Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
sabato 26 giugno 2021
Time Haven Club
TIME HAVEN CLUB – Gathered At Dusk
Nicola Alesini - Saro Cosentino
NICOLA ALESINI / SARO
COSENTINO – Cities
M.P. & Records
Distribuzione: G.T. MUSIC
Genere: Electronic, Jazz
Supporto: cd – 2021
Le
caratteristiche che contraddistinguono la musica italiana sono ben note a
tutti, la melodia che nasce dalla musica napoletana si districa nel tempo in una
vera e propria carta d’identità che tutto il mondo ci invidia, sintetizzabile
nei termini “mamma, sole, cuore, amore” come molto spesso amano etichettarci
dall’estero. In realtà il nostro parterre artistico è ben più esteso, noi
italiani siamo molto attenti alla creazione e quindi all’arte pura dettata
anche dall’improvvisazione, arma che solo i grandi musicisti sanno mettere bene
in pratica. Ma anche l’ascoltatore è predisposto ad accettare nuove sonorità o
idee, basti solamente pensare che negli anni ’70 i successi di band
sperimentali inglesi quale i Genesis o i Gentle Giant vengono raggiunti grazie
all’acquisto dei dischi di noi italiani. Siamo sempre all’avanguardia nel saper
accettare le novità e dimostriamo di saperle apprezzare e comprenderle.
La
sperimentazione se poi è concatenata alla nostra mediterraneità porta a
risultati che esulano dal linguaggio musicale comune. Credo che questo
preambolo possa benissimo adattarsi a Nicola Alesini, sanremese amante dei
strumenti a fiato, ricercatore di nuove sonorità ed amante del Jazz. La
creatività negli anni si palesa in dischi come “Mediterranea” del 1988
realizzato in collaborazione con Andrea Alberti e Gianluca Taddei ed in altre
forme artistiche come la danza, il teatro e la poesia.
Ma
veniamo all’altro grande artista che contribuisce in ugual maniera alla
creazione di “Cities”, ossia Saro Cosentino. Il polistrumentista nasce a Roma
ma si trasferisce a Milano negli anni ’70 per suonare musica acustica della
tradizione popolare nord-americana e Blues. Nel 1979 crea l’ensemble Saro
Cosentino Entertainment Blues Band di cui fanno parte anche Fabio Treves e
Maurizio Angeletti. Da qui anche per lui vale il discorso della passione
sperimentale, tanto da portarlo a collaborare con il mai troppo compianto
Franco Battiato. Ma i nomi degli artisti con cui ha lavorato sono davvero
molteplici, Morgan, Milva, Alice, Mino Di Martino, Ivano Fossati, Peter
Gabriel, Peter Hammill Tony Levin, Gavin Harrison e molti altri ancora. E poi
dischi solisti e colonne sonore tanto per sottolineare la caratura del
musicista quale è.
Per
la realizzazione di “Cities” si avvalgono della collaborazione di Massimiliano
Di Loreto, altro grande polistrumentista e batterista mentre la realizzazione è
in mano a Vannuccio Zanella per M.P. & Records.
Più
che tracce che compongono l’opera opterei per sensazioni, in quanto esse
scaturiscono dalla visione di determinate città, vissute e visitate, ad ogni
brano corrisponde dunque un luogo per un totale di sette frangenti sonori. Ed
il disco inizia con “Genova (Per Carlo)” fra l’odore salmastro dei vicoli
stretti che raccolgono un mix formato da fragranza di cucine, panni stesi e
mare. Facile recepire questo stato di appartenenza, una quiete magica suggerita
dai strumenti musicali trattati con delicatezza ed amore, quasi sfiorati per non
urtare il quadro emotivo. Il sax è voce, le parole non servono, mentre il basso
fa da spina dorsale supportando come un genitore pieno di esperienza il proprio
figlio.
“Istanbul”
ha un andamento simile ma leggermente orientaleggiante, leggiadro e quasi impalpabile.
“Lisbon”
si affaccia sul mare, anche in questo caso le atmosfere di quiete vengono
filtrate attraverso il sax di Alesini riportando alla mente i colori e la
mediterraneità che ci accomuna. Viene naturale all’ascolto di socchiudere gli
occhi. Ma veniamo in Italia e più
precisamente andiamo a “Palermo” dove la
musica acquisisce connotati che fanno tornare alla memoria antiche sigle di
documentari o sceneggiati anni ’70. Ed ecco subentrare anche la ritmica, lieve, educata, coadiuvata da
altre percussioni il tutto ad impreziosire le atmosfere narrate. “Praga” ha un
bellissimo andamento tracciato dalle linee di basso protagonista sino
all’innesto del giro armonico delle chitarre, al solo di sax e della batteria
sempre gentile e riguardosa dell’andamento proposto. Uno dei momenti più alti
di “Cities” almeno per il gusto personale di chi vi scrive.
La
capitale “Roma” è suonata come fosse vista di notte, quando le luci ed i colori
prendono il sopravvento e la conclusiva “Venezia” fa l’occhiolino fra le calle.
