RADIOHEAD - OK Computer
Parlophone
Genere: Rock
Support: CD - 1997
Anche un modesto Blog come il mio certi capolavori non deve ignorarli, se poi sono i Radiohead a comporli, la manchevolezza assumerebbe connotati esagerati. Pescare dalla loro qualitativa discografia è un compito quantomeno velleitario, ma inevitabile, quasi è meglio fare la conta come quando si gioca da bambini.
Personalmente sono attaccato a molti dei loro lavori, ma “Ok Computer” ritengo che goda di una vita propria rispetto agli altri. Tutto gira alla perfezione , il Rock disturbato riesce a scavare dentro, un malessere che a volte riesce ad affiorare, a differenza di molti altri dischi della band. Un viaggio unico, composto da tasselli umorali che intersecano perfettamente fra di loro, formando in conclusione un puzzle futuristico dove androidi ed alieni si scontrano in ambientazioni bizzarramente fantasiose e psicologicamente introverse. Si, il disco lavora nella mente, la nostra, la graffia e la conduce in stanze dove accadono strane cose.
“Airbeg” apre il concept ed è uno dei momenti più Rock che ci attendono, assieme a “Climbing Up The Walls”. La successiva “Paranoid Android” è un successo planetario, chi non ricorda il video a cartoni animati dove un bambino fugge, vive una storia malsana, con episodi al limite del grottesco per poi rifugiarsi sopra un lampione? Ecco, questo è il senso della musica dei Radiohead, malessere intriso di improvvisa rabbia, quasi uno scatto incontrollato, intriso di malinconica melodia, quella che sa anche strappare lacrime. Suoni fluttuanti, sognanti e spaziali, quelli successivamente usati anche dai Porcupine Tree in “Subterranean Homesick Alien”. La malinconia diventa disperazione in “Exit Music (For A Film)”, alla fine del brano anche gridata, con tutta la forza dalla meravigliosa voce del leader chitarrista Thom Yorke , interprete di rara brillantezza. Il Mellotron dona al brano profondità ed oscurità, proprio come i maestri del Progressive King Crimson seppero fare nel lontano 1969. Certe sonorità vengono emulate da molti altri gruppi a venire, anche di successo, come ad esempio i Muse, ma certi livelli non si possono raggiungere così a caso. Il brano più famoso del disco si intitola “Karma Police”, a detta di molti uno dei più belli della loro carriera e se non lo avete presente provate a ricordare quel video dove l’inquadratura di un muso di macchina rincorre lentamente una persona che fugge a piedi . Altro pezzo da novanta ed ennesimo estratto dall’album è “No Surprises”, con quel refrain fanciullesco ed accattivante allo stesso momento, un altro tassello di malinconia. Si scava, si scava ancora più a fondo ed il lavoro prosegue con l’addolorata “Lucky” e si conclude con enfasi, come meglio non si potrebbe con “The Tourist”.
Alla fine dell’ascolto si è colti da appagamento, una sensazione che sfinisce, come una lunga corsa, una notte sfrenata di sesso, un orgasmo sonoro di quelli che non ti scordi più nella vita. Francamente mi resta difficile pensare che ci siano persone che possano rimanere indifferenti a cotanto ascolto, per carità, i gusti musicali di ognuno di noi sono imprescindibili, ma quando la musica è arte, beh, allora non ci sono gusti che reggano, c’è solo da ascoltare e cercare di capire.
I Radiohead sono per certi versi un gruppo alternativo coraggioso, che osa esplorare nuove strade del rock e non è sbagliato l’accostamento con i Pink Floyd, sono quelli che allora mi hanno dato lo stesso motivo per amarli. Che siano più Progressive loro che migliaia di altri gruppi odierni? Finalmente una recensione dove posso gridarlo: Capolavoro! MS
Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
domenica 26 febbraio 2012
sabato 25 febbraio 2012
Ogogo
OGOGO - Redux
III Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Avantgarde Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2009
Ogogo è il nome d’arte di Igor Grigoriev, un chitarrista che nasce a Mosca , ma che vive in California. Come avrete letto dai titoli iniziali, qui si tratta di un genere di musica assolutamente sperimentale, un usare le note come dei colori in un quadro. Sensazioni, momenti di ispirazione astratti e registrazioni di uccelli, o altre idee del genere. Un mondo assolutamente tangibile, così reale che sembra quasi di toccarlo. Qui li viviamo anche assieme al trombettista Rodney Oakes, i cui interventi mi lasciano a volte interdetto. Non c’è un suono armonioso dello strumento, ma più che altro l’artista ne fa un uso prettamente “fisico” , facendomi a volte sorridere in quanto ricorda le gags di Fiorello mentre interpreta “Fava”, la scuola di John Zorn ha fatto breccia.
La musica come forma fisica, non da fischiare e ne da cantare, suoni che vivono la nostra vita, raccontano e stupiscono. Nel lungo movimento “Ogogo Serenade” diviso in cinque parti, ascoltiamo veramente di tutto, dalla cacofonia al suono free Jazz intrecciato con piccoli lacci di elettronica. Che dire, bisogna davvero essere portati ad affrontare un viaggio del genere, al limite a volte della sopportazione umana. Non c’è sentimento nelle note profuse, c’è tanta curiosità e voglia di muoversi liberamente. Questo artista riesce a trasmetterlo benissimo. Troppo disarticolati alcuni passaggi, al limite del fastidioso, penalizzando di per se la voglia di poterlo riascoltare.
Seguo la sperimentazione, ho apprezzato molti artisti ad esempio come Nickelodeon, Ramaglia, Romina Daniele, XHOHX, per cui sono anche preparato a certi tipi di ascolto, ma perdonatemi se questa volta non riesco ad entrare dentro questo mondo sonoro. Perfettamente adatto come colonna sonora a qualche tipo di documentario, questo si, ma da ascoltare, lo trovo davvero ostico. Poi magari mi sbaglio. MS
OGOGO - Lunar Surphase
III Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Avantgarde Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2009
A breve distanza dal precedente Redux torna a noi Igor Grigoriev, in arte Ogogo, con le sue folli sperimentazioni condivise stavolta in compagnia di Rod Oakes che suona il trombone. Non c’è che dire, Ogogo ha le idee chiare, malgrado la sua musica sia assolutamente di difficile fruizione. Molto prolifico, le realizzazioni si susseguono velocemente e tutte propendono verso rappresentazioni sonore alquanto colorate.
Sin dall’iniziale “Leviate Your Grape” si ha la situazione chiara, l’elettronica e la ricerca sonora la fanno da padrona. Suoni che rappresentano immagini, sensazioni che si muovono astratte e libere, giochi di note come lampi di luce accecanti. Questa volta Igor si avvale anche dell’ospite Andrey Solovyov al flauto e tromba. Rispetto “Redux”, “Lunar Surphase” è più abbordabile e digeribile, malgrado la sperimentazione sia sempre elevata. La chitarra di Igor è più presente ed anche più elettrica e ben si muove nei labirinti elettronici di “Mr. Greenhill”. Si intuiscono addirittura influenze di Folk russo, tutto questo rende ancora più interessante l’ascolto di questo quadro sonoro. C’è rumoristica, come nella breve “Brain Crate”, ponte sonoro che ci conduce a “Connect With OGOGO” e qui la tromba si sbizzarrisce con effetti eco. Questo è uno dei brani che potrebbe uscire anche da “Redux”.
Ancora suoni e rumori in “M.E.”, tutto si insegue ed in questo caso si incontra. Stati di animo, ansia ed insicurezza su tutti, fuoriescono da queste composizioni astratte. Più gradevole “Electric Beaker”. Percussioni in “Dali”, sempre poco usate dagli OGOGO e l’ascolto francamente ci guadagna. Il pezzo più regolare ed orecchiabile dell’album (se così possiamo dire) è il chitarristico “The Love OGOGO”, per il resto la ricerca continua fino la fine.
Non ho molto altro da aggiungere, in quanto tutto quello che si sente è davvero di difficile descrizione. Assolutamente un disco da consigliare a tutti coloro che amano stupire ed essere stupiti, quelli che sono stanchi della musica odierna e che vogliono farsi un trip sonoro. Sballarsi con la musica di OGOGO è semplicissimo, basta chiudere gli occhi ed ascoltare cosa ci rappresenta. Ma attenzione… ci vuole stomaco! MS
III Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Avantgarde Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2009
Ogogo è il nome d’arte di Igor Grigoriev, un chitarrista che nasce a Mosca , ma che vive in California. Come avrete letto dai titoli iniziali, qui si tratta di un genere di musica assolutamente sperimentale, un usare le note come dei colori in un quadro. Sensazioni, momenti di ispirazione astratti e registrazioni di uccelli, o altre idee del genere. Un mondo assolutamente tangibile, così reale che sembra quasi di toccarlo. Qui li viviamo anche assieme al trombettista Rodney Oakes, i cui interventi mi lasciano a volte interdetto. Non c’è un suono armonioso dello strumento, ma più che altro l’artista ne fa un uso prettamente “fisico” , facendomi a volte sorridere in quanto ricorda le gags di Fiorello mentre interpreta “Fava”, la scuola di John Zorn ha fatto breccia.
La musica come forma fisica, non da fischiare e ne da cantare, suoni che vivono la nostra vita, raccontano e stupiscono. Nel lungo movimento “Ogogo Serenade” diviso in cinque parti, ascoltiamo veramente di tutto, dalla cacofonia al suono free Jazz intrecciato con piccoli lacci di elettronica. Che dire, bisogna davvero essere portati ad affrontare un viaggio del genere, al limite a volte della sopportazione umana. Non c’è sentimento nelle note profuse, c’è tanta curiosità e voglia di muoversi liberamente. Questo artista riesce a trasmetterlo benissimo. Troppo disarticolati alcuni passaggi, al limite del fastidioso, penalizzando di per se la voglia di poterlo riascoltare.
