Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
martedì 29 marzo 2022
D'Virgilio, Morse & Jennings
D'VIRGILIO, MORSE & JENNINGS – Troika
Tutti gli appassionati di Progressive Rock conoscono bene i tre nomi che compongono questo nuovo progetto musicale, ossia D'Virgilio, Morse & Jennings, tuttavia mi rivolgo a chi non segue tanto il genere per cui intraprendo un brevissimo excursus storico.
sabato 26 marzo 2022
Karcius
KARCIUS
- Grey White Silver Yellow And Gold
Autoproduzione
Genere: Hard Prog
Supporto: cd/digital – 2022
Eccomi
nuovamente a parlare di un gruppo musicale canadese, terra ricca di personalità. Il Prog qui ha trovato
non soltanto radici (vedi Rush) ma anche evoluzione (vedi Voivod in campo
Metal), sfornando in continuazione musica quantomeno non convenzionale. I punti
di riferimento europei, soprattutto quelli insegnati da gruppi provenienti
dall’Inghilterra, sono presenti ma assimilati e rielaborati. Uno dei gruppi più
interessanti al riguardo sono i Karcius.
Provenienti
da Montreal si fondano nel 2001 e sono un quartetto inizialmente dedito a del
Jazz Rock e Fusion puramente strumentale. In questo modus operandi realizzano
tre album, “Sphere” (2004 – Unicorn digital), “Kaleidoscope” (2006 - Unicorn
Digital), e “Episodes” (2008 - Unicorn Digital), ma nel 2012 giunge la svolta
all’interno degli equilibri della band, Sylvain Auclair si unisce al basso e apporta
novità con la voce, un inconfondibile elemento Hard che sposta i connotati
fisici e sonori della musica Karcius verso nuovi lidi. In fondo questo è il
vero spirito del Progressive Rock, il mutare. Così la band oggi è composta da Sylvain
Auclair (voce, basso, percussioni),
Thomas
Brodeur (batteria, percussioni), Sébastien Cloutier (tastiere, cori) e Simon
L’Espérance (chitarra, percussioni, tastiere).
“Grey
White Silver Yellow And Gold” è il sesto album formato da sei canzoni, un sequel
di “The Fold” (2018 – Autoproduzione). Anche lo stile resta avvinghiato alle
sonorità più scure e dure del precedente, anche se di tanto in tanto
fuoriescono le radici lontane del Jazz. Dico subito che questo nuovo stile
sonoro piacerà molto ai fans dei Porcupine Tree, Riverside, Leprous e Steven
Wilson. Molto del merito al riguardo ricade proprio sulla produzione sonora da
parte di Tony Lindgren (James LaBrie, Katatonia, Opeth).
La
canzone che inizia il disco intitolata “Parasite” è già il sunto di quanto da
me ora descritto, un suono duro, coinvolgente e scuro avvolge l’ascoltatore
lasciandolo in un limbo sospeso fra destabilizzazione e paura del vuoto.
Lontanissima la band Karcius degli esordi.
Un
arpeggio di chitarra inizia “Supernova” e qui siamo in casa Riverside, in tutto
e per tutto. Un piccolo raggio di luce ci entra nella mente, diramando le
oscure nebbie di “Parasite”. Da rimarcare all’interno un assolo di chitarra
strepitoso anche se breve, dalle origini Pinkfloydiane. Non capisco bene da dove, ma ci sento perfino
infiltrazioni Pain Of Salvation (nella voce sicuro) e Haken.
“The
Ladder” inizia sorniona, mini suite di tredici minuti con riff di chitarra
elettrica psichedelici alla Porcupine Tree, il movimento sonoro è differente da
quanto ascoltato sino ad ora, più meditativo con una prova vocale sopra le
righe, anche se la fuga strumentale è sempre in agguato ma soprattutto
efficace! Finale maestoso grazie all’uso del mellotron e di una coralità
strumentale imponente. “Cosmic Rage” ha un intro di piano e voce con un
incedere più banale rispetto al contesto ascoltato sino ad ora, pur restando
sempre una canzone dai buoni livelli emotivi. Cambia l’ambiente ed il suono in
“Distance Kills”, inizialmente rilassata oltre che gentile, supportata da archi
di sottofondo per poi crescere come i già citati Pain Of Salvation hanno saputo
fare nella loro discografia. A concludere ci attende la suite “A Needle Tree”,
altra piccola gemma sonora in cui vengono palesate le caratteristiche dei
moderni Karcius.
