Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

domenica 30 settembre 2012

Pink Floyd

PINK FLOYD - Meddle
EMI
Genere: Psychedelic Rock
Supporto: LP - 1971


Questa recensione risulta l'ennesima al riguardo di un disco che è di fatto parte della storia del rock psichedelico e non solo. Nella ricca discografia dei Pink Floyd non è l'anello forte, ma quello che incatena il sound Pink dal periodo più psichedelico a quello storico di "The Dark Side Of The Moon". Tramite "Meddle" passa la maturazione artistica, la personalità si stabilizza in un contesto settantiano del quale non sarà fruitore ma maestro. La formula canzone si incastona fra i brani altamente psichedelici, eppure distanti dal sound Barrettiano. Allora perchè parlarne ancora oggi se è ampiamente inflazionato? Semplicemente perchè mi sento di evidenziare un prodotto sonoro non sufficientemente stimato da molti, affogato dal successo planetario del suo successore, che però non avrebbe visto la luce se non ci fosse stato questo passaggio. Tramite "Meddle" si rafforzano certezze all'interno della band, ancora destabilizzata ed assalita dai "sensi di colpa" per la dipartita oramai annosa del primo leader Syd Barrett. Diverse le idee che lo compongono, anche distanti fra di loro per concezione e sonorità stilistica, a conferma di un periodo di transizione. Ecco allora fare sfoggio all' interno di momenti Blues, Psichedelici, Rock e Prog!!! David Gilmour sale in cattedra e come non mai travolge l'ascoltatore con violenza caratteriale tramutata in chitarra con "One Of These Days", unico brano della discografia Pink Floyd dove si può ascoltare (anche se brevemente ed in maniera distorta) la voce del batterista Nick Mason. Il basso martella un riff tanto elementare quanto suggestivo, grazie anche all'effetto eco per intersecarsi fra vento e slide guitar, un inizio tanto spettacolare quanto malefico. Uno dei pezzi più belli della storia chitarristica di Gilmour. "Fearless" è un buon brano, amato dai fans della band  inglese anche per il coro "You'll Never Walk Alone", registrato live allo stadio di Liverpoll per supportare la gloriosa squadra di calcio della città. In realtà il lato A dell'lp scorre con semplicità dopo l'impatto sonoro di "One Of This Days" e "San Tropez" è una canzone gradevole e melodicamente rassicurante rispetto all'insieme del discorso. La chiusura del primo tempo è delegata a "Seamus", un semplice giro di blues con la chitarra acustica, dove il cane di Wright (tastierista), un levriero Afgano, da sfoggio della propria voce. Se siete curiosi di vedere come succede, basta andare a vedere il "Live At Pompei".
Ma è il lato B che resterà nella storia della musica, un brano apparentemente lisergico che ricopre tutto il vinile: "Echoes". Più di venti minuti di sensazioni che a differenza delle altre situazioni passate, gode di ponderata struttura. Come un vero brano Prog (ecco infatti la suite) si apre con un motivo, nato da una nota del piano di Wright che entra in risonanza nello studio, dando questo strano suono dalla straordinaria efficacia emotiva. Il brano si evolve, muta, si stabilizza in un martellante refrain psichedelico per poi ritornare all'origine con l'effetto sonoro appena citato. All'interno buoni fraseggi di chitarra, interventi spesso sferzanti così come graffianti e poi sensazioni oniriche ed a tratti oscure. Questo sarà proposto in tutti i concerti a venire in mille salse differenti e chi fa collezione di dischi Bootleg della band, non potrà che confermare questa mia dichiarazione.
"Meddle" è un album di straordinaria efficacia, un disco che dimostra fragilità strutturale, dettata dalla indecisa strada da intraprendere, ma che dall'altra parte sottolinea la forza caratteriale dei quattro amici di Cambridge, persone invece decise a sperimentare nuove situazioni e sonorità, alla faccia del music businness che vorrebbe sempre e solo brani mordi e fuggi. Fondamentale e da valorizzare nella maniera più assoluta. (MS)

giovedì 27 settembre 2012

The Archangel

The ARCHANGEL - Akallabeth
Vinyl Magic / AMS
Distribuzione italiana: si
Genere: Hard Prog

Support: CD - 2009




Dietro l’appellativo di The Archangel c’è Gabriele Manzini, nome conosciuto in ambito Prog nazionale in quanto tastierista degli Ubi Maior ed ex membro dei The Watch. Già di per se il packaging promette bene, curatissimo, dettagliato e sostanzioso, come sempre più raramente capita di vedere. Manzini proviene dunque dal mondo Prog e per tanto ci si attende un lavoro alquanto articolato o perlomeno pomposo ed invece, a sorpresa, la musica che scaturisce da “Akallabeth” è un Hard Prog con alcuni riferimenti ad un altro grande dei tasti d’avorio: Clive Nolan.
Le composizioni sono davvero interessanti, raramente ci imbattiamo in episodi di stanca e se poi diamo un'occhiata a coloro che hanno contribuito a suonare in questo disco, allora ci rendiamo conto davvero di che pasta è fatto “Akallabeth”. Bene fa il nostro artista a circondarsi di ottimi cantanti, perché in effetti questo è il tallone d’Achille del Progressive italiano. Quindi incontriamo Damian Wilson (Threshold, Landmarq, Rick Wakeman), Zachary Stevens (Savatage, Circle II Circle) e Ted Leonard (Enchant) al microfono e questo gia basterebbe per attirare l’attenzione di tutti gli amanti del Metal Prog. Poi ovviamente gli Ubi Maior con Alessandro Di Caprio alla batteria, Walter Gorrieri al basso e Stefano Mancarella alla chitarra, oltre che due ex The Watch, Ettore Salati e Marco Schembri. Per concludere la carrellata di ospiti, Alessandro Dovi ancora alla chitarra, Davide Martinelli alla batteria e la voce dei Dunwich Francesca Naccarelli.
E allora, cosa ascoltiamo in questo disco? Aprono i sette minuti di “Gift Of Love” assieme alla voce di Wilson, attimi ricchi di pathos e facilmente paragonabili a certi Pink Floyd, per l’uso delle chitarre. Ovviamente sono le tastiere protagoniste, pur non risultando mai invasive, anzi a volte anche troppo timide rispetto all’insieme. Le scale che vanno a percorrere, come anticipato, mi ricordano molti lavori dell’inesauribile Clive Nolan (Pendragon, Arena, NEO, etc.). Ma come ho gia detto poco fa, ci si imbatte spesso in un Hard Prog energico, al limite del Metal Prog, “The Forbidding” è uno di questi. Gabriele Manzini non si perde in chiacchiere o in inutili tecnicismi, bada alla sostanza ed al buon gusto compositivo, il fatto che i brani difficilmente superano i cinque minuti la dice lunga al riguardo. C’è energia positiva in “The Shade Of Numenor”, la chitarra è per l’ennesima volta importante per la riuscita del pezzo. Strano per un artista che suona le tastiere e che compone un disco solista, dare molta rilevanza agli altri strumenti, da qui si deduce l’intelligenza artistica di Gabriele. Il songwriting è fresco e dinamico e si toccano diversi stili musicali. Interessante il risultato di “See Myself In You” con la bella voce di Francesca. Il disco ha altresì il pregio di crescere d’intensità nel prosieguo dell’ascolto. “Rings Of Power” è un altro esempio di pregevole Hard Prog, un curioso mix di Deep Purple anni ’70 con gli attuali Arena, singolare ed efficiente.
Più Folk “Raise The Sword” a dimostrazione della versatilità di “Akallabeth” e qui le tastiere diventano le protagoniste. Ma non voglio rovinare tutte le altre sorprese, vorrei che foste voi a scoprirle, tengo però a sottolineare la bellezza di “The Downfallen 39 Days Of Madness” nei dieci minuti di ricche soluzioni.
Tirando le somme, questo esordio solistico è un lavoro professionale che inorgoglisce ulteriormente il nostro già nutrito panorama nazional-progressivo. In un anno mi imbatto in centinaia di dischi Prog provenienti da tutto il mondo e credetemi se vi dico che questo è nettamente superiore alla media. Bravo The Archangel. MS

