Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
sabato 31 dicembre 2022
venerdì 30 dicembre 2022
The Sundering
THE SUNDERING - Ravenous Silence
Autoproduzione
Genere: Progressive Rock
Supporto: digital / EP – 2022
Il
2022 ha dato molto al genere Rock Progressivo, specialmente per quello che
concerne il paese italico, molte le uscite e alcune davvero interessanti a
conferma che anche oggi questa musica ha buona salute nonostante l’età. Il
tempo sembra non scalfire certe sonorità le quali si adeguano al sound più
moderno pur mantenendo il rispetto delle radici.
Da
Sassari giungono i The Sundering, band oggi formata da Fabio Cuccu (chitarre,
voce, Hammond, clavinet, Wurlitzer, sintetizzatori), Carlo Berretta (basso,
contrabbasso, voce, pianoforte, Mellotron, Hammond, sintetizzatori), Lorenzo
Murineddu (batteria e percussioni), e Davide Mura (chitarre, mandolino, cori).
L’idea prende forma il 2010 e si stabilizza nella line up nel 2012, tuttavia
servono altri sei anni prima di debuttare discograficamente e questo accade nel
2018 con “Pentamerone”. A marzo del 2022 è la volta dell’EP “Barren Hearts” e a
settembre dello stesso anno il nuovo EP “Ravenous Silence”. Qui assieme a loro
partecipa l’ospite Mimmo Fancellu (Low whistle). Il disco è composto di tre
brani a iniziare da “An Invitation”, dove flauto e chitarra acustica
introducono l’ascolto nel mondo del Progressive Folk. Fra coralità i The
Sundering s’immergono nel contesto Jethro Tull di fine anni ’60 spezzando le
armonie con un basso slap e buoni assolo sia di chitarra elettrica sia di
tastiere. I cambi repentini di tempo fanno tornare alla memoria anche i
prestigiosi Gentle Giant. In realtà se andiamo ad analizzare l’insieme della
struttura del brano non possono che trapelare anche influenze più recenti, come
quelle degli americani Echolyn.
“The
Great Siege Of Yleim” è una mini suite di undici minuti dove la band si diverte
a scorrazzare nel mondo del Prog, fra tecnica e melodia, quest’ultima di certo
non trascurata. Ancora una volta i cori hanno forte valenza, e una certa
affinità con la PFM anni ’70 è manifesta. La band quindi dimostra di conoscere
tutta la storia del genere, Genesis compresi, peccato solamente per una
registrazione che rende il suono un po’ troppo appiccicato, questo solamente
per mio gusto personale.
I
giovani componenti avvalorano la padronanza degli strumenti, sia il carattere
che le idee. La copertina di Carlo Berretta bene introduce all’ascolto, la
musica contenuta nell’EP è colorata, enfatica al punto giusto, tanto da
catapultare l’ascoltatore nei folcloristici reami rappresentati.
“Weakness”
è maggiormente ricercata nella struttura che si apre lentamente fra basso e
voci per poi crescere nell’incedere.
Per
il 2023 la band promette l’uscita del loro primo concept album e vi assicuro
che ci sarà di che ascoltare, se le premesse sono queste. MS
https://thesundering.bandcamp.com/
giovedì 29 dicembre 2022
Nonsolo Progrock e ProgSky
NONSOLO PROGROCK e PROGSKY
AMICI DEL PROG, da giovedì inizia la mia collaborazione con il programma radio Prog Rock Polis di RADIO PROGSKY Brasile. Leggerò e farò ascoltare alcune mie recensioni che troverete nel mio blog NONSOLO PROGROCK assieme all'amico conduttore Max Prog Polis. Un programma ricco di ospiti, musica ed informazione. Allora se vorrete... A presto, di giovedì o in podcast se meglio preferite.
Aura
AURA
– Underwater
My
Kingdom Music
Genere:
Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022
Ho
parlato spesso del Post Prog Moderno e ne ho scritto un libro per Arcana
Edizioni intitolato proprio “Post Prog Moderno – L’Alba Di Una Nuova Era”,
decantando le gesta di band che tracciano nella ricerca musicale una linea
retta con il passato. Si necessita dunque di un nuovo termine, perché ad
esempio i Genesis non suonano come i Porcupine Tree. Non posso trovare al
riguardo esempio migliore che la carriera dei salernitani Aura, al quarto album
passano dalle sonorità Genesis e Dream Theater a queste di “Underwater” fra
Porcupine Tree e Leprous. Un’evoluzione se vogliamo anche naturale in linea con
i tempi e altresì una maturazione sonora tangibile della band rispetto agli
album precedenti. La band è composta oggi da Giovanni Trotta (batteria, voce), Giuseppe
Bruno (chitarre), Angelo Cerquaglia (basso), e Francesco Di Verniere (tastiere,
synth).
La
copertina realizzata da Annalisa Di Verniere rappresenta al meglio quello che è
oggi il suono Aura, fatto di melodie intense e atmosfere sognanti.
Nella
musica di quest’album si bada dunque al sodo senza troppi fronzoli, cercando
emozioni piuttosto che elucubrazioni anche se non mancano i classici tempi
dispari e annessi cambi umorali. Il mutamento della pelle si denota
immediatamente dall’ascolto di “Lost Over Time”.
Il
suono rude delle chitarre non scarseggia neppure in “Keep It Safe”, così il
cantato sognante e il moderarsi delle arie che puntualmente giunge e si da
staffetta con il Metal. Il ritornello funziona e si ascolta anche un (seppur
breve) assolo di chitarra che spettina l’ascoltatore. “On Time” è attualissima
nel sound e lascia strabordare malinconia ponderata, mai eccessiva, quel tanto
che basta a rendere il pezzo onirico. Dalle spalle robuste il riff di “Time To
Live”, immaginate di ascoltare gli inglesi IQ suonare Metal, strano vero?
Eppure in qualche modo sembra funzionare.
A
metà album c’è il pezzo intimistico, “My Last Words To You”, qui il carattere
probabilmente esce poco perché c’è molto deja vu quindi si tarda a decollare.
Il discorso cambia con “Promises”, il range torna nella media Aura.
“Eternal
Bliss” ricorda sia per titolo sia per stacco iniziale materiale dei Muse, ma
siamo in un altro contesto seppure adiacente. Più ricercato “Lights Behind The
Clouds”, strumentale vigoroso e convincente. La title track chiude ottimamente
il disco per lasciare successivamente spazio alla cover di “Astronomy Domine”,
storico brano dei Pink Floyd a testimonianza che il passato è comunque nel DNA.
Come l’hanno rifatta? A mio gusto personale direi ottimamente, molto fedele
all’originale seppure con qualche piccola variazione.
“Underwater
“ è consigliato a chi ascolta Porcupine Tree, Opeth, God Is An Astronaut e
Leprous la band, sta crescendo disco dopo disco e qui siamo nel professionismo.
MS
mercoledì 28 dicembre 2022
Marco Ragni
MARCO
RAGNI - Anything You Want
Mind
Dazed Records
Genere:
Psichedelico / Progressive Rock
Supporto: Bandcamp, Spotify – 2022
Non
è di certo mia consuetudine rilasciare recensioni di raccolte, credo in questi
decenni sia la prima volta che mi accade, tuttavia è in effetti il viatico più
adeguato per addentrarsi nel fantastico mondo di Marco Ragni.
