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mercoledì 24 agosto 2022

Wired Ways

WIRED WAYS – Wired Ways
Waterfall Records
Distribuzione: Broken Silence – The Orchard
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd – 2022




Ascoltare un disco del genere nel 2022 è quantomeno un toccasana, almeno per me che ho vissuto gli anni ’60 e ’70 nel loro splendore, fa davvero bene all’anima e alla mente. I tedeschi Wired Wise capitanati da Richard Schaeffer e Dennis Rux hanno costruito un ensemble quantomeno numeroso, composto di ben quaranta musicisti per regalare al pubblico quasi quarantacinque minuti di musica a cavallo fra le date citate.
Sicuramente i primi nomi che vi verranno in mente saranno i Beatles, e fin qui ci siamo, il quartetto di Liverpool, in effetti, straborda da ogni nota, ma esistono anche coralità alla Queen, Psichedelia e mille altre sorprese che andiamo a incontrare nelle nove tracce che compongono il disco che si troverà in commercio dal 9 settembre 2022, sia in formato fisico sia su Bandcamp.com o Spotify. Intanto la lista dei musicisti è la seguente:
Jean-Michael Brinksmeier – Voce
Richard Schaeffer – Voce, Tubular Bells, Glockenspiel, Shaker, Tamburello, Ching Zills, Basso elettrico, Chitarra elettrica, Chitarra elettrica a 12 corde, Sitar, Fender Rhodes, Hammond Organ, Celesta, Sintetizzatori, Tanpura elettronico, Flauto dolce, Effetti vocali
Thunder Sheet, Wind Machine, Tamburello, Gong grande
Andreas Oelker – Timpani
Rocco Rossbach – Congas, Bongo, Shaker, Tamburello, Vibraslap, Cowbell
Ravi Srinivasan – Tablas, Koshi Chimes
Axel Schäfer – Basso elettrico, Pump Organ, Celesta
Jan Stolterfoht – Chitarra elettrica, Chitarra elettrica a 12 corde, Chitarra acustica occidentale
Horst Lietz – Chitarra elettrica, Chitarra elettrica a 12 corde, Chitarra acustica occidentale, Nylon acustico Chitarra, Chitarra Acustica Western a 12 Corde
Davide Russo – Chitarra Acustica Western
Arne Reichelt – Violoncello
Friedrich Paravicini – Violoncello
Winnie Kübart – Viola
Matthias Kübart – Viola, Violino
Ricada Sybille Borman – Violino
Stefanie Hölk – Violino
Lê Mạnh Hùng – Monochord Zucca Liuto, Bamboo Flauto
Trần Phương Hoa – Cetra spennata
Dàn Nhạc Hà Nội – Cetra spennata
Rainer Oleak – Pianoforte, Mellotron
Sebastian Düwelt – Pianoforte a coda, organo Hammond, Organ Bass, Clavinet
Chris Haertel – Wurlitzer, Hohner Electra
Rainer Scharf – Organo da chiesa, Clavicembalo
Matthias Trippner – Yamaha Electrone
Lisa Maria Schaeffer – Ghironda, Baby Talk, Risate, Conteggio, Bye-bye & Gibberish Singing
Tom Lang – Celesta
Andreas Günther – Vermona Synth, Siel Orchestra, Theremin
Martin Zitzmann – Poly Moog
Joel Sarakula – Synths
Jonas Pietsch – Tromba
Paul Santner – Flicorno
Max Hering – Sassofono Tenore
Michael Götte – Trombone
Oliver Fox – Piccolo Flauto, Flauto da Concerto, Clarinetto
Yael Falik – Fagotto
