ANANDAMMIDE
– Earthly Paradise Lizard
Records Genere:
Psichedelia Folk/Progressive Rock Supporto: cd – 2020
C’è
un album del 2003 che ricordo con estremo piacere e che ascolto ancora oggi di tanto
in tanto, si intitola “Thirteen Tolls At Noon” (Lizard) ed è della band italiana
Floating State. Non mi sono mai spiegato perché dopo un così interessante e ben
fatto debutto, una band del genere non abbia proseguito il cammino. Stupito si
ma non più di tanto, il mondo Prog è pieno di ottime band che rilasciano nel
corso della loro esistenza un solo album, questo accade già a partire dagli
anni ’70. Nei
Floating State al microfono c’è Michele Moschini e con piacere lo ritrovo oggi
grazie alla Lizard Records autore di questo nuovo progetto internazionale
denominato Anandammide. Il nome così complesso sta a definire un tipo di droga endocannabinoide
recentemente scoperta nel 1992 nel laboratorio di Raphael Mechoulam
dell’Università di Gerusalemme. Il
progetto getta le basi nel lontano 2007, ma vede prendere forma concreta nel
2017 quando a Moschini si aggrega il bassista britannico Owen Thomas. Per
realizzare “Earthly Paradise“, il polistrumentista di Bari si circonda di artisti
come Adrien Legendre (violoncello), Audrey Moreau (flauto), Stella Ramsden (violino,
voce) e Pascal Vernin (basso). La musica proposta aleggia fra la psichedelia ed
il Folk, con annesse influenze progressive. Il
disco si apre con un intro acustico folcloristico dal sapore antico e la voce
narrante di Stella Ramsden intitolato “Singer Of An Empty Day” per passare
subito alla title track “Earthly Paradise”. Atmosfere pacatefanno sognare e ricordare i tempi di Simon
& Garfunkel, il violoncello apporta all’insieme profondità mentre i fiati
donano ventate di freschezza bucolica. Per chi li conoscesse dico che siamo ai
livelli dei canadesi Harmonium, band culto del genere Prog Folk anni ’70. “Lady
Of The Canyon” si apre con arpeggi di chitarra acustica, la voce è sognante e
soave, supportata da coralità che conducono l’ascolto verso mondi color
pastello. Tutto il cantato è in lingua inglese. Violoncello per “Porsmork”, ballata medioevale che nel proseguo lascia spazio alla bella
voce di Moschini, il tutto sempre in maniera pacata e composta. Il mondo
acustico prosegue con la breve “Anandi”, un piccolo riferimento a quello di Syd
Barrett, qui il tempo sembra essersi fermato alla fine degli anni ’60.
“Electric Troubadour” è decisamente english, lande verdi si stagliano
all’ascolto fra flauti, violoncelli, chitarre e percussioni sempre pacate. In
“Pilgrims Of Hope” la strumentazione cambia, questa volta fanno capolino anche
le tastiere, ma non la sostanza. “Satori
In Paris” è un altro tassello Barrettiano e guarda caso il brano a seguire si
intitola proprio “Syd”. “Iktsuarpok” e la conclusiva “Colette The Witch”
suggellano il disco con tutti gli ingredienti descritti sino ad ora. Un
lavoro che non lascia spazio a schitarrate elettriche, a rullate di tamburi,
bensì un magico tappeto volante su cui sdraiarsi e farsi trasportare in luoghi
colorati ricchi di pace ed amore, il tutto senza l’ausilio del tempo. MS
FABRIZIO TAVERNELLI – Homo
Distopiens Lo Scafandro Genere: Cantautore - Alternative Supporto: cd – 2020
Nel
2020 è difficile imbattersi con un cantautore, ce ne sono diversi direte voi ed
è vero, ma sempre molto pochi rispetto a decine di anni fa. Non passano quasi
mai per radio meno che meno in tv, al limite propongono sempre i soliti noti.
Eppure sotto nell’underground c’è sempre fermento, basta cercare. Fabrizio
Tavernelli tuttavia non è assolutamente un nome nuovo nel campo musicale, anzi
è radicato nel tempo, inizia la carriera
artistica negli anni ’80 con la band En
Manque D’Autre per poi passare negli Acid Folk Alleanza per tutti gli anni ’90.