Una citazione di merito a OndemediE che si occupa dell'artwork, in esso foto suggestive impreziosite da citazioni poetiche come ad esempio quella di Italo Calvino tratto da Isidora: "All' uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio di una città".
Musica
per staccare la spina dopo una settimana stressante, musica semplicemente per
stare bene, da ascoltare, non da sentire. E reset sia. MS
Il disco si può acquistare su G.T.MUSIC Distribution:
https://www.gtmusic.it/it/compact-disc/4307-nicola-alesini-saro-cosentino-cities-cd-8001902100951.html
venerdì 25 giugno 2021
Landberk
LANBERK - il freddo del nord che riscalda
(Di Massimo Salari)
CHI
SONO I LANDBERK
Si
formano nel 1992 con Patric Helje (voce), Reine Fiske (chitarra), Stefan Dimle
(basso), Simon Nordberg (tastiere) e Jonas Lidholm (batteria). Sono dediti ad
un rock progressivo dal suono essenziale, quasi magnetico. Gli strumenti
vengono appena sfiorati e raramente aggrediti. Mancano dunque lunghe suite nei
loro dischi, mancano i cambi di tempo, ma in controparte hanno un carisma al di
fuori della norma. C’è tristezza, religiosità, delicatezza nei brani, sin
dall’iniziale cd d’esordio RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven). Il
cantato in lingua madre non rende il disco molto fruibile, ma la musica
ossessiva e delicata riesce ugualmente a cogliere l’animo di chi ascolta. Nello
stesso anno i Landberk registrano nuovamente il disco con il canto in inglese
ed il titolo è LONELY LAND (1992 - The
Laser Edge) logicamente per tentare di accalappiare l’attenzione di un pubblico
più vasto. Le potenzialità a loro disposizione fuoriescono nel 1994, nel
capolavoro ONE MAN TELL’S ANOTHER (1994
- Megarock Records) eletto dalla critica disco Prog dell’anno. In esso c’è
magia, una magia che sfiora ed ammalia, anche i King Crimson hanno la loro
influenza, come in Time e Kontiki. La band parte per diverse date
live e toccano anche il nostro suolo. La testimonianza sonora dell’evento è
intitolata UNAFFECTED (1995 - Melodie & Dissonanze). Le canzoni sono
registrate alcune all’Usignolo Di Castelnuovo Del Garda ed altre il giorno dopo
in Germania. Bella la cover iniziale dei Van Der Graaf Generator Afterwards. I Landberk si congedano
dalle scene con un disco di una bellezza cristallina dal titolo INDIAN SUMMER (1996
- Record Heaven), proprio per questo che il rammarico per la scissione è ancora
più doloroso. Nel 1998 Stefan Dimle e Reine Fiske si fondono con Nicklas Berg e
Peter Nordis degli Anekdoten per dar luce ad un breve progetto dal titolo Morte
Macabre, Il risultato è il buon SYMPHONIC HOLOCAUST, lavoro dalle ovvie
tonalità oscure ma carente dell’energia madre che caratterizzano le due band.
DISCOGRAFIA IN STUDIO
RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven)
LONELY LAND (1992 - The Laser's Edge)
ONE MAN TELL'S ANOTHER (1994 - Megarock Records)
INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven Music)
LANDBERK –
Indian Summer
Record Heaven
Ci
sono dischi che vorremmo non finissero mai. Musica rassicurante, che coccola
l’anima, quella che fa stare bene, quasi come trovarsi nel grembo materno, nuotare
nel liquido amniotico, i svedesi Landberk con questa ultima loro fatica in
studio lo testimoniano anche nella copertina rappresentante un corpo di una
donna in dolce attesa.
In
questo caso si rientra in un genere che potremmo definire sia progressive rock
che post rock, la musica dei Landberk sfiora i King Crimson e gode di
personalità importante. Gli strumenti vengono spesso accarezzati, quasi
sfiorati , come se si volesse chiedere scusa del disturbo. La voce è sognante,
così come le esibizioni live che elargiscono nel tempo rappresentazioni
spirituali con tanto di candele accese. La band fa parte del filone della
rinascita del progressive rock anni ’90 in compagnia dei connazionali The
Flower Kings, Anekdoten, Anglagard e Sinkadus. Non sono autori di molti dischi,
solo cinque in studio ma tutti di elevata fattura tecnica ed emotiva. INDIAN
SUMMER è il loro ultimo disco come ho avuto modo di dire, e lascia ancor più
l’amaro in bocca in quanto rappresentante del crescendo qualitativo del gruppo,
chissà cosa avrebbero potuto produrre visto il miglioramento artistico in
divenire.
