Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

martedì 29 marzo 2022

D'Virgilio, Morse & Jennings

D'VIRGILIO, MORSE & JENNINGS – Troika
Inside Out
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022






Tutti gli appassionati di Progressive Rock conoscono bene i tre nomi che compongono questo nuovo progetto musicale, ossia D'Virgilio, Morse & Jennings, tuttavia mi rivolgo a chi non segue tanto il genere per cui intraprendo un brevissimo excursus storico.
Negli anni ’90 il Progressive Rock vive una nuova ventata di freschezza, con il ritorno in auge di molte band anche storiche, questo accade perché nell’Europa settentrionale e in America nuove leve attirano l’attenzione su di loro e sul genere stesso, come ad esempio i Landberk, Anglagard, Anekdoten, The Flower Kings, oppure in America gli Echolyn e gli Spock’s Beard. Questo rifiorire post Neo Prog è la gioia del Prog fans il quale si era rassegnato negli anni all’ascolto di poco materiale al riguardo. Mentre per il citato Neo Prog degli anni ’80 il punto di riferimento stilistico sono i Pink Floyd e, i Genesis su tutti, negli anni ’90 e specialmente per le band nordiche, trattasi di gruppi come King Crimson e Gentle Giant. Venendo al nostro caso, in America si forma una band di nome Spock’s Beard dei fratelli Morse (Alan e Neal), quello che stupisce e accalappia immediatamente l’ascoltatore sono le melodie di facile assimilazione, addirittura da cantare nonostante la tecnica individuale degli strumentisti sia davvero elevata e spesso impegnata in funambolici passaggi sonori. Lo stile è un enorme calderone al cui interno si evincono in primis Beatles e Genesis, a seguire Pink Floyd, Jethro Tull, Gentle Giant e molto altro ancora. In questa band ci sono dunque due elementi del trio che oggi edita “Troika”, ossia Neal Morse (Transatlantic, NMB, ex-Spock’s Beard) e Nick D’Virgilio (Big Big Train, ex-Spock’s Beard). Per far capire la caratura del batterista D’Virgilio basta solamente che vi dico che è stato cercato dai Genesis al posto di Phil Collins, invece per quello che concerne Neal, sappiamo tutti che è un polistrumentista e fiume in piena, collaboratore di mille progetti uno su tutti quello dei Transatlantic oltre che realizzare una carriera solistica pregna di dischi. Neal Morse compone moltissime suite, spesso della durata di trenta minuti, ma anche tante canzoni semplici ed ottime ballate. Vengo ora a Ross Jennings (Haken, Novena), cantante della band Metal Prog inglese Haken, la band si forma a Londra nel 2007 e realizza sei dischi di elevata caratura tecnica e compositiva. La grande casa discografica Inside Out produce questo connubio per la gioia dei cultori delle relative band.
“Troika” è un disco composto da undici brani e una versione alternativa del singolo “Julia”, canzone dalle caratteristiche Folk e acustiche, un poco come viaggia tutto l’andamento del disco. Le coralità delle voci sono il centro del progetto, ma a farla da padrona sono le melodie accessibili tutte prettamente dedite alla semplice formula canzone. Tanti i rimandi alla carriera passata di Neal Morse, vero e proprio trainer del trio. Non si tratta dunque di puro Progressive Rock al 100% ma di un disco onesto e ricolmo di belle canzoni orecchiabili. Ovviamente non mancano alcuni passaggi più ricercati ma in generale questo è l’andamento del disco. Chitarra acustica e percussioni in molti brani, come ad esempio in “You Set My Soul On Fire”, oppure frangenti solari come in “One Time Less” o “Another Trip Around The Sun”. Meditativa “A Change Is Gonna Come”, una ballata semplice alla Neal Morse. Così il disco prosegue in generale nel suo cammino a parte alcuni momenti maggiormente Rock come in “King For A Day” o “King For A Day”.
 “Troika” è un disco che sicuramente non lascerà il segno nella storia della musica e neppure in nessun genere, ma vi garantisco che i tre elementi si sono divertiti in una maniera esagerata a realizzarlo e si sa che quando il divertimento è sentito è altresì contagioso. MS






sabato 26 marzo 2022

Karcius

KARCIUS - Grey White Silver Yellow And Gold
Autoproduzione
Genere: Hard Prog
Supporto: cd/digital – 2022