Il
polistrumentista, chitarrista e produttore di Rovigo ha alle spalle una nutrita
discografia che inizia nel 2010 con “In My Eyes” per poi rilasciare in totale
undici album in studio, due live, tre raccolte e undici singoli, niente male
per un artista italiano che si cimenta in una delle prove più difficili che si
possa affrontare, ossia il mondo infinito dei Pink Floyd. Non che Ragni sia un
autore privo di personalità, intendiamoci, ma l’amore per la band di Camdridge
è grande, così che il suono della chitarra spesso è debitore a quello di David
Gilmour. E se tutto questo non dovesse bastare, io vado a parlare proprio di
una raccolta di brani suonati con il popolare chitarrista nordico della band
Airbag Bjorn Riis, lui si davvero debitore ai Pink Floyd in maniera maniacale.
Poco
negli anni si è parlato di Marco Ragni, raffinato compositore che si avvicina
al mondo musicale alla tenera età di sei anni grazie alla tastiera Farfisa
ricevuta per regalo nel 1975. Approccia alla musica in modo diretto attraverso
la band Deshuesada, dedita a un Rock Psichedelico che lo tiene impegnato fino
al 1998. Dal 2000 al 2007 fa parte della band Quartafila (successivamente Heza),
mentre nel 2008 è la volta dei Mokers, ma tutto questo comincia a stare stretto
a un artista compositore dalla spiccata fantasia. Nella carriera solista
consiglio vivamente l’ascolto di “Mother From The Sun” del 2014 vera e propria
opera Psichedelica che sicuramente farà la gioia dei Pink Floyd fans.
Anche
con questa raccolta “Anything You Want” il discorso per i suddetti fans cambia
di poco, qui i brani con Riis sono davvero tanti, così da formare addirittura
un doppio cd. Nella carriera Ragni si coadiuva spesso di special guest e anche
di alto calibro come ad esempio Marius Halleland dei Wobbler oppure Luca
Zabbini dei Barock Project, il risultato è sempre sopra la media delle
produzioni al riguardo, questo tengo a sottolinearlo.
E
anche certi titoli restano avvinghiati ai Pink Floyd, o perlomeno li richiamano
di striscio, qualche analogia nella mente sopraggiunge leggendo “Anything You
Want” e pensando a “Any Colour You Like”.
Sedici
i brani contenuti in questa raccolta per una durata totale di un’ora e
quarantasei minuti di musica. Le atmosfere sognanti sono all’ordine del giorno,
ogni brano si lascia ascoltare interamente a occhi chiusi, un poco come accade
per la già nominata band Airbag, molte le similitudini. Le parti strumentali
sono tutte di ottima fattura, come ad esempio nella strumentale “Anything You
Want (Part Two)”.
Toccanti
e oniriche le partiture acustiche e arpeggiate, ma è la musica in generale che
segue questo binario psichedelico orecchiabile e sempre supportato dal suono
delle chitarre elettriche che sostengono le note a lungo. Non esulano frangenti
maggiormente vigorosi e tuffi nel Progressive Rock oltre che nel mondo dei
Beatles, band sempre amata da Ragni.
Questa
raccolta potrebbe essere il primo passo per addentrarvi al meglio nel mondo
musicale di quest’artista che a mio modo di vedere è sempre stato poco
considerato e in maniera ingiusta, ma tranquilli, abbiamo tutto il tempo per
rimediare. MS
domenica 25 dicembre 2022
Pryzme
PRYZME
– Four Inches
Autoproduzione
/ Bad Dog Promotion
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2021
I
più appassionati di Rock Progressivo francese di sicuro conosceranno il nome
Lingus, primo logo della band Pryzme formatasi nel 2014 per il volere dei chitarristi
e cantanti Dominique Blanchard e David Chollet. Nel 2015 trovano il definitivo
nome Pryzme e stabilità con l’ingresso di Maxence al basso fino alla fine del 2018,
e di Gabrielle Duplenne alla batteria fino al 2019 i quali consentono loro di partire
per date live anche in Inghilterra.
Invece
ai più arguti di voi il nome Pryzme avrà sicuramente suggerito qualcosa, quella
storica copertina di Storm Thorgerson a favore di un album epocale intitolato
“The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd: il prisma. Giunti al 2019 subiscono
un cambio nella line up, Lucas Planque alla batteria e Benoit Toquet al basso
sostituiscono Gabrielle e Maxcence ed è la volta dell’esordio discografico
intitolato “Four Inches”.
La
musica contenuta in quest’album spazia notevolmente, va dai Porcupine Tree ai
Pink Floyd passando anche per Toto e Pat Metheny, a testimonianza di un ampio
spettro di cultura musicale da parte dei componenti. Otto canzoni che lasciano
l’ascoltatore sempre attento grazie al proprio stile raffinato.
Nel
genere, con annessa e immancabile voice phone in stile Steven Wilson, ecco
immergerci nell’ascolto attraverso l’iniziale “Fusion”, canzone ricca di buoni
spunti, cori e un ritornello piacevole. La ritmica è ottima, oserei dire
trascinante, così interessante è anche il lavoro della chitarra che fa sia da
accompagnatrice ritmica sia da solista. Sale ulteriormente il ritmo in “Vision”,
dai e vai fra le chitarre come in una staffetta e un ritornello indovinato per
orecchiabilità. In dischi così le canzoni vanno spillate come le carte al
poker, ognuna ha un valore e “After Wichita” probabilmente è un Jack, fra le
più alte. Qui sento maggiore personalità, ossia più sincerità rispetto gli
altri brani comunque nel contesto in qualche maniera derivativi.
Il
giro di basso all’inizio di “Nothing To Say” è gradevole, così l’evolversi del
brano molto attento alle giuste melodie, qui si denota l’amore della band per
un certo tipo di Rock anni ‘80/90. In fondo, cosa si desidera da una canzone?
Vanno bene ricerca e tecnica come esige il Prog Rock, ma anch’esso ha bisogno
del suo “I Know What I Like (In Your Wardrobe)” oppure sempre restando nel
mondo Genesis al “Follow You Follow Me” etc. Come amo dire spesso, qualcosa
alla fine dell’ascolto deve rimanere, se non da cantare almeno da fischiettare.
“Pretty
Princess” suggerisce una passeggiata nel mondo della psichedelia, quella
composta di chitarre sostenute, fra eco e suoni. Ben ci sta a questo punto
dell’ascolto, perché l’attenzione sale nuovamente, assieme all’elettronica del
pezzo che sfocia in un riff quasi funky. “The Ride Of Your Life” è un brano
maturo, fra deja vu e raffinatezza, qui a tratti la batteria segue la strada
intrapresa da Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson, Claudio Baglioni,
The Pineapple Thief, etc).
“Morning
Song” è fragrante, fresca, ricca di buone proteine a questo punto oserei dire
in stile Pryzme. La suite omonima “Four Inches” chiude il disco come fanno i
fuochi d’artificio al termine dell’esibizione, tirando fuori di tutto e di più.
A
dispetto del nome Pryzme in “Four Inches “ci si sarebbe atteso molto Pink Floyd
style, invece a parte qualche parentesi, si è ascoltata molta musica multicolore
e anche farina del proprio sacco. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è il tempo,
che durante l’ascolto mi è volato via e questo sappiamo bene tutti cosa sta a
significare. MS
sabato 24 dicembre 2022
Moon Letters
MOON
LETTERS – Thank You From The Future
Autoproduzione
/ Bad Dog Promotion
Genere:
Prog Rock/Psychedelic Rock
Supporto:
cd / vinile - 2022
Nuovi
Echolyn avanzano? Probabilmente sì, e poi i Moon Letters sono guarda caso
sempre americani. Se pensate che io l’abbia sparata grossa, date prima un
ascolto a questo secondo lavoro della band di Seattle. Si formano nel 2016 ed
esordiscono attraverso “Until They Feel The Sun”, con il prezioso apporto
produttivo di Barrett Jones (Foo Fighters). La tecnica individuale dei
componenti John Allday (tastiere, voce), Mike Murphy (basso, voce), Kelly Mynes
(batteria), Michael Trew (voce, flauto) e Dave Webb (chitarra) è eccelsa, così
la capacità di comporre canzoni a tempi dispari fra complessità e immediatezza.