In
questo album non esistono momenti di calo, tutte le canzoni prendono
l’ascoltatore dal primo all’ultimo istante, ad iniziare da Humanize. La chitarra sfiorata di Reine Fiske (Morte
Macabre, Paatos, Motorpsycho, Elephant9 e Träd, Gräs & Stenar.) inizia il
brano che si apre in un giro ritmico molto blando ed un Mellotron che riporta
l’ascoltatore indietro negli anni ’70. Le melodie sono semplici, dirette
traghettate dalla bella e sentita voce di
Patric Helje. Musica per alcuni versi ipnotica nell’incedere. La
sensazione di fluttuare nel liquido che ci circonda è amplificata dal brano
ancora più lento All Around Me. Una
sensazione che travalica nell’onirico, sopraggiunge una quiete appagante anche
se non mancano frangenti più nervosi dettati proprio dall’influenza dei King
Crimson, compresa nella voce filtrata.
Un
momento più rock, ma anche quello più breve con i tre minuti e poco più, lo si ascolta
in 1st Of May, frazione stranamente
più solare rispetto all’andamento del disco, il tutto comunque sempre in
maniera pacata ed elegante. Uno dei capolavori si intitola I Wish I Had A Boat, momento quasi in punta di piedi, un giro di
basso ancora ipnotico accompagna l’ascolto in un percorso dove si può
incontrare un sussurrato Mellotron, una ritmica minimale e una chitarra
cortese. La voce inutile sottolinearlo è la protagonista per patos. Il ritmo
torna a salire con Dustgod, vero e
proprio potenziale singolo di INDIAN SUMMER con un ritornello a dir poco
orecchiabile. Dreamdance è ancora più
ritmata, insistente ma anche soave, essa accompagna all’ascolto di un altro
capolavoro dell’album, Why Do I Still
Sleep. La mente viene rapita fra echi e voci femminili a supporto della
lirica mentre la chitarra si limita a
fare da guida. Ecco uno di quei momenti che vorresti non finissero mai.
INDIAN
SUMMER si chiude con la title track, uno dei brani più lenti che io abbia
ascoltato in vita mia, a questi livelli neppure i Radiohead. Una minimal-song
assoluta, dove spazio e tempo sembrano immersi nel liquido amniotico
dell’inizio della vita. Chitarra arpeggiata, quasi sfiorata e voce in fievole
sussurro lamentoso. Tutto intorno a noi sparisce. Quando la musica è arte.
domenica 20 giugno 2021
Daniele Mammarella
DANIELE MAMMARELLA – Moonshine
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Virtuoso - Chitarra
Supporto: cd – 2021
Ritorna
dopo quasi due anni dal debutto “Past, Present And Let’s Hope” (Music Force),
il virtuoso chitarrista Daniele Mammarella con questo nuovo album intitolato
“Moonshine”. Ho già avuto modo di tessere le lodi di questo ragazzo di Pescara
nella precedente recensione, sottolineando il suo amore per lo strumento e la
musica, già all’età di tredici anni compone brani propri con la chitarra Fingerstyle.
Tengo
subito a sottolineare oggi la difficoltà di emergere con un disco prettamente
strumentale, il mondo della musica sappiamo bene come si sta muovendo a
discapito di materiale da ascoltare con cura ed attenzione. Il pregio di
Mammarella è proprio quello di rendere i brani molto fruibili, diretti e senza
troppi fronzoli, puntando sull’emotività delle composizioni. Tredici sono le
tracce contenute nell’album dove la produzione artistica è affidata a Giuseppe
Lo Faro. Gli stili toccati sono differenti, variano dal Blues al Rock passando
per il Folk ed il Country, così come lo sono le tecniche adoperate nelle
esibizioni, come ad esempio la Fingercussion del brano di apertura “Shadow
Blues”. Qui l’autore batte con la mano sul legno della chitarra producendo il
ritmo di accompagnamento.
I suoni si moltiplicano in “In The Sky”, la chitarra viene
toccata maggiormente e in diverse maniere, stop & go e tapping, la
musicalità orecchiabile è comunque il filo conduttore del motivo. Sulla stessa
lunghezza d’onda il Rock di “Twister”, fresco ed allegro proprio come sapeva
fare Ivan Graziani durante certi assolo live per spezzare ed arricchire il
brano.
Si
toccano le corde ma questa volta dell’anima nella title track “Moonshine”,
canzone più lunga dell’album grazie ai quasi quattro minuti di durata. Qui
viene palesata tutta la tecnica esecutiva del musicista e compositore, pur
restando un brano dolce nell’incedere. Notevole anche la successiva “B-Train”
perché palesa nuovamente il tutt’uno fra
l’esecutore e lo strumento, proprio come se fosse una estensione del corpo.
“Flying” è nomen omen, la musica lancia l’ascoltatore alto nel cielo in un volo
delicato a planare. Molto divertente la folcloristica “Waterfall” da ballare in
una sorta di saltarello. Torna il Blues con “Ireland Blues”, composizione che
ha la stessa capacità emotiva di “Shadow Blues”.