Eccomi nuovamente a parlare di un gruppo musicale canadese, terra  ricca di personalità. Il Prog qui ha trovato non soltanto radici (vedi Rush) ma anche evoluzione (vedi Voivod in campo Metal), sfornando in continuazione musica quantomeno non convenzionale. I punti di riferimento europei, soprattutto quelli insegnati da gruppi provenienti dall’Inghilterra, sono presenti ma assimilati e rielaborati. Uno dei gruppi più interessanti al riguardo sono i Karcius.
Provenienti da Montreal si fondano nel 2001 e sono un quartetto inizialmente dedito a del Jazz Rock e Fusion puramente strumentale. In questo modus operandi realizzano tre album, “Sphere” (2004 – Unicorn digital), “Kaleidoscope” (2006 - Unicorn Digital), e “Episodes” (2008 - Unicorn Digital), ma nel 2012 giunge la svolta all’interno degli equilibri della band, Sylvain Auclair si unisce al basso e apporta novità con la voce, un inconfondibile elemento Hard che sposta i connotati fisici e sonori della musica Karcius verso nuovi lidi. In fondo questo è il vero spirito del Progressive Rock, il mutare. Così la band oggi è composta da Sylvain Auclair (voce, basso, percussioni),
Thomas Brodeur (batteria, percussioni), Sébastien Cloutier (tastiere, cori) e Simon L’Espérance (chitarra, percussioni, tastiere).
“Grey White Silver Yellow And Gold” è il sesto album formato da sei canzoni, un sequel di “The Fold” (2018 – Autoproduzione). Anche lo stile resta avvinghiato alle sonorità più scure e dure del precedente, anche se di tanto in tanto fuoriescono le radici lontane del Jazz. Dico subito che questo nuovo stile sonoro piacerà molto ai fans dei Porcupine Tree, Riverside, Leprous e Steven Wilson. Molto del merito al riguardo ricade proprio sulla produzione sonora da parte di Tony Lindgren (James LaBrie, Katatonia, Opeth).
La canzone che inizia il disco intitolata “Parasite” è già il sunto di quanto da me ora descritto, un suono duro, coinvolgente e scuro avvolge l’ascoltatore lasciandolo in un limbo sospeso fra destabilizzazione e paura del vuoto. Lontanissima la band Karcius degli esordi.
Un arpeggio di chitarra inizia “Supernova” e qui siamo in casa Riverside, in tutto e per tutto. Un piccolo raggio di luce ci entra nella mente, diramando le oscure nebbie di “Parasite”. Da rimarcare all’interno un assolo di chitarra strepitoso anche se breve, dalle origini Pinkfloydiane.  Non capisco bene da dove, ma ci sento perfino infiltrazioni Pain Of Salvation (nella voce sicuro) e Haken.
“The Ladder” inizia sorniona, mini suite di tredici minuti con riff di chitarra elettrica psichedelici alla Porcupine Tree, il movimento sonoro è differente da quanto ascoltato sino ad ora, più meditativo con una prova vocale sopra le righe, anche se la fuga strumentale è sempre in agguato ma soprattutto efficace! Finale maestoso grazie all’uso del mellotron e di una coralità strumentale imponente. “Cosmic Rage” ha un intro di piano e voce con un incedere più banale rispetto al contesto ascoltato sino ad ora, pur restando sempre una canzone dai buoni livelli emotivi. Cambia l’ambiente ed il suono in “Distance Kills”, inizialmente rilassata oltre che gentile, supportata da archi di sottofondo per poi crescere come i già citati Pain Of Salvation hanno saputo fare nella loro discografia. A concludere ci attende la suite “A Needle Tree”, altra piccola gemma sonora in cui vengono palesate le caratteristiche dei moderni Karcius.
La band del Québec realizza un ora di musica da centellinare, assorbire e metabolizzare, il sound moderno del Prog oggi è questo, piaccia o meno l’evoluzione prosegue con noi o senza di noi. Personalmente amo ascoltare nuove sonorità e suoni duri, per cui con me si sfonda una porta aperta, a tutti gli altri consiglio un ascolto preventivo prima dell’acquisto, resta il fatto che “Grey White Silver Yellow And Gold” è un lavoro che riesce ad emozionare e non è poco. MS






domenica 20 marzo 2022

Nathan

NATHAN – Uomini Di Sabbia
AMS Records
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2022