Testi fantascientifici avvicinano la band anche al mondo degli Yes, così le
strutture corali che giocano in questo senso un ruolo davvero fondamentale.
In
“Thank You From The Future” la produzione è affidata a Robert Cheek (Band Of
Horses) e i Moon Letters giocano con le complessità astruse del Rock
Progressivo anni ’70 con delle soluzioni maggiormente approcciabili oltre che
gradevoli. Sette le canzoni rappresentate dalla copertina dell’artista
argentino Mariano Peccinetti attraverso l’opera “Visiting Of The Children”.
“Sudden
Sun *The Astral Projectionist*” è il primo pezzo che mi ha fatto scaturire in
mente l’accostamento con i suddetti Echolyn, qui i giochi sono apparentemente
semplici, ma con i dovuti e ripetuti ascolti le analogie affiorano di volta in
volta sempre di più. Splendido l’inizio di “The Hrossa” per poi svilupparsi in
una parte giocosa ricca di cori e di un ritmo irresistibile che in buono stile
Prog si spezza spesso e volentieri.
Più
ariosa “Mother River”, essa naviga nella saggezza del Rock che fu, ma
attraverso nuovo materiale dettato dai tempi più moderni per un mix
stupefacente dal risultato eccellente. Non si può restare indifferenti avanti
tanta intesa e sonorità. Bello il motivo centrale ritmato e bene arrangiato.
Per
chi possiede o vuole comprare il vinile, dico che il lato A si conclude con
“Isolation And Foreboding” dove i Gentle Giant fanno spesso e volentieri
capolino fra le note. La ritmica della band s’intende alla perfezione e sono
motorino oliato per il cammino sonoro della band.
Vintage
l’inizio di “Child Of Tomorrow”, pezzo più orecchiabile dove l’attenzione dei
componenti si concentra maggiormente sulla melodia e sul buon ritornello,
l’anima dei Moody Blues aleggia nell’aria, questo però non so se sia un fatto
puramente voluto, oppure inconsapevole, comunque il loro DNA comprende anche
questa band storica. Quando poi partono le scorribande strumentali c’è di che
godere!
“Fate
Of The Alacorn” è un gioiellino da coccolare, come lui fa con noi. La chiusura
è affidata a “Yesterday Is Gone” che nulla toglie e nulla aggiunge a quanto
esaminato sino ad ora.
La
musica dei Moon Letters non va sentita, ma ascoltata, in più si necessitano
ripetuti ascolti per goderne al meglio il risultato finale che vi assicuro è
decisamente sopra la media dei prodotti usciti in questo comunque ottimo 2022. Ma
come si fa a dire che la musica oggi non regala più nulla di buono? Misteri
della massa, quest’album invece è da possedere e basta! MS
Fearful Symmetry
FEARFUL
SYMMETRY – The Difficult Second
Distrokid
/ Bad Dog Promotion
Genere: Progressive
Rock/Crossover/Fusion
Supporto: Bandcamp, Spotify – 2022
E…
se delle donne suonassero come fossero gli Yes? Dall’Inghilterra ci provano
Suzi James (chitarra, basso, tastiere, mandolino, violino, oud, darbuka), Yael
Shotts (voce) e Sharon Petrover (batteria). Chiederete subito voi, “E il
risultato?” Beh, sia ben chiaro che gli Yes sono quasi alieni su questo mondo,
anche come tecnica individuale, non c’entra essere maschi o femmine, ma anche
la brava polistrumentista Suzi James non scherza. Se la cavano! Il gusto per la
melodia è davvero elevato questo si, e gioca decisamente a favore della formula
canzone da ricordare e cantare assieme a loro.
I
Fearful Symmetry esordiscono discograficamente nel 2019 con “Louder Than Words”
ispirato dalla vita e dalle opere di William Blake. Il disco in questione vuole
essere un omaggio affettuoso al Prog classico.
“The
Difficult Second” oggi ha un approccio maggiormente variegato nei confronti
della musica e dei suoi stili, non solo Prog quindi ma Jazz, Fusion, Rock,
Symphonic e World spiccano fra tutti.
Questi
sono brani comunque del periodo 2019 ma tenuti da parte per un ulteriore
sviluppo che giunge appunto in questo lavoro. Dieci i brani contenuti, compresa
la suite finale di quindici minuti “Warlords” per una durata complessiva di un’ora
di musica. In questo lavoro c’è un distacco dal classico sound Yes.
Ascoltare
le coralità iniziali dell’allegra “Mood Swings And Roundabouts” conduce davvero
nel mondo Yes anni ’80, qui tanto Prog.
Invece, avete mai dedicato una canzone a una sveglia? Suzi ci riesce attraverso “The Difficult
Second”, bizzarro? Forse si, ma il ritmo è divertente mentre la chitarra
elettrica mostra le proprie capacità balistiche. Più malinconica “Light Of My
Life”, anche perché è dedicata alla morte di musicisti che oggi non ci sono più
ma che ci hanno lasciato la loro musica. Questa è una canzone semplice e senza
troppe pretese. Un passaggio nella musica World avviene attraverso la
strumentale “Shifting Sands" con una vocalizzazione mediorientale di Yael
Shotts. Uno dei brani che mi hanno maggiormente colpito s’intitola “Eastern
Eyes”, sia per energia che per l’approccio strumentale tra intermezzo jazzato e
finale toccante, dove i testi auspicano benauguratamente un’uguaglianza fra le
generazioni.
Un
piano apre “The Song Of The Siren” fra mitologia e “predatori” sessuali, un
pezzo che successivamente si sviluppa nella semplice formula canzone
dimostrando una buona attitudine alla composizione diretta. Altra canzone che
tratta la speranza dell’umanità quando tutto sembra avere un accrescimento
avverso s’intitola “Hope”, qui ancora una volta la voce di Yael bene si sposa
con l’armonia del brano. “Sandworm” è strumentale, scritto dieci anni fa ma che
con la giunta di alcuni testi vive una vita attraverso una nuova pelle. Ritorna
il motivo arabeggiante nello strumentale “Shukraan Jazilaan” dove la chitarra
elettrica è protagonista. Chiude l’album la suite “Warlord”, qui i Fearful
Symmetry si giocano tutte le carte a loro disposizione, sicuramente un momento
sonoro ben riuscito e concepito.
“The
Difficult Second” è un album gradevole, niente di superlativo ma funzionante,
con importanti accenni storici riguardanti alcuni generi musicali fra cui
spicca il Progressive Rock, un disco che si lascia ascoltare con piacere senza
eccessivi picchi emotivi ma che sa bene dove andare a parare. MS
giovedì 22 dicembre 2022
Nine Skies
NINE
SKIES – 5.20
FTF-Music
/ Bad Dog Promotion
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd/dvd – 2022
Quest’album
dei francesi Nine Skies ritorna in veste maggiormente curata e con un dvd
allegato come documentario nel 2022, dopo la prima uscita ufficiale del giugno
2021. Il prodotto anche come artwork di Steve Anderson si presenta curato, con
opere d’arte e un libretto di dodici pagine. La copertina dell’album è per mano
del pittore Michael Cheval.