“Horizon”
staglia paesaggi ariosi grazie anche all’uso dell’eco mentre la breve “Windy”
alza nuovamente il ritmo rendendo così l’ascolto mai monotono, sempre vivo. La
dolcissima “Dreaming” è un lento passaggio nel morbido mondo dei sogni per poi
passare alla penetrante “Blazing Sun, traccia scritta assieme all’amico
Christian Mascetta. A chiusura “Goodnight” con il suo arpeggio che porta
l’ascolto verso territori più cantautorali.
La
capacità artistica di Mammarella è dunque è quella di saper trasmettere
serenità ed armonia, il tutto sotto paesaggi bucolici che fanno capolino nella
nostra fantasia durante l’ascolto. In un settore dove si corre in maniera
anomala c’è bisogno della musica di Mammarella, una diversificazione che almeno
per un istante ci fa rilassare e riflettere. MS
giovedì 10 giugno 2021
Police
POLICE – Reggatta De Blanc
A&M Records
Genere: Rock/Punk / Reagge
Supporto: 1979 – lp
I
Police si formano a Londra nel 1977 in piena era punk. Il trio è composto dal
bassista Gordon Matthew Sumner, in arte Sting, il chitarrista Andy Summers e il
batterista Stewart Copeland. Il genere
proposto è di personalità, riescono a miscelare insieme reggae, punk, new wave
e jazz. Non hanno una grandissima longevità artistica, purtroppo si sciolgono
nel 1986 per poi fare un breve ritorno nel 2007 in occasione di un tour
mondiale.
Stewart
Copeland prima di iniziare a pensare ai Police, ha una breve carriera nella
storica band Curved Air, dove inizia una relazione con la cantante Sonja
Kristina Linwood , che diventa in breve tempo sua moglie. Sting nel 1976 suona
il basso nel gruppo jazz fusion Last Exit, una volta contattato da Copeland
vanno alla ricerca del chitarrista. Inizialmente la scelta ricade su Henry
Padovani e con questa formazione registrano il singolo Fall Out (Miles Copeland
III ) nel 1977. Nel frattempo Stewart e Sting partecipano al progetto Strontium
90, organizzato da Mike Howlett, bassista dei Gong, qui restano colpiti dal
modo di suonare la chitarra di Andy Summers. Per un breve periodo la formazione
dei Police è dunque composta da quattro elementi con due chitarre, ma in breve
tempo Padovani lascia il gruppo. Nel tempo numerosi i concerti ed i
riconoscimenti.
Ma
veniamo ora al disco in analisi, esso è epocale per quello che concerne il
fenomeno che abbraccia il punk di fine anni ’70 ed il reggae portato in quel
periodo al successo da Bob Marley. I Police tuttavia nella loro pur breve
carriera ci hanno deliziato sempre con album di altissima qualità. Il riscontro
delle vendite ne è testimone.
Il
trio è una vera e propria macchina da guerra ritmica. La musica proposta si
basa essenzialmente su una ritmica insistente e comunque ricercata e raffinata.
“Regatta De Blanc” è il secondo disco in studio della band, dopo il buon
successo del debutto “Otlandos D’Amour” del 1978 (A&M Records) contenente
la famosa “Roxanne”.
Si
parte subito con un classico del gruppo, quel “Message In A Bottle” che ancora
oggi cantiamo e sentiamo sia nelle radio che nei canali tv musicali. Impossibile resistere al ritmo e
rimanere fermi impassibili all’ascolto. Secondo la prestigiosa rivista Rolling
Stone il brano giunge al numero 65 nella classifica delle "100 migliori
canzoni con la chitarra di tutti i tempi". I testi narrano di un
personaggio sperduto in un isola impegnato a spedire in una bottiglia al mare
il suo messaggio di richiesta d’aiuto, ma che ironicamente nel tempo vede
tornare a riva con altre migliaia di bottiglie contenenti richieste analoghe.
Non si è soli nell’essere frustrati. Segue la title track “Reggatta De Blanc”,
il cui titolo lascia trapelare che questo brano (ma anche tutto l’album), è
“reggae per bianchi”. Copeland sfoggia tutta la materia in dote, oltretutto la tecnica per suonare la batteria è raffinata da un viaggio in Africa avvenuto
in una tribù per apprendere al meglio certe ritmiche tribali. Il Post Punk
arriva con “It's Alright For You”, semplice e diretta come genere comanda.
“Bring
On The Night” è la più malinconica dell’album, pur avendo comunque un ritmo
godibile, essa narra del detenuto in attesa di morte Gary Gilmore, dove l’esecuzione
è oggetto del romanzo nel 1979 The Executioner’s Canzone di Norman Mailer. La
ricerca di Copeland è messa in pratica in “Deathwish”, così l’apporto ipnotico
della chitarra. Sting con voce inconfondibile impreziosisce il tutto. Un pregio
del trio è sicuramente il dono della sintesi, con poco riescono a realizzare
molto.
Il
lato B del vinile si apre con il secondo classico del gruppo, “Walking On The
Moon”. Il singolo si piazza al numero uno delle classifiche inglesi. Sting asserisce
di aver scritto questa canzone in condizioni alterate da una bella bevuta,
mentre il testo parla della sensazione
che si prova nell’essere innamorati. Tanto Reggae. Si ritorna al Post Punk con “On
Any Other Day”, in sintonia con lo stile Clash.
