Nikelodeon), Romina Daniele e proprio Giorgio
Pinardi. Il cantante milanese ha alle spalle un Cv artistico davvero
sterminato, tanto che per darvi tutte le dovute delucidazioni preferisco
rimandarvi all’indirizzo http://alterjinga.it/giorgio-pinardi/
.
Vengo
subito all’album “MeVsMyself - Aion”, composto di nove tracce che si
spartiscono stili come il Jazz, la World Music e la musica moderna in senso
generale. Nei quaranta minuti si hanno numerose virate stilistiche e idee molte
delle quali scaturite anche dall’improvvisazione. La registrazione nei Panidea
Studios di Paolo Novelli (engineer e co-arrangiatore dell'intero disco) ad
Alessandria è ottima, un evidenziatore per lo stile di Pinardi.
Nell’iniziale
“Yielbongura” l’Africa è tangibile (tribù Dagara), presente attraverso la
grande spiritualità trattata, le voci si fondono bene nel contesto presentandoci
immediatamente un Pinardi a proprio agio. Un bell’effetto stereo che in cuffia
aumenta di molto il piacere all’ascolto.
La
voce che diventa strumento in “Sgriob”, non solo per il canto, Bobby McFerrin
ha insegnato e l’artista ha assimilato il concetto.
Sorprendenti
le numerose scelte di approccio alla musicalità, fra il serio e il faceto ad esempio
“Hyggelig”, divertente ma allo stesso tempo molto curata negli arrangiamenti.
Bella la fase centrale del brano che spezza l’ascolto.
Non
ci si perde in polifonie, piuttosto l’album in sola voce cura la parte melodica
e chiamiamola così quella strumentale, qui mi riferisco anche alla jazzata
“Leys”.
Molto
ritmata la scivolosa “Waldeinsamkeit”, sinuosa colma di sonorità ancora una
volta ben distribuite nell’effetto stereo ed eco.
Sperimentale
“RWTY” dura in maniera quasi metallica e per giunta anche psichedelica, a
testimonianza della poliedricità di Pinardi, non a caso poi il pezzo ritorna
nelle sonorità africane. Mi piace il fatto che non faccia mai il passo più
lungo della gamba, ossia tutto quello che è creato con le corde vocali, non
sono mai soluzioni forzate bensì rientrano dentro i range delle sue
possibilità.
Molto
armoniosa “Kamtar”, gli arrangiamenti sono il piatto forte, un grande lavoro
dietro questo disco che non so se definire concept.
I
crescendo musicali funzionano sempre, anche in un brano come “aPHaSÌ” il
concetto non cambia, giocoso e ipnotico. La conclusiva “Nèkya” è come una tela
piena di colori, dove Pinardi si è divertito a schizzare con il pennello.
Credere
nell’arte è per pochi, creare poi sperimentando è una cerchia più ristretta,
eppure l’evoluzione passa proprio attraverso la trasgressione della regola, e
qui ci siamo. MS
The Black Noodle Project
THE
BLACK NOODLE PROJECT – When The Stars Align, It Will Be Time…
Progressive Promotion Records
Distribuzione Italiana: G.T. Music
Genere: Psychedelic/Space Rock
Supporto: cd – 2022
Sono
più di venti anni che la scena alternativa francese si avvale del contributo
della band The Black Noodle Project. Tre EP, nove album in studio e un live
sono il bottino realizzato durante la carriera Gli album sono tutti mediamente
apprezzati dalla critica, e anche da molto del pubblico progressivo, quello
maggiormente aperto di vedute e non timoroso di viaggi che sconfinano a tratti
anche nella Psichedelia. Personalmente ho avuto già modo di tessere le loro
lodi, il mutamento stilistico che anche con il precedente “Code 2.0”
(Progressive Promotion Records – 2020) hanno palesato, porta i The Black Noodle
Project verso un sound riflessivo e malinconico, territorio di gruppi come
Opeth e Anathema tanto per intenderci. Ed eccoci nel 2022 con questo nuovo
“When The Stars Align, It Will Be Time…”, quaranta minuti di musica suddivisa
in sei tracce.
Le
illustrazioni di Sandrine Replat sposano bene le atmosfere della musica, cupe
come l’album “Eleonore” del 2008. Buona anche la qualità sonora adatta per un
attento ascolto in cuffia con gli strumenti ben distinti e puliti.