mercoledì 26 settembre 2012

Giorgio cesare Neri

GIORGIO CESARE NERI - Logos
Black Widow
Distribuzione italiana: Masterpiece
Genere: Hard Prog

Support: CD - 2008




Si è in molti a credere che la musica sia un mezzo per avvicinarsi al Divino, un tramite fra l’uomo e l’universo. Abbiamo affrontato questo argomento in altre differenti occasioni ed ora ritroviamo un altro artista che approfondisce il concetto. Il genovese Giorgio C. Neri, che parte con “Logos” per un viaggio spirituale e cosmico, ben coadiuvato dall’artwork cartonato, curato e particolareggiato, con tanto di frasi di Nietzsche, Platone, Eraclito Di Efeso e San Giovanni Evangelista. E quale musica può supportare cotanto bagaglio intellettuale se non il classico Progressive Rock?
Ecco allora ascoltare sonorità stile EL&P, King Crimson, Genesis, ma anche una spolveratina di Hard Blues alla Led Zeppelin. Neri suona tutti gli strumenti, tuttavia si lascia aiutare anche da Roberto Maragliano alla batteria, Giuseppe Alvaro (voce in “Tuona il Cannone”), Gian Castello (flauti in “Tuona il Cannone”) e Vittorio Ristagno (voce in “Seconda Navigazione” e “Per Tutti E Per Nessuno”). Nella durata totale di quasi un ora, l’argomento viene trattato e vivisezionato in tutti i punti, compresi quelli delicati delle emozioni.
Sin dall’”Intro” il volo è introspettivo, per poi dare sfogo ad un tratto più energico, quello di “ID & Trad”. La chitarra ricorda “One Of This Day” dei Pink Floyd, un tocco di Psichedelia che non guasta. Cambia il paesaggio in “Alleanza”, un Prog più canonico e per certi versi più vicino agli anni ’70. Le tastiere e la chitarra sono i strumenti in evidenza, mentre il refrain strumentale mette poco a stamparsi nella memoria. La narrazione di “Seconda Navigazione” apre ad un breve interludio tastieristico intitolato “Addio”, a sua volta legata a “Le Braccia E Le Ali. Mi sovvengono Le Orme, ma poi il viaggio è differente e chi ama i primi Kraftwerk di “Retreat (Ruckzuck)” sicuramente troverà dei passaggi interessanti…. di flauto, si intende.
E’ così che Giorgio C. Neri dimostra tutta la sua passione e cultura musicale. Musica per la mente, che fa pensare. Poi i suoni di “Guerra”, con mitraglie e gli aerei ci raccontano della stupidità dell’uomo, l’inutile distruzione, l’avidità di questo essere autoelettosi “intelligente”.
“Godinus 7” è suddivisa in due parti, per dieci minuti di grande musica. Personalmente resto affascinato da “Tuona Il Cannone”, dal canto di Giuseppe Alvaro e dai suoi testi. Commerciale e diretta, stile “Impressioni Di Settembre”, ricca di spunti, sono sicuro che girerà molte volte nel mio lettore cd. Si finisce con i fuochi d’artificio, “L’Ultima Danza” è un tassello Hard Prog di quasi dieci minuti, colmo di suoni che ogni Prog fans vorrebbe sempre ascoltare. “Sipario” suggella “Logos” e lascia soddisfatti, con la sensazione di essere stati, anche solo per un attimo, vicini al divino ed al suo meraviglioso creato.
Un viaggio che vorremmo non finisse mai, ce lo chiedono lo spirito e la mente. Grazie Neri. MS

martedì 25 settembre 2012

Gracious

GRACIOUS - !
Vertigo (Repertoire)

Distribuzione italiana: ?
Genere: Progressive Rock
Support: Lp 1970 (CD 2004)




Mi piace ogni tanto ritornare alla fonte della giovinezza musicale, quel luogo dove il tempo si è fermato fra Mellotron, flauti, violini o clavicembali vari. La sorgente del Progressive Rock. Parte del merito va anche alla tedesca Repertoire che ogni tanto ristampa piccoli gioiellini sommersi ingiustamente dalla polvere.
Uno di questi sono i Gracious, un quintetto inglese amante del Rock di ricerca, ma mai lontano dalle strette e canoniche melodie Pop. Infatti in un tratto ascoltiamo addirittura un richiamo a “Hey Jude” dei Beatles e qualche sonorità a loro adiacente, come nel caso del brano “Heaven” concluso con un bellissimo assolo di chitarra. La fase più sperimentale del gruppo la si ascolta in “Hell”, e non si possono fare a meno dei paragoni con i King Crimson. Non a caso i Gracious hanno aperto per loro dei concerti.
Voci filtrate dunque e dissonanze con le tastiere sono parte degli ingredienti di questo gustoso piatto sonoro. Non manca neppure il richiamo al classico, tanto in vigore in quegli anni, con “Fugue in Do Minor”. A questo punto può mancare la suite? Ma certamente che no, “The Dream” è il suo nome per una durata di diciassette minuti di sorprese. L’ispirazione alla King Crimson uscirà più marcatamente nel successivo “This Is…Gracious!” del 1972, ultimo lavoro di una band che purtroppo avrà vita breve. Decisamente più maturo del predecessore, ma secondo me privo del fascino del debutto, annesse ingenuità. Ritornando a “Gracious!” dobbiamo rimarcare l’importanza delle tastiere di Martin Kitcat (non ridete), pilastro del suono della band, specialmente nei passaggi con il clavicembalo ed il mellotron.
Nella ristampa della Repertoire (2004) possiamo godere anche di tre bonus track, quindi chi vuole fare un bagno nella fontana della giovinezza il posto è servito. MS


lunedì 24 settembre 2012

Landmarq

LANDMARQ - Live in Poland 2005
Metal Mind
Distribuzione italiana: Andromeda Dischi
Genere: New Prog
Support: CD - 2009