“The
Bed's Too Big Without You” ancora una volta gode di una ritmica irresistibile e
di un giro di basso profondo e penetrante. Un connubio fraseggio riff chitarra,
batteria e basso impressionante per riuscita, un mix fra New Wave (allora di
moda) e Reggae. Esso è l’ennesimo singolo dell’album che descrive la solitudine
e il dolore della fine di una relazione.
“Contact”
è in perfetto stile Police, con un basso greve che lo sostiene e sviluppa.
Successivamente “Does Everyone Stare” è la canzone decisamente più ricercata di
tutto l’album, specialmente nell’interpretazione vocale di Sting, davvero sentita e quasi recitata. Belle le
coralità. “No Time This Time” chiude a ritmo sostenuto quasi Ska questo lavoro
epocale, punto di riferimento per molte band a venire.
I
Police sono campioni di composizioni brevi e immediatamente ruffiane,
perfettamente adatte come colonna sonora della nostra vita quotidiana, ma adesso
non lo scopro di certo io. MS
domenica 6 giugno 2021
La Musica
LA MUSICA NELL'ERA CONTEMPORANEA
Di Massimo Salari
A cosa serve la musica, o per meglio dire, che valore aggiunto è per l’esistenza dell’uomo? In effetti l’essere umano può vivere tranquillamente senza, anche se si dimostra essere un vero e proprio linguaggio, si possono estrapolare molte sensazioni ed emozioni aggiuntive attraverso di essa. Il ritmo riesce a far ballare, fa stare bene. C’è chi adopera la musica per terapie come quelle sulle persone con problemi neurologici, chi per addormentarsi, chi per compagnia, è chiaro che la musica ha un suo determinato comportamento nel cervello dell’essere umano, tuttavia ripeto, non è fondamentale per l’evoluzione della sua esistenza. Sicuramente la migliora ma non è come il cibo o l’acqua che se non vengono assimilati in breve tempo si muore. E non tutti noi siamo uguali, c’è chi la musica l’ascolta in maniera rassicurante, semplice senza tanti fronzoli per sentirsi tranquillizzati e chi invece ama essere disturbato, provocato con soluzioni che fanno pensare e riflettere. Eppure l’uomo è sempre uomo.
La
musica produce nel nostro cervello dopamina, una droga naturale che ci fa stare
bene, come quando mangiamo o facciamo sesso.
La
musica rispecchia molte delle persone che hanno un certo tipo di carattere,
oppure che hanno vissuto una vita più complessa di altre. Non tutti siamo
uguali. C’è dunque differenza nel nostro cervello musicale ed emozionale.
La
musica è viatico di sensazioni, ed essendo un linguaggio come lo è la lingua
per una nazione, c’è chi lo esprime in un modo chi in un altro. Esistono la
lingue inglese, italiana, il giapponese, il francese, l’arabo etc. Nella musica
invece ci sono il rock, il blues, la classica, l’elettronica, il pop, il jazz
etc. Lingue differenti che comunque hanno uno scopo comune, quello del
comunicare un concetto, un azione o un consiglio soltanto per dirne alcuni.
La
musica si evolve attraverso la mutazione degli eventi, così delle tecnologie, è
sempre la rappresentazione della società attuale. Ecco che ad esempio il genere post prog moderno è da definire come un genere
contemporaneo, e sempre lo sarà, possiamo cambiargli il nome quante volte
vogliamo, ma resta sempre e solo “musica”. Anche il linguaggio nei secoli si modifica e
si arricchisce di nuove terminologie, l’analogia fra il pensiero umano e la
musica è sempre legata nel tempo. Eppure c’è chi la musica non l’ascolta per
niente o addirittura gli da fastidio, non la vede come un esigenza bensì come
un suono a cui si può fare necessariamente a meno.
Il
tormentone è un brano musicale che mette d’accordo intere popolazioni e generazioni,
è il brano che accomuna tutti e fa stare bene perché nella massa ci si sente
coccolati e protetti. Guai destabilizzarla, un fuggi fuggi generale potrebbe
recare la società verso l’isolamento, alla paura ed alla conseguente
aggressività. Quindi, cosa spinge un musicista a realizzare musica non
convenzionale se non addirittura destabilizzante? La risposta potrebbe
risiedere dietro al termine “arte” dove l’individuo tende ad essere al centro
dell’attenzione a discapito della già esistente globalizzazione.
“Io
voglio essere unico e la mia arte mi rappresenta”.