Seguo la sperimentazione, ho apprezzato molti artisti ad esempio come Nickelodeon, Ramaglia, Romina Daniele, XHOHX, per cui sono anche preparato a certi tipi di ascolto, ma perdonatemi se questa volta non riesco ad entrare dentro questo mondo sonoro. Perfettamente adatto come colonna sonora a qualche tipo di documentario, questo si, ma da ascoltare, lo trovo davvero ostico. Poi magari mi sbaglio. MS
OGOGO - Lunar Surphase
III Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Avantgarde Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2009
A breve distanza dal precedente Redux torna a noi Igor Grigoriev, in arte Ogogo, con le sue folli sperimentazioni condivise stavolta in compagnia di Rod Oakes che suona il trombone. Non c’è che dire, Ogogo ha le idee chiare, malgrado la sua musica sia assolutamente di difficile fruizione. Molto prolifico, le realizzazioni si susseguono velocemente e tutte propendono verso rappresentazioni sonore alquanto colorate.
Sin dall’iniziale “Leviate Your Grape” si ha la situazione chiara, l’elettronica e la ricerca sonora la fanno da padrona. Suoni che rappresentano immagini, sensazioni che si muovono astratte e libere, giochi di note come lampi di luce accecanti. Questa volta Igor si avvale anche dell’ospite Andrey Solovyov al flauto e tromba. Rispetto “Redux”, “Lunar Surphase” è più abbordabile e digeribile, malgrado la sperimentazione sia sempre elevata. La chitarra di Igor è più presente ed anche più elettrica e ben si muove nei labirinti elettronici di “Mr. Greenhill”. Si intuiscono addirittura influenze di Folk russo, tutto questo rende ancora più interessante l’ascolto di questo quadro sonoro. C’è rumoristica, come nella breve “Brain Crate”, ponte sonoro che ci conduce a “Connect With OGOGO” e qui la tromba si sbizzarrisce con effetti eco. Questo è uno dei brani che potrebbe uscire anche da “Redux”.
Ancora suoni e rumori in “M.E.”, tutto si insegue ed in questo caso si incontra. Stati di animo, ansia ed insicurezza su tutti, fuoriescono da queste composizioni astratte. Più gradevole “Electric Beaker”. Percussioni in “Dali”, sempre poco usate dagli OGOGO e l’ascolto francamente ci guadagna. Il pezzo più regolare ed orecchiabile dell’album (se così possiamo dire) è il chitarristico “The Love OGOGO”, per il resto la ricerca continua fino la fine.
Non ho molto altro da aggiungere, in quanto tutto quello che si sente è davvero di difficile descrizione. Assolutamente un disco da consigliare a tutti coloro che amano stupire ed essere stupiti, quelli che sono stanchi della musica odierna e che vogliono farsi un trip sonoro. Sballarsi con la musica di OGOGO è semplicissimo, basta chiudere gli occhi ed ascoltare cosa ci rappresenta. Ma attenzione… ci vuole stomaco! MS
giovedì 23 febbraio 2012
L'Ombra Della Sera
Maurizio Di Tollo, Agostino Macor e Fabio Zuffanti sono tre musicisti attivi da alcuni anni - rispettivamente nelle vesti di batterista, tastierista e bassista - nel gruppo prog italiano LA MASCHERA DI CERA. Tale band, attiva dal 2001, ha realizzato quatto album in studio ed è rapidamente divenuta una delle formazioni Italiane più titolate e seguite nell'ambito della nuova scuola del rock progressivo. Maurizio, Agostino e Fabio sono musicisti poliedrici attivi anche in svariati altri progetti musicali che spaziano dal prog al jazz, al pop e al cantautorato.
Nel 2011 i tre musicisti decidono di dar vita a un progetto basato sulla riproposizione delle colonne sonore di alcuni inquietanti e misteriosi sceneggiati della TV Italiana degli anni settanta composte da maestri del genere comeSimonetti, Ortolani o Pisano. Per far ciò si chiudono in studio utilizzando solo strumenti originali e vintage come Mellotron, Minimoog, Hammond, Theremin, Fender rhodes...
Il risultato è l'album 'L'ombra della sera' (che ha dato anche il nome al progetto), pubblicato nel febbraio 2012 dall'etichetta AMS/BTF.
Per realizzare questo lavoro i tre musicisti si sono avvalsi della collaborazione di altri due componenti della Maschera di Cera (Alessandro Corvaglia alla voce e Andrea Monetti al flauto), di Paolo Furio Marrasso al contrabbasso,Roberto Nappi Calcagno alla tromba e Francesco Mascardi al sax.
Il tutto è stato registrato e co-prodotto artisticamente da Rox Villa agli Hilary studios di Genova.
Il disco si rifà ai suoni della scuola dark e gotica dei Van Der Graaf Generator e a certe pagine sperimentali dei King Crimson. Unisce inoltre sapori cameristici, psichedelici e funky al gusto moderno e originale del quale i tre musicisti sono dotati e che ha permesso loro di stravolgere e rendere assolutamente personali le musiche che hanno tributato. Come se le avessero composte loro.
'L'ombra della sera' esce su papersleeve vynil replica gatefold CD ed edizione limitata LP (prevista per i prossimi mesi) e contiene:
01. GAMMA (Enrico Simonetti) 11'12''
02. RITRATTO DI DONNA VELATA (Riz Ortolani) 03'51''
03. LA TRACCIA VERDE (Berto Pisano) 06'35''
04. IL SEGNO DEL COMANDO (Cento campane) (Romeo Grano) 05'03''
05. HO INCONTRATO UN'OMBRA (A blue shadow) (Berto Pisano) 17'51''
Info label: http://www.btf.it/
Per ordinare il cd: http://www.zuffantiprojects.com/preorderombraandgrandelab.html'Ombra Della Sera
giovedì 16 febbraio 2012
Banco Del Mutuo Soccorso
BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - Io Sono Nato Libero
Ricordi
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd - 1973
Ci troviamo sicuramente al cospetto di uno dei dischi fondamentali del Progressive Italiano e non, questo 'Io sono Nato Libero' che mette in evidenza la preparazione tecnica e compositiva di un gruppo che molto ha dato alla musica italiana.
Fra i molti lavori del BANCO lo prediligo in assoluto e lo colloco fra i primi dieci dischi più belli in assoluto. Ecco gli autori di cotanto merito: Vittorio Nocenzi (tastiere), Gianni Nocenzi (pianoforte e piano elettrico), Marcello Todaro (chitarre), Renato D'Angelo (basso), Pier Luigi Calderoni (batteria) e Francesco Di Giacomo (voce).
Già dalla meravigliosa e non scontata veste grafica dotata di un singolare spiccato senso per il nuovo (copertina a forma di libretto sagomato) intuiamo di trovarci di fronte ad un disco fuori dalle norme. Le tematiche trattate nei testi sono sempre difficili ed impegnate ma rese gradevoli da quella che reputo finalmente una degna voce per una degna musica, quella di Francesco Di Giacomo che si distingue dalla massa per la sua tonalità enfatica e pure per il suo modo di interpretare i brani. Chissà perché ma nella musica Prog italiana le belle voci non ci sono mai state, grande limite per i nostri portabandiera all'estero...
Dopo l'ottimo esordio del 1972 'Banco Del Mutuo Soccorso' e dell'altrettanto ottimo 'Darwin!' (1972) finalmente la consacrazione e la piena maturità di 'Io Sono Nato Libero', il quale esordisce con 'Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico', brano-suite (15 minuti) tra i più riusciti di tutta l'intera carriera del BANCO. Questo è il riassunto del Prog in Italia, tecnico, mai scontato, melodioso ed impegnato.
Notevole il lavoro tastieristico dei due fratelli Nocenzi. Ci incanta pure l'interpretazione dell'ipertricotico e paffutello barbuto Francesco, così come nel brano lento 'Non Mi Rompete' dove un dolce arpeggio di chitarra classica ci accompagna in questo sogno bucolico che lascia spazio ad un finale allegro e spensierato. Si respira in pieno quell'aria tanto cara a coloro che amano gli anni '70 in tutte le loro forme e culture. ' La Città Sottile' riporta il BANCO in quella dimensione a loro consona e cioè quella della ricerca compositiva con un cantato a tratti persino recitato. Sempre importante il lavoro delle tastiere per garantire all'ascoltatore un viaggio mentale e per far capire (se ancora ce ne fosse il bisogno ) che questa è musica per la mente. 'Dopo... Niente E' Più Lo Stesso' è un altro brano mini suite (9 minuti) che nulla aggiunge e nulla toglie a tutto quello che abbiamo ascoltato sin d'ora , ma che amalgama perfettamente il disco senza nemmeno un attimo di calo. Ultimo ottimo brano è 'Traccia II', strumentale dall'incedere in crescendo fra il medioevale e l'epico.
Non sono certo io che scopro il BANCO, ma se qualcuno di voi è interessato ad una musica vera, incontaminata e melodiosa questo gruppo è per lui e fra le loro opere 'Io Sono Nato Libero' è il punto di partenza. MS
Ricordi
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd - 1973
Ci troviamo sicuramente al cospetto di uno dei dischi fondamentali del Progressive Italiano e non, questo 'Io sono Nato Libero' che mette in evidenza la preparazione tecnica e compositiva di un gruppo che molto ha dato alla musica italiana.