Il genere New Prog affonda le proprie radici nei lontani anni ’80 ed è facilmente riconoscibile grazie alle melodie orecchiabili e mielose, con un cantato enfatico e recitativo. La band principe a cui si sono ispirati la maggior parte dei gruppi New Prog, sono i Genesis di Peter Gabriel, da qui il modo di cantare, le tastiere ridondanti e gli assolo di chitarra ragionati e sostenuti. Chi segue il Prog dunque conosce i Marillion di Fish, gli IQ ed i Pendragon, solo per fare qualche nome. Proprio questi ultimi hanno fra le fila Clive Nolan, tastierista tuttofare, impegnato in decine e decine di progetti paralleli, fra i quali spicca la produzione di questa band inglese assieme al suo amico Karl Groom.
La Metal Mind nel 2005 produce questo DVD del quale solo oggi conosciamo il singolo formato audio. Il concerto, per la precisione, si è svolto a Katowice il 15 novembre del 2005. Ma veniamo alla band, i Landmarq a mio modo di vedere, sono una band sfortunata, in quanto ha potenzialità enormi ed ha prodotto dischi che spesso hanno superato in bellezza quelli dei loro colleghi New Prog più blasonati. Ma allora perché non hanno altresì goduto della stessa considerazione? Il motivo resta a me sconosciuto, l’unica cosa che denoto rispetto ai maestri del genere è che i Landmarq hanno una cantante donna, tra l’altro dalla voce bellissima, fatto anomalo nel New Prog. E poi neppure tanto, perché agli inizi non cantava una donna. Spero non sia questo il motivo, sarebbe davvero squallido, poi abbiamo altri esempi di ottime band con brave cantanti, oggi ad esempio i Magenta.
Una cattiva distribuzione discografica nel corso degli anni che contavano potrebbe essere una scusa più plausibile.
Eccoci allora oggi, grazie alla Metal Mind, godere di questi ottanta minuti di grande musica, nove canzoni che sono nove classici, con una prestazione live eccellente ed un suono più che soddisfacente. Tracy Hitchings (voce), Dave Wagstaffe (batteria), Uwe D’Rose (chitarre), Steve Gee (basso) e Steve Leigh (tastiere) possono insegnare il mestiere a migliaia di band del genere. Che poi il New Prog possa essere troppo mieloso e girare sempre attorno alle stesse soluzioni, questo è un altro discorso. Non lasciatevi sfuggire l’ennesima occasione per scoprire una “nuova” band di altissima professionalità, sarebbe un errore madornale ed i Landmarq non si meritano una sfortuna così accanita. MS

domenica 23 settembre 2012

The Fabius Project

the FABIUS PROJECT - Vol.1 & Vol.2
Selfproduced

Distribuzione italiana: ?
Genere: Virtuoso
Support: CD - 2010 + 2011




A volte nelle autoproduzioni si hanno gradevoli sorprese, in questo microcosmo intrigato di uscite si celano piccole perle sonore che non ti aspetti, l'artista emiliano Fabio Brunelli rientra fra queste. Brunelli è un polistrumentista che approccia alla musica soprattutto con la chitarra acustica, ricercando le sonorità a cavallo fra il Blues, il Prog, l’Ambient e molto altro ancora. Dagli ascolti di questi due dischi dal titolo "The Fabius Project" e "The Fabius Project Vol.2" si evince che è strumentista e compositore polivalente, con una cultura musicale alle spalle davvero nutrita. Genesis, Weather Report, ma nominare band è restrittivo in quanto la proposta musicale è davvero nutrita e variegata. Ogni traccia significa un momento emotivo differente e la musica diventa poesia, dove al posto delle parole si trovano le note.
Ciò che mi colpisce è la fluidità con cui scorrono entrambe i lavori, pur essendo due album strumentali e sapete bene quanto sia difficile ascoltare interamente un lavoro esclusivamente sonoro, per questo serve varietà, stacchi e cambi umorali. La batteria è campionata, questo per avvisare chi ama o non ama questo tipo di sonorità, tuttavia non è semplice dare profondità ai suoni unendo il campionato all'acustico, ebbene Brunelli riesce pienamente nell'intento.
In "The Fabius Project" i pezzi che compongono l'album sono undici ed ognuno esprime sensazioni differenti, ad esempio chi ama il suono più progressivo e sognante farebbe bene ad ascoltarsi "The Progressive Queen", chi invece intende la musica come un affresco immaginario allora ""Return To Semplicity" cade a pennello. Ci sono frangenti allegri, ballabili, ci sono momenti tristi, altri più epici, insomma il contenitore è pieno. Coinvolgente "Tecno Nylon", dall'alto della sua apparente semplicità, dico questo perché l'artista ha la capacità di attirare l'attenzione senza strafare, con buona tecnica, pulita ma mai invadente. Il virtuosismo è a disposizione delle emozioni semplici e pacate, ascoltate "Tempus Fugit".
Il discorso in "The Fabius Vol.2" cambia di poco, comunque si denota una certa crescita e consapevolezza dei propri mezzi compositivi e qui si osa anche qualcosa in più. Già l'arpeggio in stile Steve Hackett in "Overture" mette in guardia l'ascoltatore. Anche in questo disco ci sono undici tracce per quasi quaranta minuti di musica. Notevole "Before The Storm" dove l'abbraccio caldo della musica fa venire in mente reminescenze vintage. Anche qui la chitarra è protagonista, tutto scorre sopra le sue corde alternando fraseggi Prog ad altri Ambient, restando nei canoni descritti fino ad ora. Uno dei frangenti che più mi sono piaciuti in questo secondo capitolo si intitola "Memories", pacato viatico emotivo fra arpeggi e motivi polivalenti.
In "Italian Rock And Roll" c'è l'approccio sonoro al genere per come lo intende l'artista emiliano, sempre in maniera pacata e mai invasiva. Non è musica dirompente questa di The Fabius Project, semplice musica per la mente.
Ora che conosco questo nuovo artista mi aspetto da lui anche qualcosa in più, gli ingredienti per fare bene ci sono tutti e per qualcosa in più intendo anche composizioni più sperimentali, perché sento che Brunelli ne ha, sono sensazioni che si avvertono soprattutto quando ascolti artisti degli anni '70, dove l'osare allora era quasi obbligatorio. Certamente oggi non sono i tempi giusti per la musica "intellettuale", stiamo viaggiando proprio agli antipodi, dove l'individuo non è più al centro dell'interesse, per cui mi rendo conto della difficoltà della cosa, però so bene che un vero artista prima di tutto suona per se stesso, per cui a mio avviso si può fare.
Intanto contattate Fabio Brunelli su www.fabiusmusic.com perché nei due lavori c'è semplicemente il piacere di ascoltare la musica. MS