La
band del Québec realizza un ora di musica da centellinare, assorbire e
metabolizzare, il sound moderno del Prog oggi è questo, piaccia o meno
l’evoluzione prosegue con noi o senza di noi. Personalmente amo ascoltare nuove
sonorità e suoni duri, per cui con me si sfonda una porta aperta, a tutti gli
altri consiglio un ascolto preventivo prima dell’acquisto, resta il fatto che “Grey
White Silver Yellow And Gold” è un lavoro che riesce ad emozionare e non è
poco. MS
domenica 20 marzo 2022
Nathan
NATHAN – Uomini Di Sabbia
AMS Records
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2022
Ancora
nel 2022 il Rock Progressivo Italiano ha ottima salute. Band sorgono giorno
dopo giorno portando nuova linfa vitale al genere che ha goduto di buona salute
negli anni ’70, ma anche oggi sembra non essere domo. I punti di riferimento
sono sempre gli stessi, non si finisce mai di dire grazie a gruppi storici come
Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme, e Premiata Forneria Marconi su tutte,
quest’ultima anche riferimento per la band savonese Nathan. Attivi nell’ambito
musicale dal 1977 Flavio Esposito (tastiere), Bruno Lugaro (voce e basso) e
Fabio Sanfilippo (batteria) formano la band soltanto nel 1997 e suonano brani
altrui come ad esempio quelli dei Genesis o dei Pink Floyd. Oggi sono formati
da Bruno Lugaro (voce), Piergiorgio Abba (tastiere), Giulio Smeragliuolo (chitarre),
Fabio Zunino, Nino Cerruti, Mauro Brunzu (basso), e Luca Grosso, Fabio
Sanfilippo (batteria).
Realizzano
il primo disco in studio nel 2016 e si fanno conoscere al pubblico con
“Nebulosa”. L’interesse attorno alla band si mobilita immediatamente, tanto da
portare i Nathan a comporre il secondo album nel 2018 con la famosa casa AMS
Records, l’album s’intitola “Era”. La vena compositiva sembra essere a questo
punto ispirata poiché già nel 2022 siamo al cospetto di questo nuovo disco dal
titolo “Uomini Di Sabbia”. Considerando che si sono composti nel 1997 direi che
di cose nel tempo ne sono cambiate. Il disco in analisi sfiora anche in certi
frangenti l’Hard Prog, questo per sottolineare l’importanza che hanno le
chitarre all’interno della musica dei Nathan. Non siamo al cospetto di un
concept, bensì di un lavoro legato brano per brano da testi che trattano
argomenti psicologici come la non capacità di ribellione da parte dell’uomo ai
soprusi, oppure della volontà di ribellione dinanzi alle ingiustizie, ogni
brano ha un punto focale su cui concentrarsi. Otto le canzoni, a iniziare da
“Fatti Non Foste” ispirato dalla Divina Commedia di Dante riguardante la
collocazione di Ulisse nell’Inferno. La musica parte vigorosa e con tempi
dispari a dire “siamo Prog al 100% !”. Un perfetto equilibrio fra PFM e Orme
mentre risultano gradevoli gli interventi delle tastiere che riescono ad
apportare un alito di gentilezza. Con un inizio alla Porcupine Tree anni ’90
giunge “Monoliti”, molti i punti di congiunzione con “Impressioni Di Settembre”
e qualche passaggio alla New Trolls, a testimonianza di una totale passione per
il genere nostrano. “Delirio Onirico” getta l’ascoltatore nel mondo dei Genesis
e qui si denotano anche momenti di virtuosismo strumentale. “Il Pianto Del
Cielo” è la canzone più corta dell’album con quattro minuti di melodie prossime
al Neo Prog, mentre la voce di Lugaro mi ricorda in alcuni passaggi quella di
Ivano Fossati.