Fra i molti lavori del BANCO lo prediligo in assoluto e lo colloco fra i primi dieci dischi più belli in assoluto. Ecco gli autori di cotanto merito: Vittorio Nocenzi (tastiere), Gianni Nocenzi (pianoforte e piano elettrico), Marcello Todaro (chitarre), Renato D'Angelo (basso), Pier Luigi Calderoni (batteria) e Francesco Di Giacomo (voce).
Già dalla meravigliosa e non scontata veste grafica dotata di un singolare spiccato senso per il nuovo (copertina a forma di libretto sagomato) intuiamo di trovarci di fronte ad un disco fuori dalle norme. Le tematiche trattate nei testi sono sempre difficili ed impegnate ma rese gradevoli da quella che reputo finalmente una degna voce per una degna musica, quella di Francesco Di Giacomo che si distingue dalla massa per la sua tonalità enfatica e pure per il suo modo di interpretare i brani. Chissà perché ma nella musica Prog italiana le belle voci non ci sono mai state, grande limite per i nostri portabandiera all'estero...
Dopo l'ottimo esordio del 1972 'Banco Del Mutuo Soccorso' e dell'altrettanto ottimo 'Darwin!' (1972) finalmente la consacrazione e la piena maturità di 'Io Sono Nato Libero', il quale esordisce con 'Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico', brano-suite (15 minuti) tra i più riusciti di tutta l'intera carriera del BANCO. Questo è il riassunto del Prog in Italia, tecnico, mai scontato, melodioso ed impegnato.
Notevole il lavoro tastieristico dei due fratelli Nocenzi. Ci incanta pure l'interpretazione dell'ipertricotico e paffutello barbuto Francesco, così come nel brano lento 'Non Mi Rompete' dove un dolce arpeggio di chitarra classica ci accompagna in questo sogno bucolico che lascia spazio ad un finale allegro e spensierato. Si respira in pieno quell'aria tanto cara a coloro che amano gli anni '70 in tutte le loro forme e culture. ' La Città Sottile' riporta il BANCO in quella dimensione a loro consona e cioè quella della ricerca compositiva con un cantato a tratti persino recitato. Sempre importante il lavoro delle tastiere per garantire all'ascoltatore un viaggio mentale e per far capire (se ancora ce ne fosse il bisogno ) che questa è musica per la mente. 'Dopo... Niente E' Più Lo Stesso' è un altro brano mini suite (9 minuti) che nulla aggiunge e nulla toglie a tutto quello che abbiamo ascoltato sin d'ora , ma che amalgama perfettamente il disco senza nemmeno un attimo di calo. Ultimo ottimo brano è 'Traccia II', strumentale dall'incedere in crescendo fra il medioevale e l'epico.
Non sono certo io che scopro il BANCO, ma se qualcuno di voi è interessato ad una musica vera, incontaminata e melodiosa questo gruppo è per lui e fra le loro opere 'Io Sono Nato Libero' è il punto di partenza. MS
mercoledì 15 febbraio 2012
Jaugernaut
JAUGERNAUT (AD) - Contra-Mantra
Progrock Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog Rock / AOR
Support: CD - 2005 (2008)
La casa editrice Progrock Records si adopera nel presentarci questa ristampa del gruppo americano Jaugernaut (A.D.). Questo in realtà è il loro terzo ed ultimo disco registrato nel 2005 dopo “Jaugernaut” (1980) e “Take Em There” (1983). La storia della band, formatasi verso la fine degli anni ’70, è tortuosa e colma di defezioni, tanto da far sparire le loro tracce dopo il secondo disco, con l’aggravante di essere stati vicino anche ad un buon successo commerciale. Ali tarpate dunque, ma nel 2005 Jim Johnston ritorna a scrivere brani , colpito dall’interessamento della gente nei confronti della band manifestato su internet. Johnston scrive quest’ora di musica praticamente da solo e la suona altrettanto, solo con l’ausilio di due chitarristi, quali Jim Branner e Marty Prue.
Un connubio fra Prog, Aor e Pomp Rock, dove Genesis, Styx e Kansas si incastonano fra di loro con incredibile naturalezza. Brani misti dunque, si spazia dai quindici minuti di durata fino ai canonici cinque. Apre la minisuite “Anthem”, tastieristica, camaleontica e con un cantato variegato dai piccoli richiami ai Queensryche. Ovviamente la componente Prog qui è più marcata che in altri momenti. Le chitarre si lasciano andare in scale davvero interessanti, le melodie poi sono la carta vincente di questo piccolo gioiello sonoro. Verso la metà del brano si volta pagina, la ritmica si fa più vivace e spensierata, Johnston si diverte a colpire l’attenzione dell’ascoltatore spezzando di netto l’ascolto. Tredici minuti che volano in un attimo. Collegato ad esso subentra “The Damage Is Done”,con un intro quasi elettronico, ma dallo svolgimento tipicamente AOR. Il ritornello è di quelli che si stampano nella mente, contagioso ed arioso, a questo punto i Jaugernaut non sembrano quasi più loro.
La fantasia compositiva dell’artista viene ancora di più sottolineata da “Better Living Thru Anarchy”, canzone spiazzante dal primo all’ultimo minuto, dove moderno e classico si fondono in un connubio solo apparentemente stridente ed incompatibile. Per ritornare in territori Progressivi bisogna giungere alla minisuite “Doing It The Hard Way”. Ancora una volta le tastiere ed i samples ringiovaniscono l’ascolto rendendolo spumeggiante e allegro, proprio come i solo di chitarra di Marty Prue. Effetti sonori, voci, pioggia e tant’altro allestiscono lo spettacolo per l’orecchio. Bellissima soprattutto la melodia della chitarra classica. Il pezzo poi esplode in tutta la sua grandezza nel proseguo, intersecandosi in ambienti Pomp. Forse a molti degli ascoltatori questi cambi di stile potrebbero risultare fuorvianti ed incoerenti, invece personalmente li ritengo migliorie all’insieme del disco.
La fantasia Johnston ne ha da vendere, nulla è scontato nella sua musica, malgrado alcuni richiami troppo seventies come in “Vanity”. Il nuovo ed il vecchio, il dolce ed il salato, un ascolto poco attento potrebbe non far cogliere le numerosissime sfumature da esso esposte, per cui bisogna necessariamente ripetere gli ascolti prima di dare un giudizio definitivo. Ancora allegria in “A Different World”, chitarre più potenti ed un cantato questa volta simile a quello del mitico Roger Chapman dei Family. A seguire e collegata la conclusiva “All I See Is Gray”, una piccola perla sonora, dolce ed ariosa.
Difficile credere che un disco del genere possa avere successo commerciale, trovandosi troppo a metà strada fra stili differenti, ma come ho gia detto, il bello è proprio questo. Di musica cartacarbone ne è pieno il mondo, per cui bravo Johnston e brava ProgRock Records per averci dato quest’ora di cristalline emozioni. MS
Progrock Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog Rock / AOR
Support: CD - 2005 (2008)
La casa editrice Progrock Records si adopera nel presentarci questa ristampa del gruppo americano Jaugernaut (A.D.). Questo in realtà è il loro terzo ed ultimo disco registrato nel 2005 dopo “Jaugernaut” (1980) e “Take Em There” (1983). La storia della band, formatasi verso la fine degli anni ’70, è tortuosa e colma di defezioni, tanto da far sparire le loro tracce dopo il secondo disco, con l’aggravante di essere stati vicino anche ad un buon successo commerciale. Ali tarpate dunque, ma nel 2005 Jim Johnston ritorna a scrivere brani , colpito dall’interessamento della gente nei confronti della band manifestato su internet. Johnston scrive quest’ora di musica praticamente da solo e la suona altrettanto, solo con l’ausilio di due chitarristi, quali Jim Branner e Marty Prue.
Un connubio fra Prog, Aor e Pomp Rock, dove Genesis, Styx e Kansas si incastonano fra di loro con incredibile naturalezza. Brani misti dunque, si spazia dai quindici minuti di durata fino ai canonici cinque. Apre la minisuite “Anthem”, tastieristica, camaleontica e con un cantato variegato dai piccoli richiami ai Queensryche. Ovviamente la componente Prog qui è più marcata che in altri momenti. Le chitarre si lasciano andare in scale davvero interessanti, le melodie poi sono la carta vincente di questo piccolo gioiello sonoro. Verso la metà del brano si volta pagina, la ritmica si fa più vivace e spensierata, Johnston si diverte a colpire l’attenzione dell’ascoltatore spezzando di netto l’ascolto. Tredici minuti che volano in un attimo. Collegato ad esso subentra “The Damage Is Done”,con un intro quasi elettronico, ma dallo svolgimento tipicamente AOR. Il ritornello è di quelli che si stampano nella mente, contagioso ed arioso, a questo punto i Jaugernaut non sembrano quasi più loro.
La fantasia compositiva dell’artista viene ancora di più sottolineata da “Better Living Thru Anarchy”, canzone spiazzante dal primo all’ultimo minuto, dove moderno e classico si fondono in un connubio solo apparentemente stridente ed incompatibile. Per ritornare in territori Progressivi bisogna giungere alla minisuite “Doing It The Hard Way”. Ancora una volta le tastiere ed i samples ringiovaniscono l’ascolto rendendolo spumeggiante e allegro, proprio come i solo di chitarra di Marty Prue. Effetti sonori, voci, pioggia e tant’altro allestiscono lo spettacolo per l’orecchio. Bellissima soprattutto la melodia della chitarra classica. Il pezzo poi esplode in tutta la sua grandezza nel proseguo, intersecandosi in ambienti Pomp. Forse a molti degli ascoltatori questi cambi di stile potrebbero risultare fuorvianti ed incoerenti, invece personalmente li ritengo migliorie all’insieme del disco.