Nascono
tuttavia problematiche economiche perché chi vive di musica deve
necessariamente vendere per mangiare e quindi si rivolge ad uno stile
possibilmente popolare e rassicurante, chi invece sperimenta o tende ad
esplorare percorsi innovativi, rischia al momento di fare la fame. Chi
sperimenta non viene subito capito, serve tempo per assimilare questo “nuovo
linguaggio” proposto ed è proprio per questo che molte volte si vedono artisti
idolatrati ed imitati soltanto dopo molti anni dalle loro realizzazioni se non
addirittura dopo la dipartita. E’ anche vero che oggi la vita caotica ci
conduce verso un ascolto mordi e fuggi piuttosto che riflessivo e concentrato,
come detto i tempi cambiano, la tecnologia avanza apportando nuovi prodotti, ma
tutto questo va a discapito del nostro poco tempo libero in quanto siamo più
impegnati a produrre e a correre dietro risultati concreti che a riflettere. E
poi si dorme.
“L’unicità
stilistica dell’artista potrebbe essere la sua ancora di salvezza”.
Il
concetto ovviamente non è riconducibile a tutti, non sempre la sperimentazione
va a braccetto con la riuscita, i dati negativi generalmente sono davvero
sconfortanti per numero quantitativo, ma chi ci riesce porta all’evoluzione
dell’arte un valore aggiunto. Conduce ad un nuovo linguaggio più adatto ai
tempi, la sperimentazione è nel dna dell’uomo il quale si migliora anche
attraverso gli errori ma soprattutto attraverso la trasgressione della regola. Il
beneficio che ne trae l’artista che raggiunge lo scopo è ovviamente quello
remunerativo. E’ vero che oggi la società tende più all’apparire che
all’essere, ma l’evoluzione c’è sempre stata e sempre ci sarà.
“La
musica non è per tutti.”.
Open
mind.
sabato 5 giugno 2021
Wine Guardian
WINE
GUARDIAN – Timescape
BM
Burning Minds Group -
Logic Il Logic Records
Distribuzione: Plastic Head
Genere: Metal Progressive –
Progressive Rock
Supporto: cd – 2021
Prosegue
l’evoluzione artistica del trio milanese Wine Guardian, la vena compositiva
sembra aver trovato il giusto affluente musicale. Il trio composto da Lorenzo
Parigi (voce, chitarra), Stefano Capitani (basso, voce) e Davide Sgarbi
(batteria e voce), realizza “Timescape” dopo i buoni
“Fool's
Paradise” (2013 – Autoproduzione) e “Onirica” (2017 – Autoproduzione).
Il
genere in cui spaziano è il Metal Progressive ma con uno sguardo attento al
Progressive Rock stesso, anche a dimostrazione di una buona conoscenza della
storia musicale in senso generale. L’album è formato da sette canzoni per una
durata totale di quasi un ora. La formazione a tre ed il genere proposto
possono far pensare ad uno stile Rush completo, tuttavia all’interno delle
composizioni le influenze risultano molteplici. Dopo un inizio di carriera che
protende verso sonorità Queensrÿche, Savatage e Fates Warning, la band si
raffina lasciandosi contaminare anche da suoni di band più recenti (se così
possiamo definirle) come Opeth e Porcupine Tree.
Il
disco si apre con l’energia di “Chemical Indulgence”, un riff massiccio alla Holocaust
ne è spina dorsale per poi lasciarsi variare dalle armonie progressive sempre
relegate ai cambi di ritmo e di umore. La voce di Lorenzo Parigi è malleabile a
seconda delle situazioni, riesce ad essere melodica e pulita, oppure nel caso
ruvida e addirittura growl. Si staglia avanti all’ascoltatore un banco di
nebbia durante l’ascolto della “Opethiana” “Little Boy”, salvo diradarsi nel
corso del prosieguo.
Un
arpeggio acustico di chitarra introduce la strumentale “Magus” che potremo definire
complementare alla precedente “Little Boy” per atmosfere, non certo per il
completo andamento. Il pezzo è davvero un bell’esempio di come si può concepire
oggi un certo tipo di Metal Progressive, apportandoci soluzioni moderne e non
scontate. Un frangente molto divertente e scorrevole. Adiacente giunge “Digital
Dharma”, in qualche momento vicino al Neo Prog inglese. Aumentano le soluzioni
sonore e la durata del brano con “The Luminous Whale”, qui davvero molto
materiale per il Prog Metal fans, ancora di più nella mini suite di quasi
tredici minuti “The Astounding Journey”, per chi vi scrive fiore all’occhiello
di “Timescape”. Il disco finisce con dolcezza e stile grazie all’acustica
“1935”, un bell’arrivederci da parte del trio che spero di poter riascoltare
con nuovo materiale al più presto se questi sono i risultati. “Timescape” è
stato registrato, mixato e masterizzato da Andrea Seveso, nei Ivory Tears Music
Worksstudio.
Concludo
la recensione riportando mie parole scritte all’interno del libretto che
accompagna “Timescape”:
“La musica all’ascolto propina immagini che
prendono il posto delle parole, dove esse non raggiungono più lo scopo esplicativo del concetto voluto.
Subentrano prepotentemente nella
nostra mente.
Il Metal Progressive attraverso gli
alti e bassi di ritmo si presta molto all’immaginazione essendo un insieme di
generi incastonati fra di loro.