Nei
quasi dieci minuti di “Madre Dei Sortilegi” lo spettro si amplia, qui la musica
diventa a 360 gradi, vetrina anche per le capacità balistiche dei singoli
componenti. Ancora Porcupine Tree in “Nel Giardino Di Maria”, questa volta li
nomino per il riff di tastiere che bombarda l’ascoltatore in maniera
ripetitiva, qui siamo maggiormente nel campo Rock piuttosto che Prog e comunque
il pezzo non mi dispiace per niente anche perché spezza l’ascolto e rende tutto
più scorrevole. La pacata parte melodica centrale del brano riporta il suono
agli anni ’70 e nuovamente alla PFM ma è un breve momento, i Nathan riprendono
immediatamente il via e vigore. Un pianoforte inizia “L’Acrobata” tracciando
sensazioni malinconiche dalla facile resa, credo che questo possa essere il
singolo dell’album, o almeno un potenziale singolo. Il disco si finisce con la
suite di quindici minuti “Egos”, mio brano preferito, dove i Nathan mettono sul
piatto tutta la preparazione e capacità compositiva.
“Uomini
Di Sabbia” è un disco molto piacevole e dalla lunga storia, un riassunto ben
congeniato di quello che è stato negli anni il Prog in senso generale, tanto
che sento di consigliare questo lavoro a tutti quelli che vogliono
semplicemente ascoltare buona musica, oppure avvicinarsi per la prima volta al
Rock Progressivo Italiano che non smette mai di emozionare, neppure nel 2022.
MS
sabato 19 marzo 2022
Fromuz
FROMUZ
- The Asymmetric Rules
SOE
Records
Genere:
Eclectic Prog
Supporto:
cd – 2022
La
musica ha un fascino tutto suo, immaginifico come avrebbero detto “quelli”
della Premiata Forneria Marconi. In effetti, è così, le note dipingono come dei
pennelli la tela del nostro cervello, dove le note sono i colori e le immagini
si formano a piacimento secondo come siamo messi con l’umore o di fantasia. Per
un musicista è una palestra sia per il suo ego sia per il piacere di creare suoni
che facciano pensare, tutto ciò accade nel fantastico mondo dell’Eclectic Prog,
genere per veri cultori e non adatto ad ascoltatori distratti. Tante le
sonorità che s’incrociano all’interno per un suono davvero assortito. Molti la definiscono
“Musica per la mente”.
Il
Prog in generale ha contaminato negli anni tutto il mondo, addirittura anche l’Uzbekistan,
dove andiamo a conoscere la band Fromuz.
Sono
di Tashkent e si compongono nel 2004 per il volere del chitarrista leader Vitaly
Popeloff e del suo amico bassista Andrew Mara-Novik. Rilasciano nel tempo
cinque album e con il nuovo “The Asymmetric Rules” raggiungono quota sei. A
oggi la band è formata da Albert Khalmurzayev (tastiere, chitarra, armonica,
voce), Evgeniy Popelov (tastiere, voce), Vladimir Badirov (batteria) e
Vitaly
Popeloff (chitarra).
La
musica dei Fromuz nasce spontaneamente, da jam corali, dove ogni componente
mette del proprio per poi limare e legare il tutto assieme, questo per dire che
non esiste in realtà un vero e proprio leader nella band. Il disco è composto
da dieci brani e non manca neppure l’”Overture” che all’ascolto fa volare la
fantasia in alto, come se stessimo ascoltando la colonna sonora di un film
della Disney, questo tanto per farvi capire l’ambientazione. Con “Round And
Round” si affrontano quasi nove minuti dove le chitarre elettriche s’incrociano
con le tastiere in un sound vigoroso sostenuto dalle voci aggressive e le coralità
di supporto. Il cantato è in lingua inglese. Nella musica dei Fromuz si lascia
molto spazio alla fase strumentale, dove la band si trova più a suo agio e si
sente. Dinamici cambi di tempo si susseguono per poi lanciarsi in un motivo più
pacato e orecchiabile. Il suono è pieno, la mente è circondata, peccato
solamente per un’incisione non del tutto nitida da far risultare gli strumenti
troppo vicini fra di loro, manca in parole povere un buon effetto stereo e il
senso di profondità.