Nel
frattempo è mutata la formazione, il leader Sébastien Bourdeix (chitarra,
tastiere, basso, voce), questa volta si coadiuva della professionalità di Sab
Elvenia (voce) e di Tommy Rizzitelli (batteria), oltre che della collaborazione
dello special guest Charlot Riviero (violoncello).
Buio
sin dalle prime note di “Welcome To Hell”, un riff greve alla Black Sabbath
introduce il pezzo testimoniando immediatamente che non servono soluzioni
complesse per creare una giusta atmosfera. Le chitarre sono l’epicentro del
motivo e l’assolo finale dona al tutto un significato rilevante.
“Black
Moment” narra di situazioni personali non raccomandabili, di tristezza, eppure nonostante
tutto nella musica fuoriescono squarci di sereno sia grazie alla voce di
Elvenia che per l’immancabile assolo di chitarra che farà la gioia sicuramente
di chi ama i suoni alla Porcupine Tree, piano annesso.
“Give
Us Hope” intercede con la malinconia, altro tassello del DNA dei The Black
Noodle Project. I suoni sono nuovamente semplici ed emozionano mentre l’ascolto
scorre via fluidamente grazie ai cambi di tempo. Ancora Porcupine Tree nell’’inizio
arpeggiato di “Time”, bel motivo ricco di enfasi. “Stormy Weather” è orecchiabile
rispetto quanto ascoltato sino ad ora, gli arrangiamenti lo portano a essere un
brano molto vicino alla Psichedelia. D’atmosfera le coralità di sottofondo con
le chitarre sempre in cattedra. A concludere c’è “Behind The Light”, il brano
più lungo dell’album grazie ai quasi nove minuti di durata, per chi vi scrive,
è anche quello più apprezzato con capatine leggere nel Metal Progressive, oltre
che interventi di elettronica al sostegno delle arie.
I
The Black Noodle Project hanno realizzato un disco a cavallo fra luce e buio,
come loro caratteristica, all’insegna della semplicità ma non della banalità.
Si bada alla sostanza e ci si riesce, come nel solo finale del disco, fra Pink
Floyd e Anathema. Consigliato agli amanti delle band citate. MS
lunedì 15 agosto 2022
Garybaldi
GARYBALDI - Nuda
CGD
Genere: Progressive Rock
Supporto: lp - 1972
La Liguria ha dato tantissime band al Rock Italiano degli
anni ’70, dai New Trolls ai Latte e Miele, Delirium, Ibis, JET, Nuova Idea,
Osage Tribe, Picchio Dal Pozzo e Tritons, tanto per fare alcuni nomi. I
Garybaldi sono la band del carismatico chitarrista Bambi Fossati, artista
dedito alle sonorità di J. Hendrix. In precedenza ha frequentato i Gleemen,
altra band che si adopera nel 1970 a cavallo fra il Beat e le cover dei
Beatles. Di loro si può reperire l’album “Gleemen”, dove il quartetto si
alterna fra Blues e Rock Psichedelico, con un cantato da parte di Bambi, molto
simile a quello di Hendrix. Nel 1971 c’è stato un momento in cui la band, a
cavallo dei due nomi, ha avuto fra le fila il fratello Ivano Fossati, poi
immediatamente dopo leader dei Delirium. I Garybaldi comprendono anche Angelo
Traverso (basso), Maurizio Cassinelli (batteria) e Lio Marchi (tastiere).
Quando si parla di “Nuda” non può non venire alla mente la
stupenda copertina disegnata da Guido Crepax, una vera icona per quegli anni,
uno stile inconfondibile, fumettistico, ma di una sensualità esagerata
(l’indimenticabile Valentina). Quella volta la copertina del LP non era solo
gatefuld, ma si apriva addirittura in tre parti e mostrava a pieno la bellezza
rappresentativa della donna.
Il disco è dannatamente Rock, con ovvi richiami al maestro
chitarrista di Woodstock e delle citazioni a James Brown, a partire dall’ottima
“Maya Desnuda”, dove la grinta della band mette alla luce una compattezza
invidiabile, soprattutto per le band di quei tempi.