I Wine Guardian hanno assimilato la
lezione storica delle band passate e con la propria personalità che trasuda
inevitabilmente mediterraneità, amalgamano
un mondo sonoro visionario, esplicativo, risoluto.
La tecnica non fa di se inutile
vetrina, bensì si mette a disposizione della melodia, il tutto rigorosamente
fra sterzate umorali.
Una nuova avanguardia sonora si fa
ulteriormente avanti attraverso band come i Porcupine Tree, Opeth e Soen, un muro sonoro che i Wine
Guardian attraverso Timescape riescono a riproporre con raffinatezza e
consapevolezza. La musica è questo”.
Per
gli appassionati collezionisti di dischi dico altresì che di “Timescape” ne
esiste una speciale edizione limitata di sole 30 copie a cura di Outward Styles
(disponibile solo sul sito web dell’etichetta). MS
https://www.wineguardian.it/
Gianni Venturi
GIANNI VENTURI – Socrate E’ Morto
Atoproduzione
Genere: Sperimentale – Voce
Supporto: cd – 2021
L’artista
emiliano Gianni Venturi è un valore aggiunto per l’arte contemporanea italiana,
non soltanto in sede musicale, quanto letteraria. Il poeta sperimentatore della
voce possiede moltissimi progetti in corso ed alle spalle, fra i tanti ricordo
la recente collaborazione con Alessandro Seravalle (Officina F.lli Seravalle,
Garden Wall), gli Altare Thotemico e Moloch.
Personalmente
sono stato fra i primi critici musicali a credere nella sua arte sin dal 2009, a
supportarlo a dovere, perché ho sempre ritenuto il connubio
poesia/sperimentazione un contesto esplosivo per comunicazione ed emozioni,
mentre in lui ne intuivo il perfetto viatico. Gianni Venturi è un nostro genio
al riguardo, un fiume in piena, ma quello che maggiormente colpisce
dell’artista è la semplicità con cui fa sgorgare le proprie opere. Ha una
capacità comunicativa devastante, una interpretazione graffiante al servizio di
argomenti mai banali, sempre annessi nel contesto sociale. La voce è il suo
strumento, il canto sciamano un punto di riferimento e non soltanto di
partenza, l’artista con il proprio strumento naturale ricerca e come anche nel
caso di “Socrate E’ Morto” ne fa uso totale. Unico strumento dell’album riesce
a completare foneticamente le poesie che compongono questo ultimo lavoro
composto da undici tracce sonore.
Praticamente
impossibile recensire un album di poesie in fonetica, è come descrivere a
parole un mondo senza farlo vedere quando esso è unico nel suo genere.
Ci
provo sempre, ma Venturi è appunto un mondo a parte, da visitare per
comprenderlo al meglio in tutte le sfaccettature che propone.
Ed
è con “Buco Nero” che si aprono le danze, le voci riproducono suoni che
circondano la poesia. Nenie, tonalità mutevoli ed echi lasciano l’ascoltatore
interdetto fra lo stupore dei suoni e quello delle parole.
Voce
su voce è l’arma vincente di Venturi.
Come
Bobby McFerrin adopera il suo corpo come strumento, anche qui il concetto non
si discosta dal risultato, la title track “Socrate E’ Morto” cerca una via di
fuga da questa società, un monito quasi disperato nella ricerca di un
aggregazione nuova, per non sentirsi più soli e spaesati. Voglia di resettare,
estraniarsi da questo mondo che poco di buono ci sta lasciando. Una visione
oscura ma inesorabile, quasi un grido di disperazione da parte dell’autore. Il
concetto prosegue in “Like” anche se qui Venturi diventa più un osservatore dei
fatti oltre che un registratore.
Le
voci sovra incise fanno musica in “Paese Che Crolla”, qui la melodia fa
capolino timidamente, quasi strano poter dire che il pezzo è una canzone dove l’autore
recita sempre ma con armoniosa musicalità. Tuttavia le parole procedono la via
della durezza.
“L’Uomo
Nuovo” è pessimistica, una marcia verso la sconfitta sociale, sottolineata
dalla cadenza ritmica della voce in accompagnamento al brano, in questo caso
più prosa che poesia. Narrazione acida in “Il Demone Dalle Ossa Rotte”, ancora
distrofia sociale mentre la parte musicale gode di un attenzione fonetica
maggiormente impegnativa.
Come
vede Venturi un benpensante? Lo
ascoltiamo nell’ ironica “Ritratto Di Uno Stronzo Allo Specchio”, il titolo di
per se toglie molti dubbi al riguardo. Più solare ed ariosa “Ommaya”, mentre “I
Am Sorry I Don’t Speak English” spinge l’acceleratore sull’ironia. Ritorna la
poesia pessimistica in “Obsolescenza Programmata” probabilmente adoperata come
un salvagente mentre “Black Hole” chiude il disco e guarda caso è lo stesso
titolo del primo brano soltanto in lingua inglese.