sabato 22 settembre 2012

Chiasso Mozzo

CHIASSO MOZZO - Chiasso Mozzo
Lizard Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Folk Cantautorale
Support: CD - 2009
Accompagnato da un supporto cartonato ed un artwork davvero invidiabile, creato da Alberto Martini, i toscani Chiasso Mozzo si affacciano ufficialmente al mondo musicale con questo esordio dal titolo omonimo. Con esso la Lizard Records aggiunge un altro tassello a quel puzzle sonoro cantautoriale dal nome “La Luna E I Falò”. Questo è un ramo della casa che si discosta dal Progressive Rock con il quale ci ha abituati solitamente, anche con risultati eccellenti, dedito ad una musica più cantautoriale e folcloristica. Infatti i Chiasso Mozzo portano con loro un bagaglio culturale alquanto variegato, grazie soprattutto all’esperienza acquisita di artisti da strada. Il loro è un circo sonoro, popolato da bizzarri e loschi personaggi, una musica apparentemente diretta, ma ricolma di strumenti e cultura, quindi ecco il contrabbasso, il pianoforte, i fiati, le percussioni, la batteria e molti altri ancora.
Le liriche sono forti, interessanti, scritte dal poeta Alessandro Scalpellini ed ottimamente illustrate graficamente dalla mano di Daria Palotti. In questo strampalato circo colorato, ci si imbatte con dure confessioni di un prete pedofilo, Irene, una nera signora, un becchino e molti altri curiosi personaggi. Il connubio musica-testi, lo avrete capito, è quindi fondamentale. Per rendere il tutto ancora più bizzarro e (perché no) clawnesco, la voce roca e forzata di Giulio Tosi è proprio quello che serve. La bravura dei Chiasso Mozzo risiede nel far sembrare tutto molto semplice, quando invece non lo è. Ci sono soluzioni sonore coraggiose e melodiose, quelle incastonate nella nostra cultura italica e molto altro. Ballate acustiche in stile De Andrè, non certo come musica di per se, quanto come approccio alla struttura del brano, in parole povere “cantastorie”, anche se dalla tendenza circense.
Davvero numerosi gli spunti interessanti, a volte accompagnati da coralità femminili, come nel “Tango Decadente”. In verità non voglio soffermarmi su nessun brano in particolare, perché ognuno è degno di nota e d’attenzione.
Questo esordio è per me una buona sorpresa, non fa altro che confermare il mio pensiero sugli artisti italiani, i migliori si aggirano sempre fuori dal music business. Chiudo dicendo che Chiasso Mozzo si trova in un garage in fondo ad un vicolo cieco di Pisa ed ora scusatemi, ci chiamano al circo, lo spettacolo sta per ricominciare…. MS

giovedì 20 settembre 2012

Iluvatar

ILUVATAR - A Story Two Days Wide...
Kinesis

Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 1999


Gli americani Iluvatar dopo il live “Sideshow” ritornano con del nuovo materiale dopo la bellezza di cinque anni, i propri fans ora hanno di che sfamarsi. Il suono di questa band ha molto poco di americano e molto d’inglese, anche in questa ultima fatica sono sempre i Genesis, i Pendragon ed gli Iq ad essere richiamati. New Prog dunque e di buona levatura, ma anche influenze Rush (quelli più progressivi) nei frangenti più tirati.
La tecnica dei singoli componenti è veramente eccelsa e quando Tennis Mullin parte con i suoi assoli di chitarra c’è veramente di che godere. L’impostazione vocale del singer Glenn McLaughlin è buona ma a volte è troppo vicina a Phil Collins del periodo “Wind & Wuthering” e quando cerca di variare assomiglia di più a Geddy Lee (Rush). Tutto questo non influisce più di tanto nella totalità dell’ascolto, ci sono le onnipresenti tastiere di Kezer Mij che riempiono le nostre casse in modo possente, ma mai troppo invadente.
I brani sono generalmente lunghi , variano dai sette minuti al quarto d’ora dell’ultima traccia “Indian Rain”, la più bella del disco per chi scrive. Hammond, tecnica e divertimento nell’iniziale “Sojourns” e nei suoi nove minuti possiamo ascoltare oltre che una buona sezione ritmica fornitaci da Chris Mack alla batteria e da Dean Morekas al basso, anche un arioso assolo di chitarra incastonato in cambi di tempo. Il discorso che gli Iluvatar sono un gruppo più inglese che americano è confermato nella successiva “Savant” dove sembra proprio di ascoltare una canzone dei Parallels Or 90 Degrees, ma soprattutto sfacciata è l’interpretazione vocale alla Collins. E’ evidente che comunque siamo al cospetto di un ottimo disco, oro colato per chi ama questo ipertecnico genere. In “Dreaming With The Lights On” non cambia quasi nulla da quanto sin qui detto, non in “Holidays And Miracles” , dove gli Iluvatar fanno il verso ai Marillion di “Clutching…” con un bell’arpeggio di chitarra conducendo la canzone in ambienti prettamente intimistici.
Quello che mi stupisce di più è la semplicità con cui questi cinque ragazzi passano da ambientazioni Hard Rock a quelle più pacate senza che neanche ce ne accorgiamo. Tutto viaggia fluido, senza troppi momenti di stanca e pure, anche se è musica di genere datato, sembra essere molto attuale…
“Batter Days”, causa una chitarra elettrica molto aggressiva, si addentra in sentieri Hard Rock e non dispiace affatto. Si lascia ascoltare allegramente con tanto di movimento del piede che parte da solo a nostra insaputa. Ballata per “Even Angels Fall”, nulla di trascendentale ma carina. Conclude il disco ottico la bellissima (come già anticipato) “Indian Rain”, stracolma di emozioni, canzone che tutti gli amanti di Prog vogliono sentire ma soprattutto avere nella propria discografia.
L’America, insomma, in qualche timido tentativo cerca di dire la sua in ambito progressivo, personalmente consiglio Spock’s Beard, Echolyn, Glass Hammer e Rocket Scientists a chi volesse addentrarsi in questo mondo, ma sicuramente sono da aggiungere alla lista anche questi Iluvatar.
Dimenticavo di dire a chi volesse cercare l’intera discografia del gruppo che questo “A Story Two Days” è il loro quarto lavoro. Vedete voi. MS

martedì 18 settembre 2012

Blackfield

BLACKFIELD - Blackfield
Snapper

Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Prog
Support: CD - 2004




Questo è quello che scrivevo dei Blackfield nel 2004 alla loro prima uscita discografica :