La fantasia Johnston ne ha da vendere, nulla è scontato nella sua musica, malgrado alcuni richiami troppo seventies come in “Vanity”. Il nuovo ed il vecchio, il dolce ed il salato, un ascolto poco attento potrebbe non far cogliere le numerosissime sfumature da esso esposte, per cui bisogna necessariamente ripetere gli ascolti prima di dare un giudizio definitivo. Ancora allegria in “A Different World”, chitarre più potenti ed un cantato questa volta simile a quello del mitico Roger Chapman dei Family. A seguire e collegata la conclusiva “All I See Is Gray”, una piccola perla sonora, dolce ed ariosa.
Difficile credere che un disco del genere possa avere successo commerciale, trovandosi troppo a metà strada fra stili differenti, ma come ho gia detto, il bello è proprio questo. Di musica cartacarbone ne è pieno il mondo, per cui bravo Johnston e brava ProgRock Records per averci dato quest’ora di cristalline emozioni. MS
martedì 14 febbraio 2012
GRAN TURISMO VELOCE Live
GRAN TURISMO VELOCE in tour!!!!!
Alla fine per contrastare il Golia dell'industria dei live, abbiamo deciso di farci un tour autoprodotto all'estero.
Stiamo imbastendo un gran progettone: 2 mesi in giro per l'Europa su un camper, infilandoci "di forza" in tutti quei locali che ancora danno spazio alla musica emergente.
Stiamo imbastendo un gran progettone: 2 mesi in giro per l'Europa su un camper, infilandoci "di forza" in tutti quei locali che ancora danno spazio alla musica emergente.
Siamo riusciti a coinvolgere la Provincia di Grosseto e stiamo cercando un po' di sponsor per non doverci sobbarcare tutte le spese.
Tutte le date su www.granturismoveloce.com/tour/
Click to play Gran Turismo Veloce - "di Carne, di Anima"
NEW ALBUM OUT NOW!!!http://www.reverbnation.com/tunepak/3274944
NEW ALBUM OUT NOW!!!http://www.reverbnation.com/tunepak/3274944
domenica 12 febbraio 2012
Morta Whitney Houston
Whitney Houston trovata morta in un hotel di Beverly Hills
di Marcello Campo (Da ANSA.IT 12 febbraio, 11:14)
WASHINGTON - Tossicodipendente da anni, in preda a frequenti crisi nervose, si e spenta soli 48 anni Whitney Houston, una delle regine della musica pop tra gli anni '80 e '90. Il corpo della cantante e attrice è stato trovato ieri pomeriggio in un hotel di Beverly Hills, a Los Angeles. "Alle 15:55 ora locale (00:55 di oggi in Italia, ndr) Whitney Houston è stata dichiarata morta nel Beverly Hilton hotel", afferma il portavoce della polizia Mark Rosen.
Una tragedia purtroppo attesa. Gia' alla vigilia della magica notte dei Grammy, si era sparsa la notizia che Whitney si trovasse in gravissime condizioni. La sua storia e' il dramma di una grandissima artista per anni ai vertici delle classifiche, amata e venerata da milioni di fan, passata in pochi anni dal paradiso del successo all'inferno della droga e della depressione. Oltre ai noti abusi di cocaina, marijuana e psicofarmaci, Whitney ha sofferto drammaticamente il fallimento del suo matrimonio con il cantante Bobby Brown, durato dal 1992 al 2006. Nata nella periferia del New Jersey, il padre era un militare e la madre Cissy era una cantante di gospel. L'arte e il canto era una dote di famiglia: Whitney era cugina della star pop Dionne Warwick e figlioccia della grande Aretha Fraklin. Raggiunse l'apice del suo successo molto giovane, grazie alla sua voce meravigliosa, dall'enorme intensita' e potenza.
Nel 1986 vinse il Grammy e per anni domino' la scena con tantissimi successi mondiali. Nella Billboard Hot 100 riusci' a piazzare sette singoli consecutivi al numero uno, battendo il record di cinque appartenete a stelle del calibro di Diana Ross, e perfino dei Beatles. Assieme a Michael Jackson detiene il record dell'artista di colore di maggior successo. Si calcola che nella sua breve ma intensissima carriera abbia venduto circa 190 milioni di dischi. Per anni e' Whitney stata la stella, la ragazza d'oro dell'industria discografica. Ma raggiunse anche la grandissima popolarita' con le sue apparizioni sul grande schermo in film come 'The Bodyguard', al fianco di Kevin Kostner, la cui colonna sonora ha venduto 45 milioni di copie. Con la sua musica e il suo sex appeal ha influenzato una generazione di giovani cantanti, come Christina Aguilera e Mariah Carey. Dopo gli anni del successo il crollo e la disperazione: da tempo faceva abuso di cocaina, marijuana e pillole varie. In un'intervista del 2002, disse: ''Il piu' grande demonio sono io. Posso essere il mio miglior amico o il mio nemico peggiore''. E quel demonio alla fine ha avuto tragicamente la meglio
Kevin Ayers
KEVIN AYERS - Joy of a Toy
Harvest
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog
Support: Lp - 1969
La scena di Canterbury ha sempre avuto il rispetto di tutti gli usufruitori di musica, anche di quelli che il Progressive non lo hanno mai sopportato. Le influenze Jazz, le strumentazioni inusuali per il Rock canonico come il violino, la tromba, il flauto ed altri, hanno fatto scrivere pagine importanti nel contesto, hanno fatto sviluppare la fantasia di noi ascoltatori, insomma la Scuola Di Canterbury è e rimarrà un tassello singolo nella storia dell’evoluzione del Rock.
Kevin Ayers è un nome importante per questa scena, anzi, per meglio dire è il nome per eccellenza, visto che è componente dei Wild Flowers e dei Soft Machine, i primi sono i fondatori del Canterbury sound. Per questo “Joy Of A Toy” è un album epocale, un misto fra Pop, Rock, Prog e musica Free che denota l’immensa libertà artistica di cui godono i musicisti in quegli anni.
Di dischi questo artista ne ha fatti fino al 1974 (data che coincide più o meno con la fine della Scuola Di Canterbury), mai scontati e tutti di elevata caratura, ma questo è un debutto che lascia letteralmente basiti. Oltre al nostro c’è un altro nome che ha fatto la storia e che sarà fedele compagno di mille avventure, quello del batterista Robert Wyatt.
Le tastiere invece sono affidate a David Bedford. Il disco si avvale di numerose partecipazioni a causa della complessità strutturale, per cui ci imbattiamo anche in strumenti come il violoncello o l’oboe. La complessità è comunque apparente, non radicata, la matrice pop è predominante, ricchissima di idee e di allegria.
Orchestrazioni e velato Jazz, queste mie affermazioni potrebbero rendere ai vostri occhi “Joy Of A Toy” come un prodotto ostico, pretenzioso, ma nulla di tutto ciò si aggira fra i suoi solchi. “Town Feeling” e “All This Crazy Gift Of Time” sembrano addirittura uscire dalla mente di Bob Dylan, la voce profonda di Ayers ed apparentemente burlona spesso si avvicina a quella di Syd Barrett dei Pink Floyd, come ad esempio nella psichedelica ballata “Girl On A Swing”. Ci sono anche buoni assolo tastieristici e fughe strumentali, “Stop This Train (Again Doing It)” in questo senso è trascinante oltremodo. Dolce ed acustica “Eleanor’s Cake (Which Ate Her)”, il flauto apre le porte, come dicevo prima, al Canterbury sound e lascia traspirare tutta la sua ariosità bucolica. Più sperimentale “Lady Rachel”, ci presenta un artista profondo, attento alla formula commerciale del brano, malgrado il tentativo di fuoriuscire dai canoni del lecito stazionario Rock.
Con questo disco Kevin Ayers cammina pericolosamente in bilico fra i confini musicali del Pop, del Rock, del Jazz, della Psichedelica e dell’improvvisazione, cotanto osare è da campioni di razza, ma si rischia inevitabilmente di cadere nel dimenticatoio a causa dell’osticità della proposta al momento non compresa. Oggi abbiamo la fortuna di poter riascoltare questo lp, e ci accorgiamo con sorpresa che la polvere non lo ha rovinato. Il suono non è del tutto datato, anche se si capisce che è degli anni ’70. La Harvest in quegli anni è una costola del Rock Psichedelico e di ricerca, non a caso nella scuderia ci incontriamo i Pink Floyd e a pieno titolo anche il nostro Kevin.
Questo lp lo consiglio a tutti coloro che vogliono capire la storia di un genere che si è saputo evolvere con il tempo, ma che ha dato i suoi migliori frutti proprio nei lontani anni ’70. Buon ascolto. MS
Harvest
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog
Support: Lp - 1969
La scena di Canterbury ha sempre avuto il rispetto di tutti gli usufruitori di musica, anche di quelli che il Progressive non lo hanno mai sopportato. Le influenze Jazz, le strumentazioni inusuali per il Rock canonico come il violino, la tromba, il flauto ed altri, hanno fatto scrivere pagine importanti nel contesto, hanno fatto sviluppare la fantasia di noi ascoltatori, insomma la Scuola Di Canterbury è e rimarrà un tassello singolo nella storia dell’evoluzione del Rock.
