THE
WORM OUROBOROS – Endless Way From You
Lizard Records
Genere: Progressive Rock/ Scuola Di
Canterbury
Supporto: cd – 2019
Un
altro bel colpo assestato dalla nostrana Lizard Records è quello di avere annoverato
nelle file della propria scuderia i bielorussi The Worm Ouroboros. Si formano nel
2006 a Minsk combinando nella loro musica la Scena di Canterbury (Camel,
Caravan, etc.) alla musica Folk. Sono bravi arrangiatori e fra le note scaturiscono
melodie accuratamente orecchiabili che riescono ad accumunare molti amanti
della musica anche di differenti generi. Non disdegnano passaggi neppure nel
classico.
Esordiscono
discograficamente nel 2013 (dopo due demo ep) come quartetto con Sergey
Gvozdyukevich (tastiere, chitarra, flauto, basso, voce), Vladimir Sobolevsky (chitarra),
Alexey Zapolsky (basso) e Eugene Zarkhin (batteria) con l’album “Of Things That
Never Were” (Fading Records). Il gruppo tuttavia si regge attorno alle figure
di Gvozdyukevich e Sobolevsky, i quali dopo sei anni ritornano in studio questa
volta in formazione trio con un nuovo batterista, Mikhail Kinchin. Il risultato
è “Endless Way From You”.
Il
disco si presenta in una veste cartonata molto semplice e dal color pastello,
perfetto specchio per la musica proposta. Nove le tracce ad iniziare dalla mini
suite di quattordici minuti “Cycles”, strumentale elegante e raffinato. Il
flauto (questa volta non alla Jethro Tull) e la chitarra acustica aprono ad uno
scenario decisamente solare e rilassato e ci si trova a volteggiare con la
fantasia in alto come dei droni che riprendono il panorama sottostante. Una
musica semplice che sa però dove andare a parare, mi ricorda molto “Flower In
Asphalt” dei tedeschi Rousseau ed ovviamente i già citati Caravan e Camel.
L’inizio
pianistico di “Clouds To Owings Mills potrebbe benissimo risiedere in “Uomo Di
Pezza” oppure in “Storia O Leggenda” delle nostrane Orme. Un mellotron dona
ancora più fascino vintage all’ascolto. La musica cresce di intensità per poi
ricalare in un sentiero fresco e boscoso disegnato dal suono del flauto. E’ la
chitarra elettrica ad alzare ulteriormente i toni, degno finale per un brano
che a mio gusto è fra i migliori dell’album.
“Stone
And Lydia” ha un ritmo maggiore ed una struttura più semplice rispetto a quanto
abbiamo ascoltato sino ad ora. Segue “Quest Of The Kingfisher”, qui si
aggiungono anche i timpani di Alexandra Gankova, la quale suona anche il
vibrafono nella successiva “Muralidaran”, canzone sostenuta soprattutto dalle
note del flauto.
Sino
ad ora ho parlato di brani esclusivamente strumentali, in “Ascension” invece si
può ascoltare la voce di Sergey Gvozdyukevich.
“The Reality You Can’t Stop Dreaming” è la seconda ed interessante mini suite
che si apre con il fagotto dell’ospite Vitaly Appow, inutile dire che si
articola in cambi di tempo e di umore. “The Whistler Shrill” è il secondo ed
ultimo brano dove si può ascoltare la voce di Gvozdyukevich, qui grazie ad una
strumentazione classica, si può godere di interessanti innesti di generi, lo
xilofono, l’oboe ed il fagotto sono gli artefici di questo aggiunto fascino.
Il
disco si chiude con il brano più breve dell’album con i suoi quattro minuti dal
titolo “Tràigh Bheasdaire”, fra il suono delle onde che si infrangono sulla
spiaggia e un giro di tastiere ipnotico e quasi psichedelico.
La semplicità è un arma che appaga sempre, i
bielorussi lo sanno è lo mettono in pratica, pur essendo degli ottimi
strumentisti dotati di una buonissima tecnica strumentale, non si lasciano
travolgere da inutili orpelli sonori. Un disco che mette semplicemente l’anima
in serenità. MS
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