Ancora nel 2022 il Rock Progressivo Italiano ha ottima salute. Band sorgono giorno dopo giorno portando nuova linfa vitale al genere che ha goduto di buona salute negli anni ’70, ma anche oggi sembra non essere domo. I punti di riferimento sono sempre gli stessi, non si finisce mai di dire grazie a gruppi storici come Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme, e Premiata Forneria Marconi su tutte, quest’ultima anche riferimento per la band savonese Nathan. Attivi nell’ambito musicale dal 1977 Flavio Esposito (tastiere), Bruno Lugaro (voce e basso) e Fabio Sanfilippo (batteria) formano la band soltanto nel 1997 e suonano brani altrui come ad esempio quelli dei Genesis o dei Pink Floyd. Oggi sono formati da Bruno Lugaro (voce), Piergiorgio Abba (tastiere), Giulio Smeragliuolo (chitarre), Fabio Zunino, Nino Cerruti, Mauro Brunzu (basso), e Luca Grosso, Fabio Sanfilippo (batteria).
Realizzano il primo disco in studio nel 2016 e si fanno conoscere al pubblico con “Nebulosa”. L’interesse attorno alla band si mobilita immediatamente, tanto da portare i Nathan a comporre il secondo album nel 2018 con la famosa casa AMS Records, l’album s’intitola “Era”. La vena compositiva sembra essere a questo punto ispirata poiché già nel 2022 siamo al cospetto di questo nuovo disco dal titolo “Uomini Di Sabbia”. Considerando che si sono composti nel 1997 direi che di cose nel tempo ne sono cambiate. Il disco in analisi sfiora anche in certi frangenti l’Hard Prog, questo per sottolineare l’importanza che hanno le chitarre all’interno della musica dei Nathan. Non siamo al cospetto di un concept, bensì di un lavoro legato brano per brano da testi che trattano argomenti psicologici come la non capacità di ribellione da parte dell’uomo ai soprusi, oppure della volontà di ribellione dinanzi alle ingiustizie, ogni brano ha un punto focale su cui concentrarsi. Otto le canzoni, a iniziare da “Fatti Non Foste” ispirato dalla Divina Commedia di Dante riguardante la collocazione di Ulisse nell’Inferno. La musica parte vigorosa e con tempi dispari a dire “siamo Prog al 100% !”. Un perfetto equilibrio fra PFM e Orme mentre risultano gradevoli gli interventi delle tastiere che riescono ad apportare un alito di gentilezza. Con un inizio alla Porcupine Tree anni ’90 giunge “Monoliti”, molti i punti di congiunzione con “Impressioni Di Settembre” e qualche passaggio alla New Trolls, a testimonianza di una totale passione per il genere nostrano. “Delirio Onirico” getta l’ascoltatore nel mondo dei Genesis e qui si denotano anche momenti di virtuosismo strumentale. “Il Pianto Del Cielo” è la canzone più corta dell’album con quattro minuti di melodie prossime al Neo Prog, mentre la voce di Lugaro mi ricorda in alcuni passaggi quella di Ivano Fossati.
Nei quasi dieci minuti di “Madre Dei Sortilegi” lo spettro si amplia, qui la musica diventa a 360 gradi, vetrina anche per le capacità balistiche dei singoli componenti. Ancora Porcupine Tree in “Nel Giardino Di Maria”, questa volta li nomino per il riff di tastiere che bombarda l’ascoltatore in maniera ripetitiva, qui siamo maggiormente nel campo Rock piuttosto che Prog e comunque il pezzo non mi dispiace per niente anche perché spezza l’ascolto e rende tutto più scorrevole. La pacata parte melodica centrale del brano riporta il suono agli anni ’70 e nuovamente alla PFM ma è un breve momento, i Nathan riprendono immediatamente il via e vigore. Un pianoforte inizia “L’Acrobata” tracciando sensazioni malinconiche dalla facile resa, credo che questo possa essere il singolo dell’album, o almeno un potenziale singolo. Il disco si finisce con la suite di quindici minuti “Egos”, mio brano preferito, dove i Nathan mettono sul piatto tutta la preparazione e capacità compositiva.
“Uomini Di Sabbia” è un disco molto piacevole e dalla lunga storia, un riassunto ben congeniato di quello che è stato negli anni il Prog in senso generale, tanto che sento di consigliare questo lavoro a tutti quelli che vogliono semplicemente ascoltare buona musica, oppure avvicinarsi per la prima volta al Rock Progressivo Italiano che non smette mai di emozionare, neppure nel 2022. MS






sabato 19 marzo 2022

Fromuz

FROMUZ - The Asymmetric Rules
SOE Records
Genere: Eclectic Prog
Supporto: cd – 2022




