EVELINE’S
DUST – The Painkeeper
Lizard
Records
Genere:
New Prog
Supporto:
cd – 2016
Prosegue
imperterrito e senza sosta il numero delle band che in Italia suonano
Progressive Rock. Credo che oramai scrivere ancora che questo genere sia morto
o moribondo sia obsoleto e fuori da ogni realtà. Ma di quale tipo di Progressive
Rock si sta parlando? Il più gettonato è sempre quello dedito agli anni che
furono ma con uno sguardo anche al moderno. Nascono dei connubi spesso e volentieri
che hanno da dire cose interessantissime, equilibrando tecnica a melodie. King
Crimson, Pink Floyd, Banco Del Mutuo Soccorso, Genesis, IQ, Arena, Pallas ed altro, vanno ad infondersi con il Prog
moderno di Steven Wilson e Porcupine Tree, questo accade anche nel sound dei
pisani Eveline’s Dust.
La
band formata da Lorenzo Gherarducci (chitarra), Nicola Pedreschi (tastiere,
voce), Marco Carloni (basso) e Angelo Carmignani (batteria), con “The
Painkeeper” giunge alla seconda registrazione in studio dopo l’ep “Time
Changes” del 2013.Un album formato da nove canzoni e con un artwork simpatico,
fresco e giovane ad opera di Francesco Guarnaccia.
“The
Painkeeper” è un concept album cantato in inglese dedicato alla poesia “Il
Custode Dei Dolori” di Federico Vittori.
Il
disco si apre vigorosamente con l’intro “Awake”, breve ma efficacie, dove le
carte si mettono subito in tavola ed il linguaggio della band è già forte e
chiaro. Tastiere e chitarra in evidenza, ma anche una ritmica potente e pulita.
Si arriva a “The Painkeeper”, nel suo dna c’è tanto materiale, molto di quello
che ho già nominato prima, ma soprattutto buona personalità. Otto minuti fra
arpeggi e buon solo di chitarra elettrica. Giochi di voce ad aprire “NREM”,
strumentale si malinconico, ma dai squarci solari dettati dal suono caldo dell’ospite
al sax, Federico Avella.
Fanno
capolino i suoni nervosi dei King Crimson in “Clouds”, il tutto miscelato con i
Porcupine Tree ed ovviamente alla personalità degli Eveline’s Dust. Carolina
Paolicchi presta di tanto in tanto la sua voce per delle coralità, altra ospite
di riguardo nella riuscita dell’album.
“Joseph”
si apre con dei bellissimi arpeggi di chitarra per poi svilupparsi in un
delicato crescendo sonoro, nei suoi otto minuti inevitabili i cambi di tempo.
Questi sono i brani che un Prog fans vorrebbe ascoltare spesso. Un giro di
basso apre “A Tender Spark Of Unknow”, canzone dai risvolti anche Jazz che
comunque apre ad arie delicate, ancora una volta impreziosite dal sax soprano.
In “Vulnerable” è il piano a salire in cattedra ed il brano è connesso al
successivo “HCKT”, fra le composizioni più Prog dell’album nel vero senso del
termine. A sua volta giunge la conclusiva “We Wont Regret”, semi ballata dall’
ampio respiro grazie soprattutto agli interventi della chitarra elettrica.
Qui
signori miei, con “The Painkeeper” siamo a livelli alti e chi mi conosce sa che
quando dico questo, un fondo di verità c’è sempre. MS
Nessun commento:
Posta un commento