Oggi c’è chi associa il termine Progressive Rock ad una musica vecchia e stantia, un dinosauro che si muove stancamente nell’ambito del Rock. Si pensano subito a presuntuose e lunghissime suite, ad una musica complessa e culturalmente pesante. In parte questo è vero, ma altresì si incontrano band che fanno della cultura passata bagaglio e la evolvono anche in una semplice formula “canzone”. Una di queste si chiama Blackfield.
Dietro a questo progetto c’è Aviv Geffen, chitarrista e cantautore Israeliano e l’instancabile Steven Wilson, produttore di Fish, Opeth e capitano di band come Porcupine Tree, No Man e I.E.M.
L’idea nasce grazie all’intuito di Aviv, il quale essendo estimatore dei Porcupine Tree, contatta il leader nel 2001 per proporgli questo progetto. All’ascolto ed alla lettura di questa recensione molti di voi grideranno che questo non è Progressive Rock, allora non lo dovrebbe essere neppure quello dei Genesis di “Abacab” o degli Yes di “Owner Of A Lonely Heart”, tanto per intenderci! Nella musica dei Blackfield fuoriesce una cultura musicale raffinata, dei richiami ai Pink Floyd o ai King Crimson, ma tutto questo in maniera velata, rielaborata con una personalità come solo grandi artisti sanno fare. Pensate come considero questo esordio discografico, vi dico che ogni brano potrebbe essere un potenziale single. La musica che si spalanca alle nostre orecchie è velata, malinconica, delicata e romantica, tuttavia lo stile Porcupine è quello che prevale,la personalità di Steven è troppo forte, anche se il carisma di Aviv è ammaliante.
Le richieste dei fans ai loro concerti, decretano “Hello”, “Cloudy Now”, “Blackfield” ed “Open Mind” i pezzi più appetibili. Quello che colpisce nella loro musica è la semplicità delle melodie, soprattutto i ritornelli che si stampano indelebili nella mente, come dei tormentoni.
“Blackfield” è un disco che non deve mancare nella vostra collezione, perché si ascolta molto spesso, ma che dico… spessissimo! MS


Oggi invece abbiamo il terzo disco da studio Welcome To My DNA


Questo disco nasconde delle gemme toccanti ed intimistiche, sicuramente il disco più introspettivo del duo Geffen-Wilson. In realtà il materiale che fuoriesce è più nel "Dna" del primo, il leader dei Porcupine Tree qui sembra aver messo meno la mano, anche se il risultato finale è comunque ottimo. Gli arrangiamenti sono il fulcro dell'intero lavoro, il suono è minimale e diretto, maledettamente toccante. "Glass House" , "Rising Of The Tide", "Far Away" , On The Plane" e la conclusiva "DNA" sono gioielli inopinabili. Gradevolissima e più movimentata "Oxygen", brano da single cd. Riescono pure a mandarci al diavolo con garbo e delicatezza in "Go To Hell", pezzo tormentone semplice e malandrino.
Per chi non li conosce i Blackfield non sono Prog, piuttosto un pop rock dai bagliori gotici, quasi inclassificabili. I brani sono brevi ed orecchiabilissimi, una band che sta facendo un successo planetario e come sempre noi Italiani arriviamo sempre dopo, lasciando artisti di questo calibro nel più triste anonimato. Per fortuna ci pensa il resto del pianeta a fare giustizia. Io per quello che mi riguarda me li godo al massimo e pure questo cd me lo sparo a palla almeno due volte a settimana, perchè fa bene all'anima ed alla mente. Poesia pura! (MS)

lunedì 17 settembre 2012

Osanna live!

OSANNA LIVE
Casa Del Jazz - Roma
15 - 09 - 2012
Un nostro anonimo lettore mi manda questo simpatico resoconto del concerto dei partenopei Osanna svoltosi a Roma sabato 15 settembre 2012. Come vi dicevo NONSOLO PROGROCK è di tutti! Complimenti per la recensione e grazie! (MS)

L'occasione è la presentazione del nuovo album degli Osanna "Rossorock" che, scopriamo andando a vedere il concerto, organizzato nell'ambito della ormai consolidata vetrina di Guido Bellachioma "Progressivamente", essere anche un vino con tanto di bottiglie numerate e, quindi, da collezione. Il posto è "La casa del Jazz" a Roma e la sala è per circa 150 persone; ovviamente c'è il tutto esaurito e diverse persone restano fuori. L'inizio è una mini intervista a Lino Vairetti unico vero Osanna rimasto in formazione a causa della malattia che ci ha privati di Danilo Rustici. Nella mini intervista Lino spiega che il disco è la versione con orchestra dal vivo della colonna sonora di "Milano calibro 9" più quattro brani più o meno inediti e che il vero concerto commemorativo dei 40 anni dall'uscita della colonna sonora (era il 10 agosto 1972) si svolgerà a Napoli il 24 ottobre con orchestra, David Jackson, Tito Schipa jr ecc.
Finita l'intervista i ragazzi si vanno a "mascherare" e verso le 21.30 il concerto inizia, c'è anche uno schermo sul quale scorrono immagini dapprima dal film "Carosello Napoletano" poi i video delle comparizioni in tv degli Osanna; nel frattempo mentre il basso di Nello D'Anna (che scopro non avere alcuna parentela con il grande Elio) non ne vuole sapere di partire Lino fa il suo ingresso vestito da "pazzariello" intrattenendoci in modo da consentire ai tecnici di risolvere il piccolo problema del basso.
Poi via si comincia con "Fujie da questo paese" da Palepoli proseguendo con Mirror train e l'Uomo secondo l'ormai consolidata scaletta del gruppo. Quindi prima di iniziare la parte dedicata a "Milano calibro 9" Lino introduce il brano che da il titolo all'album accompagnato da relativo filmato girato alla piscina Mirabilis di Napoli (è un sito archeologico e non un centro nuoto); il brano non mi entusiasma più di tanto. Poi finalmente si parte con la "Milano calibro 9". Il gruppo mi sembra ben impostato sia negli arrangiamenti sia negli stacchi e si vede che c'è una grande intesa e voglia di suonare. Mi piace molto il tocco della chitarra di Pako Capobianco anche se, forse per la giovane età, mi sembra un pò estraniato dal palco nel senso che non concede molto in movimenti ma quanto a sonorità e assoli al "bacio" non si risparmia. Per il resto il figlio di Lino, Irvin Luca Vairetti, si dà da fare per cercare di caricarsi e caricare anche gli altri e la sezione ritmica è all'altezza della situazione. A questo punto occorre però che faccia una precisazione e cioè: se avete visto gli Osanna con David Jackson e Gianni Leone avete visto un altro gruppo rispetto a quello che ho visto io perchè, ed è l'unica cosa che mi è piaciuta poco in tutta la serata, l'assenza dei fiati purtroppo in alcuni momenti si è fatta sentire nonostante la bravura nell'uso delle tastiere sia di Irvin che di Sasà Priore. Alla fine comunque tutti bravi. Si giunge al bis "preparato" con i classici tratti da "L'Uomo" " In un vecchio cieco" e "vado verso una meta" con gran finale e reprise di "Fujie da questo paese" e girandola napoletana. Guardo l'orologio dopo essermi spellato ben bene le mani per gli applausi e mi accorgo che sono passate due ore senza quasi accorgermene. Considerando il livello dell'acustica della sala, il fatto che si stava seduti in poltrona, che è durato 2 ore e che è costato solo 10 euro (si avete letto bene 10 euro alla faccia di quelli che chiedono la luna...)posso dire di aver trascorso una bellissima serata ed invidio davvero gli amici che potranno godersi lo spettacolo con l'orchestra il 24 ottobre a Napoli. (anonimo)