La musica ha un fascino tutto suo, immaginifico come avrebbero detto “quelli” della Premiata Forneria Marconi. In effetti, è così, le note dipingono come dei pennelli la tela del nostro cervello, dove le note sono i colori e le immagini si formano a piacimento secondo come siamo messi con l’umore o di fantasia. Per un musicista è una palestra sia per il suo ego sia per il piacere di creare suoni che facciano pensare, tutto ciò accade nel fantastico mondo dell’Eclectic Prog, genere per veri cultori e non adatto ad ascoltatori distratti. Tante le sonorità che s’incrociano all’interno per un suono davvero assortito. Molti la definiscono “Musica per la mente”.
Il Prog in generale ha contaminato negli anni tutto il mondo, addirittura anche l’Uzbekistan, dove andiamo a conoscere la band Fromuz.
Sono di Tashkent e si compongono nel 2004 per il volere del chitarrista leader Vitaly Popeloff e del suo amico bassista Andrew Mara-Novik. Rilasciano nel tempo cinque album e con il nuovo “The Asymmetric Rules” raggiungono quota sei. A oggi la band è formata da Albert Khalmurzayev (tastiere, chitarra, armonica, voce), Evgeniy Popelov (tastiere, voce), Vladimir Badirov (batteria) e
Vitaly Popeloff  (chitarra).
La musica dei Fromuz nasce spontaneamente, da jam corali, dove ogni componente mette del proprio per poi limare e legare il tutto assieme, questo per dire che non esiste in realtà un vero e proprio leader nella band. Il disco è composto da dieci brani e non manca neppure l’”Overture” che all’ascolto fa volare la fantasia in alto, come se stessimo ascoltando la colonna sonora di un film della Disney, questo tanto per farvi capire l’ambientazione. Con “Round And Round” si affrontano quasi nove minuti dove le chitarre elettriche s’incrociano con le tastiere in un sound vigoroso sostenuto dalle voci aggressive e le coralità di supporto. Il cantato è in lingua inglese. Nella musica dei Fromuz si lascia molto spazio alla fase strumentale, dove la band si trova più a suo agio e si sente. Dinamici cambi di tempo si susseguono per poi lanciarsi in un motivo più pacato e orecchiabile. Il suono è pieno, la mente è circondata, peccato solamente per un’incisione non del tutto nitida da far risultare gli strumenti troppo vicini fra di loro, manca in parole povere un buon effetto stereo e il senso di profondità.
Come in una suite segue adiacente il breve arpeggio di chitarra acustica “Air Dance, Pt. 1”, dove mi resta impossibile non paragonarlo a “Horizons” dei Genesis. In una sorta di Neo Prog inizia “Universe”, per poi lanciarsi nel suono duro di chitarra e basso che dialogano fra di loro come solo certi Tool hanno saputo insegnare. Come avete potuto notare si è passati da un’overture alla Disney ai Genesis e poi ai Tool, ecco se non sapete cosa è l’Eclectic Prog qui ne avete una bella testimonianza. Nuovo breve intro acustico intitolato “Air Dance, Pt. 2” e via di nuovo su scale del pentagramma altalenanti grazie ai dieci minuti di “Darling”. Tengo tuttavia a sottolineare che di base una melodia da ricordare c’è sempre, anche se la band si diverte a toccare stili su stili. In questo caso siamo nel Dark Prog, un cadenzato incedere è supportato dalle voci e da un riff grezzo oltre che sabbatico. Si è al cospetto di un'altra band? No sono sempre i Fromuz che spezzano il tutto anche con effetti elettronici, qui si autori di un bell’effetto stereo. Nelle fughe strumentali  la band si esprime ancora una volta ad alti livelli.
Intanto la chitarra acustica continua ad arpeggiare in “Air Dance, Pt. 3” e dopo un minuto e mezzo è la volta di “No End”, una mini suite di dodici minuti abbondanti ricolmi di storia musicale. Qui il Rock è analizzato in tutto il complicato percorso storico, ossia ci sono davvero molti anelli generazionali incastrati fra di loro a testimonianza dell’ottima preparazione culturale dei singoli componenti. La chitarra si presta al gioco di protagonista affrontando da solista le melodie senza grandi tecnicismi ma con tanto cuore, come spesso piace al Prog fans. “R-and-G Time” è ancora destabilizzante con passaggi anni ’30 e tanta rumoristica a melodia zero. Conclude il disco la suite “Wings of the Fast Lane: Deep Silence / Theme / Man from the Fast Lane / Theme, Pt. 2 / The Asymmetric Rules”, venti minuti di buona musica, anche Metal Prog, peccato ancora una volta per i livelli dei suoni.
I Fromuz non sono geni e neppure sfoderano capolavori, ma credetemi che conoscono la materia più di molte altre band maggiormente blasonate, non ci credete? Allora credete alle vostre orecchie e ascoltate. MS
 





sabato 12 marzo 2022

Odessa

ODESSA – L’Alba Della Civiltà
Locanda Del Vento / Lizard Records
Genere: Rock Progressivo
Supporto: cd – 2022