Come
in una suite segue adiacente il breve arpeggio di chitarra acustica “Air Dance,
Pt. 1”, dove mi resta impossibile non paragonarlo a “Horizons” dei Genesis. In
una sorta di Neo Prog inizia “Universe”, per poi lanciarsi nel suono duro di
chitarra e basso che dialogano fra di loro come solo certi Tool hanno saputo
insegnare. Come avete potuto notare si è passati da un’overture alla Disney ai
Genesis e poi ai Tool, ecco se non sapete cosa è l’Eclectic Prog qui ne avete
una bella testimonianza. Nuovo breve intro acustico intitolato “Air Dance, Pt.
2” e via di nuovo su scale del pentagramma altalenanti grazie ai dieci minuti
di “Darling”. Tengo tuttavia a sottolineare che di base una melodia da
ricordare c’è sempre, anche se la band si diverte a toccare stili su stili. In
questo caso siamo nel Dark Prog, un cadenzato incedere è supportato dalle voci
e da un riff grezzo oltre che sabbatico. Si è al cospetto di un'altra band? No
sono sempre i Fromuz che spezzano il tutto anche con effetti elettronici, qui
si autori di un bell’effetto stereo. Nelle fughe strumentali la band si esprime ancora una volta ad alti
livelli.
Intanto
la chitarra acustica continua ad arpeggiare in “Air Dance, Pt. 3” e dopo un
minuto e mezzo è la volta di “No End”, una mini suite di dodici minuti
abbondanti ricolmi di storia musicale. Qui il Rock è analizzato in tutto il
complicato percorso storico, ossia ci sono davvero molti anelli generazionali
incastrati fra di loro a testimonianza dell’ottima preparazione culturale dei
singoli componenti. La chitarra si presta al gioco di protagonista affrontando
da solista le melodie senza grandi tecnicismi ma con tanto cuore, come spesso
piace al Prog fans. “R-and-G Time” è ancora destabilizzante con passaggi anni
’30 e tanta rumoristica a melodia zero. Conclude il disco la suite “Wings of
the Fast Lane: Deep Silence / Theme / Man from the Fast Lane / Theme, Pt. 2 /
The Asymmetric Rules”, venti minuti di buona musica, anche Metal Prog, peccato
ancora una volta per i livelli dei suoni.
I
Fromuz non sono geni e neppure sfoderano capolavori, ma credetemi che conoscono
la materia più di molte altre band maggiormente blasonate, non ci credete?
Allora credete alle vostre orecchie e ascoltate. MS
sabato 12 marzo 2022
Odessa
ODESSA – L’Alba Della Civiltà
Locanda Del Vento / Lizard Records
Genere: Rock Progressivo
Supporto: cd – 2022
Mi
sono imbattuto numerose volte in case discografiche italiane dedite a un genere
specifico come il Rock Progressivo Italiano con connotati seventies, la nota
Lizard Records ne ha fatto addirittura un filone specifico chiamandolo “Locanda
Del Vento”. All’interno ho potuto ascoltare band come Ancient Veil, Monjoie, I
Salici e moltissime altre fra le quali spiccano i marchigiani Odessa.
Sembra
ieri il debutto della band di Lorenzo Giovagnoli "Stazione Getsemani”,
invece sono passati inesorabilmente ventitré anni! Il disco fu portato al
successo dai fans del settore che hanno da subito apprezzato certe sonorità
vintage. Il secondo album "The Final Day - Il Giorno Del Giudizio"
arriva dieci anni dopo, ossia nel 2009. Nei due dischi molte le sonorità
prossime all’Hard Prog con riferimenti anche al Jazz Rock, come nel caso dei
tributi agli Area oppure al Prog dei Trip e del Rovescio Della Medaglia. Nomi
importanti questi citati, e chi conosce già gli Odessa è al corrente della
personalità che li contraddistingue, grazie non soltanto alle tastiere, ma
proprio alla bella voce di Lorenzo Giovagnoli che mai si è risparmiata durante
l’esecuzione dei brani.
Sin
dall’impatto visivo dell’artwork si denota immediatamente una continuità con il
passato, la copertina di questo nuovo album intitolato “L’Alba Della Civiltà” è
dello stesso Giovagnoli.