Kevin Ayers è un nome importante per questa scena, anzi, per meglio dire è il nome per eccellenza, visto che è componente dei Wild Flowers e dei Soft Machine, i primi sono i fondatori del Canterbury sound. Per questo “Joy Of A Toy” è un album epocale, un misto fra Pop, Rock, Prog e musica Free che denota l’immensa libertà artistica di cui godono i musicisti in quegli anni.
Di dischi questo artista ne ha fatti fino al 1974 (data che coincide più o meno con la fine della Scuola Di Canterbury), mai scontati e tutti di elevata caratura, ma questo è un debutto che lascia letteralmente basiti. Oltre al nostro c’è un altro nome che ha fatto la storia e che sarà fedele compagno di mille avventure, quello del batterista Robert Wyatt.
Le tastiere invece sono affidate a David Bedford. Il disco si avvale di numerose partecipazioni a causa della complessità strutturale, per cui ci imbattiamo anche in strumenti come il violoncello o l’oboe. La complessità è comunque apparente, non radicata, la matrice pop è predominante, ricchissima di idee e di allegria.
Orchestrazioni e velato Jazz, queste mie affermazioni potrebbero rendere ai vostri occhi “Joy Of A Toy” come un prodotto ostico, pretenzioso, ma nulla di tutto ciò si aggira fra i suoi solchi. “Town Feeling” e “All This Crazy Gift Of Time” sembrano addirittura uscire dalla mente di Bob Dylan, la voce profonda di Ayers ed apparentemente burlona spesso si avvicina a quella di Syd Barrett dei Pink Floyd, come ad esempio nella psichedelica ballata “Girl On A Swing”. Ci sono anche buoni assolo tastieristici e fughe strumentali, “Stop This Train (Again Doing It)” in questo senso è trascinante oltremodo. Dolce ed acustica “Eleanor’s Cake (Which Ate Her)”, il flauto apre le porte, come dicevo prima, al Canterbury sound e lascia traspirare tutta la sua ariosità bucolica. Più sperimentale “Lady Rachel”, ci presenta un artista profondo, attento alla formula commerciale del brano, malgrado il tentativo di fuoriuscire dai canoni del lecito stazionario Rock.
Con questo disco Kevin Ayers cammina pericolosamente in bilico fra i confini musicali del Pop, del Rock, del Jazz, della Psichedelica e dell’improvvisazione, cotanto osare è da campioni di razza, ma si rischia inevitabilmente di cadere nel dimenticatoio a causa dell’osticità della proposta al momento non compresa. Oggi abbiamo la fortuna di poter riascoltare questo lp, e ci accorgiamo con sorpresa che la polvere non lo ha rovinato. Il suono non è del tutto datato, anche se si capisce che è degli anni ’70. La Harvest in quegli anni è una costola del Rock Psichedelico e di ricerca, non a caso nella scuderia ci incontriamo i Pink Floyd e a pieno titolo anche il nostro Kevin.
Questo lp lo consiglio a tutti coloro che vogliono capire la storia di un genere che si è saputo evolvere con il tempo, ma che ha dato i suoi migliori frutti proprio nei lontani anni ’70. Buon ascolto. MS
venerdì 10 febbraio 2012
Magni Animi Viri
MAGNI ANIMI VIRI - Heroes Temporis
MAV
Distribuzione italiana: MAV
Genere: Symphonic
Support: CD - 2007
Quando noi italiani decidiamo di impegnarci anima e cuore in un progetto, gran parte delle volte raggiungiamo risultati strepitosi, questo è il caso dei Magni Animi Viri. Il supergruppo in analisi proviene da Battipaglia (SA) ed è all’esordio discografico, forse uno dei più clamorosi che mi è capitato di ascoltare. Immaginate cosa può accadere quando il Rock sinfonico, l’Hard Rock, il Prog, una orchestra (la Bulgarian Symphony Orchestra sif 309) ed un coro di cento elementi si incontrano! Ebbene si, una volta tanto siamo al cospetto di una vera Opera Rock e mai come in questo caso il termine calza così a pennello.
Leggete chi partecipa a questo disco e capirete l’entità del tutto: In questo sogno sonoro creato da Giancarlo Trotta e Luca Contegiacomo (Tastiere, pianoforti, Moog e programmazioni), compaiono nientemeno che Randy Coven (Steve Vai, Mountain, Ark, J.Y. Malmsteen) al basso, John Macaluso (J.Y. Malmsteen, Vitalij Kuprij, Alex Masi, Ark) alla batteria, Roberto D’Aquino (Edoardo Bennato, Gigi D’Alessio) al basso e stick, Marco Sfogli (James La Brie, J. Macaluso, NCCP) alle chitarre, Ivana Giugliano (Giovanni Mauriello e NCCP) alla voce, Francesco Napoletano (Tenore Fondazione Arena Di Verona) alla voce, Simone Gianlorenzi alla chitarra acustica e Matteo Salsano (regista, attore della compagnia Luca De Filippo).
Voci tenorili dunque, grandiosa quella di Napoletano e semplicemente da sogno quella di Ivana Giugliano, la quale mi ha dato emozioni che non provavo più dai tempi dei Matia Bazar. E poi cori in latino che si intersecano con sonorità Symphony X. Il Prog che scorre nei brani si accosta a volte a quello strumentale della PFM, ma anche Dream Theater e Savatage!
“Heroes Temporis” è una centrifuga di emozioni alla quale bisogna approcciare con la dovuta preparazione mentale. Lungi da chi ascolta attendersi musica scontata, questo è un vero e proprio esperimento sonoro ambizioso quanto volete, ma genuino e disarmante. Rarissimo, oggi come oggi, ascoltare un debutto del genere, neppure noi addetti ai lavori ce lo potevamo attendere, proprio come un fulmine a ciel sereno.
Il concept è basato su di un protagonista che intraprende un viaggio fra coscienza e purificazione, fra la realtà ed il sogno. Questo tema è difficile ed intricato, ma è ben illustrato nei testi del lussuoso libretto di sedici pagine! Questa autoproduzione farà sbiancare parecchi altri prodotti che purtroppo oggi girano fra gli scaffali dei dischi e soprattutto in internet. Questi sono artisti che vanno sostenuti, semplicemente perché sono fra i pochi che tentano nuove strade, sono fra i pochi che tengono in vita il Progressive, il quale troppo spesso agonizza nelle sferzate della banalità.
Ed il disco? Direte voi, quali sono i brani migliori? In questo caso sono io che vorrei saperlo. Ogni ascolto cambio parere, non c’è un pezzo guida a conferma dell’omogeneità del risultato. Di una cosa sono certo, quando le due voci di Ivana e di Francesco si incontrano, i brividi scorrono sulla pelle e questo per me è tutto.
Magni Animi Viri, segnatevi questo nome perché non sono io che ve lo consiglio, ma è la storia che parla da sola! MS
MAV
Distribuzione italiana: MAV
Genere: Symphonic
Support: CD - 2007
Quando noi italiani decidiamo di impegnarci anima e cuore in un progetto, gran parte delle volte raggiungiamo risultati strepitosi, questo è il caso dei Magni Animi Viri. Il supergruppo in analisi proviene da Battipaglia (SA) ed è all’esordio discografico, forse uno dei più clamorosi che mi è capitato di ascoltare. Immaginate cosa può accadere quando il Rock sinfonico, l’Hard Rock, il Prog, una orchestra (la Bulgarian Symphony Orchestra sif 309) ed un coro di cento elementi si incontrano! Ebbene si, una volta tanto siamo al cospetto di una vera Opera Rock e mai come in questo caso il termine calza così a pennello.
Leggete chi partecipa a questo disco e capirete l’entità del tutto: In questo sogno sonoro creato da Giancarlo Trotta e Luca Contegiacomo (Tastiere, pianoforti, Moog e programmazioni), compaiono nientemeno che Randy Coven (Steve Vai, Mountain, Ark, J.Y. Malmsteen) al basso, John Macaluso (J.Y. Malmsteen, Vitalij Kuprij, Alex Masi, Ark) alla batteria, Roberto D’Aquino (Edoardo Bennato, Gigi D’Alessio) al basso e stick, Marco Sfogli (James La Brie, J. Macaluso, NCCP) alle chitarre, Ivana Giugliano (Giovanni Mauriello e NCCP) alla voce, Francesco Napoletano (Tenore Fondazione Arena Di Verona) alla voce, Simone Gianlorenzi alla chitarra acustica e Matteo Salsano (regista, attore della compagnia Luca De Filippo).
Voci tenorili dunque, grandiosa quella di Napoletano e semplicemente da sogno quella di Ivana Giugliano, la quale mi ha dato emozioni che non provavo più dai tempi dei Matia Bazar. E poi cori in latino che si intersecano con sonorità Symphony X. Il Prog che scorre nei brani si accosta a volte a quello strumentale della PFM, ma anche Dream Theater e Savatage!
“Heroes Temporis” è una centrifuga di emozioni alla quale bisogna approcciare con la dovuta preparazione mentale. Lungi da chi ascolta attendersi musica scontata, questo è un vero e proprio esperimento sonoro ambizioso quanto volete, ma genuino e disarmante. Rarissimo, oggi come oggi, ascoltare un debutto del genere, neppure noi addetti ai lavori ce lo potevamo attendere, proprio come un fulmine a ciel sereno.
Il concept è basato su di un protagonista che intraprende un viaggio fra coscienza e purificazione, fra la realtà ed il sogno. Questo tema è difficile ed intricato, ma è ben illustrato nei testi del lussuoso libretto di sedici pagine! Questa autoproduzione farà sbiancare parecchi altri prodotti che purtroppo oggi girano fra gli scaffali dei dischi e soprattutto in internet. Questi sono artisti che vanno sostenuti, semplicemente perché sono fra i pochi che tentano nuove strade, sono fra i pochi che tengono in vita il Progressive, il quale troppo spesso agonizza nelle sferzate della banalità.