La
discografia della band vede iniziare il proprio corso nel 2017 con l’esordio di
“Return Home”, l’anno successivo è la volta di “Sweetheart Grips” con ospiti
importanti, un nome su tutti Clive Nolan alle tastiere (Pendragon, Arena,
Shadowland, etc). Questi due album sono entrambi di alta qualità, tanto da dare
al gruppo attenzione di pubblico e successo di critica, inevitabile quindi nel
2021 il suggello live intitolato “Live @ Prog En Beauce”.
E
con la consueta cadenza annuale ritornano oggi con questo nuovo album acustico
intitolato “5.20” fra suggestiva poesia e brani ricchi di archi. La formazione
è nuovamente allargata con l’innesto di famosi special guest per una squadra
composta da Eric Bouillette (chitarra, violino, mandolino, tastiere), Alexandre
Lamia (chitarra, tastiere), Anne-Claire Rallo (tastiere, testi), Achraf El
Asraoui (voce, chitarra), Basma El Hamraoui (voce), David Darnaud (chitarra), Alexis
Bietti (basso), Fabien Galia (batteria), Laurent Benhamou (sax), e poi Penny
Mac Morris flauto in “Return Home”, Craig Blundell batteria in “Sweetheart
Grips”, Dave Foster chitarra in “Sweetheart Grips”, Johnny Marter chitarra in
“Sweetheart Grips”, Clive Nolan tastiere in “Sweetheart Grips”, Riccardo Romano
voce in “Sweetheart Grips”, Pat Sanders tastiere in “Sweetheart Grips”, Cath
Lubatti violino e viola in “5.20”, Lilian Jaumotte violoncello in “5.20”, Steve
Hackett chitarra in “5.20”, John Hackett flauto in“5.20” e Damian Wilson voce
in “5.20”. Non ancora paghi di cotanti artisti si aggiungono alle voci
Alexandre Boussacre in “Return Home”, Freddy Scott in “Return Home”, Aliénor
Favier in “Sweetheart Grips”, “Live@PeB”, “5.20” e Bernard Hery basso in“Return
Home”, “Sweetheart Grips”, “Live@PeB” e “5.20”.
L’album
contiene undici brani, ma la special edition a mia disposizione ne ha cinque
aggiuntivi e un dvd suddiviso in tre parti, 5.20 recording documentary, Wilderness
(Livestream) e Porcelain Hill (Livestream).
Il
disco lo avrete intuito è una piccola opera d’arte fatta di canzoni positive,
ariose, dall’ampio respiro e cantate in lingua inglese. In molte funziona il
gioco a più voci, maschili e femminili. I richiami acustici spesso sono comuni
a quelli di band come Opeth e Porcupine Tree, ma coesistono anche passaggi nel
classico Prog, nel Jazz e nel mondo dei Pink Floyd. I nomi ora citati vi fanno
capire al meglio il contesto in cui stiamo viaggiando. Steve Hackett suona
magistralmente la chitarra in “Wilderness” e quando arriva avanti a noi, si
stagliano gli anni ’70, non nascondo anche una certa commozione perché oltre
che struggente ha proprio il sapore del tempo che fu, per me tanti ricordi…
Il
disco è tutto bello, nessun brano spicca più di un altro, anche se nella mia
classifica personale metterei “Porcelain Hill” con la voce di Damian Wilson
(Threshold, Arena) fra malinconia, archi e pianoforte, una prova decisamente
sopra le righe.
I
Nine Skies sono una band in continua evoluzione, disco dopo disco ponderano e
suonano ciò che sentono al momento e questa è la vera essenza dell’artista, sì
il pubblico è importante, ma prima di tutti mi devo divertire io. Questo è Post
Prog Moderno, giusto e avanti così. MS
mercoledì 21 dicembre 2022
Solace Supplice
SOLACE
SUPPLICE - Liturgies Contemporaines
FTF
Music / Bad Dog Promotion
Genere:
Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022
Il
polistrumentista Eric Bouillette e l’autrice di testi oltre che tastierista Anne-Claire
Rallo, sono due elementi della band Prog Rock francese con sede in Inghilterra
Nine Skie e fondano il progetto Solace Supplice nel 2020. Qui suonano Rock con
atmosfere impegnate e nello stesso anno si fanno subito notare grazie all’ep
“Solace Supplice” (Anesthetize Productions).
Ritornano
all’attenzione del pubblico grazie al disco “Liturgies Contemporaines” composto
di undici canzoni, in formato digipack e con l’artwork di Steve Anderson a ben
rappresentare le arie custodite all’interno delle composizioni mai banali.
Purtroppo una tragedia colpisce la coppia nella vita, Anne-Claire ed Eric, la
dipartita prematura di quest’ultimo poco dopo l’uscita dell’album.
In
“Liturgies Contemporaines” con loro suonano la figlia di Nick Beggs Willow
(basso), Jimmy Pallagrosi (batteria) e Laurent Benhamou (sax).
La
radio BBC ci introduce nel mondo Solace Supplice attraverso il brano “Le
Tartuffe Exemplaire”, un immediato “mettiamo le cose in chiaro” attraverso una
ritmica serrata ma soprattutto la chitarra elettrica in cattedra a esibirsi
anche in un assolo ficcante. Ipnotica la voce di Eric Bouillette. Basso
roboante, suono cadenzato e mesto in “Sunset Street”, reminiscenze Queensryche
mi colgono durante l’ascolto e ancora una volta la chitarra di Eric è
devastante durante il suo solo. L’elettronica e il sax che fa il verso ai Pink
Floyd vengono in aiuto per la riuscita di “A Demi-Maux” canzone sentita e a
tratti sognante, il tutto sempre in stile Solace Supplice che già dopo pochi
ascolti risulta essere di forte personalità.
Ma
veniamo ora a uno dei punti più alti dell’album ossia “Les Miradors” dove
materiale di Steven Wilson aleggia fra le note. Qui neppure a dirlo è la
chitarra elettrica a fornire le emozioni più grandi assieme alla voce corale
femminile, mentre un cambio di ritmo rende il tutto molto più greve e
interessante. Le tastiere hanno il loro fascino e portano un importante
contributo al brano. E’ ora la volta del cosiddetto pezzo relax, le arie si
placano, “Cosmos Adultérin” ci fa conoscere il lato più intimistico della band.
Effetti vocali mi riportano per l’ennesima volta nei paesaggi Porcupine Tree ed
è un bel vedere. La tregua dura poco, “Schizophrénie Paranoïde” riporta l’auto
in carreggiata seppure in un pezzo breve, dove il Metal è al confine, comunque
le arie sono sempre inquietantemente grevi. Così si sono divertiti molte volte
gli Anathema.
“Au
Cirque Des âmes” l’inquietudine mi assale in maniera violenta, potere della
musica che riesce a coinvolgere l’ascoltatore a proprio piacimento. A questo
punto succede una cosa molto particolare, i Solace Supplice s’immergono nel
mondo della musica World con bonghi, ritmiche ipnotiche e Synth, tutto ciò
accade in “En Guidant Les Hussards” dove il sax tesse armonie suadenti.
Sorprendente
anche la title track “Liturgies Contemporaines” fra elettronica e loop di
melodie, ancora una volta durante l’ascolto mi coglie l’essenza degli inglesi
Anathema.
Un
triste piano apre “Dans La Couche Du Diable” mentre la mesta voce di Eric
ipnotizza così bene che non mi accorgo neppure del bellissimo crescendo sonoro
a cui sto andando incontro. A chiudere ci pensa “Marasmes Et Décadence” e
l’angoscia sale ancora di più, un nodo strozza la gola.
