STEVEN WILSON - To The Bone
Caroline Records
Genere: Alternative Rock
Il
personaggio Steven Wilson spacca il
mondo del Rock Progressivo in due come una mela, o stai su una pacca o su quell’altra.
Non ci sono compromessi, neppure da parte dell’artista che nella sua longeva
carriera non fa altro che badare a ciò che pensa senza guardare al gusto dei
fans. Tanti persi e altrettanti saliti in corsa. Ma allora molti di voi
penseranno che questo atteggiamento è il vero sunto del Progressive Rock, il
cambiare, ricercare e innestare diversi generi. Lo ha fatto con l’elettronica
di fine anni ’80, lo ha fatto con la Psichedelia Pinkfloydiana negli anni ’90,
poi con il Metal nei 2.000, i King Crimson nel 2010 ed oggi anche con il Pop. E
invece no, questa cosa non gli viene perdonata dai “duri e puri” i sostenitori
del Prog classico lo vedono come un “furbetto” e come “distruttore” di un genere (vero, l’ho
letto centinaia di volte nei social telematici), gli altri dall’altra parte
della mela lo vedono come un “genio”, opinando sul fatto che Prog non sono soltanto le vecchie glorie, ma è
soprattutto un atteggiamento in divenire. La verità dove sta? A mio modesto
parere risiede in una via di mezzo perché di brani geniali in effetti nella
lunga carriera ne ha fatti, questo dato è inopinabile, così come un disco
stratosferico dal titolo “The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)” nel
2013, tanto per citarne uno. Vogliamo poi parlare dei suoi Porcupine Tree, o i
No Man, o i Blackfield o i Storm Corosion? Di cose su Wilson ce ne sarebbero
quindi da dire, ma fermiamoci ad ascoltare questa ultima fatica dal titolo “To
The Bone”.
Quello
che salta subito all’occhio è il cambio di label, da Kscope a Caroline Records
e questo mi ha fatto già pensare anche ad un cambio stilistico, che così in
effetti è. Non radicale, ma lento, se si ascoltano gli undici brani contenuti nell’album
si ha un ibrido fra Progressive Rock, Psichedelia, Elettronica e Pop. Un disco
che fotografa l’artista in piena muta.
A
maggio il singolo "Pariah" apre le danze lasciando il fans di vecchia
data alquanto interdetto, ma la cristallina voce dell’ospite Ninet Tayeb è
sublime e tutto passa in secondo piano, anche se il brano è sognante,
elettronico e Pop, non si può che restarne affascinati.
Wilson sa comporre buone melodie, non c’è niente da fare.
Wilson sa comporre buone melodie, non c’è niente da fare.
Il
disco si apre con la title track, ottimo e movimentato Rock in equilibrio fra
Pop e Progressive Rock, anche qui l’artista tiene i piedi su due staffe, a
conferma di quanto descritto. A seguire la canzone “Nowhere Now”, con un inciso
importante e dannatamente indelebile. Ma siamo in territorio canzone, qui lo
sperimentare non è di casa e non vuole esserlo, semplicemente dritti all’obbiettivo.
Altro momento Pop Rock semplice e con un Wilson inedito (canta in falsetto) è “The
Same Asylum As Before”, qui c’è la conferma che sa scrivere anche canzoni
semplici, ma questo lo si è visto anche con i Blackfield assieme ad Aviv
Geffen. E qui non posso neppure dare torto a chi dice che ci sono incredibili
deja vu, in effetti il brano è un puzzle di soluzioni già edite. Toccante e
sussurrata “Refuge”, verso lo stile dei No Man, altro suo progetto assieme a Tim
Bowness. Questo territorio comunque creato da Wilson è stato saccheggiato da
molte band a venire, un nome su tutte, The Pineapple Thief. Giocosa e Pop al
100% “Permanating”, impossibile non trovarci dentro gli Abba e ancora una volta
nel cantato fa capolino il falsetto. Qui i “duri e puri” hanno già spento lo
stereo.
Per
il mio gusto personale “Blank Tapes” è una perla gigantesca, arpeggiata, sussurrata
come solo Wilson sa concepire, chiaramente in questo territorio è imbattibile.
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Quando vuole picchiare lo sa comunque fare con classe ed energia, ascoltate “People Who Eat Darkness” e capirete come si può fare Rock senza strafare.
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Quando vuole picchiare lo sa comunque fare con classe ed energia, ascoltate “People Who Eat Darkness” e capirete come si può fare Rock senza strafare.
Tasto
dolente è l’elettronica “Song Of I”, francamente fiacca non perché elettronica,
ma priva di incisività nell’insieme, resta quindi sospesa in un limbo terra di
nessuno. “Detonation” ha sempre elettronica, ma riporta l’ascolto in
composizioni più ricercate, un brano che ricorda anche il Wilson del primo
album solista “Insurgentes”, qui chi ha spento lo stereo in precedenza non sa
cosa si è perso.
Chiude
“Song Of Unborn”, canzone che si può benissimo collocare nella discografia
Blackfield.
Il
mio giudizio finale è quindi positivo, ovviamente perché amo gli artisti che si
mettono sempre in gioco e poi Wilson ha gusto per le melodie. Tuttavia siamo in
una fase di cambiamento ancora non completa, la vecchia pelle si sta togliendo,
vedremo cosa ci attenderà nel futuro.
La
versione di “To The Bone“ in mio possesso è in doppio lp, qui
voglio dire il pro ed il contro di questa operazione: Il pro è che essendo
suddiviso in due vinili, il suono è più curato dato da un solco meno compresso,
davvero buono, anzi, direi ottimo. Il contro è che è in 45 giri, non si può
ascoltare musica ed alzarsi in continuo a girare e cambiare facciate e disco,
davvero spezza troppo l’ascolto. MS
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