Non mancano frangenti sperimentali e psichedelici, tanto di
moda e alternativi. Imponente la lunga suite del secondo lato, che occupa tutta
la facciata e suddivisa in tre movimenti, dal titolo “Moretto Da Brescia”, è
qui che la band riesce a dare il meglio di se, rendendo unico ed appetibile
questo lavoro a tutti gli estimatori del genere, anche quelli di oggi.
L’anno successivo i Garybaldi tentano di bissare il successo
di “Nuda” con “Astrolabio”, lavoro ancora più pretenzioso e Progressivo nel
puro senso del termine, tuttavia io vi consiglio di comperare il primo, in
quanto dalle note sgorga freschezza e voglia di musica, quella con la M
maiuscola. (MS)
domenica 14 agosto 2022
Kaoll
KAOLL
– Sob Os Olhos De Eva
Voiceprint Brasil / Red Clown
Genere: Virtuoso
Supporto: ep – 2017
Il
Brasile ha notoriamente un grande bacino di musica Progressive Rock e molto
spesso di elevata qualità. Hanno saputo attingere bene alla fonte europea
rielaborando il tutto spesso e volentieri con la loro personalità “colorata” e
comunque sempre attenta alla storia originale. E’ anche il caso del progetto
Kaoll, settetto formato da Bruno Moscatiello (chitarra), Yuri Garfunkel
(flauto, viola caipira), Gabriel Catanzaro (Basso elettrico e acustico),
Rodrigo Reatto (batteria), Janja Gomes (percussioni), Fabio Leandro (tastiere,
piano) e Gabriel Costa (basso).
Per
il gruppo di São Paulo “Sob Os Olhos De Eva” è il quarto lavoro in studio dopo “Kaoll
04” (2008 - Spanto Records/Sinewave), “Auto-Hipnose” (2010 - Baratos Afins) e
“Odd” (2014 – Autoproduzione). I punti di riferimento sonori sono gli anni ’70
e il flauto molto spesso dona quel tocco di magia che bene conosciamo nel
movimento Prog. Il disco è un concept ispirato da un libro dal titolo omonimo,
dello scrittore e maestro di filosofia Renato Shimmi. L’ep è completamente
strumentale, suddiviso in sei tracce che sono tante quante i capitoli del
libro, sua vera e propria colonna sonora! Il libro affronta questioni
importanti su come le vere rivoluzioni propongono atti trasgressivi,
cambiamenti e progressi molteplici, si tratta di potere e di religione,
argomenti sociali molto spesso toccati da scrittori e filosofi.
Ma
prima di venire alla musica vorrei spendere anche due parole per un artwork
importantissimo, dettagliato ed esaustivo nello spiegare le sorti del libro e
della musica contenuta. In edizione cartonata apribile in tre parti, il
libretto di accompagnamento è formato da ben dodici facciate.
La
musica contenuta è fantastica per varietà e qualità, dal classico Prog anni ’70
al Jazz e al Folk. Davvero ampio il bacino di competenza degli artisti in
questione, notevoli strumentisti oltre che compositori. Una musica che rapisce,
destabilizza, aggredisce e accarezza, in essa ci sono tutti gli ingredienti che
fanno felice un Prog fans degno di questo epiteto. Tanti i cambi di ritmo e di
umore, pur trattandosi di musica strumentale, gli assolo non sono mai superflui
o invasivi, giocano le loro carte al momento giusto. L’ep si apre e si chiude
con frangenti psichedelici di Pinkfloydiana memoria, con tanto di bottleneck,
insomma, una musica che potrei definire totale.
Come
avrete avuto modo di capire, non parlo di una singola traccia come nel mio
solito stile, ma di un insieme, un amalgama che non va frammentata ma ascoltata
tutta di seguito. Il flauto è semplice da accostare a quello dei Jethro Tull,
ma in realtà così non è, ha personalità propria, anche se attinge dal suono
vintage. La chitarra gioca un ruolo importantissimo, sciolina assolo di
gradevole fattura, sale in cattedra con arpeggi classici e accompagna quando
deve, mentre la ritmica è precisa e, l’intesa basso/batteria funziona.
Peccato
che venticinque minuti volano via come un respiro ma resta molto dell’ascolto,
soprattutto la voglia di premere nuovamente il tasto “Play”.