C’è
poco da fare, quando la musica fatta con il cuore sale in cattedra non si può
che restare in silenzio ad ascoltare. Grazie Eric per questa tua ultima
testimonianza su questa terra, indelebile! MS
martedì 20 dicembre 2022
Airportman
AIRPORTMAN
– Il Raccolto
Opend
Mind / Lizard Records
Genere:
Alternative, Post Rock
Supporto:
cd – 2022
Dopo
una giornata pesante le alternative per volerci coccolare e riposare un attimo
sono diverse, guardare la tv, giocare, leggere o ascoltare un bel disco.
Quest’ultima categoria è sempre più rara (purtroppo), ma vi assicuro che ancora
c’è chi gode di questo rito epocale, dove il relax è garantito. Per fare ciò
necessita ovviamente un disco all’altezza della situazione e chi conosce il
nome Airportman di certo, sa cosa attendersi, fra musica e poesia. Il duo cuneese
Giovanni Risso (chitarra) e Marco Lamberti (chitarra, tastiere, basso)
s’incontra nell’estate del 2003 per dare vita al progetto Airportman,
concentrato sulle forti emozioni ma soprattutto sull’importanza dei testi.
Ogni
album è una storia a se, ricordo nella loro vasta discografia composta di
diciassette album la storia toccante di “David” (2014 – Lizard Records), o
quella di “Nino E L’Inferno” (2011 – Lizard Records), qui nella cantina di
Canelli nel profumo inebriante del vino e in altri luoghi c’è la storia di
Tony, Febo, Ciro, Stefano, Roberto, Lucia e della quotidianità, piccoli
affreschi sonori in cui s’interfacciano i personaggi.
Con
Risso e Lamberti suonano alla batteria Francesco Alloa, al basso Carlo
Barbagallo, e Stefano Giaccone al sax, voce e chitarra, mentre la copertina è
realizzata da Dionisio Capuano.
Quattro
sono le canzoni, la prima s’intitola “Il Raccolto/The Pirate Song”, aperta dal
vento, il sax e quella psichedelia che affonda le proprie radici non nei ’60 ma
nei primi anni ’70. L’improvvisazione sembra essere la chiave di questa
struttura sonora, in realtà dopo aggiunti ascolti denoto una certa continuità
d’intenti che mi fa pensare ad una vera e propria composizione. Fuori ogni
dubbio la validità della carta vincente giocata sul classico crescendo sonoro,
sino a raggiungere una vetta alta, tanto da sentirmi avvolto dalla musica in
maniera ipnotica. Cambia il ritmo a metà del brano, divenendo cadenzato e
marziale, ma il sax imperterrito continua a parlottare sulla struttura sonora
un poco come accade nel finale di “Shine On You Crazy Diamond pt.5” dei Pink
Floyd. Questa suite di quasi diciotto minuti si conclude nel narrato e in un
assolo di batteria ponderato, atto soltanto insieme al vento a far volare con
la fantasia l’ascoltatore.
Assieme
a “Nei Kiwi C’è Il Mare” il Post Rock sprofonda nella Psichedelia fra echi e
rumoristica. Voci sussurrate rendono l’ambiente inquieto, qui è il basso a
suonare con maggiore presenza, tutto è lento ma occhio ai particolari, sempre
dietro l’angolo a nostra insaputa. Voce narrante e chitarra acustica per “La
Yurta Montata”, ancora una volta vicina al mondo dei Pink Floyd, questa volta a
quello di “Welcome To The Machine” in pieno loop.
A
chiusura c’è il brano più breve dell’album con i suoi tre minuti e mezzo
intitolato “Tony E La Meraviglia /The Pirate Song”, ancora una volta le
atmosfere sono grigie, ma il suono questa volta è pulito, senza rumoristica, e
attenzione alla sorpresa vocale finale a due voci.
Gli
Airportman questa volta rispetto alla discografia passata fanno un passo avanti
nei confronti dei suoni piuttosto che verso la canzone, traghettando
l’attenzione nei meandri nascosti della mente fra ricordi e sensazioni forti,
oggi sono il Caronte della musica alternativa e Post Rock italiana. MS
sabato 17 dicembre 2022
Goodbye Kings
GOODBYE,
KINGS - The Cliche Of Falling Leaves
Overdrive
Records
Genere:
Post Rock – Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2022
Dove
finiscono le parole, li inizia la musica. Ma che musica? Dipende da cosa si
vuole dire, l’argomento è di per se fondamentale. Le emozioni che scaturiscono
all’ascolto variano da soggetto a soggetto, c’è chi non ne vuole sapere troppe
e bada direttamente al sodo ascoltando canzoni facili da cantare o da ballare,
e chi invece dalla musica vuole sempre di più: lo stupore. Ecco… Lo stupore, il
sale della vita, ciò che ognuno di noi vive a modo proprio perché spesso si ha
paura dell’ignoto, questo è uno dei motivi per cui la musica di ricerca, quella
maggiormente sperimentale, non è sempre bene accetta o compresa.
I
milanesi Goodbye, Kings non fanno ostaggi, sono spietati e hanno una concezione
dell’arte davvero elevata. “The Cliche Of Falling Leaves” è il quarto lavoro in
studio senza contare il live autoprodotto “Musicolepsia Live”, dopo l’ottimo “A
Moon Daguerreotype” del 2019. Partono nel 2014 con “Au Cabaret Vert” e
replicano nel 2016 con “Vento (Argonauta Records), una discografia che va ad
attingere sia dal Post Rock sia nella psichedelia, in realtà mutano album dopo
album, proprio come un vero artista ama fare, ossia ricercare sempre nuove
soluzioni.
In
questo ultimo lavoro lo sforzo è davvero notevole, ben sedici musicisti s’immergono
in un'unica suite suddivisa in cinque parti e l’argomento sono le stagioni.
Fotografie sonore che impressionano la pellicola della mente attraverso fiati,
percussioni, tastiere e chi più ne ha più ne metta. Tanta l’oscurità che
aleggia fra le note spesso vicine anche alla musica da camera, e poi Jazz, psichedelia,
Prog, dove tutto sembra a tratti impalpabile come una fitta nebbia di notte.
“Part
1 – Autumn” è semplicemente un lungo loop sonoro che si staglia nella penombra
fresca della stagione dove le tastiere rimbombano a destra e a manca, in un
assoluto e lugubre passaggio nell’ignoto. “Part 2 – Winter” vede l’ingresso dei
fiati, tuba compresa, qui l’aria diventa leggermente più rarefatta, grazie
anche al lavoro della ritmica, piccoli squarci di sole raggiungono l’ambiente,
anche se una sensazione d’inquietudine insegue sempre. Un pianoforte sgocciola
note e lascia entrare la chitarra acustica nell’inizio di “Spring” che potrei
definire una speranza sonora in quanto maggiormente delicata quasi in stile
Ennio Morricone.
“Part
4 – Summer” ha folate roboanti di suoni che si alternano a momenti riflessivi e
alcuna rumoristica. Ma il piatto forte è la conclusiva suite “Part 5 – Autumn
Again…” dove il suono passa dal sussurrato al possente, un crescendo che
incolla l’ascoltatore sul divano.
Come
ho già avuto modo di dire, questa è musica che osa, un motivo per alzare il
volume perché le sensazioni forti devono travolgere, non sfiorare.