venerdì 14 settembre 2012

EGO

EGO - Evoluzione delle Forme
Ma.Rah.Cash
Distribuzione italiana: Venus
Genere: Prog
Support: CD - 2011




Potere e magia del Progressive Rock! Essere fuori dai tempi che corrono, da un mondo isterico che ti trascina via come un onda anomala. Fermarsi ad ascoltare chi ama mettersi a nudo. Essere veri, non portare una maschera di convenienza, stare fuori dal mucchio. Questo è e sempre sarà il Progressive Rock, sia per chi lo suona che per chi lo ascolta. Osare, pensare, divertirsi per comunicare sensazioni uniche, poi potranno piacere o meno, comunque sia, vere.
Gli anni ’70 hanno lasciato nel Rock uno sfregio indelebile, una cicatrice che nessuna chirurgia plastica può celare. Il trio Ego si diverte a suonare e creare strutture dal profumo antico. Questo è il secondo disco per i varesini dopo il buon debutto del 2008 dal titolo “MCM Egofuturismo”.
La formazione a tre elementi gia può indurre l’ascoltatore a paragonarli agli Emerson Lake & Palmer, oppure alle nostrane Orme ed io ci aggiungo perfino gli ottimi Quatermass, in parte non è sbagliato, almeno nel modo di concepire il genere Prog più che nella musica. Pier Caramel (tastiere e flauto), Daniele Mentasti (basso e trombone) e Sergio Iannella (batteria) suonano da molti anni, sin dalla fine degli ’80 e questo in qualche maniera arricchisce inevitabilmente la potenzialità tecnica a loro favore. “Evoluzione Delle Forme” esce dallo stereo con carattere, musica per la mente dove ogni singolo brano è un emozione a parte. Le tracce sono tutte strumentali e questo è un altro motivo per apprezzare questo lavoro, oggi suonare musica Prog e addirittura non cantata è il massimo del masochismo commerciale. E qui risiede la passione di chi suona, la vera motivazione che spinge un uomo a suonare, emozionarsi per emozionare. Sette capitoli dove le tastiere padroneggiano e gli anni ’70 travolgono. Personalmente scorgo nel loro sound più Orme e Goblin che gli EL&P e questo onora il nostro palcoscenico storico, ricco e fiorente di strepitose band che solo per esterofilia masochistica releghiamo sempre ed ingiustamente all’ultimo posto. Invece nazioni straniere apprezzano di più il nostro operato, come ad esempio il sempre attento Giappone, ci sarà un perché?
In conclusione questo secondo disco degli Ego scorre via piacevolmente, senza strafare in inutili tecnicismi, badando al sodo della melodia. Non un capolavoro ma un disco onesto e pieno d’amore, quello per uno stile musicale generoso di forti emozioni. Però, bisogna anche saperle cogliere. MS

giovedì 13 settembre 2012

SCRIVERE SU NONSOLO PROGROCK

Rinnovo, visto che è molto tempo che non lo faccio, il concetto ed il messaggio che il Blog NONSOLO PROGROCK è a disposizione di tutti voi amanti della musica e non. Potete scrivere ciò che volete, Recensioni, Speciali, o semplici considerazioni in campo musicale. Come fare? Semplicissimo, mandare una mail all'indirizzo:
salari.massimo@virgilio.it
Se fate una recensione di un disco allegateci possibilmente la foto della copertina.
Thank's
NONSOLO PROGROCK è per chi ama la musica e vuole condividere il proprio parere.

lunedì 10 settembre 2012

Life Line Project

LIFE LINE PROJECT - 20 Years After
Life Line Productions
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog
Support: CD - 2012



A Rozenburg nei Paesi Bassi, vive un artista che dedica tutta la sua arte e l'anima al Progressive Rock. Erik De Beer è la mente ed anche il braccio dei Life Line Project, progetto prolifico e particolarmente melodico del ramo Rock Prog olandese. E' passato un anno dall'uscita di "The Journey" e puntuale come un orologio il polistrumentista ritorna alle nostre cronache con il nuovo "20 Years After". Non è cambiata di molto la line up che supporta l'artista, il quale ama circondarsi di musicisti donne, per cui Marion Brinkman-Stroetinga alla voce, Elsa De Beer al flauto, Dineke Visser all'oboe, Anneke Verhage al clarinetto, Ada Bienfait al fagotto, Iris Sagan al basso, Ludo De Murlanos alla batteria, oltre che Erik in tutti gli altri strumenti, in principale modo alle tastiere. In questo caso ci sono anche special guest che supportano il nuovo album, Iris Kranenburg & Patricia Kalkman ai violini, Christine Van Bitterswijk alla viola e Aris Anninga al violoncello.
L'album è soprattutto incentrato sulla figura di Duplo, un piccolo omino verde con un solo occhio, da sempre icona della band, questo accade nella lunga suite centrale dal titolo "The True Tale Of Duplo The Equivalent". Essa è metafora e viatico per esprimere il pensiero di Erik nei confronti del comunismo e del capitalismo Americano. Una storia fantastica dove le analogie sono alquanto sottili e ficcanti. In realtà il pezzo è stato scritto nel 1991 e poi risuonato nel 2005, ecco quindi i 20 anni dopo.
Ma l'album si apre con la strumentale "Three's A Crowd", registrata dal vivo, in essa si delinea la struttura spinale delle composizioni Life Line Project, tastiere in cattedra con passaggi a cavallo fra imponenza e melodia. Cambi di suoni mai autocelebrativi, non c'è voglia di far vetrina di tecnica, piuttosto di incentrare l'attenzione sulle facili melodie. Il gioco vero e proprio incomincia con "Worries", brano scritto nel 1983 dedicato ad una amica di Erik che voleva suicidarsi, qui in versione acustica rispetto l’originale, voce, fiati e piano. Delicata eppure non melensa, una regale ballata di sofisticata natura melodica.
"20 Years After” è un altro strumentale questa volta di matrice New Prog, solo un appunto per queste incisioni, le tastiere a volte sono registrate alte e nascondono un poco il resto delle strumentazioni. Questo non accade sempre, solo in alcuni frangenti. Non è proprio un difetto, ma un mio gusto personale. Brevi ed incisivi gli interventi di chitarra. E' poi la volta della succitata suite, vera e propria chicca per gli amanti del Prog puro e semplice. Sonorità roboanti, melodie e riff memorizzabili con passaggi a tratti anche tecnici, pur sempre senza strafare. Quindi si possono estrapolare Genesis, EL&P, Camel e molti altri che hanno fatto lo scheletro del genere. Non esulano passaggi classici e sinfonici.
Personalmente ho seguito molto l'evoluzione dei Life Line Project ed ho constatato una crescita compositiva importante, pur restando sempre legati ai stilemi di cui sopra, tuttavia Erik De Beer ama lasciarsi andare a fughe strumentali alternandole con passaggi melodici essenziali e toccanti, questo è chiaro.
Chiude il cd la bonus track "One Night In Mantua", ispirata ad una antica canzone anonima italiana del cinquecento, in seguito anche estrapolata per dei momenti dell'inno nazionale di Israele.
Ancora una volta un disco che mette la pace dentro, un lavoro essenziale, basato sulle emozioni e sui passaggi strumentali mutevoli, proprio come il Prog richiede.
Una nota a parte per il libretto che accompagna il supporto ottico, ben dettagliato e ricco!
Se devo cercare il difetto, posso solo riscontrarlo nella fase di registrazione dei suoni, ad esempio avrei preferito una batteria più secca e con i piatti più in evidenza, ma come ho detto in precedenza, questa è solo una questione di gusti personali, per il resto....solo tanto di cappello! MS