Mi sono imbattuto numerose volte in case discografiche italiane dedite a un genere specifico come il Rock Progressivo Italiano con connotati seventies, la nota Lizard Records ne ha fatto addirittura un filone specifico chiamandolo “Locanda Del Vento”. All’interno ho potuto ascoltare band come Ancient Veil, Monjoie, I Salici e moltissime altre fra le quali spiccano i marchigiani Odessa.
Sembra ieri il debutto della band di Lorenzo Giovagnoli "Stazione Getsemani”, invece sono passati inesorabilmente ventitré anni! Il disco fu portato al successo dai fans del settore che hanno da subito apprezzato certe sonorità vintage. Il secondo album "The Final Day - Il Giorno Del Giudizio" arriva dieci anni dopo, ossia nel 2009. Nei due dischi molte le sonorità prossime all’Hard Prog con riferimenti anche al Jazz Rock, come nel caso dei tributi agli Area oppure al Prog dei Trip e del Rovescio Della Medaglia. Nomi importanti questi citati, e chi conosce già gli Odessa è al corrente della personalità che li contraddistingue, grazie non soltanto alle tastiere, ma proprio alla bella voce di Lorenzo Giovagnoli che mai si è risparmiata durante l’esecuzione dei brani.
Sin dall’impatto visivo dell’artwork si denota immediatamente una continuità con il passato, la copertina di questo nuovo album intitolato “L’Alba Della Civiltà” è dello stesso Giovagnoli.  
Nel corso degli anni la line up subisce alcune modifiche sino a giungere ai giorni nostri formata da Lorenzo Giovagnoli (voce e tastiere), Giulio Vampa (chitarra, voce), Valerio De Angelis (basso, voce), Marco Fabbri (batteria, voce) e Gianluca Milanese (flauto traverso).
Otto le canzoni che compongono l’album, tra le quali due strumentali e una cover come da tradizione Odessa, questa volta dedicata ai Pooh di “Parsifal” con la canzone “L’Anno, il Posto, l’Ora” del 1972.
Suono pulito e cristallino sin dagli arpeggi iniziali del breve intro strumentale intitolato “La Stanza Vuota”, un colloquio fra chitarra acustica e flauto dal fascino totalmente vintage. Con “Invocazione” ci s’immerge nel mondo degli Osanna, flauto compreso, soluzioni datate ma sempre efficienti, una fotografia ancora fatta con una macchina fotografica e non con un cellulare, quando il mondo stava progredendo con personalità. Soffermarsi sull'uso vocale di Giovagnoli è quantomeno dovuto, splendidi vocalizzi che inevitabilmente richiamano alla memoria  quelli femminili di “The Great Gig In The Sky”, la chitarra elettrica finale conferma di trovarci nel mondo dei Pink Floyd.
Atmosfere più rilassate all'inizio di “Di Buio E Luce Parte 2” su una melodia prettamente italica e per la precisione mediterranea, solare e ariosa con un ritornello ben congegnato e un immancabile assolo di chitarra da brivido.
“L’Alba Della Civiltà” ruggisce grazie all’Hammond, un Hard Prog addolcito solamente in alcuni momenti dagli interventi del flauto di Gianluca Milanese. Non tanto per la musica ovviamente che piuttosto mi conduce verso la Raccomandata Ricevuta Ritorno, ma per l’attitudine il brano mi fa venire in mente quel capolavoro intitolato “Orfeo9 “ di Tito Schipa Jr. forse questo è dovuto non solo ai testi ma soprattutto alle coralità, in definitiva pieni anni ’70. “L'Organista Del Bosco” viene ispirata dal disegno interno del pittore Silvano Braido ed è a lui dedicata.  Ha una cadenza Folk gradevole e spensierata, il lavoro delle tastiere è all'epicentro del percorso sonoro. E veniamo ora alla cover di “L'Anno, Il Posto E L'Ora”, qui si sente il carattere degli Odessa, la spinta energica che riescono a dare a tutto l’insieme dona al brano una nuova linfa. Non che i Pooh abbiano bisogno di essere aiutati sotto certi aspetti, ma questo tributo è davvero onesto e pulito, come l’aria che si respirava all'uscita di “Parsifal” nel 1972, anni di una bellezza artistica sconcertante. Non posso che fare i complimenti agli Odessa che non hanno scimmiottato il brano bensì lo hanno rispettato e pulito. Una menzione anche per la tecnica individuale dei musicisti, di certo non trascurabile.
“Rasoi” ha un incedere che potrebbe scaturire anche da una canzone della Premiata Forneria Marconi, altro orgoglio tipicamente italico sempre poco considerato dai grande media ed è un autolesionistico peccato. In chiusura giunge “Nell'Etere”, pezzo più scuro dell’album dove ancora una volta le tastiere e il flauto dialogano fra loro lasciando la scena soltanto alla voce ricercata di Giovagnoli. A tal riguardo, ho sempre ritenuto la voce un problema del Rock Progressivo Italiano, il suo tallone d’Achille, e sono pochi gli esponenti che mi hanno deliziato con ottime timbriche e idee, i nomi sono i soliti, Demetrio Stratos,  Francesco Di Giacomo, Aldo Tagliapietra, Luciano Regoli, John De Leo, ma oggi come oggi ci aggiungo tranquillamente Lorenzo Giovagnoli.
Una fresca vena compositiva accompagna tutto l’ascolto di “L’Alba Della Civiltà”, è un disco che sicuramente come minimo sarà candidato al podio per il miglior album Rock Progressivo Italiano 2022, già me lo sento e il mio sesto senso mi ha tradito poche volte, almeno in ambito musicale ci ha preso spesso e volentieri. Complimenti cari Odessa,  ma non fateci attendere altri dieci anni per ascoltare una nuova opera, di questi tempi c’è sempre più bisogno di bella musica, almeno quella! MS