Ed il disco? Direte voi, quali sono i brani migliori? In questo caso sono io che vorrei saperlo. Ogni ascolto cambio parere, non c’è un pezzo guida a conferma dell’omogeneità del risultato. Di una cosa sono certo, quando le due voci di Ivana e di Francesco si incontrano, i brividi scorrono sulla pelle e questo per me è tutto.
Magni Animi Viri, segnatevi questo nome perché non sono io che ve lo consiglio, ma è la storia che parla da sola! MS
martedì 7 febbraio 2012
Digit
Skpmz pubblica 'Digit', il debutto della giovane band ferrarese: un Ep con sei brani elettrizzanti e freschi che fotografano l'energia del quartetto, a cavallo tra Subsonica e Killers, Planet Funk e Wombats. Presto in uscita anche il primo videoclip
Rock, elettronica e melodia: arriva il disco d'esordio dei Digit
Skpmz Label
Rock, elettronica e melodia: arriva il disco d'esordio dei Digit
Skpmz Label
è lieta di presentare:
DIGIT
Il primo album dei Digit
Skpmz Label - distr. Believe Digital
6 brani - 21 minuti
DIGIT
Il primo album dei Digit
Skpmz Label - distr. Believe Digital
6 brani - 21 minuti
Nati nel 2011, a pochi mesi di distanza dalla loro formazione i Digit danno rapidamente alle stampe l'omonimo Ep d'esordio: "Siamo ancora un po’ frastornati - dichiarano i ragazzi -. Siamo partiti con l’idea di non aver fretta, di non bruciare le tappe, affrontare le cose come venivano ma dopo pochi mesi che continuavamo a sfornare pezzi ci siamo chiesti: perché non provare a registrare qualcosa? E così nasce Digit, un lavoro rapido e indolore!".
Digit - pubblicato dall'etichetta bolognese Skpmz - presenta sei brani che guardano all'Italia di Subsonica e Planet Funk, all'Inghilterra e agli USA di Killers, Wombats e Late Of the Pier, anche al Belgio dei Soulwax. Digit è un Ep coinvolgente e piacevole, che spazia tra rock ed elettronica, dance e post punk con testi in italiano: "I pezzi sono essenzialmente autobiografici, spaziano a 360 gradi intorno a esperienze di vita, racconti o episodi accaduti realmente. Crediamo che questa veridicità possa avvicinare chi ascolta a noi Digit come persone".
Luca Rizzo (voce e synth), Tommaso Stabellini (chitarre), Michela ngelo Gandini (basso) e Alessandro Grossi (batteria) sono un quartetto affiatato che, nonostante la giovane età e la recente costituzione, ha già un convincente biglietto da visita. L'Ep è attualmente disponibile su iTunes e su tutti i maggiori music store online, distribuito da Believe Digital. La band sta lavorando a diversi eventi per la promozione dell'album come il primo videoclip, realizzato dal videomaker Pablo Chieffo e prodotto da Broke Up, in contemporanea con il lancio del singolo Il Circo C'est la Vie.
Informazioni:
Digit:http://www.digitofficial.it
Digit su Facebook:
http://www.facebook.com/ digitofficial
Skpmz Label:
http://www.facebook.com/skpmzrecordlabel
Ufficio stampa Synpress44:
http://www.synpress44.com/
Digit - pubblicato dall'etichetta bolognese Skpmz - presenta sei brani che guardano all'Italia di Subsonica e Planet Funk, all'Inghilterra e agli USA di Killers, Wombats e Late Of the Pier, anche al Belgio dei Soulwax. Digit è un Ep coinvolgente e piacevole, che spazia tra rock ed elettronica, dance e post punk con testi in italiano: "I pezzi sono essenzialmente autobiografici, spaziano a 360 gradi intorno a esperienze di vita, racconti o episodi accaduti realmente. Crediamo che questa veridicità possa avvicinare chi ascolta a noi Digit come persone".
Luca Rizzo (voce e synth), Tommaso Stabellini (chitarre), Michela ngelo Gandini (basso) e Alessandro Grossi (batteria) sono un quartetto affiatato che, nonostante la giovane età e la recente costituzione, ha già un convincente biglietto da visita. L'Ep è attualmente disponibile su iTunes e su tutti i maggiori music store online, distribuito da Believe Digital. La band sta lavorando a diversi eventi per la promozione dell'album come il primo videoclip, realizzato dal videomaker Pablo Chieffo e prodotto da Broke Up, in contemporanea con il lancio del singolo Il Circo C'est la Vie.
Informazioni:
Digit:http://www.digitofficial.it
Digit su Facebook:
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Skpmz Label:
http://www.facebook.com/skpmzrecordlabel
Ufficio stampa Synpress44:
http://www.synpress44.com/
lunedì 6 febbraio 2012
LA SCUOLA DI CANTERBURY
Nell'ambito storico del genere Progressive abbiamo potuto conoscere molti sottogeneri, il Sinfonico, lo Psichedelico, il Romantico, ma la Scuola Di Canterbury è l'unico che è uscito indenne dalla crisi dei primi anni '80, dirò di più, ha sempre avuto il rispetto di tutta la critica musicale di sempre. Perchè?
Difficile trovare una risposta a questa domanda, c'è da dire che comunque il genere non è che abbia mai venduto più di tanti dischi, ma ha avuto la fortuna di farlo nel tempo. Molti piccoli capolavori sono stati concepiti, soprattutto in mini suite che hanno fatto scaturire verso la fine degli anni '60 il successo del 33 giri prima succube del 45. Ma cosa è la Scuola Di Canterbury?
Le proprie origini risalgono ai primi anni '60 nella Simon Lengton School di Canterbury, dove un gruppo di amici di nome David Sinclair, Robert Wyatt, Hugh Hopper e Mike Ratledge danno vita ad un complesso studentesco dal nome di WILDE FLOWERS. Il loro sound è un Rock influenzato dal Jazz (quello Free) e completato da molta improvvisazione. Verso la fine del 1967 però il gruppo si scioglie e si divide in due tronconi, il primo capitanato da Hastings e Coughlan forma i CARAVAN, mentre il secondo con Wyatt, Ayers, Ratledge ed Allen i SOFT MACHINE. Suoni romantici addolciti da flauti che se dovessero essere immortalati con opere pittoriche potrebbero essere dipinte con tinte dolci, molti colori, ambienti favolistici e a volte epici. Il genere nel tempo resterà sempre fievolmente vivo. Esso sarà sostenuto dagli amanti della musica denominata "Dotta" e con il loro interesse farà si che in qualche modo qualcuno ancora lo suoni. Oggi come oggi non riscontriamo quasi in nessun gruppo la propria influenza, ma come si sa la musica nel tempo si ripete e chissà se a breve termine non possano rispolverarsi quei motivi dolci e bucolici che per molti anni hanno fatto sognare una generazione intera? Dopo questo breve cenno storico, veniamo ai gruppi più importanti della Scuola Di Canterbury:
Caravan
Dolci, con spiccato senso della melodia, soprattutto grazie al flauto di Jimmy Hastings, i nostri ci propinano una serie di lp letteralmente imperdibili! Da “Caravan” del 1968 a “If i could do it all over again, i’d do it all over you” datato 1970, il mitico “In the land of grey and pink”(1971) e “Waterloo Lily”(1972).Per intenderci meglio, musica da” figli dei fiori”.Purtroppo a causa di rimaneggiamenti e split all'interno, il gruppo dopo i succitati lp protende verso un deludente pop rock sempre più commerciale e farà sì che l’ultimo disco interessante possa essere “Waterloo Lily”.
Mentre il primo album “Caravan” rimane solamente un cimelio per i pochi fortunati che sono riusciti a reperirlo, visto la poca distribuzione del medesimo,”If i could do it all over again, i’d do it all over you” è un vero e proprio esempio vivente di quello che è la “Scuola di Canterbury”.Tre lunghe suite fiabesche compongono il filastroccato pop rock del disco distribuito dall’allora Decca
“In the land of grey and pink” come dicevo prima, rimane il capolavoro assoluto , con degli arrangiamenti stupendi, dei fiati indovinati, ed una copertina bellissima.Quest’ultima ritrae un paesaggio fiabesco tutto rosa, dolce come il contenuto del disco. Si tocca l’apice con le canzoni “Golf girl” e la ballata “The land of grey and pink”.
Nel 1972 con l’ingresso di Steve Miller al posto di David Sinclair, i nostri perdono nelle composizioni di “Waterloo lily”, quel senso artistico di nostalgica melodia che li contraddistingue, anche se poi effettivamente il pubblico dimostra ugualmente di gradire.“Caravan & the new symphonia” del 1974 chiude in maniera poco degna la carriera prog di un importantissimo complesso che seppure si riformerà, riuscirà solamente a sopravvivere di nostalgia e ad essere l’ombra di se stesso.