L’artista
gioca con l’ascoltatore ma lo fa a mio modo di vedere in maniera inconscia,
liberando soltanto l’arte che è in lui, senza badare a compromessi o eventuali
commenti negativi. Un vero artista fa questo, o per meglio dire deve fare
questo. Se si ha da dire lo si fa con la personalità e non con la voce di
altri, quindi concordo pienamente con il modus operandi del poeta. Ciò può
piacere o meno, non importa, resta il fatto che personalmente io nel 2021
voglio ancora sentirmi stupito, ora più che mai visto che la società ci propina
sempre più prodotti preconfezionati o politicamente corretti.
Per
me Gianni Venturi è sempre stato una boccata d’aria pulita e continua ad
esserlo ancora oggi, capisco la difficoltà del prodotto per chi non frequenta la
sperimentazione e la poesia, pazienza, io intanto godo. Dimenticavo la cosa più
importante: Non allarmatevi ma vi confessiamo che… Socrate è morto! MS
venerdì 4 giugno 2021
Curiosità Pink Floyd
CURIOSITA' PINK FLOYD
A Saucerfull Of Secret Saucerful è stato il
primo Brano dei Pink Floyd che mi sia veramente piaciuto suonare come
tastierista" (R. Wright).
"Questo brano è nato per caso e non a tavolino" (Waters).
Apologies Questo è il titolo di un brano fantasma mai
edito dai nostri, secondo indiscrezioni tutto è nato a causa di un disturbo
telefonico durante un colloquio la canzone di fatto si intitolava “Apples And Oranges”.
“Tatood” e “Great Lost Pink Floyd
Album” sono i
titoli di due rarissimi bootleg del 1969 in versione quasi uguale all'originale
contenenti i brani “Flaming”, “The Scarecrow”, “The Gnome E Matilda Mother”
,”Apples And Oranges”.
Candy And A Currant Bun
I Pink Floyd non avevano ancora un
contratto discografico nel 1966 che già collezionavano la loro prima censura.
Il brano non poteva essere pubblicato a causa della sua allusione all'uso dello
spinello. Raramente venne suonata dal vivo.
Sigma 6 / T-set / The Meggadeaths
/ Abdabs Sono alcuni dei nomi con cui si chiamavano
prima di diventare Pink Floyd.
Atom Heart Mother Anche se non citato nel
disco Ron Geesin è l'autore orchestrale e principale scrittore del brano. Dice Mason:
'Nella copertina abbiamo messo una mucca perché tutti oggi cercano qualche cosa
di complicato mentre noi vogliamo soltanto qualcosa di semplice!'
Echoes
“The Return Of The Son Of Nothing” era il suo
titolo provvisorio. Anche questo brano è nato con la
casualità, senza uno studio già predefinito.
Lucy Lea (InThe Blue Light) E' la prima canzone in assoluto dei PF
scritta da Barrett e mai pubblicata.
The Man Altro mistero della discografia PF. E' un
brano di quaranta minuti esibito solo dal vivo dal 1969 al 1970 e mai edito.
Moonhead Brano inedito scritto per commentare l'allunaggio (evento storico del periodo) per la televisione Olandese.
Free Four Tratto dalla colonna sonora “Obscured By
Clouds” parla dell'uccisione in guerra del padre di Waters e sarà ispiratrice
pure di 'The Wall' e di 'The Final Cut'.
One Of These Days E' uno dei rari momenti canori da parte del
batterista Nick Mason, la sua è la voce distorta che interpreta (anche se
brevemente) il brano.
Ummagumma E' il sinonimo di 'Fuck'!
Vegetable Man Altro brano inedito del 1967 scritto da
Barrett e presente solo in qualche bootleg.
What
Shall We Do Now? E' un brano tratto dal
capolavoro “The Wall” ma non inciso nel disco per motivi di spazio. Questo
viene suonato esclusivamente dal vivo con “Empty Spaces”.
The Wall Segnò la fine della collaborazione tra i
componenti del gruppo, la tensione all'interno era altissima, Waters era sempre
di più il tuttofare, al punto che Wright e Mason non vennero citati nemmeno
sulla copertina del disco.
Welcome To The Machine Il rumore che apre il brano è composto da
pulsazioni di un VCS3 modificate con l'effetto "eco".
Have A Cigar E' cantata da Roy Harper perché aveva tonalità troppo alte per Waters.
Shine On You Crazy Diamond Il 5 Giugno 1975 durante il mixaggio del
disco fece comparsa negli studi un uomo grasso e pelato, nessuno lo riconobbe
ma era Syd Barrett!!!
Sheep “Raving And Drooling” era il suo primo vero
titolo.
Us E Them Tratta da “The Dark Side Of The Moon”
risaliva al 1969 e si intitolava “The Violence Sequenze”.
The Final Cut Il disco della dipartita di Waters, il quale
con queste storie di guerra diventò troppo paranoico e dopo oltre dieci anni di
militanza venne allontanato dal gruppo il quale dirà: 'Non volevamo più fare
musica così.'