David John Jaggs – Scouse Phone Call
Paul Herron – Ticket Tally Man
Dirk Sackhoff – Car Sounds
Udo Geist – Car Sounds
Michael Schönfeld – Corgoň
Da rilevare l’incisione sonora analogica che bene sposa con tutti gli stili, riuscendo nella difficile impresa di non essere né troppo vintage e neppure eccessivamente moderna, davvero un valore aggiunto all’ascolto. Non da meno lo splendido artwork per opera del disegnatore “progressivo” Frank Grabowski in edizione cartonata, contenente all’interno un libretto di dodici pagine, testi e dipinti.
Beatles in cattedra sin dal primo brano “Ticket Tally Man”, fra orchestra e ritmo cadenzato alla “Magical Mystery Tour”, la voce è pulita in stile Paul Mc Cartney, ed ecco la prima sorpresa a metà del brano, il coro in stile Queen a valorizzare al massimo il brano.
Con “Peacock On The Highway” arriva la Psichedelia di fine anni ’60, la formula canzone è rispettata alternando la melodia ruffiana a un riff semplice e diretto dove il ritornello ovviamente risulta essere il piatto forte e semplice da memorizzare.
“Lazy Daisy” è uno dei miei preferiti, si apre con un lento piano, voce e violoncello per poi aprirsi come un brano Prog, in effetti riscontro influenze Spock’s Beard. Mi sciolgo davanti all’assolo finale di chitarra, da buon vecchio nostalgico ovviamente. Una locomotiva che sbuffa ci accompagna verso “Hànội Tramway”, canzone world, ariosa, rispettosa del folclore vietnamita. I testi delle canzoni dei Wired Ways non sono poi semplici e scontati, trattano differenti argomenti come il trasferimento, la comunicazione, la connettività, la separazione e il lasciarsi andare.
Un passo negli anni ’40 e ’50 con “Mosquitoes”, anche se nel corso dell’evolversi il brano ogni tanto cambia di direzione, qui si evince la componente Prog (e The Moody Blues). Bello l’intervento del flauto.
“Perpetuum Mobile” inizia con il sitar e sembra uscire da “Revolver”. Ottime le coralità, gli arrangiamenti sono il forte di questo lavoro. Altro brano di ottima fattura è “When The Doors Are Closed” che si apre con voce e chitarra acustica per poi colmare il suono con gli archi. Non so il perché ma mi ricorda qualcosa dei Porcupine Tree più melodici. A metà il brano procede con la ritmica e nuovi richiami al “Magical Mystery Tour”, una bella cavalcata nel tempo.
“Another Sad Man” possiede un giro di tastiere che farebbe sicuramente la gioia anche di Clive Nolan (Arena, Pendragon, etc), sognante e splendidamente interpretata dalla voce di Jean-Michael Brinksmeier, un piccolo salto nel Neo Prog. D’atmosfera la parte strumentale del brano. Il disco omonimo si chiude con “Planet 9”, semplicemente una chicca da non perdere!
Credetemi, “Wired Ways” bada al sodo con classe e fa stare bene, per me è una finestra aperta in una stanza dall’aria consumata.
Ai collezionisti dico che esiste anche l’edizione vinilica. MS