Posso
concludere dicendo che si è di fronte ad un affresco sonoro dalle tinte fosche,
un disco che squarcia lo stato d’animo senza se e senza ma. Consigliato solo a
chi dalla musica vuole di più. MS
giovedì 15 dicembre 2022
Sterbus
STERBUS - Solar Barbecue
Zillion Watt Records
Progressive Rock
Supporto: Bandcamp /EP – 2022
Noi
italiani sappiamo suonare il Progressive Rock come Dio comanda! Abbiamo una
predisposizione dovuta un poco all’amore per la musica inglese degli anni ’70 con
la quale abbiamo convissuto per decenni, e poi per la nostra mediterraneità, la
voglia solare di divertimento, ricerca… follia. E a proposito di follia, chi conosce
il mai troppo ricordato Frank Zappa sa bene a cosa mi riferisco, quindi, se
siete amanti del suddetto chitarrista, non potete restare indifferenti all’ascolto
dei romani Sterbus.
Il
progetto è per mano di un duo, Emanuele Sterbini e Dominique D'Avanzo. Suonano
da una quindicina d’anni, ossia prima dell’esordio discografico intitolato “Chi
Ha Ordinato Gli Spinaci?” del 2010. Rilasciano cinque album in studio e un ep,
e ritornano oggi con “Solar Barbecue” dopo il buon “Let Your Garden Sleep In”
del 2021. In quest’album sono contenute canzoni, stralci, idee e quant’altro di
album passati e un nuovo brano, “The Great Wallop Dollop”, nove canzoni all’insegna
del divertimento ma anche della buona tecnica strumentale.
Si,
trattasi di un disco completamente strumentale, dove la passione dei componenti
ce la mette tutta per soddisfare le esigenze del vero Prog fans che sono sicuro,
apprezzerà non poco lo sforzo creativo. Tanti i musicisti che partecipano e si
danno la staffetta nei brani dilazionati nel tempo, possiamo ascoltare
strumentazioni quali flauto, violoncello, sax, strumenti a corda, piano,
tastiere, organo, un vero e proprio calderone come ha saputo fare appunto il
grande Frank. Non c’è da stupirsi se all’interno dell’album aleggiano anche
riff feroci, quasi alla Metallica come in “Back To Black Delivery”, oppure
strutture complesse alla Spock’s Beard, vedi “Razor Legs”. Nella seppur breve “Ruben,
Raja, Lieve, Nike” le tastiere stendono un tappeto dove i fiati interagiscono
con il piano e il violoncello, un pezzo maggiormente ponderato e dal profumo
Beatles anni ’60. Prog DOC.
Gli
Sterbus amano giocare con la musica, hanno l’approccio giusto in quanto a
divertimento e follia, ascoltate cosa fa il sax in “The Amazing Frozen Yogurt”
e poi mi dite. Riescono anche a fare piccole capatine nel mondo nervoso
Crimsoniano di Robert Fripp, cosa volere di più? Un minuto di Rock elettrico
con “Any Minute Now” e poi è la volta di “Congratulator”,
altra pazza passeggiata nel mondo del Prog.
L’EP
della durata di ventisei minuti si conclude con “Big Daisy”, qui un mondo
dentro.
La
copertina mostra un dipinto di Stefano Fiore, dentro all’artwork ci sono le foto
di Marco Ferrara e Francesco Gentile. Che altro dire? Niente, mi dispiace solo
per chi lo ignora.
L’ascolto
lo avete qui: https://sterbus.bandcamp.com/album/solar-barbecue
MS
mercoledì 14 dicembre 2022
Endless Season
ENDLESS
SEASON - Paths And Crossroads
Autoproduzione
Genere: Progressive Jazz
Supporto: Bandcamp.com – 2022
L’ascolto
di questo nuovo disco dei veneziani Endless Season mi ha fatto fare un salto
nel tempo, quando anche da ragazzo ascoltavo Jazz Rock, sensazioni che poi ho
provato più poco salvo in qualche sporadico caso. M’immergevo nei Perigeo, Arti
& Mestieri, Agorà solo per fare tre nomi e mi sentivo grande, perché già
allora questa era musica non per tutti ma per i cosiddetti intenditori.
Probabilmente leggendo queste righe penserete che il quintetto formato da
Lorenzo Di Prima (basso), Paolo Busatto (chitarra), Andrea Cecchetto (batteria),
Francesco Pollon (tastiere), e Luca Ardini (sassofono) sia una copia del
passato, e invece no. La base musicale sicuramente prende spunto dai tempi che
furono, è ineluttabile, ma con uno sguardo rivolto ai tempi moderni dove le
melodie e l’innesto fra generi giocano un ruolo fondamentale.
Si
formano nel 2014 ed esordiscono nel 2016 con l’album omonimo e oggi ritornano
con “Paths And Crossroads”.
Il
disco è formato di otto brani a iniziare da “No Excuses” che mette subito in
tavola tutte le carte della band, ossia intesa, tecnica e gusto per le melodie
eleganti. La batteria gioca un ruolo fondamentale in questo brano, dove
Cecchetto mette le virgole al posto giusto, ma è l’amalgama che funziona e già
si è intenzionati a pensare di trovarci al cospetto di un ottimo album. Le
premesse sono confermate da “Paradox”, con un’attenzione particolare per il
sound fusion della band canadese UZEB, questo per chi li dovesse conoscere. Il
basso dunque si esprime al meglio, così il dialogo batteria tastiere è intenso,
tanto da farci muovere al ritmo del brano. La chitarra è la protagonista e si
getta in un assolo lungo ed efficace che va a tracimare nel suono nervoso dei
King Crimson.
Il
livello già alto si incrementa grazie a “47”, solo durante l’ascolto mi accorgo
che il tempo è in 7/4, sarà un gioco di cifre? Non saprei, tuttavia l’assolo di
batteria e di basso mi stendono. Non manca di certo la cosiddetta ballata se
così vogliamo chiamarla in questo contesto, s’intitola “Moonlight Promenade”.
La chitarra acustica di Paolo Busatto sposa il piano di Pollon, l’ingresso del
sax in lontananza con effetto eco donano all’ascolto freschezza, la musica degli
Endless Season è senza ombra di dubbio un caleidoscopio di colori.
“Do
You Wanna Play With Me?” è per struttura un brano decisamente Prog, con una
spolveratina di Frank Zappa. Qui la band fa la voce grossa e mostra tutti i
muscoli a disposizione. In “Squaring The Circle” palesano anche il
divertimento, la gioia di suonare, giocare con le note e il risultato è
decisamente contagioso. E poi il brano che non ti aspetti, sorretto dalla
chitarra elettrica arpeggiata in un tuffo nel Post Rock arriva “Exhalations” a
spaesare l’ascoltatore. Questo si che è saper mantenere alta l’attenzione
dell’ascolto.
Chiude
“Deep Surface (Outro: Remembering)” altro pezzo a cavallo fra Prog e Jazz ricco
d’idee e variazioni.
Il
ritorno degli Endless Season è notevole, siamo al cospetto di un signor gruppo,
di quelli che hanno talento da vendere, non facciamoceli sfuggire ma
supportiamoli perché la musica italiana, sembrerà banale, ma ha bisogno di
artisti del genere. Davvero consigliato. MS
lunedì 12 dicembre 2022
Whimsical
WHIMSICAL
– Emissary
Luminol
Records
Genere:
Post Prog Moderno
Supporto: EP / Spotify – 2022
Fa
estremamente piacere vedere ragazzi nati negli anni ’90 cimentarsi in un genere
che in molti danno per vecchio e stantio, ossia il Progressive Rock, proprio
per questo il sestetto di Verona Whimsical non è legato al solito passato bensì
innesta nel proprio sound quelle sonorità moderne che provengono da band Prog
più attuali come Haken, Porcupine Tree, Leprous e molte altre ancora. Detto
questo, l’EP “Emissary" lo inserisco nel filone Post Prog Moderno.