Nel
corso degli anni la line up subisce alcune modifiche sino a giungere ai giorni
nostri formata da Lorenzo Giovagnoli (voce e tastiere), Giulio Vampa (chitarra,
voce), Valerio De Angelis (basso, voce), Marco Fabbri (batteria, voce) e
Gianluca Milanese (flauto traverso).
Otto
le canzoni che compongono l’album, tra le quali due strumentali e una cover
come da tradizione Odessa, questa volta dedicata ai Pooh di “Parsifal” con la
canzone “L’Anno, il Posto, l’Ora” del 1972.
Suono
pulito e cristallino sin dagli arpeggi iniziali del breve intro strumentale
intitolato “La Stanza Vuota”, un colloquio fra chitarra acustica e flauto dal
fascino totalmente vintage. Con “Invocazione” ci s’immerge nel mondo degli
Osanna, flauto compreso, soluzioni datate ma sempre efficienti, una fotografia
ancora fatta con una macchina fotografica e non con un cellulare, quando il
mondo stava progredendo con personalità. Soffermarsi sull'uso vocale di
Giovagnoli è quantomeno dovuto, splendidi vocalizzi che inevitabilmente
richiamano alla memoria quelli femminili
di “The Great Gig In The Sky”, la chitarra elettrica finale conferma di
trovarci nel mondo dei Pink Floyd.
Atmosfere
più rilassate all'inizio di “Di Buio E Luce Parte 2” su una melodia prettamente
italica e per la precisione mediterranea, solare e ariosa con un ritornello ben
congegnato e un immancabile assolo di chitarra da brivido.
“L’Alba
Della Civiltà” ruggisce grazie all’Hammond, un Hard Prog addolcito solamente in
alcuni momenti dagli interventi del flauto di Gianluca Milanese. Non tanto per
la musica ovviamente che piuttosto mi conduce verso la Raccomandata Ricevuta
Ritorno, ma per l’attitudine il brano mi fa venire in mente quel capolavoro
intitolato “Orfeo9 “ di Tito Schipa Jr. forse questo è dovuto non solo ai testi
ma soprattutto alle coralità, in definitiva pieni anni ’70. “L'Organista
Del Bosco” viene ispirata dal disegno interno del pittore Silvano Braido ed è a lui dedicata. Ha una cadenza Folk gradevole e spensierata, il lavoro delle
tastiere è all'epicentro del percorso sonoro. E veniamo ora alla cover di
“L'Anno, Il Posto E L'Ora”, qui si sente il carattere degli Odessa, la spinta
energica che riescono a dare a tutto l’insieme dona al brano una nuova linfa.
Non che i Pooh abbiano bisogno di essere aiutati sotto certi aspetti, ma questo
tributo è davvero onesto e pulito, come l’aria che si respirava all'uscita di
“Parsifal” nel 1972, anni di una bellezza artistica sconcertante. Non posso che
fare i complimenti agli Odessa che non hanno scimmiottato il brano bensì lo
hanno rispettato e pulito. Una menzione anche per la tecnica individuale dei
musicisti, di certo non trascurabile.
“Rasoi”
ha un incedere che potrebbe scaturire anche da una canzone della Premiata
Forneria Marconi, altro orgoglio tipicamente italico sempre poco considerato
dai grande media ed è un autolesionistico peccato. In chiusura giunge
“Nell'Etere”, pezzo più scuro dell’album dove ancora una volta le tastiere e
il flauto dialogano fra loro lasciando la scena soltanto alla voce ricercata di
Giovagnoli. A tal riguardo, ho sempre ritenuto la voce un problema del Rock
Progressivo Italiano, il suo tallone d’Achille, e sono pochi gli esponenti che
mi hanno deliziato con ottime timbriche e idee, i nomi sono i soliti, Demetrio
Stratos, Francesco Di Giacomo, Aldo
Tagliapietra, Luciano Regoli, John De Leo, ma oggi come oggi ci aggiungo
tranquillamente Lorenzo Giovagnoli.
Una
fresca vena compositiva accompagna tutto l’ascolto di “L’Alba Della Civiltà”, è
un disco che sicuramente come minimo sarà candidato al podio per il miglior album
Rock Progressivo Italiano 2022, già me lo sento e il mio sesto senso mi ha
tradito poche volte, almeno in ambito musicale ci ha preso spesso e volentieri.