Ora
mi riferisco agli addetti ai lavori europei: amici, dategli un ascolto e
scoprirete qualcosa di notevolmente interessante per il campo Progressive Rock,
segnatevi il nome Kaoll. MS
sabato 13 agosto 2022
Sideless
SIDELESS - Choose The Way
Autoproduzione
Genere: Metal Progressive
Supporto: Spotify – 2022
Il
Metal e il Progressive Rock spesso hanno unito le proprie forze, anche se i due
generi sembrano essere per loro natura apparentemente incompatibili. L’esordio dei vicentini (e padovani) Sideless è
una testimonianza della bontà di certi risultati al riguardo.
Francesco
Marangoni è il tastierista e chitarrista della band Metal Indaco e assieme al
fratello Alberto Marangoni (basso) iniziano a gettare le basi di questo
progetto che si completa con l’innesto di Maurizio Gioli alla voce (Airhead e i
Kronos) e Christian Camazzola alla batteria.
La
componente Metal nei dieci brani contenuti in questo concept album è calmierata
da fraseggi con il flauto e richiami al passato nobiliare del Rock. Trattasi
dunque di concept, dove l’argomento intrapreso riguarda la dittatura in Nord
Corea e ciò che ne deriva, attraverso le vicissitudini di due ragazzi, Ning e
Tian.
L’album
si apre con la strumentale “Strange Illusion” e le atmosfere richiamano subito
il classico Metal Progressive nonostante un tentativo di addolcire da parte del
flauto, un brano che potrebbe benissimo rappresentare l’essenza del genere perché
in esso sono contenuti tutti gli ingredienti che lo compongono. L’ascolto dei singoli
componenti di band come Pink Floyd e Prog italiano fa del loro bagaglio
culturale un buono spunto di base sul quale costruire la struttura modernizzata
delle composizioni. Ed ecco dunque che in canzoni come “Chains” s’interfacciano
il passato e il presente, energia, rabbia e comunque classe.
“Without
A Soul” ha un iniziale incedere graffiante successivamente spezzato dalla parte
più acustica dei Sideless, posso tranquillamente accostare questo brano a
moltissimi dei più noti Savatage, ottimo punto di riferimento focalizzato dai
componenti.
La
quindicenne Elena Xillo presta la voce in “Away”, canzone dalle tinte
malinconiche al confine degli Anathema di metà carriera. Più progressiva nel
senso vero del termine è “Majestic Dream”, qui s’intuisce la passione per il
Prog italiano anni ’70. Si torna nel Metal in “Misstep”, così la voce si
barcamena con successo fra fasi più ruvide e quelle maggiormente pulite. “The
Show Is Over” è semplice, in netta media del genere in questione, mentre
apprezzo un breve, ma sincero assolo di chitarra. In “Throwin' Treats” mostrano
i muscoli, facendo richiami ai Queensryche di fine carriera.
Molto
bella “Another Door” fra le mie preferite dell’intero concept, a concludere “The
Last Shot”, canzone ricca di cambi umorali e di conseguenza di ritmo, dove fa
capolino anche un Mellotron.
“Choose
The Way “ è un lavoro onorevole senza troppi alti e bassi, magari avrei
preferito qualche assolo più ficcante a staccare l’andamento dei brani che
comunque godono tutti di buone melodie. Chi non ama l’innesto Metal e
Progressive Rock ovviamente non cambierà idea dopo l’ascolto, ma chi è aperto
agli innesti derivanti da altri generi troverà “Choose The Way” un buon
tentativo di emozionare in maniera differente dal consueto.
Una
curiosità, i quattro musicisti nel realizzare il concept non si sono mai
incontrati tutti assieme, poteri della tecnologia moderna. MS
sabato 6 agosto 2022
Ryo Okumoto
RYO
OKUMOTO – The Myth Of The Mostrophus
Inside
Out
Genere:
Progressive Rock
Supporto:
cd – 2022
Ricordo
con piacevole nostalgia gli anni ’90, quando per l’ennesima volta il Prog
rialza la testa grazie alla spinta di band come Landberk, Anglagard, Anekdoten,
Echolyn e molte altre ancora fra queste gli americani Spock’s Beard del
prolifico e poliedrico Neal Morse. La musica che propone è totale, ossia non
soltanto richiami al passato, ma anche personalità, quella appunto del leader
appena citato, immaginate di miscelare Genesis, Gentle Giant, Pink Floyd e
Beatles, questi ultimi sono proprio la chiave dell’orecchiabilità delle
composizioni. Ebbene molto del merito va anche al mastodontico lavoro alle
tastiere del giapponese Ryo Okumoto, simpatico e allegro personaggio in ogni
atteggiamento, e chi l’ha potuto apprezzare in azione in sede live sa cosa
intendo. Musica mastodontica, enfatica
una vagonata di roba, con annessi cambi di tempo e di umore come spesso è
obbligo fare nel Prog classico.