sabato 20 agosto 2022

Giorgio Pinardi

GIORGIO PINARDI – MeVsMyself “Aion”
Alterjinga /Panidea Studios
Genere: Sperimentale – solo voce
Supporto: file – 2022




Oramai chi segue le mie recensioni sa bene che solitamente non vado alla ricerca di musica banale o convenzionale, al riguardo esistono già migliaia di siti e giornali che ne decantano le qualità più o meno elevate. Io amo la musica che fa pensare, quella da ascoltare, e magari anche non da capire all’istante o per niente. Amo stupirmi, le emozioni sono il propellente della vita, ecco quindi che vado a scovare artisti che fanno della musica anche un sentiero al buio, dove ci s’incammina, ma non si sa dove e quando si potrà uscire. Se andiamo a parlare poi di chi sperimenta con la voce, qui la lista diventa molto lunga, per gli italiani posso nominare alcuni come Demetrio Stratos, John De Leo, Gianni Venturi, Claudio Milano (Nikelodeon), Romina Daniele e proprio Giorgio Pinardi. Il cantante milanese ha alle spalle un Cv artistico davvero sterminato, tanto che per darvi tutte le dovute delucidazioni preferisco rimandarvi all’indirizzo  http://alterjinga.it/giorgio-pinardi/ .
Vengo subito all’album “MeVsMyself - Aion”, composto di nove tracce che si spartiscono stili come il Jazz, la World Music e la musica moderna in senso generale. Nei quaranta minuti si hanno numerose virate stilistiche e idee molte delle quali scaturite anche dall’improvvisazione. La registrazione nei Panidea Studios di Paolo Novelli (engineer e co-arrangiatore dell'intero disco) ad Alessandria è ottima, un evidenziatore per lo stile di Pinardi.
Nell’iniziale “Yielbongura” l’Africa è tangibile (tribù Dagara), presente attraverso la grande spiritualità trattata, le voci si fondono bene nel contesto presentandoci immediatamente un Pinardi a proprio agio. Un bell’effetto stereo che in cuffia aumenta di molto il piacere all’ascolto.
La voce che diventa strumento in “Sgriob”, non solo per il canto, Bobby McFerrin ha insegnato e l’artista ha assimilato il concetto.
Sorprendenti le numerose scelte di approccio alla musicalità, fra il serio e il faceto ad esempio “Hyggelig”, divertente ma allo stesso tempo molto curata negli arrangiamenti. Bella la fase centrale del brano che spezza l’ascolto.
Non ci si perde in polifonie, piuttosto l’album in sola voce cura la parte melodica e chiamiamola così quella strumentale, qui mi riferisco anche alla jazzata “Leys”.
Molto ritmata la scivolosa “Waldeinsamkeit”, sinuosa colma di sonorità ancora una volta ben distribuite nell’effetto stereo ed eco.
Sperimentale “RWTY” dura in maniera quasi metallica e per giunta anche psichedelica, a testimonianza della poliedricità di Pinardi, non a caso poi il pezzo ritorna nelle sonorità africane. Mi piace il fatto che non faccia mai il passo più lungo della gamba, ossia tutto quello che è creato con le corde vocali, non sono mai soluzioni forzate bensì rientrano dentro i range delle sue possibilità. 
Molto armoniosa “Kamtar”, gli arrangiamenti sono il piatto forte, un grande lavoro dietro questo disco che non so se definire concept.
I crescendo musicali funzionano sempre, anche in un brano come “aPHaSÌ” il concetto non cambia, giocoso e ipnotico. La conclusiva “Nèkya” è come una tela piena di colori, dove Pinardi si è divertito a schizzare con il pennello.
Credere nell’arte è per pochi, creare poi sperimentando è una cerchia più ristretta, eppure l’evoluzione passa proprio attraverso la trasgressione della regola, e qui ci siamo. MS


The Black Noodle Project

THE BLACK NOODLE PROJECT – When The Stars Align, It Will Be Time…
Progressive Promotion Records
Distribuzione Italiana: G.T. Music
Genere: Psychedelic/Space Rock
Supporto: cd – 2022





