STEALTH – Shores Of
Hope
Autoproduzione
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2013
L’esempio dei ferraresi Stealth può calzare a pennello
nell’esprimere al meglio il problema annoso, e credo a mio modesto parere anche
irrisolvibile, dell’esterofilia italiana. Non è forse vero che nell’Hard Rock (e
non solo) se un prodotto è straniero diviene concettualmente ed ipoteticamente
più appetibile per un acquirente italiano? Se così non è, non capisco questo
squilibrio di vendite, o meglio ne trarrei le conclusioni che noi italiani non
sappiamo suonare questo genere. Ma in verità così non è, qui ne avete un
esempio lampante. E si… perché “Shores Of Hope” è un disco accattivante, sporco
e stradaiolo, con un pregio non trascurabile: l’eterogeneità.
Si formano nel 2007 da un idea del chitarrista Luca Occhi e
nel 2012 producono un ep dal titolo “ Echoes From A Dark Lake Brideg”, qui in
questo disco d’esordio presente nella sua totalità.
Completano la band Enrico Ghirelli (voce), Matia Catozzi
(chitarra), Andrea Rambelli (basso) e Marcello Danieli (batteria).
“Guns! Guns! Guns!” apre con energia e come una retta unisce
senza diversivi di rotta, i punti groove ed adrenalina. La situazione si ripete
in maniera più rilevante in “The Border”, grazie a degli assolo strumentali,
semplici e Rock, maledettamente Rock. Il ritmo rallenta con “Ozone Fades”, non
la tensione che resta alta, sporcata da una pennellata di oscurità Sabbatiana.
Quando dicevo di eterogeneità, mi riferivo anche ai momenti più pacati
alternati a questi più vigorosi, come accade in “Godspeed” o in “Black Century”.
Uno dei riff più interessanti e godibili lo si ascolta in “Nuclear Warfare”,
canzone che riesce a restare impressa nella mente.
Si respira aria Metal degli anni ’80, non marcatamente ma
necessariamente ingrediente di un contesto che nell’insieme funziona. Uno di
questi ingredienti è l’epicità che si estrapola anche all’ascolto di “Pharaoh”.
In conclusione “Shores Of Hope” è un disco di onesto Hard
Rock, senza forzature, con buone vibrazioni ed altrettante energie. Di certo
non un must, ma dimostratore di buona salute per un genere che, alla faccia dei
corvi, non muore mai. Ed io con loro resto nel paradiso conclusivo di “My
Heaven”. (MS)
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