Simple & Lies

SIMPLE LIES – Millennial Zombies
Sneakout Records/Burning Minds Music Group
Distribuzione: Plastic Head
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2022




L’Hard Rock in Italia sta vivendo una seconda giovinezza e lo abbiamo visto anche nei grandi contest. Sappiamo che ogni moda sonora è ciclica, anno dopo anno sorgono i revival relativi a un periodo o a un genere, tuttavia la durata è limitata. Ma nel caso dell’Hard Rock o dell’Heavy Metal non è così, semplicemente perché a iniziare da chi suona, lo vive come un vero e proprio stile di vita, non come una moda passeggera. Non è soltanto musica quindi, l’Hard Rock è una cultura a se stante contrariamente a come può pensare la maggioranza della critica o delle masse. Vivere Hard Rock è affrontare la vita con caparbietà, duramente, non tirarsi indietro mai avanti ad una difficoltà e il tutto si fa con tanta personalità. Ovvio che certi atteggiamenti, e alcuni look oltre che il suono distorto, porta molto pubblico a distanziarsi da esso, questo però è messo in conto perché come il Blues, e il Rock, l’Hard Rock è un viatico di protesta e quindi deve necessariamente dare fastidio.
Che sia uno stile di vita lo sanno benissimo anche i bolognesi Simple Lies, perché ne hanno respirata di polvere, quella delle strade, infatti, nella loro carriera hanno girato molto l’Europa e i dintorni, sono andati a suonare in Ucraina (auguro tutto il meglio alla popolazione straziata da quest’orrenda invasione da parte di Putin), Russia, Spagna, Francia, Lituania, Lettonia e ovviamente l’Italia.
Si formano nel 2006 e registrano due album, “No Time To Waste” nel 2012 e “Let It Kill" nel 2015. Dopo alcuni avvicendamenti nella line up a oggi per questo terzo lavoro in studio intitolato “Millennial Zombies” sono formati da Alessandro Rubino (voce), Alberto Molinari (chitarra), Jam Bognanni (chitarra), Ash Saboori (basso) e Zak Zucchini (batteria).
L’inquietante copertina fa capire che in questo millennio siamo tutti zombie comandati dai telefonini i quali ci tolgono la personalità rendendoci tutti dei morti viventi. In effetti, dovremmo svegliarci e i Simple Lies ci provano a farlo grazie alle undici canzoni contenute nell’album. Quello che salta subito all’orecchio sin dall’ascolto del primo brano “The End”, è la buona qualità sonora della registrazione. Un’onda elettrica impatta l’ascoltatore ma trattasi di musica comunque orecchiabile e resa intrigante dall’interpretazione di Alessandro Rubino, bella voce e capacità interpretative davvero elevate. Granitico l’attacco di “567 Hate!”, tanta materia all’interno delle note, fotogrammi del passato si susseguono nella mente durante l’ascolto. I coretti evocano di molto gli anni ’80 e qui siamo al confine dell’Heavy Metal.
Borbotta il basso di Ash Saboori nell’attacco di “Mr. Leg Day”, canzone dal ritornello coinvolgente e dall’andamento allegro. Vetrina per le chitarre è “Weird Uncle” che inizia proprio stranamente con un assolo di chitarra ficcante mentre immagino di trovarmi in un album dei Saxon. “Prince Of Darkness” si apre con un bell’ Ozzy Osbourne che si chiede “Chi ca@@o è Justin Bieber?” Qui tutta l’essenza del principe delle tenebre, brano prettamente Hard senza deragliare dai binari. La title track non da respiro, cadenzata in un mid tempo massiccio e un cantato ficcante. Non manca neppure la ballata di turno qui intitolata “On A Stage Together”. Molto bella, delicata sì ma con sapienza, fra arpeggi, piano e una interpretazione vocale sopra le righe in attesa dell’immancabile assolo di chitarra. “The Cage” ci rimette tutti in riga, fra ferro e fuoco. In “Flat Brain Society” le chitarre segano in due l’ascoltatore, mentre i suoni si aggirano attorno al mondo dei Judas Priest.
Altre accettate giungono da “Ravencock”, anzi per meglio dire “Acceptate” visti certi richiami alla storica band teutonica. Chiusura in eleganza con “Here Lies Her Ghost”, canzone fra le mie preferite dell’intero album grazie ai cambi umorali che lo rendono variegato e scorrevole.
In definitiva “Millennial Zombies” è un pieno di energia, una passeggiata nel mondo dell’Hard Rock e i Simple Lies qui non ci fanno mancare nulla, ma proprio nulla! MS