Ryo
con questo ultimo disco intitolato “The Myth Of The Mostrophus” tocca a mio
avviso l’apice della sua produzione personale non soltanto per la qualità delle
sei canzoni, ma proprio per la maturità raggiunta con l’esperienza fatta tesoro
negli anni e anche ai molti amici che lo accompagnano in questo viaggio, se ora
vi elenco i nomi anche voi converrete sulla grandezza della realizzazione
produttiva:
Dave Meros (Spock's Beard) (basso), Alan Morse (Spock's
Beard) (chitarra), Nick D'Virgilio (Spocks Beard, Big
Big Train) (batteria, voce), Jimmy
Keegan (Spock's Beard) (voce), Ted Leonard (Spock's Beard, Transatlantic) (voce),
Steve Hackett (ex-Genesis) (chitarra), Michael Whiteman (I Am The Manic Whale) (chitarra,
voci), Michael Sadler (Saga, The ProgJect) (voce), Mike Keneally (Frank Zappa,
Steve Vai, The ProgJect) (chitarra), Jonathan Mover (Joe Satriani, The
ProgJect) (batteria, percussioni), Randy McStine (McStine & Minnemann,
Lo-Fi Resistance, Porcupine Tree) (chitarra, voce), Marc Bonilla (ex-Glenn
Hughes, ex-Keith Emerson, ex-Kevin Gilbert) (chitarra),
Doug Wimbish (Living Color, Tackhead) (basso), Mirko
DeMaio (The Flower Kings) (batteria), Lyle Workman (Todd Rundgren) (chitarra), Raphael
Weinroth-Browne (violoncello), Kevin Krohn (voce), Andy Suzuki (fiati in
legno), Keiko Okumoto (voce), Toshihiro Nakanishi (violin), e Steve Billman (basso).
Stranamente
manca proprio Neal Morse, presente invece nel precedente “Coming Through” del
2002. Con questo album Ryo raggiunge quota sei in studio. I tasti d’avorio si
muovono alacremente sotto le dita del musicista, sempre con lo sguardo rivolto
verso Wakeman, Emerson e Banks, di loro ha saputo cogliere non soltanto l’andamento
tecnico ma lo spirito del divertimento, ossia il gettarsi anima e corpo a
briglie sciolte proprio come il cuore comanda.
L’iniziale
“Mirror Mirror” mette immediatamente sul tavolino tutte le carte del caso e
presenta un andamento epico oltre che moderno. La successiva “Turning Point” la
preferisco se non altro per il bel ritornello e gli assolo di chitarra che
spezzano il tutto con carattere ed
enfasi.
Spudoratamente
Genesis anni ’80 (chi ha detto Abacab?) è “The Watchmaker (Time on His Side) ”
ma come ho detto in precedenza Ryo ama divertirsi e di conseguenza divertire,
certe radici poi non si estirpano. In “Maximum Velocity” scorrono brividi sulla
pelle, si passa dal lento a un assolo al fulmicotone in stile Spock’s Beard nel
finale. “Chrysalis” inizia con un piano, flauto e un crescendo classico che sa
il fatto suo (quando l’esperienza è palese), ma la stangata giunge proprio nel
finale, la suite “The Myth Of The Mostrophus” include davvero tutta la vita
dell’artista, questa è davvero un piccolo capolavoro di raffinata bellezza.
La
versione giapponese del disco contiene due brani aggiuntivi, “Waiting To Be
Born” e “Sonny”.
Ora
mi auspico solamente di non dover attendere altri venti anni prima di poter
ascoltare un nuovo album di Ryo Okumoto, quasi impossibile per me e anche per
lui, nel frattempo a tutto volume in sala, in auto e comunque dove vado, mi godo
“The Myth Of The Mostrophus”, bel disco colmo di energia pulita! MS
Iscriviti a:
Post (Atom)