Camel
Il quartetto di Andy Latimer (voce, flauto e chitarra) è sicuramente fra i più apprezzati dal pubblico e dalla critica. Coadiuvato da Peter Bardens alle tastiere e voce, da Doug Ferguson al basso e da Andy Ward alla batteria, Andy è autore di una collana di dischi tutti di elevato spessore artistico, senza grandi cali di stile. La musica espressa dai Camel sembra essere un grande cerchio, senza capo ne coda, un brano unico senza fine e questo potrebbe sembrare a prima vista un difetto ma all'ottica del genere non lo è. Infatti tutta la musica scorre molto fluidamente, sia i brani più brevi che quelli articolati, accalappiando l'attenzione dell'ascoltatore nell'arco dell'intero ascolto. La storia del gruppo nasce tardivamente rispetto ai suoi precursori, nel 1972 grazie a Peter Bardens (ex Them). La mancanza di un cantante di ruolo fa si che i momenti strumentali siano più interessanti delle parti cantate, ma in seguito con l'ingresso di Richard Sinclair (Caravan) la lacuna viene colmata, anche se il sound si sposta verso i Caravan stessi. Ironicamente la critica di allora li denominavano i Caramel. Splendida l'intesa chitarra-tastiere e con l'inserimento di parti flautistiche i Camel entrano a ragione nell'olimpo dei grandi della Scuola Di Canterbury.
Il disco di esordio " Camel" (MCA-1973) è gradevole e canzoni come "Six Ate", "Never Let Go" e "Mystic Queen" fanno ben sperare nel futuro. Gli argomenti fantasy sorgono nel successivo e stupendo "Mirage" (Deram-1974) dove la produzione attenta di David Hitchcock porta i Camel verso brani più strumentali con atmosfere lievi e rilassate come nella minisuite per flauto "Supertwister" o in frangenti più forti come in "Freefall". Ma il loro capolavoro per eccellenza rimane "The Snow Goose" (Decca-1975). Esso è un sunto dei due lavori precedenti e si ispira ad un racconto di Paul Gallico narrante la storia di un guardiano di faro ed un oca nel periodo della seconda guerra mondiale. L'anno successivo è la volta di "Moonmadness" (Decca-1976), lavoro più progressivo dei precedenti, leggermente più distante dalla Scuola Canterburyana. Con qualche influenza Jazz il disco si articola in parti strumentali d'atmosfera trovando il top dell'inspirazione in "Lunar Sea". Con la formazione originale questo è l'ultimo disco. L'ingresso di Sinclair porta nel successivo "Rain Dances" (Decca-1977) una ventata di innovazioni rendendo il disco piacevolissimo, paradossalmente uno dei momenti più alti del Progressive proprio mentre il genere sta morendo. Troviamo anche ospiti come Mel Collins ai fiati e Braian Eno.
Tuttavia la carriera dei Camel scorre nel tempo lineare, senza mai cadere nella trappola del commerciale, trascinando con se un nutrito gruppo di fans che mai restano traditi dai successivi lavori. "Breathless" (Decca-1978) è l'ultimo disco storico da menzionare, per il resto tutto rimarrà molto in sordina, proprio come La Scuola Di Canterbury nel suo futuro.
Soft Machine
Robert Wyatt, Allen e soci dopo la scissione dei Wilde Flowers si danno immediatamente da fare nel trovare un nome al loro nuovo gruppo. Nel 1967 traggono ispirazione dal titolo del romanzo di william Burroughs e dopo il benestare dell'interessato i Soft Machine prendono vita. Pienamente all'avanguardia gli inglesi propongono Psichedelia alla Pink Floyd con tanto di fumi e luci durante i loro spettacoli dal vivo. Singolare il fatto che Allen suoni con un casco da minatore in testa, Ratldege con enormi ali da aeroplano fissate nel cappello ed Ayers con dei mantelloni medievali. La magia di questi anni è irripetibile.
Non ci sono suite, ma brani al massimo di quattro minuti comunque pieni di ispirazione, a volte anche di improvvisazioni. Nel 45 giri "Love Makes Sweet Music" alla chitarra ritmica, come ospite, partecipa niente di meno che Jimi Hendrix e con lui intraprenderanno pure una tournèe negli USA. E' proprio qui che nasce il primo 33 giri del gruppo, "The Soft Machine" edito dalla Decca nel 1968. Icona della Psichedelia di fine anni '60 racchiude nei suoi solchi follia, ironia e divertimento, cosa che li distingue nettamente dai Pink Floyd. L'anno successivo è la volta del capolavoro di essenzialità, di arte avanguardistica, "Vol2". Hugh Hopper, autore della stupenda canzone "Dedicated To You But You Weren't Listening", prende il posto del bassista Kevin Ayers e Waytt si dedica interamente alle parti vocali. Kevin comunque avrà una buona carriera solistica. L'interessante ambizioso e molto strumentale "Third" (doppio LP) chiude come meglio non si potrebbe un periodo d'oro non solo per i Soft Machine, ma per tutto il Prog Canterburyano. La conferma è nel fatto che ad esso partecipano pure altri bravi strumentisti dell'ambiente come Jimmy Hastings, Nick Evans, Mark Charing ed Elton Dean presenza fissa al sassofono. Esso è suddiviso in quattro brani, uno per lato e mesce la psichedelia che li ha resi famosi ad improvvisazioni Jazz.
I Soft Machine proseguiranno la carriera con dischi dignitosi sempre intrisi di Jazz e completamente strumentali come "Fourth, Fifth, Sixt, Seventh...". Le defezioni nel gruppo saranno molteplici, a partire proprio dallo stesso Wyatt ,che formerà i MATCHING MOLE (che letto in francese sembra non a caso dire Macchina Molle, "mole machine"). Nel 1973 alla presentazione del secondo lavoro dei Matching Mole "Little Red Record" in un party Robert Wyatt, probabilmente ubriaco, cade da una finestra e rimane paralizzato per sempre alle gambe, grande disgrazia per chi suona la batteria... Malgrado tutto la sua carriera solistica da compositore sarà sempre ricca di soddisfazioni.
Gong
Molti di voi avranno sentito almeno una volta nominare i Gong del curiosissimo personaggio freak che risponde al nome di Daevid Allen (anche Soft Machine). La carriera lunghissima di questo artista Australiano è piena di ottimi dischi ma per lo più lo si associa alla pazza famiglia Gong.
Essi si formano verso i primi degli anni '70 e propongono un suono rasente il misticismo. Avventure spaziali e tanto umorismo rifiniscono le loro caratteristiche. Esordiscono con un disco molto sperimentale nel 1970 dal titolo "Camembert Eletrique", ma è il trittico successivo a rimanere nella storia Progressiva Canterburyana, la famosa trilogia della Radio Gnome Invisible che spazia dal 1973 al '74. Nel mezzo troviamo pure una colonna sonora del 1971 per l'omonimo film "Continental Circus" dedicato a corse motociclistiche. Citato nei brani pure il nostro mito Giacomo Agostini. Ma tornando al trittico, non si può non notare una certa tendenza all'uso di sostanze acide con la ricerca dell'estasi psichica. L'immaginario di un pianeta popolato da gnometti , i Pot Head Pixies, con tanto di lunga barba e cappellino con elica diventano un vero e proprio romanzo fantascientifico e sono filone portante dei tre lavori.
Successivamente Allen si allontana dai Gong ed i membri restanti proseguono con dischi di Jazz Rock di buona caratura. Di Allen si apprezzano molto gli LP solisti "Magic Brother, Mystic Sister" (Byg-1970) e "Banana Moon" (Byg-1971), che poi non sono stati altro che il preludio concettuale del famoso trittico fantascientifico dei Gong.
Fra il 1974 ed il 1975 la Scuola Di Canterbury conosce un momento di crisi con lo split dei suoi gruppi fondamentali, ma non solo, i restanti come Caravan od i stessi Soft Machine resistono con lavori si sufficienti ma abbastanza distanti dai canoni Canterburyani. In questo periodo il posto di maestri della Scuola spetta senza ombra di dubbio ai:
Hatfield & The North
Nel 1974 la casa discografica Virgin prende sotto le sue attenzioni questo gruppo formato da quattro miti della Scuola di Lengton, Richard Sinclair (Bassista e cantante nei Caravan), Phil Miller (Chitarrista dei Matching Mole), Dave Stewart (tastierista degli Egg) e Pip Pyle (batteria pure con Daevid Allen).
Danno alla luce due dischi d'incredibile modernità, tanto è vero che il tempo ancora oggi non riesce a scalfire. L'esordio "Hatfield & The North" ed il successivo " Rotter's Club" del 1975. All'interno si possono apprezzare Rock, Jazz, Progressive e sperimentazione avanguardistica. Nelle lunghe suite non ci si annoia di certo, melodie vincenti si movimentano in atmosfere a volte sognanti ed a volte fredde. Malgrado tale magnificenza di sonorità, il pubblico di allora non regala molte soddisfazioni a questi inglesi i quali nel 1975 stesso decidono di interrompere questo viaggio.
Dopo poco tempo si riformano sotto il nome National Health e l'ausilio di Phil Miller e verso la fine degli anni '70 producono l'ottimo "National Health, Of Queues And Cures", forse uno degli ultimi ottimi momenti del genere. "DS AL Coda" chiude la loro breve discografia.
EGG
Il tastierista Dave Stewart forma alla fine degli anni '60 gli Egg che possono considerasi come una via di mezzo fra Caravan e Soft Machine. Clive Brooks alla batteria e Hugh Montgomery-Campbell alla voce e basso completano il trio. Influenze classiche e lontane sfumature Jazz invadono le coraggiose arie di "Egg"(Deram Nova) esordio discografico del Marzo 1970. Musica difficile, dedicata ad un pubblico attento, di ampie vedute e logicamente non da ascoltare per canticchiare tanto meno da ballare. In esso ci sono presenze di tempi dispari come ad esempio in "I Will Be Absorbed".