Sono più di venti anni che la scena alternativa francese si avvale del contributo della band The Black Noodle Project. Tre EP, nove album in studio e un live sono il bottino realizzato durante la carriera Gli album sono tutti mediamente apprezzati dalla critica, e anche da molto del pubblico progressivo, quello maggiormente aperto di vedute e non timoroso di viaggi che sconfinano a tratti anche nella Psichedelia. Personalmente ho avuto già modo di tessere le loro lodi, il mutamento stilistico che anche con il precedente “Code 2.0” (Progressive Promotion Records – 2020) hanno palesato, porta i The Black Noodle Project verso un sound riflessivo e malinconico, territorio di gruppi come Opeth e Anathema tanto per intenderci. Ed eccoci nel 2022 con questo nuovo “When The Stars Align, It Will Be Time…”, quaranta minuti di musica suddivisa in sei tracce.
Le illustrazioni di Sandrine Replat sposano bene le atmosfere della musica, cupe come l’album “Eleonore” del 2008. Buona anche la qualità sonora adatta per un attento ascolto in cuffia con gli strumenti ben distinti e puliti.
Nel frattempo è mutata la formazione, il leader Sébastien Bourdeix (chitarra, tastiere, basso, voce), questa volta si coadiuva della professionalità di Sab Elvenia (voce) e di Tommy Rizzitelli (batteria), oltre che della collaborazione dello special guest Charlot Riviero (violoncello).
Buio sin dalle prime note di “Welcome To Hell”, un riff greve alla Black Sabbath introduce il pezzo testimoniando immediatamente che non servono soluzioni complesse per creare una giusta atmosfera. Le chitarre sono l’epicentro del motivo e l’assolo finale dona al tutto un significato rilevante.
“Black Moment” narra di situazioni personali non raccomandabili, di tristezza, eppure nonostante tutto nella musica fuoriescono squarci di sereno sia grazie alla voce di Elvenia che per l’immancabile assolo di chitarra che farà la gioia sicuramente di chi ama i suoni alla Porcupine Tree, piano annesso.
“Give Us Hope” intercede con la malinconia, altro tassello del DNA dei The Black Noodle Project. I suoni sono nuovamente semplici ed emozionano mentre l’ascolto scorre via fluidamente grazie ai cambi di tempo. Ancora Porcupine Tree nell’’inizio arpeggiato di “Time”, bel motivo ricco di enfasi. “Stormy Weather” è orecchiabile rispetto quanto ascoltato sino ad ora, gli arrangiamenti lo portano a essere un brano molto vicino alla Psichedelia. D’atmosfera le coralità di sottofondo con le chitarre sempre in cattedra. A concludere c’è “Behind The Light”, il brano più lungo dell’album grazie ai quasi nove minuti di durata, per chi vi scrive, è anche quello più apprezzato con capatine leggere nel Metal Progressive, oltre che interventi di elettronica al sostegno delle arie.
I The Black Noodle Project hanno realizzato un disco a cavallo fra luce e buio, come loro caratteristica, all’insegna della semplicità ma non della banalità. Si bada alla sostanza e ci si riesce, come nel solo finale del disco, fra Pink Floyd e Anathema. Consigliato agli amanti delle band citate. MS






lunedì 15 agosto 2022

Garybaldi

GARYBALDI  - Nuda
CGD
Genere: Progressive Rock
Supporto: lp - 1972




La Liguria ha dato tantissime band al Rock Italiano degli anni ’70, dai New Trolls ai Latte e Miele, Delirium, Ibis, JET, Nuova Idea, Osage Tribe, Picchio Dal Pozzo e Tritons, tanto per fare alcuni nomi. I Garybaldi sono la band del carismatico chitarrista Bambi Fossati, artista dedito alle sonorità di J. Hendrix. In precedenza ha frequentato i Gleemen, altra band che si adopera nel 1970 a cavallo fra il Beat e le cover dei Beatles. Di loro si può reperire l’album “Gleemen”, dove il quartetto si alterna fra Blues e Rock Psichedelico, con un cantato da parte di Bambi, molto simile a quello di Hendrix. Nel 1971 c’è stato un momento in cui la band, a cavallo dei due nomi, ha avuto fra le fila il fratello Ivano Fossati, poi immediatamente dopo leader dei Delirium. I Garybaldi comprendono anche Angelo Traverso (basso), Maurizio Cassinelli (batteria) e Lio Marchi (tastiere).
Quando si parla di “Nuda” non può non venire alla mente la stupenda copertina disegnata da Guido Crepax, una vera icona per quegli anni, uno stile inconfondibile, fumettistico, ma di una sensualità esagerata (l’indimenticabile Valentina). Quella volta la copertina del LP non era solo gatefuld, ma si apriva addirittura in tre parti e mostrava a pieno la bellezza rappresentativa della donna.
Il disco è dannatamente Rock, con ovvi richiami al maestro chitarrista di Woodstock e delle citazioni a James Brown, a partire dall’ottima “Maya Desnuda”, dove la grinta della band mette alla luce una compattezza invidiabile, soprattutto per le band di quei tempi.
Non mancano frangenti sperimentali e psichedelici, tanto di moda e alternativi. Imponente la lunga suite del secondo lato, che occupa tutta la facciata e suddivisa in tre movimenti, dal titolo “Moretto Da Brescia”, è qui che la band riesce a dare il meglio di se, rendendo unico ed appetibile questo lavoro a tutti gli estimatori del genere, anche quelli di oggi.
L’anno successivo i Garybaldi tentano di bissare il successo di “Nuda” con “Astrolabio”, lavoro ancora più pretenzioso e Progressivo nel puro senso del termine, tuttavia io vi consiglio di comperare il primo, in quanto dalle note sgorga freschezza e voglia di musica, quella con la M maiuscola. (MS)


domenica 14 agosto 2022

Kaoll

KAOLL – Sob Os Olhos De Eva
Voiceprint Brasil / Red Clown
Genere: Virtuoso
Supporto: ep – 2017  