domenica 6 marzo 2022

Umphrey's McGee

UMPHREY'S MCGEE - You Walked Up Shaking in Your Boots but You Stood Tall and Left a Raging Bull
Nothing Too Fancy Music
Genere: Crossover Prog
Supporto: 2021 – Digital




Nel mondo musicale esistono anche veri e propri funamboli del pentagramma, accade a volte per necessità, altre per virtuosismo e in alcuni casi come in questo degli americani Umphrey’s McGee, per semplice spontaneità, in cui le composizioni hanno al loro interno molte soluzioni.  La band si fonda a South Bend, Indiana, nel 1997 e a oggi è composta da Brendan Bayliss (chitarra,), Jake Cinninger (chitarra, tastiere,), Joel Cummins (tastiere), Ryan Stasik (basso), Kris Myers (batteria), e Andy Farag (percussioni).
Hanno solide basi su cui costruire la prolifica carriera, partendo dagli insegnamenti di band come Beatles e Led Zeppelin per poi arricchire il bagaglio con ascolti di Genesis, Yes, King Crimson, Mahavishnu Orchestra, Miles Davis e Jaco Pastorius. Come avete potuto notare i nomi sono importanti e neppure molto semplici da emulare, tuttavia la tecnica a disposizione dei sei musicisti consente loro questo e altro. Ciò che comunque salta all’orecchio non è tanto il rifacimento di alcune situazioni compositive, bensì la forte personalità che li rende unici e ben distinguibili nel panorama del Rock, prerogativa questa dei grandi.
Con una discografia alle spalle davvero numerosa, “You Walked Up Shaking In Your Boots But You Stood Tall And Left A Raging Bull” (grazie per il titolo, e se poi traducete vi farete una bella risata) è il quindicesimo album in studio. Dodici canzoni per un viaggio sonoro di quasi trequarti d’ora.
“Catshot” è lo strumentale che inizia il percorso sonoro, aperto dal piano in loop e successivamente raggiunto da tutte le strumentazioni in possesso alla band. Un refrain che si stampa subito in mente, grandioso per enfasi e portato in trionfo dalla chitarra elettrica. Ancora un loop questa volta di percussioni e batteria ad iniziare “There's No Crying In Mexico”, un effetto stereo avvolgente ci sorprende con la psichedelia per poi lanciarsi nel Rock quasi dance, il brano si apre in maniera ariosa e coinvolgente. In questo disco dei Umphrey’s McGee non esiste una suite ma una serie di brani di media e corta durata, solamente la conclusiva “October Rain” supera i sei minuti. Coinvolgente “Leave Me Las Vegas”, impossibile restare fermi all’ascolto, altro strumentale dove la chitarra elettrica subentra nuovamente in corsa per rapire l’ascoltatore con i suoi lamenti. E’ chiaro che i crescendo sonori sono un arma vincente del disco.
Se non fosse per il suono moderno e per qualche schitarrata Metal “Depth Charge” potrebbe derivare dagli anni ’70 e non stazionerebbe male neppure nella discografia dei Goblin. Incastonata a lei giunge “You Got the Wrong Guy” ed alza ulteriormente l’intensità delle atmosfere. L’incedere arrembante è davvero coinvolgente. Con “Tango Mike” si è alla metà del percorso, un brano che spezza l’ascolto grazie agli arpeggi di chitarra, ma è solamente un breve istante per poi ripartire in pompa magna. “Nipple Trix” colpisce come un pugile ai fianchi dell’ascoltatore, così i brani a seguire come nel caso della roboante “Le Blitz”, solamente “Le Sac” potremo definirla la ballata del disco. Per quello che concerne il gusto personale resto colpito da “October Rain” dove la struttura variegata mi porta verso un Progressive Rock duro e puro.
Brevi canzoni euforiche, un album strumentale che rilascia una energia positiva da non sottovalutare, adeguato anche come compagno di viaggio per un percorso automobilistico. MS