La
band è composta da Enrico Marchiotto (tastiere, synths, voce), Alice Morin (voce),
Leila Lazrague (voce), Matteo Pozza (chitarra), Giacomo Giarola (batteria) e Dimitri
Maragna (basso).
Whimsical
nasce nel 2017 come progetto solista di Enrico Marchiotto (Watershape, Alchemy
Victory, etc.) e nel 2018 esordiscono con “Steamed Landscapes” portato anche al
Prog festival Shades Of Prog assieme ad artisti come Dark Ages e Dark
Quarterer. La necessità dunque di riportare questa musica dal vivo richiede
alle spalle una vera e propria band, da qui in poi la formazione è completa.
Folk,
Metal, elettronica, Pop, Rock Progressivo, sono tutti ingredienti che entrano a
far parte del DNA della band e le due voci femminili che definirei ottime
entrambe, apportano al risultato finale un valore aggiunto.
“Emissary”
pur essendo un EP è composto di sei brani che trattano lo stato d’animo dei
giovani d’oggi fra futuro e speranze, ecco dunque che il titolo può avvalersi
di differenti significati, può essere sia inteso come un fiume che si genera
(in questo caso di generi musicali?), oppure come un portatore di messaggi.
L’onere
di iniziare l’ascolto aspetta a “Flamboyant” del quale esiste anche il video
ufficiale. La qualità della band fuoriesce immediatamente dalle note mostrando
sia tecnica individuale che gusto per la composizione. Il suono è avvolgente,
ricco di sonorità che sopraggiungono da ogni parte e che al momento giusto
sanno lasciare il palco alle voci di Alice Morin e Leila Lazrague. Molti di voi
potrebbero definire questa musica Metal Progressive, in effetti i punti in
comune sono molti, in realtà non del tutto, aperture ariose lasciano spaziano a
frammenti maggiormente Rock. Le tastiere si lanciano in un assolo in stile
Dream Theater e a complicare di più la descrizione di questa musicalità ci aggiungo
anche del Neo Prog inglese.
Un
piano elettrico apre “The Time Trickster 2”, e qui le atmosfere sono pacate, la
musica diventa improvvisamente raffinata, come un bell’abito da sera. L’assolo
di chitarra lascia in me un segno, amo molto questi interventi strumentali a
spezzare l’ascolto, questa è l’essenza del Progressive Rock.
Un
occhiata anche al mondo del Folk inglese, chitarre sia elettriche che
acustiche introducono “The Green Sea In
July”, qui il livello emotivo sale assieme alla sensazione di trovarsi in ampi
spazi bucolici. Musica dall’ampio respiro, senza troppi fronzoli o orpelli. Ritornano
a ruggire le chitarre con “When We Dare” e l’ausilio dell’elettronica, ma anche
del suddetto Neo Prog, questo almeno per quello che concerne l’uso della
chitarra elettrica nell’assolo. Resto piacevolmente colpito dalla musicalità di
“Kappasparkle”, epica ma allo stesso tempo ricca di spunti sonori, una apertura
strumentale dalle mille sfaccettature, perfino semplice da stamparsi nella
mente. Tanta materia al dentro e nel
finale un ritmo contagioso tanto da farmi trovare a muovere le gambe a ritmo
senza essermene neppure accorto. L’EP si conclude con “Green” altro brano in
pieno stile Whimsical, fra Folk, Metal, Rock e Neo Prog.
Questo
EP è davvero scorrevole, un piacere da ascoltare tutto di un fiato. Avendo
letto la recensione probabilmente avrete avuto la sensazione di semplicità ed
immediatezza, ma attenzione perché così non è del tutto, nei brani si
nascondono chicche e passaggi davvero interessanti, ma questi li lascio
scoprire a voi. MS
domenica 11 dicembre 2022
Speciale Daniele Faraotti
SPECIALE DANIELE FARAOTTI
DANIELE
FARAOTTI – English Aphasia
Creamcheese
Records
Genere: Alternative Rock /
Cantautore
Supporto: Vinile – 2019
La
musica ci veste a pelle, ci rappresenta come la scelta di un abito. Ognuno di
noi ha un gusto a se, e lo abbiamo tutti, chi più elegante chi meno. Non è
semplice muoversi nel tessuto musicale, c’è chi lo fa per soldi, chi per
passione e c’è chi vuole divertirsi semplicemente con gli amici, per non
dimenticare colui che decide di realizzare un qualcosa di nuovo, se mi passate
questo termine. Resta il fatto che la musica che si crea è parte della nostra
personalità, ora è solo questione di percentuale stabilire chi ne ha di più o
chi ne ha di meno.
Qui
risiede il segreto di chi riesce a realizzare prodotti assolutamente non
scontati che si staccano dalla media della superficialità: la personalità.
Bologna
è una città ricca di cantautori, la lista è lunga e costellata di nomi
altisonanti (Dalla, Morandi, Guccini etc.), e anche di chi non ha avuto la
strada spianata da successi perché creatore di uno stile piuttosto inconsueto.
Daniele Faraotti riesce a miscelare differenti tendenze a partire dal Punk
all’elettronica, al Rock e l’Art Rock, insomma una fucina d’idee che vanno a
convogliare nella musica del cantautore. Faraotti cresce ascoltando Beatles,
Led Zeppelin, Stones, King Crimson, Gentle Giant, direi musica non proprio
banale. A sedici anni studia al
conservatorio di Cesena, mentre a ventidue passa al “Verdi” di Milano. Gli
studi proseguono negli anni a venire, di città in città, fino a giungere alle
attività concertistiche. Collabora con Patty Pravo, Claudio Lolli e con altri
artisti, in parole povere un musicista impegnato, insegnante di chitarra nella
Scuola Media Rolandino Pepoli di Bologna.
Nel
2009 esce con “Ciò Che Non Sai Più” (Alka Records) e a seguire dopo uno stop
nel 2012 è la volta di “Canzoni In Salita” (Bombanella Records) e nel 2014 per
“Exit From The Cage” una composizione strumentale di ventuno minuti omaggio a
John Cage “In Cage’s Shoes”. Eccoci dunque giunti nel 2019 a quest’album
intitolato “English Aphasia”.
Per
tirare fuori la personalità di certo serve anche una buona quota
d’improvvisazione e questa nelle otto canzoni che compongono il vinile “English
Aphasia” non manca di certo, a iniziare dalla title track supportata da rumori,
suoni ed elettronica. Per chi conoscesse i primi lavori di Steven Wilson della
fine anni ’80, primi ’90, dico che probabilmente rimarrete stupiti. Ora, che
per esternare un certo tipo di comportamento possa servire molto coraggio non
lo metto in dubbio, oppure è semplicemente carattere? Poco importa la risposta,
perché come ho scritto anche in alcuni miei libri “L’evoluzione passa
attraverso la trasgressione della regola”.
“I
Got The Blues” è una ballata che gira attorno un arpeggio di chitarra, mentre
il cantato è ancora una volta vicino al Punk, ma ciò non accade sempre,
Faraotti su questo sa giocare molto bene. Interessante lo sviluppo del brano
che attraverso i fiati e la chitarra elettrica sa costruire una struttura che è
sicuramente la gioia dei fans di Frank Zappa.
“Connection”
anche lei gioca su sonorità apparentemente stonate come spesso hanno saputo
fare i geniali Radiohead. Il suono è minimale ed elettronico. Torna una melodia
più accettabile e diretta in “Between For A Day Trust” ma l’autore ancora una
volta sembra divertirsi a giocare con il pentagramma, sviluppando nel proseguimento
soluzioni di certo non convenzionali. Immaginate di prendere i Gentle Giant e
dirgli di suonare del Punk!