Il Brasile ha notoriamente un grande bacino di musica Progressive Rock e molto spesso di elevata qualità. Hanno saputo attingere bene alla fonte europea rielaborando il tutto spesso e volentieri con la loro personalità “colorata” e comunque sempre attenta alla storia originale. E’ anche il caso del progetto Kaoll, settetto formato da Bruno Moscatiello (chitarra), Yuri Garfunkel (flauto, viola caipira), Gabriel Catanzaro (Basso elettrico e acustico), Rodrigo Reatto (batteria), Janja Gomes (percussioni), Fabio Leandro (tastiere, piano) e Gabriel Costa (basso).
Per il gruppo di São Paulo “Sob Os Olhos De Eva” è il quarto lavoro in studio dopo “Kaoll 04” (2008 - Spanto Records/Sinewave), “Auto-Hipnose” (2010 - Baratos Afins) e “Odd” (2014 – Autoproduzione). I punti di riferimento sonori sono gli anni ’70 e il flauto molto spesso dona quel tocco di magia che bene conosciamo nel movimento Prog. Il disco è un concept ispirato da un libro dal titolo omonimo, dello scrittore e maestro di filosofia Renato Shimmi. L’ep è completamente strumentale, suddiviso in sei tracce che sono tante quante i capitoli del libro, sua vera e propria colonna sonora! Il libro affronta questioni importanti su come le vere rivoluzioni propongono atti trasgressivi, cambiamenti e progressi molteplici, si tratta di potere e di religione, argomenti sociali molto spesso toccati da scrittori e filosofi.
Ma prima di venire alla musica vorrei spendere anche due parole per un artwork importantissimo, dettagliato ed esaustivo nello spiegare le sorti del libro e della musica contenuta. In edizione cartonata apribile in tre parti, il libretto di accompagnamento è formato da ben dodici facciate.
La musica contenuta è fantastica per varietà e qualità, dal classico Prog anni ’70 al Jazz e al Folk. Davvero ampio il bacino di competenza degli artisti in questione, notevoli strumentisti oltre che compositori. Una musica che rapisce, destabilizza, aggredisce e accarezza, in essa ci sono tutti gli ingredienti che fanno felice un Prog fans degno di questo epiteto. Tanti i cambi di ritmo e di umore, pur trattandosi di musica strumentale, gli assolo non sono mai superflui o invasivi, giocano le loro carte al momento giusto. L’ep si apre e si chiude con frangenti psichedelici di Pinkfloydiana memoria, con tanto di bottleneck, insomma, una musica che potrei definire totale.
Come avrete avuto modo di capire, non parlo di una singola traccia come nel mio solito stile, ma di un insieme, un amalgama che non va frammentata ma ascoltata tutta di seguito. Il flauto è semplice da accostare a quello dei Jethro Tull, ma in realtà così non è, ha personalità propria, anche se attinge dal suono vintage. La chitarra gioca un ruolo importantissimo, sciolina assolo di gradevole fattura, sale in cattedra con arpeggi classici e accompagna quando deve, mentre la ritmica è precisa e, l’intesa basso/batteria funziona.
Peccato che venticinque minuti volano via come un respiro ma resta molto dell’ascolto, soprattutto la voglia di premere nuovamente il tasto “Play”.
 Ora mi riferisco agli addetti ai lavori europei: amici, dategli un ascolto e scoprirete qualcosa di notevolmente interessante per il campo Progressive Rock, segnatevi il nome Kaoll. MS




sabato 13 agosto 2022

Sideless

SIDELESS - Choose The Way
Autoproduzione
Genere: Metal Progressive
Supporto: Spotify – 2022