Complimenti cari Odessa, ma non fateci
attendere altri dieci anni per ascoltare una nuova opera, di questi tempi c’è
sempre più bisogno di bella musica, almeno quella! MS
Simple & Lies
SIMPLE
LIES – Millennial Zombies
Sneakout
Records/Burning Minds Music Group
Distribuzione:
Plastic Head
Genere:
Hard Rock
Supporto:
cd – 2022
L’Hard
Rock in Italia sta vivendo una seconda giovinezza e lo abbiamo visto anche nei
grandi contest. Sappiamo che ogni moda sonora è ciclica, anno dopo anno sorgono
i revival relativi a un periodo o a un genere, tuttavia la durata è limitata.
Ma nel caso dell’Hard Rock o dell’Heavy Metal non è così, semplicemente perché a
iniziare da chi suona, lo vive come un vero e proprio stile di vita, non come
una moda passeggera. Non è soltanto musica quindi, l’Hard Rock è una cultura a
se stante contrariamente a come può pensare la maggioranza della critica o
delle masse. Vivere Hard Rock è affrontare la vita con caparbietà, duramente, non
tirarsi indietro mai avanti ad una difficoltà e il tutto si fa con tanta
personalità. Ovvio che certi atteggiamenti, e alcuni look oltre che il suono
distorto, porta molto pubblico a distanziarsi da esso, questo però è messo in
conto perché come il Blues, e il Rock, l’Hard Rock è un viatico di protesta e
quindi deve necessariamente dare fastidio.
Che
sia uno stile di vita lo sanno benissimo anche i bolognesi Simple Lies, perché
ne hanno respirata di polvere, quella delle strade, infatti, nella loro
carriera hanno girato molto l’Europa e i dintorni, sono andati a suonare in Ucraina
(auguro tutto il meglio alla popolazione straziata da quest’orrenda invasione
da parte di Putin), Russia, Spagna, Francia, Lituania, Lettonia e ovviamente
l’Italia.
Si
formano nel 2006 e registrano due album, “No Time To Waste” nel 2012 e “Let It
Kill" nel 2015. Dopo alcuni avvicendamenti nella line up a oggi per questo
terzo lavoro in studio intitolato “Millennial Zombies” sono formati da Alessandro
Rubino (voce), Alberto Molinari (chitarra), Jam Bognanni (chitarra), Ash
Saboori (basso) e Zak Zucchini (batteria).
L’inquietante
copertina fa capire che in questo millennio siamo tutti zombie
comandati dai telefonini i quali ci tolgono la personalità rendendoci tutti dei
morti viventi. In effetti, dovremmo svegliarci e i Simple Lies ci provano a
farlo grazie alle undici canzoni contenute nell’album. Quello che salta subito
all’orecchio sin dall’ascolto del primo brano “The End”, è la buona qualità
sonora della registrazione. Un’onda elettrica impatta l’ascoltatore ma trattasi
di musica comunque orecchiabile e resa intrigante dall’interpretazione di
Alessandro Rubino, bella voce e capacità interpretative davvero elevate.
Granitico l’attacco di “567 Hate!”, tanta materia all’interno delle note,
fotogrammi del passato si susseguono nella mente durante l’ascolto. I coretti evocano
di molto gli anni ’80 e qui siamo al confine dell’Heavy Metal.
Borbotta
il basso di Ash Saboori nell’attacco di “Mr. Leg Day”, canzone dal ritornello
coinvolgente e dall’andamento allegro. Vetrina per le chitarre è “Weird Uncle”
che inizia proprio stranamente con un assolo di chitarra ficcante mentre
immagino di trovarmi in un album dei Saxon. “Prince Of Darkness” si apre con un
bell’ Ozzy Osbourne che si chiede “Chi ca@@o è Justin Bieber?” Qui tutta l’essenza
del principe delle tenebre, brano prettamente Hard senza deragliare dai binari.
