DAY SIX - The Grand Design
Lion Music
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd - 2010
Ecco un disco finalmente intrigante e ce lo fornisce una band all’esordio, gli olandesi Day Six. Che qualcosa in ambito Metal Prog stia cambiando? Si, sono convinto che Steven Wilson abbia fatto colpo anche in questo settore musicale. Basta ascoltare l’iniziale “Massive Glacial Wall” per capire quanto i Porcupine Tree siano alla base della conoscenza dei nostri. Una volta erano soprattutto i Dream Theater il punto di riferimento del genere, ora le coordinate stanno mutando e questo diciamo pure che vige nello stato naturale dell’evoluzione del Rock in generale.
Il quartetto in vita dal 2002, fornisce un disco dalla ragguardevole durata di settantadue minuti. Le tracce ottimamente incise sono nove e tutte di medio- lunga durata.
Ci saranno recensori che accosteranno la band ai Riverside, questo è inevitabile, io a loro prediligo questi Day Six, perché hanno nelle vene il DNA di una cultura musicale decisamente più ampia. Aleggiano partiture Hard Rock modello anni ’70 nei grevi riff di “Massive Glacial Wall”, esaltate dall’ottima prestazione vocale e molto interpretativa del chitarrista vocalist Robbie Van Stiphout. L’assolo di chitarra nel centro del brano, farà la gioia di tutti coloro che respirano Pink Floyd dalla mattina alla sera. Gilmour è in cattedra, quello di “Comfortubly Numb” tanto per intenderci. Direte voi, a questo punto cosa c’entra il Metal? Malgrado la dolcezza e la malinconia delle melodie, le chitarre elettriche disegnano sempre strutture distorte. Sottolineo anche il bell’intervento del sax dello special guest Eric Berkers.
Come in tutte le band di Metal Prog, la ritmica è ottima, così che Daan Liebregts (batteria) e Nick Verstappen (basso) si intendono alla perfezione. Fondamentale l’apporto delle tastiere di Dolf Van Heugten.
“Castel Gandolfo” (chissà poi perché questo titolo) sembra uscire da un disco dei connazionali Ayreon, sicuramente un loro punto di riferimento, Lucassen docet. Altro brano spettacolare è “Inside”, suite di quasi diciassette minuti dove si incontrano numerose influenze, a testimonianza di quanto dicevo in precedenza riguardo la cultura della band, tanto per dire qui ci sono anche i Queensryche di Geoff Tate. Crescendo sonori e cambi umorali sono il piatto forte di “The Grand Design”, un labirinto nel quale è un piacere perdersi. Effetti speciali ed elettronica a volte fanno da guarnizione ai pezzi, come nell’inizio di “Fergus Falls”.
C’è anche una ballata toccante, “A Soul’s Documentary”, un frangente che spezza l’ascolto e fa chiudere gli occhi per un viaggio fantasioso fra le soavi note. Medesima sorte per la conclusiva “In The End”, la quale potrebbe benissimo uscire da “Signify” dei Porcupine Tree.
Questi quattro ragazzi hanno tutte le carte in regola per poter vivere di musica, ora sta a loro trovare un binario preciso dove correre. Noi li aspettiamo con piacere alla prova successiva, non dimentichiamo che questo è comunque un esordio….e che esordio! Consigliato.
(MS)
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