Ma ciò che lo rende più noto è la carriera solista composta da cinque album che
intingono anche nel Rock alternativo. Sagace,
profondo, lungimirante, arguto, molti gli aggettivi che si addicono all’artista
di Coreggio, la sua musica è importante in maniera equiparata ai testi, vera
arma a sua disposizione. In questo ultimo lavoro intitolato “Homo Distopiens”
si narra proprio dell’ ultima categoria umana, dopo l’uomo sapiens ecco
giungere l’ultimo anello della nostra esistenza, ma forse proprio l’ultimo,
ultimo! Dopo l’era della pietra, del bronzo, del ferro etc. oggi siamo in
quella della plastica. L’uomo si autoinfligge guerre, inquinamento e chi più ne
ha più ne metta, costringendolo probabilmente (ma questo vale soltanto per chi
ha la possibilità economica) a fuggire dalla terra. Qui in questo pianeta
resteranno probabilmente soltanto robot e creature che si sono adattate ai
cambiamenti sia climatici che virali, oltre i virus stessi. Tutto
questo scenario è raccontato nel lavoro suddiviso in dodici brani contenuti in
una elegante ed esaustiva edizione cartonata. Il disco si apre con un brano di
oltre sei minuti del quale l’autore ne trae anche un video e si intitola “Cose
Sull’Orlo”. La pacatezza dei suoni avvolti in una magica sfera psichedelica e
la bella voce rilassata di Fabrizio, fanno contrasto con la durezza dei testi,
una drammatica narrazione di cose ed animali
sull’orlo della loro estinzione. Certe chitarre sostenute etappeti tastieristici ricordano alcuni lavori
di Steven Wilson. Sale il ritmo con “Distopia Muscolare” e prosegue l’apocalisse
umana, uno scenario terrestre davvero desolato, un suggerimento dell’artista è
quello di “…andarsene da questo mondo che ormai muore”. “Con Tormentoni E
Tormenti” il suono è adagiato nell’elettronica Post Punk, la ricerca sonora è
palese e nel dna di Tavernelli. Gli anni ’80 inoltrati sono presenti, e nella
mia mente sopraggiungono frammenti di artisti passati come i nostrani Krisma. Ritornano
i suoni pacati in “Lune Cinesi”, buoni gli arrangiamenti anche per il gioco
corale degli eco vocali. La melodia la fa da padrona, il gusto per l’armonia è marcato
nella musica di Tavernelli. Chitarra acustica in apertura per “Spire”, brano ancora
una volta avvolto nella Psichedelia, qui a tratti si hanno reminiscenze di Daniele
Silvestri. Intrigante ed estroverso, è quasi un ossimoro fra musica e parole
per un risultato affascinante, anche nel finale arabeggiante. Un coro di voci,
quelle del Coro della Cappella Musicale San Francesco da Paola di Reggio Emilia
diretto da Silvia Perucchetti, ci aprono un brano davvero profondo e magico, “Oumuamua”.
La voce sussurrata e recitante spinge l’ascoltatore in uno scenario quasi
cinematografico, mentre la tromba ha la capacità di addentrarci nel mondo magico
di Ennio Moricone. Questo è uno dei brani più sperimentali e ricercati dell’album,
davvero molto interessante. Ritorna il pessimismo cosmico in “Il Mondo Senza Di Noi” altra analisi di un
mondo privo di umanità. Il cantautore si apre introspettivamente all’ascoltatore
nel brano “Secondo Fine”, mettendo a nudo alcuni lati del suo carattere, il
tutto su una musica malinconica e ottimamente arrangiata grazie soprattutto all’uso
della viola di Osvaldo Loi. Sensazioni
maggiormente grevi sopraggiungono in “L’Uccello Giardiniere”, cadenzata e lenta
rappresentazione sonora di classe. A seguire la canzone “Pessimismo Co(s)mico”
è più allegra, ma non per il testo e nuovamente Silvestri aleggia nell’aria.
Torna la sperimentazione in “Ruscarola”,cantata in dialetto emiliano, qui la
ricerca e la voglia di osare è palese, mentre “Bargigli E Pappagorge” parla della
vecchiaia in maniera graffiante e ruvida. Degno finale di un disco che ci ha
vomitato addosso tutto il disagio umano, il pessimismo cosmico e solo a tratti
piccoli spiragli di sole. La
musica di Fabrizio Tavernelli fa riflettere, un cantautore sempre attento al
sociale e all’apertura mentale, questo fa di lui un artista non soltanto
preparato, ma intelligente. Ascoltate perché ve lo consiglio. MS