domenica 9 settembre 2012

Mahogany Frog

MAHOGANY FROG - Do5
Moonjune
Distribuzione italiana: IRD
Genere: Jazz Prog
Support: CD - 2008




Ricerca sembra essere la parola d’ordine di questi canadesi, sono uno dei gruppi più all’avanguardia nel settore Prog. Nei loro dischi possiamo cogliere innumerevoli influenze, dal Jazz alla Scuola Di Canterbury, poi elettronica, psichedelia ed Ambient! Per cui detto questo, chi non ama certe combinazioni gia è alla conclusione della recensione. Agli altri non posso fare altro che i complimenti per la mentalità aperta e proseguire nei dettagli.
Tanto per cominciare, questa band mi ha ricordato molto i Djam Karet e comunque le tastiere sono sempre molto presenti. Apre la sperimentale “G.M.F.T.P.O.”, apparentemente rude e disarticolata, una breve introduzione per arrivare al vero primo brano del disco, “T-Tigers & Toasters”. Questo è un pezzo all’inizio dal sapore Ambient, con rumori, tastiere sognanti ed ottimi arrangiamenti di fondo. C’è anche della Psichedelia , quella degli anni ’70 a guarnire il tutto. E’ uno dei frangenti più alti e più lunghi dell’intero “DO5”, un crescendo sonoro ed elettrico che non potrà che stupirvi. A seguire, unite come in un concept, ecco “Last Stand At Fisher Farm”, quasi alla Tangerne Dream, con tastiere ed elettronica in prima linea. Molto ritmata , al limite dell’Heavy, è “You’re Meshugah!”, immaginatevi gli EL&P arrabbiati. A sorpresa nel finale sopraggiunge uno spensierato e scherzoso refrain. Unito a questo c’è “I Am Not Your Sugar”, più o meno sulle coordinate del predecessore, solo più Heavy. Effetti psichedelici aprono “ Demon Jogging Spoon”, un brano ricercato nelle ritmiche e nella struttura a tratti fruibile ed a tratti ostica. Con “Medicine Missile” perscrutiamo i Mahogany Frog più sperimentali, dalle assonanze Space Rock, un altro lato della loro medaglia, che a guardarla bene più che una medaglia sembra un cubo, date le numerose facce! A seguire c’è un altro piccolo gioiello del Prog, “Lady Xoc & Shield Jaguar”, un brano lungo più di otto minuti di ottima musica e buone melodie, ricche neppure a dirlo di cambi di tempo. Chiude “Loveset”, altro esempio di sperimentazione sonora ponderata e mai fine a se stessa.
I canadesi ci hanno sfornato un disco variegato e mai scontato, un lato del Progressive sempre poco seguito , ma nel quale risiede il vero seme del genere.
La sperimentazione è tutto per il Progressive, grazie a questi dischi, il genere non morirà mai. Poi arriverà il furbetto di turno, prenderà queste sonorità e le renderà più commerciali e comunque sia ben venga, il mondo va avanti così. MS

giovedì 6 settembre 2012

Enochian Theory

ENOCHIAN THEORY - Evolution: Creatio Ex Nihilio
AMR PR

Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2009




Avete presente quando la copertina di un disco vi ispira? E’ stato subito amore a prima vista e pensate che non sapevo neppure di quale musica si trattasse! Il nome è a me sconosciuto, infatti la biografia allegata mi presenta un trio al proprio esordio ufficiale, dopo un primo EP.
Un libretto dai disegni gotici, malinconici e fantasiosi mi fanno intuire che la band in esame ama trattare argomenti sperimentali, che siano Metal Prog? Il dubbio non sparisce all’istante perché “Every Ending Has A Beginning” è solo un intro, ci pensa “Tedium” a chiarirmi le cose. Una qualità sonora discreta accompagna l’ascolto rendendolo ulteriormente interessante. Quest’anno, l’ho gia detto altre volte, il Metal Progressive sta mutando gradatamente, staccandosi dai canonici stereotipi e questi Enochian Theory sembrano essere un ulteriore tassello di questo nuovo puzzle sonoro. Dunque un suono potente ci travolge, specie quando intervengono le tastiere. Gotico Progressivo, a momenti vicino ai Paradise Lost, in altri agli Opeth oppure ai Katatonia, ma quello che colpisce è la personalità della band. Carattere da vendere ed intelligenza compositiva trasuda dalle note che incantano per soavità, ma senza fidarsi troppo, perché quando meno te lo aspetti gli Enochian Theory ti aggrediscono alle spalle. Davvero bella la voce di Ben Harris-Hayes (Chitarra), non solo come interpretazione, ma anche come timbrica.
La ritmica è nelle mani di Shaun Rayment (basso) e di Sam Street (batteria), davvero una coppia bene affiatata. Il disco contiene tredici brani, per una durata totale di cinquanta minuti. C’è anche del growling in “Apathia”, controtempi e rabbia Nu Metal, questo per farvi capire quanto “Evolution: Creatio Ex Nihilio” sia enigmatico e miscelato di generi. Parti acustiche si alternano a bollente lava sonora di metallo pesante, sempre offuscati da un velo di goticità. La musica è legata dai suoni naturali (tipo acqua) e non, facendo sembrare il tutto una enorme suite. Si ascoltano molte fasi orchestrate, grazie alla The Lost Orchestra, come in “The Fire Around The Lotus”. Un connubio elettrico-acustico davvero ben riuscito e dal buon impatto emotivo. Chiude “A Manument To The Death Of An Idea” (titolo anche dell’EP d’esordio) e a me cinquanta minuti sono sembrati un attimo.
Piacevole sorpresa, buona musica anche se malinconica, con Ben Harris-Ayes un palmo sopra a tutti. Soddisfatto e nome segnato nel mio taccuino dei gruppi da seguire in futuro con attenzione. MS


mercoledì 5 settembre 2012

High Tide

HIGH TIDE - Sea Shanties
Liberty / Repertoire

Distribuzione italiana: varie
Genere: Dark Progressive
Support: Lp - CD - 1969 (1994)