La title track non da respiro, cadenzata in un mid tempo massiccio e un cantato
ficcante. Non manca neppure la ballata di turno qui intitolata “On A Stage
Together”. Molto bella, delicata sì ma con sapienza, fra arpeggi, piano e una
interpretazione vocale sopra le righe in attesa dell’immancabile assolo di
chitarra. “The Cage” ci rimette tutti in riga, fra ferro e fuoco. In “Flat
Brain Society” le chitarre segano in due l’ascoltatore, mentre i suoni si
aggirano attorno al mondo dei Judas Priest.
Altre
accettate giungono da “Ravencock”, anzi per meglio dire “Acceptate” visti certi
richiami alla storica band teutonica. Chiusura in eleganza con “Here Lies Her
Ghost”, canzone fra le mie preferite dell’intero album grazie ai cambi umorali
che lo rendono variegato e scorrevole.
In
definitiva “Millennial Zombies” è un pieno di energia, una passeggiata nel
mondo dell’Hard Rock e i Simple Lies qui non ci fanno mancare nulla, ma proprio
nulla! MS
domenica 6 marzo 2022
Umphrey's McGee
UMPHREY'S
MCGEE - You Walked Up Shaking in Your Boots but You Stood Tall
and Left a Raging Bull
Nothing
Too Fancy Music
Genere:
Crossover Prog
Supporto: 2021 – Digital
Nel
mondo musicale esistono anche veri e propri funamboli del pentagramma, accade a
volte per necessità, altre per virtuosismo e in alcuni casi come in questo
degli americani Umphrey’s McGee, per semplice spontaneità, in cui le
composizioni hanno al loro interno molte soluzioni. La band si fonda a South Bend, Indiana, nel
1997 e a oggi è composta da Brendan Bayliss (chitarra,), Jake Cinninger (chitarra,
tastiere,), Joel Cummins (tastiere), Ryan Stasik (basso), Kris Myers (batteria),
e Andy Farag (percussioni).
Hanno
solide basi su cui costruire la prolifica carriera, partendo dagli insegnamenti
di band come Beatles e Led Zeppelin per poi arricchire il bagaglio con ascolti
di Genesis, Yes, King Crimson, Mahavishnu Orchestra, Miles Davis e Jaco
Pastorius. Come avete potuto notare i nomi sono importanti e neppure molto
semplici da emulare, tuttavia la tecnica a disposizione dei sei musicisti
consente loro questo e altro. Ciò che comunque salta all’orecchio non è tanto
il rifacimento di alcune situazioni compositive, bensì la forte personalità che
li rende unici e ben distinguibili nel panorama del Rock, prerogativa questa dei
grandi.
Con
una discografia alle spalle davvero numerosa, “You Walked Up Shaking In Your
Boots But You Stood Tall And Left A Raging Bull” (grazie per il titolo, e se
poi traducete vi farete una bella risata) è il quindicesimo album in studio. Dodici
canzoni per un viaggio sonoro di quasi trequarti d’ora.
“Catshot”
è lo strumentale che inizia il percorso sonoro, aperto dal piano in loop e
successivamente raggiunto da tutte le strumentazioni in possesso alla band. Un
refrain che si stampa subito in mente, grandioso per enfasi e portato in trionfo
dalla chitarra elettrica. Ancora un loop questa volta di percussioni e batteria
ad iniziare “There's No Crying In Mexico”, un effetto stereo avvolgente ci
sorprende con la psichedelia per poi lanciarsi nel Rock quasi dance, il brano
si apre in maniera ariosa e coinvolgente. In questo disco dei Umphrey’s McGee
non esiste una suite ma una serie di brani di media e corta durata, solamente
la conclusiva “October Rain” supera i sei minuti. Coinvolgente “Leave Me Las
Vegas”, impossibile restare fermi all’ascolto, altro strumentale dove la
chitarra elettrica subentra nuovamente in corsa per rapire l’ascoltatore con i
suoi lamenti. E’ chiaro che i crescendo sonori sono un arma vincente del disco.