Ancora più difficile il successivo "The Polite Force" (Deram 1970) e grandiose le tastiere di Stewart in "A Visit To Newport Hospital". In complesso il disco rimane comunque molto freddo. Gli Egg hanno vita breve, salvo riaffacciarsi al mondo musicale nel 1974 con "The Civil Surface" (Caroline) ma in questo caso non sono più un trio. Stewart si ritroverà nel 1972 con il suo vecchio compagno Steve Hillage nei Khan per dare vita ad un buon disco di matrice Canterburyana dal titolo "Space Shanty".
HENRY COW
Gruppo sorto nel 1968 ma sempre relegato in disparte a causa di una frequentazione live sempre al di fuori di ogni corrente stilistica, trova consensi di pubblico solamente dopo essere accasati nella nuova etichetta Virgin nel 1973. Fred Frith (Chitarre, violino, piano e voce), Lindsay Cooper ( fagotto, oboe e voce), Chris Culter (batteria, piano e voce), John Greaves (basso, piano e voce) e Tim Houdgkinson (tastiere, fiati e voce) sono i componenti dotati di una tecnica artistica fuori del comune. Raggiungono l'apice del successo grazie alle date dal vivo come gruppo supporter di Mike Oldfield durante il "Tubular Bells Tour", compresa la storica data al Queen Elizabeth Hall. Le parti cantate sono poche, ma molto vicine a quelle della Scuola di Canterbury, per il resto la musica è molto Rock. Storiche anche le date Parigi, Londra e Roma con Robert Wyatt nel 1975 e quelle del 1977 con la Mike Westbrook Orchestra. Nel 1973 producono "Legend" (Virgin-1973), lavoro imperniato sul jazz più avanguardistico steso in lunghi brani dediti a molta improvvisazione. Altri titoli interessanti sono "Unrest" (Virgin-1974), "Desperate Straights" (Virgin-1975), "In Praise Of Learning" (Virgin 1975) ed il live "Concerts" (Virgin 1976 2lp).
Influenze del genere le troviamo in seguito pure nel bravissimo gruppo decennale CAMEL del virtuoso e leader chitarrista Andy Latimer. Questo soprattutto grazie al lavoro in qualche disco di Sinclair. Altri seguaci futuri degli anni '80 degni di essere menzionati sono i tedeschi Rousseau autori di quel "Flower In Asphalt" che tanti amanti del genere ha fatto godere.Questo combo Tedesco nasce nel 1978 ed il suo nome si ispira ad un illustre filosofo Francese del diciottesimo secolo. Le atmosfere del disco sono largamente rilassanti e semplici grazie al delizioso flauto di Christoph Huster. Brani che ci fanno sognare la natura e la sua quiete, da qui l'identificazione con il succitato filosofo. 'Flower in asphalt' , il titolo è forte come la copertina disegnata da H.G. Ruppik che rappresenta un fiore nato nell'asfalto in una via di una cittadina chiaramente inospitale. Nell'accurato ascolto notiamo contaminazioni di COLOSSEUM, KING CRIMSON e GENTLE GIANT.
Anche i Neuschwanstein hanno saputo dire la loro.
Il gruppo nasce nella Volkingen School di Saarland in Germania nel 1971 per merito di Thomas Neuroth (tastierista) e di Klaus Mayer (flauto e sintetizzatori). Dopo aver visitato il castello di Neuschwanstein del re Ludovico nelle alpi Bavaresi, i ragazzi per il nome decidono d'ispirarsi al monumento visto che le atmosfere di quell' antico periodo cadono perfettamente a pennello con le loro sonorità romantiche e sinfoniche.
Inizialmente suonano cover di artisti anglosassoni (Rick Wakeman) dopodiché passano a comporre del proprio e nel 1974 riscuotono un buon successo con 'Alice in Wonderland'.
I loro concerti sono accompagnati da costumi di scena abbastanza particolari, ossia sono vestiti da monaci con un saio bianco! Riscuotono un sufficiente seguito di pubblico. Prima di arrivare a quel suono Genesiano che riscontriamo in 'Battlement'i NEUSCHWANSTEIN agli albori si accostano più ad un connubio tra Caravan e Jethro Tull, questo grazie soprattutto al flauto di Mayer.
Per concludere in bellezza, dalla lontana Australia nel 1975 Sebastian Hardie ci regala un capolavoro assoluto, oggi edito dalla francese Musea, dal titolo "Four Moment". Da avere.
Claudio Milano e Arrington De Dyoniso live
Giovedì 9 febbraio 2012
dalle 22.30 alle 24'00
BLOOM, Mezzago (MB) via Curiel, 39
Due voci,
il suono come rito e necessità primordiale,
l'antico incontra il moderno in una tensione emotiva senza soluzione di continuità.
Tra cielo e terra, il FUOCO.
Ciò che accade, ACCADE.
« Si trasformi l'Inno alla Gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al Dionisiaco. [...] Ai colpi di scalpello dell'artista cosmico dionisiaco risuona il grido dei misteri eleusini: "Vi prosternate milioni? Senti il creatore, mondo?" »
(Friedrich Nietzsche)
INGRESSO GRATUITO/FREE ENTRY
ARRINGTON DE DYONISO - a short biography
of Olympia, Washington uses performance as a vehicle for driving through the nameless territories held between surrealist automatism, shamanic séance, and the folk imagery of rock and roll. Arrington performs on the bass clarinet, jaw harps, and his voice with a distinctly multi-phonic ability inspired by Tuvan throat-singing and the ecclesiastics of Albert Ayler and Don Van Vliet.
Arrington attended Evergreen State College, where he studied Ethnomusicology, Music Therapy, and Butoh dance theater. In 1995 he founded the group Old Time Relijun, which has since toured and recorded throughout the US and Europe and has released six albums on the K Records label.
In addition to Old Time Relijun, Arrington devotes a significant amount of his time to furthering the cause of free improvisation. He is the founder and curator of the Olympia Festival of Experimental Musics, in its eleventh year. Arrington has performed or/and recorded with notable improvisers throughout the West Coast, Italy, and France.
He's most recent work is called "Suara Naga" (K Scope, 2011).
Arrington has received increased attention for his visual art, which deals with many of the same themes as his music. Recent exhibits have been held in Los Angeles, New York City, Vancouver, Paris, Bologna, and Beijing.
"Suara Naga è un benefico balsamo per ogni spirito creativo
Dove “benefico” sta per “incendiario”
Dove “balsamo” sta per “degenerativo al Cro-Magnon”
Dove “ogni” sta per “solo per freaks”
Dove “creativo” sta per “pericoloso”
Dove “spirito” sta per “le fiamme dell’Inferno e i fiori del Paradiso intrecciati sul letto nuziale del piacere”
Dove “spirito” sta per “i solchi tra le mattonelle della tua mente malata”
Dove “spirito” sta per “quella parte di te che o rispondi al suo richiamo o ti distrugge”
Dove “spirito” sta per “quella forza che scorre attraverso le tue parti intime”
Dove “spirito” sta per “schema mistico”
Dove “spirito” sta per “succo fermentato”
Dove “spirito” sta per “un animale colpito da un bastone appuntito”
Dove “spirito” sta per “non avrai bisogno di altra musica oltre a questa”
Dove “spirito” sta per “catalizzatore per la tua arte”
Dove “spirito” sta per “SPIRITO!” "
Arrington De Dyoniso, 2011
CLAUDIO MILANO - a short biography
A seven-octave vocal range singer, composer and music-therapist, Claudio Milano studied both opera and modern singing, the piano and composition, at the same time attending seminars
about the use of the voice as an instrument. He has been carrying out a personal investigation about prevocalic sounds, vowel colours and the various approaches people from different countries and periods have used in their rituals. His aim is and has been to create a bridge between music, the theatre and visual arts, also thanks to his studies as an actor, as dancer (contact improvisation) and his qualification as scene designer. Being also the author and interpreter of music especially designed for the theatre, dance theatre, performaces, videoinstallations, he wrote the soundtracks for the opening session of the first Biennal Exhibition of Contemporary Music, held in Moscow, for the Italian show selected for the 5TH International Festival of the Experimental Theatre, held in the Slovakian Republic, for many installations around Europe, for the last Biennale of Contemporary Arts in Venezia. He recorded two solo albums: “L'urlo rubato” (2004) and “La stanza suona ciò che non vedo” (2006). He started the multi-media project NichelOdeon and recorded two albums: “Cinemanemico” (2008), “Il gioco del silenzio” (2010) and a DVD “Come sta Annie?” (2010). He was singer and composer for the albums “3juno” (2010) by Liir Bu Fer; “Lunapark” (2010) by 1605munro (with Robert Fripp and Takeshi Nishimoto); Pierrot Lunaire's TRE (with Arturo Stalteri) and “NEUMI – Cantus Volat Signa Manent – La musica che lascia il segno”, a project by Davide Riccio published as cd and book for the famous Italian publishing house Genesi Editrice. In January 2012 he will publish two albums of istant composing for voice and electronics, "Adython", with Erna Franssens, Attila Faravelli, Alfonso Santimone and Stefano Ferrian and "Aurelia Aurita" with the RADIATA 5tet. In 2012 he will publish too an album as InSonar with the cooperation of Marco Tuppo and over 50 historical musicians (including Elliott Sharp, Trey Gunn, Pat Mastellotto, Nik Turner, Ralph Carney, Dana Colley...) from all the world operating in different areas: rock, jazz, classical, avant garde, ethnic music, noise and electronics. He will be part also of a live album with some performances made with Ares Tavolazzi, Paolo Tofani & Walter Calloni (Area International Popular Group) and Vincenzo Zitello.
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