Il Metal e il Progressive Rock spesso hanno unito le proprie forze, anche se i due generi sembrano essere per loro natura apparentemente incompatibili.  L’esordio dei vicentini (e padovani) Sideless è una testimonianza della bontà di certi risultati al riguardo.
Francesco Marangoni è il tastierista e chitarrista della band Metal Indaco e assieme al fratello Alberto Marangoni (basso) iniziano a gettare le basi di questo progetto che si completa con l’innesto di Maurizio Gioli alla voce (Airhead e i Kronos) e Christian Camazzola alla batteria.
La componente Metal nei dieci brani contenuti in questo concept album è calmierata da fraseggi con il flauto e richiami al passato nobiliare del Rock. Trattasi dunque di concept, dove l’argomento intrapreso riguarda la dittatura in Nord Corea e ciò che ne deriva, attraverso le vicissitudini di due ragazzi, Ning e Tian.
L’album si apre con la strumentale “Strange Illusion” e le atmosfere richiamano subito il classico Metal Progressive nonostante un tentativo di addolcire da parte del flauto, un brano che potrebbe benissimo rappresentare l’essenza del genere perché in esso sono contenuti tutti gli ingredienti che lo compongono. L’ascolto dei singoli componenti di band come Pink Floyd e Prog italiano fa del loro bagaglio culturale un buono spunto di base sul quale costruire la struttura modernizzata delle composizioni. Ed ecco dunque che in canzoni come “Chains” s’interfacciano il passato e il presente, energia, rabbia e comunque classe.
“Without A Soul” ha un iniziale incedere graffiante successivamente spezzato dalla parte più acustica dei Sideless, posso tranquillamente accostare questo brano a moltissimi dei più noti Savatage, ottimo punto di riferimento focalizzato dai componenti.
La quindicenne Elena Xillo presta la voce in “Away”, canzone dalle tinte malinconiche al confine degli Anathema di metà carriera. Più progressiva nel senso vero del termine è “Majestic Dream”, qui s’intuisce la passione per il Prog italiano anni ’70. Si torna nel Metal in “Misstep”, così la voce si barcamena con successo fra fasi più ruvide e quelle maggiormente pulite. “The Show Is Over” è semplice, in netta media del genere in questione, mentre apprezzo un breve, ma sincero assolo di chitarra. In “Throwin' Treats” mostrano i muscoli, facendo richiami ai Queensryche di fine carriera.
Molto bella “Another Door” fra le mie preferite dell’intero concept, a concludere “The Last Shot”, canzone ricca di cambi umorali e di conseguenza di ritmo, dove fa capolino anche un Mellotron.
“Choose The Way “ è un lavoro onorevole senza troppi alti e bassi, magari avrei preferito qualche assolo più ficcante a staccare l’andamento dei brani che comunque godono tutti di buone melodie. Chi non ama l’innesto Metal e Progressive Rock ovviamente non cambierà idea dopo l’ascolto, ma chi è aperto agli innesti derivanti da altri generi troverà “Choose The Way” un buon tentativo di emozionare in maniera differente dal consueto.
Una curiosità, i quattro musicisti nel realizzare il concept non si sono mai incontrati tutti assieme, poteri della tecnologia moderna. MS