Se
non fosse per il suono moderno e per qualche schitarrata Metal “Depth Charge”
potrebbe derivare dagli anni ’70 e non stazionerebbe male neppure nella
discografia dei Goblin. Incastonata a lei giunge “You Got the Wrong Guy” ed
alza ulteriormente l’intensità delle atmosfere. L’incedere arrembante è davvero
coinvolgente. Con “Tango Mike” si è alla metà del percorso, un brano che spezza
l’ascolto grazie agli arpeggi di chitarra, ma è solamente un breve istante per
poi ripartire in pompa magna. “Nipple Trix” colpisce come un pugile ai fianchi
dell’ascoltatore, così i brani a seguire come nel caso della roboante “Le
Blitz”, solamente “Le Sac” potremo definirla la ballata del disco. Per quello
che concerne il gusto personale resto colpito da “October Rain” dove la
struttura variegata mi porta verso un Progressive Rock duro e puro.
Brevi
canzoni euforiche, un album strumentale che rilascia una energia positiva da
non sottovalutare, adeguato anche come compagno di viaggio per un percorso automobilistico.
MS
sabato 5 marzo 2022
Spherical Agenda
SPHERICAL
AGENDA - Arcane Wisdom
Lunar
Signal Records
Genere: Jazz Rock – Fusion
Supporto: cd – 2021
La
mia età mi porta a ricordare periodi e periodi della storia della musica. Sono
stato capace di godere di ognuno di essi, gli anni ’60 ricchi d’inventiva, i
’70 di tecnica e idee, gli ’80 di spensieratezza e voglia di divertimento etc.
In questo caso mi soffermerei a cavallo fra i ’70 e gli ’80, quando la fusion
ha dato buoni frutti come ad esempio in Canada con i fantastici Uzeb che
consiglio di conoscere a chi ne ignora l’esistenza. Tutto questo per dire che
il Jazz Rock Fusion è ancora oggi in buone mani, i giovani americani Spherical
Agenda prendono il testimone e portano avanti questo filone. Non che siano i
primi della classe intendiamoci, ma la freschezza con cui infarciscono la loro
musica è davvero encomiabile.
Potrei
citare grandi nomi fra le influenze che si denotano durante l’ascolto di
“Arcane Wisdom” come i Mahavishnu Orchestra, o i Return To Forever, tuttavia
c’è dentro molta farina del proprio sacco.
Dopo
una serie di singoli pubblicati tra il 2018 e il 2021, il 19 novembre 2021
debuttano con questo lavoro composto di otto brani. Sono formati da Matt Wiles (basso),
Brandon Scott Coleman (chitarra), Ben Tweedt (tastiere), e Devon Leigh (batteria),
con l’ospite d’eccezione Walfredo Reyes, Jr. (percussioni).
Apre
il disco la calda “Guts” fra momenti di riflessione e lanci strumentali. Sembra
una grande jam dove la coinvolgente ritmica porta l’ascoltatore in una fase
interattiva con il movimento del corpo incontrollato durante l’ascolto. Pochi
minuti e tanta storia all’interno. Hammond ed energia in “High Stakes”, questo
brano lo definirei Hard Prog. La seconda parte del pezzo mi riporta indietro
agli anni ’70 e questo per il mio gusto è un fatto positivo, piacevole
ascoltare il colloquio fra tastiere e chitarra. Ritorna la delicatezza del Rock
Fusion in “Rad Dads”, un ritmo divertente e avvolgente fa da tappeto al solo di
chitarra ancora una volta protagonista, e qui gli Uzeb sono davvero vicini.
Il
singolo tratto dall’album s’intitola “Steak Jazz”, vera e propria vetrina per
le capacità sia compositive che tecniche della band. Qui il basso di Matt Wiles
parla, ed è goduria. La batteria chirurgica di Devon Leigh apre “Blooze”, altro
brano coinvolgente e ricco di dialoghi fra le strumentazioni. E vai di Funk con
“Spherical Funk”, oramai la band viaggia a briglia sciolta, il brano potrebbe
benissimo risiedere nel disco capolavoro “Fast Emotions” sempre della band del
Québec. Ritorna l’ospite Walfredo Reyes, Jr. in “Coleman's Question”, le
percussioni sono un evidenziatore sulle capacità balistiche della band.
Il
disco si conclude con “Arcane Wisdom” momento assolutamente più originale di
tutto il contesto, davvero una degna conclusione che fa venire la voglia di
premere nuovamente il tasto “play”.
C’è
bisogno oggi più che mai di una coccola sonora e “Arcane Wisdom” è di certo una
di queste, non facciamocela sfuggire. MS
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