sabato 5 marzo 2022

Spherical Agenda

SPHERICAL AGENDA - Arcane Wisdom
Lunar Signal Records
Genere: Jazz Rock – Fusion
Supporto: cd – 2021




La mia età mi porta a ricordare periodi e periodi della storia della musica. Sono stato capace di godere di ognuno di essi, gli anni ’60 ricchi d’inventiva, i ’70 di tecnica e idee, gli ’80 di spensieratezza e voglia di divertimento etc. In questo caso mi soffermerei a cavallo fra i ’70 e gli ’80, quando la fusion ha dato buoni frutti come ad esempio in Canada con i fantastici Uzeb che consiglio di conoscere a chi ne ignora l’esistenza. Tutto questo per dire che il Jazz Rock Fusion è ancora oggi in buone mani, i giovani americani Spherical Agenda prendono il testimone e portano avanti questo filone. Non che siano i primi della classe intendiamoci, ma la freschezza con cui infarciscono la loro musica è davvero encomiabile.
Potrei citare grandi nomi fra le influenze che si denotano durante l’ascolto di “Arcane Wisdom” come i Mahavishnu Orchestra, o i Return To Forever, tuttavia c’è dentro molta farina del proprio sacco.
Dopo una serie di singoli pubblicati tra il 2018 e il 2021, il 19 novembre 2021 debuttano con questo lavoro composto di otto brani. Sono formati da Matt Wiles (basso), Brandon Scott Coleman (chitarra), Ben Tweedt (tastiere), e Devon Leigh (batteria), con l’ospite d’eccezione Walfredo Reyes, Jr. (percussioni).
Apre il disco la calda “Guts” fra momenti di riflessione e lanci strumentali. Sembra una grande jam dove la coinvolgente ritmica porta l’ascoltatore in una fase interattiva con il movimento del corpo incontrollato durante l’ascolto. Pochi minuti e tanta storia all’interno. Hammond ed energia in “High Stakes”, questo brano lo definirei Hard Prog. La seconda parte del pezzo mi riporta indietro agli anni ’70 e questo per il mio gusto è un fatto positivo, piacevole ascoltare il colloquio fra tastiere e chitarra. Ritorna la delicatezza del Rock Fusion in “Rad Dads”, un ritmo divertente e avvolgente fa da tappeto al solo di chitarra ancora una volta protagonista, e qui gli Uzeb sono davvero vicini.
Il singolo tratto dall’album s’intitola “Steak Jazz”, vera e propria vetrina per le capacità sia compositive che tecniche della band. Qui il basso di Matt Wiles parla, ed è goduria. La batteria chirurgica di Devon Leigh apre “Blooze”, altro brano coinvolgente e ricco di dialoghi fra le strumentazioni. E vai di Funk con “Spherical Funk”, oramai la band viaggia a briglia sciolta, il brano potrebbe benissimo risiedere nel disco capolavoro “Fast Emotions” sempre della band del Québec. Ritorna l’ospite Walfredo Reyes, Jr. in “Coleman's Question”, le percussioni sono un evidenziatore sulle capacità balistiche della band.
Il disco si conclude con “Arcane Wisdom” momento assolutamente più originale di tutto il contesto, davvero una degna conclusione che fa venire la voglia di premere nuovamente il tasto “play”.
C’è bisogno oggi più che mai di una coccola sonora e “Arcane Wisdom” è di certo una di queste, non facciamocela sfuggire. MS