sabato 6 agosto 2022

Ryo Okumoto

RYO OKUMOTO – The Myth Of The Mostrophus
Inside Out
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Ricordo con piacevole nostalgia gli anni ’90, quando per l’ennesima volta il Prog rialza la testa grazie alla spinta di band come Landberk, Anglagard, Anekdoten, Echolyn e molte altre ancora fra queste gli americani Spock’s Beard del prolifico e poliedrico Neal Morse. La musica che propone è totale, ossia non soltanto richiami al passato, ma anche personalità, quella appunto del leader appena citato, immaginate di miscelare Genesis, Gentle Giant, Pink Floyd e Beatles, questi ultimi sono proprio la chiave dell’orecchiabilità delle composizioni. Ebbene molto del merito va anche al mastodontico lavoro alle tastiere del giapponese Ryo Okumoto, simpatico e allegro personaggio in ogni atteggiamento, e chi l’ha potuto apprezzare in azione in sede live sa cosa intendo.  Musica mastodontica, enfatica una vagonata di roba, con annessi cambi di tempo e di umore come spesso è obbligo fare nel Prog classico.
Ryo con questo ultimo disco intitolato “The Myth Of The Mostrophus” tocca a mio avviso l’apice della sua produzione personale non soltanto per la qualità delle sei canzoni, ma proprio per la maturità raggiunta con l’esperienza fatta tesoro negli anni e anche ai molti amici che lo accompagnano in questo viaggio, se ora vi elenco i nomi anche voi converrete sulla grandezza della realizzazione produttiva:
Dave Meros (Spock's Beard) (basso), Alan Morse (Spock's Beard) (chitarra), Nick D'Virgilio (Spocks Beard, Big Big Train) (batteria, voce), Jimmy Keegan (Spock's Beard) (voce), Ted Leonard (Spock's Beard, Transatlantic) (voce), Steve Hackett (ex-Genesis) (chitarra), Michael Whiteman (I Am The Manic Whale) (chitarra, voci), Michael Sadler (Saga, The ProgJect) (voce), Mike Keneally (Frank Zappa, Steve Vai, The ProgJect) (chitarra), Jonathan Mover (Joe Satriani, The ProgJect) (batteria, percussioni), Randy McStine (McStine & Minnemann, Lo-Fi Resistance, Porcupine Tree) (chitarra, voce), Marc Bonilla (ex-Glenn Hughes, ex-Keith Emerson, ex-Kevin Gilbert) (chitarra),
Doug Wimbish (Living Color, Tackhead) (basso), Mirko DeMaio (The Flower Kings) (batteria), Lyle Workman (Todd Rundgren) (chitarra), Raphael Weinroth-Browne (violoncello), Kevin Krohn (voce), Andy Suzuki (fiati in legno), Keiko Okumoto (voce), Toshihiro Nakanishi (violin), e Steve Billman (basso).
Stranamente manca proprio Neal Morse, presente invece nel precedente “Coming Through” del 2002. Con questo album Ryo raggiunge quota sei in studio. I tasti d’avorio si muovono alacremente sotto le dita del musicista, sempre con lo sguardo rivolto verso Wakeman, Emerson e Banks, di loro ha saputo cogliere non soltanto l’andamento tecnico ma lo spirito del divertimento, ossia il gettarsi anima e corpo a briglie sciolte proprio come il cuore comanda.
L’iniziale “Mirror Mirror” mette immediatamente sul tavolino tutte le carte del caso e presenta un andamento epico oltre che moderno. La successiva “Turning Point” la preferisco se non altro per il bel ritornello e gli assolo di chitarra che spezzano il tutto con  carattere ed enfasi.
Spudoratamente Genesis anni ’80 (chi ha detto Abacab?) è “The Watchmaker (Time on His Side) ” ma come ho detto in precedenza Ryo ama divertirsi e di conseguenza divertire, certe radici poi non si estirpano. In “Maximum Velocity” scorrono brividi sulla pelle, si passa dal lento a un assolo al fulmicotone in stile Spock’s Beard nel finale. “Chrysalis” inizia con un piano, flauto e un crescendo classico che sa il fatto suo (quando l’esperienza è palese), ma la stangata giunge proprio nel finale, la suite “The Myth Of The Mostrophus” include davvero tutta la vita dell’artista, questa è davvero un piccolo capolavoro di raffinata bellezza.
 La versione giapponese del disco contiene due brani aggiuntivi, “Waiting To Be Born” e “Sonny”.
Ora mi auspico solamente di non dover attendere altri venti anni prima di poter ascoltare un nuovo album di Ryo Okumoto, quasi impossibile per me e anche per lui, nel frattempo a tutto volume in sala, in auto e comunque dove vado, mi godo “The Myth Of The Mostrophus”, bel disco colmo di energia pulita! MS