Con
“Zawie III” si canta un brano quasi Beatlesiano, su suoni elettronici che si
reggono attraverso una ritmica monotona dove la variante la fa la voce fra sali
e scendi, a volte anche senza una logica precisa rispetto alla musica. Il mondo
di Faraotti è questo, “Leonore Sprache” ci immerge dentro ancora una volta
senza soluzione d’uscita. Su “Seat Elephant” c’è un’attenzione maggiore alla
musica e i Beatles di “Magical Mystery Tour” sono di certo galeotti. Questa
cosa mi piace molto perché ricercare va bene, ma sempre attraverso la storia
assimilata. Il cantato qui è in lingua italiana.
In
“Telephone Line” Faraotti torna a fare il Faraotti, anche se gli strumenti
questa volta bazzicano territori Crimsoniani, non il cantato, sempre
apparentemente distaccato dal contesto sonoro. Buone le coralità. Chiude
l’album “Joni George Igor And Me” canzone più malinconica dell’album che nulla
toglie e nulla aggiunge a quanto detto.
Sicuramente
ad ascoltare quest’album non ci si annoia, serve comunque un pubblico preparato
all’ascolto perché qui di normalità c’è davvero ben poco. Faraotti sa ricercare
e a tratti anche stupire e di questo la musica ne ha bisogno come l’aria. MS
DANIELE FARAOTTI – Phara Pop Vol. 1
Creamcheese Records
Genere: Alternative Rock /
Cantautore
Supporto: Vinile /cd – 2022
In
questo periodo il cantautore bolognese Daniele Faraotti è particolarmente
ispirato, la sua musica colorata fatta di nonsense anche strumentali e di
coraggiose scelte spesso dettate dall’improvvisazione, ci travolge nel doppio
lavoro “Phara Pop Vol.1”.
Quello
che si recepisce alla fine dell’ascolto di un album del chitarrista cantautore
è la sensazione forte di libertà. Di cose in questo tempo ce ne sono da dire,
il ritorno alla socializzazione post virale tira fuori molti argomenti che qui
in “Phara Pop Vol. 1” a differenza del suo predecessore “English Aphasia” sono
decantati in lingua italiana.
Con
lui nel doppio disco formato da venti tracce per settantasette minuti di musica,
collaborano Valeria Sturba (theremin, violino), Domenico Caliri (chitarra),
Daniele D’Alessandro (clarinetto), Matteo Zucconi (contrabbasso) e Simone
Pederzoli (tromba).
L’artwork
gatefold conferma quello che si ascolta al proprio interno, follie, colori e
tanta ironia a partire da “Stagioni” dove l’artista rivolge lo sguardo alla
vita e alla morte, anche attraverso gli occhi di un bambino.
Ogni
pezzo è una stanza a se e gli insiemi formano una casa dove l’artista sa
muoversi in perfetta armonia con l’arredamento pensato e creato da lui stesso.
Ricordi di gioventù amorosi in “Johnny B.Good 74” dove elettronica fa da sfondo
alla musica che lascia la sensazione d’improvvisazione. Di certo il cantato non
è in forma convenzionale, anche se in alcuni tratti si lancia in una sorta di
Rap. Denoto sinapsi comunicative con Elio E Le Storie Tese, ma questa è solo
una mia impressione, probabilmente non la verità. Ma nell’ironia dei testi e
fra i ricordi, balenano anche riflessioni importanti come ad esempio nel brano
“La Ruota” dove il cantautore consiglia di informarci meglio a riguardo dei
fatti storici accaduti, spesso manipolati con omissioni solo per tornaconti
politici e quant’altro. La metrica lirica è sempre stravolta come oramai siamo
abituati a sentire, non vorrei però che questo alla lunga possa destabilizzare
troppo l’ascoltatore. Il roboante basso nella breve “Pia Rossi” conduce a “Una
Sfida” dove si parla di evoluzione industriale a partire dalla macchina a
vapore. Sempre di elettronica e di metrica stravolta si tratta, qui però
impreziosita da buoni intrecci vocali. Faraotti spara contro il pessimismo
cronico che ci portiamo sempre appresso in “L’Ospite” in questo caso, il brano
ha una musicalità maggiore rispetto quanto ascoltato sino ad ora, anche se
Faraotti canta una cosa e la musica sembra farne un'altra, quando le due cose
collimano c’è la sensazione di essere avanti ad una genialata. Di certo non è
banale.
“La
Nave” ha del Jazz all’interno e i ricordi della propria terra assieme ai
profumi inebriano il cantautore. Più malinconica “ La Felicità Non E’ Allegra”,
fatta di fiati, mellotron e una ritmica semplice e ammaliante. Quante volte
abbiamo passato giornate con gli amici a parlare dei bei tempi passati avanti
ad un buon bicchiere di vino, nel caso di Faraotti alla posta Hotel di
Dobbiaco, ce lo racconta in “DeZo e Dan” canzone dalla struttura Rock… E
prosit!
Il
primo disco si chiude con “I Sogni Di Luis” con tanto di sound Area che pervade
l’ascolto e plagi che aleggiano nell’aria, da Heine a Borges, poeti e scrittori
d’avanguardia.
Il
secondo disco inizia con i ricordi di un’amica, “Isolde”, altra struttura Rock
con chitarra elettrica impegnata nello stile King Crimson. Il viaggio nel
“Phara Pop” conduce a questo punto al mix fra “La Primavera” di Vivaldi e “We
Love You” degli Stones, dove passato e recente passato si convogliano in
un'unica struttura per un risultato alquanto curioso dal titolo “Vivaldi We
Love You”. Ritmata “Le Chiome E I Falò”, la struttura Prog e la cadenza mi
ricordano passaggi della band toscana Deus Ex Machina. Ispirata dal “Piacere”
di Ophusls “Il Ballerino Di Quadriglia”, racconta di un ballerino che in pista
si scatena fino allo svenimento, mentre la musica suona in maniera compulsiva.
Le atmosfere si fanno cupe nell’incontro con il diavolo Faraon (come lo
chiamano in Romania) ma l’episodio ha dell’ilare, ascoltate voi cosa accade.
Non manca neppure una riflessione sulla preziosità del tempo che non va mai
sprecato, ciò si ascolta in “Frugale”, canzone in perfetta linea nello stile
personalissimo di Faraotti. Altro episodio decisamente umoristico arriva da
“Edison Dino”, ossia Dino Campana rinchiuso in un manicomio. Ciò che si dice è
perfettamente interpretato dal nonsense vocale del cantautore, sempre capace di
colpire l’ascoltatore magari fino allo sfinimento. La traccia più lunga
dell’album s’intitola “Come Vincere La Timidezza”, una canzone d’amore composta
di stralci sonori che molto hanno di dejà vu, il lato Prog fuoriesce
prepotentemente, Gentle Giant inclusi. L’inverno malinconico si posa su “Il
Villaggio” e il disco si conclude con “La Visione Di Proculo” ancora una volta
tratta da un racconto di Heine.
Un
consiglio mi sento di lasciare a questo intelligente e sagace cantautore,
attenzione a non spingere troppo l’acceleratore sul cantato che spesso sa d’improvvisazione
perché alla fine un brano deve lasciarti un qualcosa, magari da fischiettare o
cantare dentro, e qui francamente la faccenda è davvero difficile. Per il resto
siamo al cospetto di un ennesimo professionista che sa dove andare a parare, un
disco ricco d’idee, storia e riflessioni. MS
Iscriviti a:
Post (Atom)