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lunedì 28 dicembre 2020

Buon 2021

 BUON 2021 e grazie a tutti voi!



Video di Cucchi Carla

martedì 15 dicembre 2020

Anandammide

 

ANANDAMMIDE – Earthly Paradise        
Lizard Records
Genere: Psichedelia Folk/Progressive Rock
Supporto: cd – 2020




C’è un album del 2003 che ricordo con estremo piacere e che ascolto ancora oggi di tanto in tanto, si intitola “Thirteen Tolls At Noon” (Lizard) ed è della band italiana Floating State. Non mi sono mai spiegato perché dopo un così interessante e ben fatto debutto, una band del genere non abbia proseguito il cammino. Stupito si ma non più di tanto, il mondo Prog è pieno di ottime band che rilasciano nel corso della loro esistenza un solo album, questo accade già a partire dagli anni ’70.
Nei Floating State al microfono c’è Michele Moschini e con piacere lo ritrovo oggi grazie alla Lizard Records autore di questo nuovo progetto internazionale denominato Anandammide. Il nome così complesso sta a definire un tipo di droga endocannabinoide recentemente scoperta nel 1992 nel laboratorio di Raphael Mechoulam dell’Università di Gerusalemme.
Il progetto getta le basi nel lontano 2007, ma vede prendere forma concreta nel 2017 quando a Moschini si aggrega il bassista britannico Owen Thomas. Per realizzare “Earthly Paradise“, il polistrumentista di Bari si circonda di artisti come Adrien Legendre (violoncello), Audrey Moreau (flauto), Stella Ramsden (violino, voce) e Pascal Vernin (basso). La musica proposta aleggia fra la psichedelia ed il Folk, con annesse influenze progressive.
Il disco si apre con un intro acustico folcloristico dal sapore antico e la voce narrante di Stella Ramsden intitolato “Singer Of An Empty Day” per passare subito alla title track “Earthly Paradise”. Atmosfere pacate  fanno sognare e ricordare i tempi di Simon & Garfunkel, il violoncello apporta all’insieme profondità mentre i fiati donano ventate di freschezza bucolica. Per chi li conoscesse dico che siamo ai livelli dei canadesi Harmonium, band culto del genere Prog Folk anni ’70.
“Lady Of The Canyon” si apre con arpeggi di chitarra acustica, la voce è sognante e soave, supportata da coralità che conducono l’ascolto verso mondi color pastello. Tutto il cantato è in lingua inglese.
Violoncello per “Porsmork”, ballata medioevale che nel proseguo lascia spazio alla bella voce di Moschini, il tutto sempre in maniera pacata e composta. Il mondo acustico prosegue con la breve “Anandi”, un piccolo riferimento a quello di Syd Barrett, qui il tempo sembra essersi fermato alla fine degli anni ’60. “Electric Troubadour” è decisamente english, lande verdi si stagliano all’ascolto fra flauti, violoncelli, chitarre e percussioni sempre pacate. In “Pilgrims Of Hope” la strumentazione cambia, questa volta fanno capolino anche le tastiere, ma non la sostanza.
“Satori In Paris” è un altro tassello Barrettiano e guarda caso il brano a seguire si intitola proprio “Syd”. “Iktsuarpok” e la conclusiva “Colette The Witch” suggellano il disco con tutti gli ingredienti descritti sino ad ora.
Un lavoro che non lascia spazio a schitarrate elettriche, a rullate di tamburi, bensì un magico tappeto volante su cui sdraiarsi e farsi trasportare in luoghi col
orati ricchi di pace ed amore, il tutto senza l’ausilio del  tempo. MS




sabato 12 dicembre 2020

Fabrizio Tavernelli

 

FABRIZIO TAVERNELLI – Homo Distopiens
Lo Scafandro
Genere: Cantautore - Alternative
Supporto: cd – 2020