Il Quartetto inglese è autore di uno dei debutti più innovativi della storia del Rock Progressivo, termine che va loro assolutamente stretto. “Sea Shanties” riesce a miscelare con impeto Hard Rock, Dark e Psichedelia, grazie soprattutto al violino di Simon House e ad un songwriting ipnotico che non ha eguali nella storia del rock. Il suono oscuro, a tratti nervoso e martellante è frutto di un equilibrio fra gli strumenti che per i tempi in questione ha dello stupefacente. Anche se si possono riscontrare i semi di questi lavori in quanto Tony Hill ha prodotto in precedenza con i psichedelici e geniali Misunderstood.
La chitarra di Tony Hill è Hard al punto giusto e la ritmica composta da Peter Pauli al basso e da Roger Hadden alla batteria crea una tensione che ha pochi paragoni. Anche la voce di Hill, che ricorda quella del mai dimenticato Jim Morrison, contribuisce a costruire questo ensamble ossessivo e grazie solo a qualche intervento Folk si riesce a fuoriuscire dal turbinìo oscuro.
In definitiva un sound unico, ecco allora che si rimane colpiti dalla forza di “Futilist’s Lament”, nulla poi in confronto alla rabbia ed al crescendo di “Death Warmed Up”. Disturbante e frenetico, dirompente e fastidioso “Sea Shanties” mette ko l’ascoltatore di oggi, figuriamoci quello della fine degli anni ’60. Un parziale attimo di respiro lo si coglie all’inizio di “Pushed But Not Forgotten”, ma l’incedere sonoro prosegue indisturbato il proprio massacrante corso.
L’Inghilterra ancora una volta si dimostra maestra di un genere, in quanto portatrice di sperimentazioni che sconvolgono la storia del Rock europeo e non solo. La musica continua a disegnare spirali emozionali sino all’ultima nota, per un debutto che ancora oggi è straordinario. Un secondo album omonimo è stato pubblicato l'anno successivo ed è un altro capolavoro, poi da cercare anche la raccolta con inediti "Open Season" curata dalla Black Widow, mentre sono minori le altre uscite postume, spesso non volute da Hill e House.
Simon House ed il suo violino li ritroveremo in seguito in band storiche come la Third Ear Band, gli Hawkwind e nientemeno che con David Bowie. Anche Tony Hill si fa rivedere in vari progetti e con dei discreti dischi solisti, ma l'alchimia raggiunta con gli High Tide resterà nella memoria come il loro momento artistico più alto e innovativo.
Gli High Tide vengono considerati da molti come una band “Minore” del Rock Progressivo grazie al loro sound unico, ma l’impronta lasciata è davvero indelebile e per noi i loro due dischi sono due capolavori senza tempo. Consigliato ai più forti di mente e coronarie. MS

lunedì 3 settembre 2012

The Web

THE WEB – Fully Interlocking
Deram
Genere: Progressive Rock
Supporto: lp - 1968

 

I The Web sono una band inglese, formata da sette elementi e sicuramente un piatto appetibile per tutti i grandi collezionisti di Progressive Rock. Infatti con questa mia recensione, andiamo a trattare uno dei gruppi più ricercati ed interessanti del genere. Iniziano con un soft Jazz Rock, dalle sostenute e ampie chitarre, che rendono più Rock il discorso in generale, per poi maturare in un suono più oscuro e pesante, quello dell’album della maturità dal titolo “I Spider” (Polydor – 1970). In esso John Watson, cantante e leader di colore, lascia spazio a Dave Lawson, tastierista che dona un largo sprazzo di Progressive Rock all’intero sound, proprio grazie all’uso dei tasti d’avorio. Non esulano richiami a Van Der Graaf Generator ed ai soliti ed immancabili Gentle Giant, band fra le più copiate della storia del Rock. Di transizione c’è il secondo album “Theraposa Blondi” (Deram – 1970), segnale di intesa fra i componenti, un passo ulteriore verso la maturità rispetto l’esordio di “Fully Interlocking”.
E’ proprio questo l’album che andiamo ad analizzare, un lp composto da dieci canzoni, e solo nella versione cd della Esoteric Recording, si può godere di tre bonus track, “I ‘m A Man”, “God Bless The Child” e “To Love Somebody”, tre classici del Rock .
Il disco si apre con “City Of darkness”, qui si sentono gli arrangiamenti dei fiati con il sax di Tom Harris. Il suono è di per se ben amalgamato, considerando la registrazione del 1968. due sono le chitarre, quelle di John Eaton e Tony Edwards. Nutrita la sezione ritmica composta da Kenny Beveridge alla batteria, Lennie Wright alle percussioni  e da Dick Lee- Smith al basso. In realtà la band nasce come supporto al cantante Watson, tuttavia nel proseguo del tempo e dei buoni risultati diviene una band a se stante a tutti gli effetti. Il flauto rende l’atmosfera molto Hippye in “Harold Dubbleyew”. Una musica calda, allegra ed allo stesso tempo spensierata, ma che non nasconde negli arrangiamenti un certo buon gusto. La Psichedelia, tanto in voga in quel periodo, si manifesta spesso e volentieri fra le note del disco, come nella bella ballata acustica “Hatton Mill Morning”, questa avrebbe potuto benissimo fare parte della discografia di Joan Baez. Movimenti più vivaci e jazz si possono ascoltare in “Green Side Up”, mentre i frangenti più sperimentali e giocosi si fanno luce in “Wallpaper” e “Did You Die FourYears Ago Tonight?”, Beatles docet.
“War Or Peace” mostra con piacere e pretenziosità la vena progressiva ed espressionistica della band, un brano orchestrato alla Moody Blues, sussurrato dalla voce e ovviamente mutevole con cambi umorali e di tempo.
In “Fully Interlocking” ci sono molte idee, proprio per questo si ha la sensazione che i The Web non abbiano ancora trovato la propria identità. Comunque un disco con spunti interessanti che possono fare piacere non solo ai collezionisti del Progressive Rock d’annata. (MS)