Nel 2020 è difficile imbattersi con un cantautore, ce ne sono diversi direte voi ed è vero, ma sempre molto pochi rispetto a decine di anni fa. Non passano quasi mai per radio meno che meno in tv, al limite propongono sempre i soliti noti. Eppure sotto nell’underground c’è sempre fermento, basta cercare.
Fabrizio Tavernelli tuttavia non è assolutamente un nome nuovo nel campo musicale, anzi è  radicato nel tempo, inizia la carriera artistica negli anni ’80 con la band  En Manque D’Autre per poi passare negli Acid Folk Alleanza per tutti gli anni ’90. Ma ciò che lo rende più noto è la carriera solista composta da cinque album che intingono anche nel Rock alternativo.
Sagace, profondo, lungimirante, arguto, molti gli aggettivi che si addicono all’artista di Coreggio, la sua musica è importante in maniera equiparata ai testi, vera arma a sua disposizione. In questo ultimo lavoro intitolato “Homo Distopiens” si narra proprio dell’ ultima categoria umana, dopo l’uomo sapiens ecco giungere l’ultimo anello della nostra esistenza, ma forse proprio l’ultimo, ultimo! Dopo l’era della pietra, del bronzo, del ferro etc. oggi siamo in quella della plastica. L’uomo si autoinfligge guerre, inquinamento e chi più ne ha più ne metta, costringendolo probabilmente (ma questo vale soltanto per chi ha la possibilità economica) a fuggire dalla terra. Qui in questo pianeta resteranno probabilmente soltanto robot e creature che si sono adattate ai cambiamenti sia climatici che virali, oltre i virus stessi.
Tutto questo scenario è raccontato nel lavoro suddiviso in dodici brani contenuti in una elegante ed esaustiva edizione cartonata. Il disco si apre con un brano di oltre sei minuti del quale l’autore ne trae anche un video e si intitola “Cose Sull’Orlo”. La pacatezza dei suoni avvolti in una magica sfera psichedelica e la bella voce rilassata di Fabrizio, fanno contrasto con la durezza dei testi, una  drammatica narrazione di cose ed animali sull’orlo della loro estinzione. Certe chitarre sostenute e  tappeti tastieristici ricordano alcuni lavori di Steven Wilson. Sale il ritmo con “Distopia Muscolare” e prosegue l’apocalisse umana, uno scenario terrestre davvero desolato, un suggerimento dell’artista è quello di “…andarsene da questo mondo che ormai muore”. “Con Tormentoni E Tormenti” il suono è adagiato nell’elettronica Post Punk, la ricerca sonora è palese e nel dna di Tavernelli. Gli anni ’80 inoltrati sono presenti, e nella mia mente sopraggiungono frammenti di artisti passati come i nostrani Krisma.
Ritornano i suoni pacati in “Lune Cinesi”, buoni gli arrangiamenti anche per il gioco corale degli eco vocali. La melodia la fa da padrona, il gusto per l’armonia è marcato nella musica di Tavernelli. Chitarra acustica in apertura per “Spire”, brano ancora una volta avvolto nella Psichedelia, qui a tratti si hanno reminiscenze di Daniele Silvestri. Intrigante ed estroverso, è quasi un ossimoro fra musica e parole per un risultato affascinante, anche nel finale arabeggiante. Un coro di voci, quelle del Coro della Cappella Musicale San Francesco da Paola di Reggio Emilia diretto da Silvia Perucchetti, ci aprono un brano davvero profondo e magico, “Oumuamua”. La voce sussurrata e recitante spinge l’ascoltatore in uno scenario quasi cinematografico, mentre la tromba ha la capacità di addentrarci nel mondo magico di Ennio Moricone. Questo è uno dei brani più sperimentali e ricercati dell’album, davvero molto interessante. Ritorna il pessimismo cosmico in  “Il Mondo Senza Di Noi” altra analisi di un mondo privo di umanità. Il cantautore si apre introspettivamente all’ascoltatore nel brano “Secondo Fine”, mettendo a nudo alcuni lati del suo carattere, il tutto su una musica malinconica e ottimamente arrangiata grazie soprattutto all’uso della viola di Osvaldo Loi.
Sensazioni maggiormente grevi sopraggiungono in “L’Uccello Giardiniere”, cadenzata e lenta rappresentazione sonora di classe. A seguire la canzone “Pessimismo Co(s)mico” è più allegra, ma non per il testo e nuovamente Silvestri aleggia nell’aria. Torna la sperimentazione in “Ruscarola”,cantata in dialetto emiliano, qui la ricerca e la voglia di osare è palese,  mentre “Bargigli E Pappagorge” parla della vecchiaia in maniera graffiante e ruvida. Degno finale di un disco che ci ha vomitato addosso tutto il disagio umano, il pessimismo cosmico e solo a tratti piccoli spiragli di sole.
La musica di Fabrizio Tavernelli fa riflettere, un cantautore sempre attento al sociale e all’apertura mentale, questo fa di lui un artista non soltanto preparato, ma intelligente. Ascoltate perché ve lo consiglio. MS