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sabato 26 giugno 2021

Time Haven Club

TIME HAVEN CLUB – Gathered At Dusk
M.P. & Records
Distribuzione: G.T. MUSIC
Genere: Neo Prog
Supporto: cd – 2021





Non finirò mai di stupirmi sulla quantità di band italiane che suonano Rock Progressivo di buona fattura. Questo poi accade in un momento in cui tanti critici o semplici affezionati all’ascolto si lamentano del decadimento della musica o addirittura si auto confinano negli anni ’70 pensando che il mondo sia terminato li. No, il Prog è sempre andato avanti, evolvendo con i tempi e gli avvenimenti, questo possa piacere o meno ai fans di vecchia data. Non è vero che la qualità è decaduta, diciamo che negli anni ’70 la lavagna era ancora molto da scrivere, decisamente più pulita, oggi resta difficile inventarsi un qualcosa di nuovo per stupire ulteriormente.
Ma se andiamo ad analizzare, c’è necessariamente sempre il bisogno di eccellere o a volte basta realizzare semplicemente buona musica? La società di oggi ci insegna che basta poco per stare bene, è un mordi e fuggi che tuttavia non si addice al Progressive Rock che invece per antonomasia necessita di attenti ascolti. Potrei portare migliaia di esempi di Prog orecchiabile e non sperimentale, quello che alla fine ti fa canticchiare anche quando il brano è finito, in parole povere grazie a Dio nella musica c’è veramente di tutto e per tutti, dal complesso al semplice. Il Prog si è adeguato anche a questo.
Time Haven Club è un posto magico, dove fermarsi a riflettere è d’obbligo, questo è il significato del nome attribuitogli dalla band estrapolandolo da un racconto fantasy mai completato da Enzo “Jester” Somma  e Marcello Romeo. Qui il tempo è rappresentato da un vecchio con un grande cappello in testa. Il gruppo, si forma nel 2015 dalle ceneri della band Golconda (anche se negli anni ’90 vede già fare i primi passi) ed oggi è composto da Enzo Somma (chitarra, voce), Marcello Romeo (basso), Salvo Savatteri (chitarra), Gino Asero (tastiere) e Concetto Santonocito (batteria). Con loro le voci femminili nel disco sono di Valeria Ronsisvalle e Chiara Monaco. La band catanese compone negli anni materiale proprio, ma è solo nel 2017 che debutta con l’ep “Despite All This Darkness”, disco accolto molto bene sia dal pubblico che dalla critica. Nella propria musica i Time Haven Club mettono in pratica il sapere estrapolato dai gusti personali di ogni singolo componente, ecco l’imbatterci dunque in sonorità Pink Floyd oppure in quelle Genesis passando per Marillion, Mike Oldfield, Iron Maiden, Dream Theater e musica classica.
I testi trattati in “Gathered At Dusk” sono cantati in lingua inglese e parlano di battaglie introspettive contro i propri demoni, per raggiungere nel finale una rinascita dettata dalla nuova consapevolezza, tutto ciò suddiviso in otto tracce di medio e lunga durata come il Progressive Rock richiede.
I più arguti di voi e seguaci di questo genere già avranno dedotto viste le influenze musicali che variano dal Prog allo psichedelia e all’Hard Rock, alcune affinità con gruppi Neo Prog importanti come Pendragon ed Arena, in effetti all’ascolto le somiglianze che affiorano sono numerose. Veniamo dunque ai brani, il disco si apre con “Black Dot”,  il basso apre le porte dell’ascolto accompagnandoci dentro il muro sonoro dimostrante una band coesa e perfettamente oliata in ogni reparto. La voce di Enzo “Jester” Somma è romanziera degli eventi, duttile e malleabile a seconda delle esigenze del caso. In poco più di nove minuti si espongono tutte le caratteristiche sonore che il gruppo possiede e sono davvero molteplici. Ovviamente all’interno coesistono cambi di ritmo il tutto a favore della fluidità dell’ascolto. Le tastiere trascinano la band nel mondo Neo Prog a tutti gli effetti, in più personalmente gradisco molto l’assolo di chitarra e lo dico perché oggi sempre di più questo aspetto viene tralasciato da molti musicisti ed è un vero peccato perché qualifica il pezzo, è la classica ciliegina sulla torta per far si che ci sia un elemento in più da ricordare a fine ascolto.
“Dance Of Krample” ha un alone che si sposta sopra gli anni ’80 quando il Prog con insistenza e parsimonia tenta la strada della resurrezione. Ritmo sostenuto e come si dice in gergo calcistico “palla lunga e pedalare”. La prima mini suite di dodici minuti si intitola “Despite All This Darkness” proprio tratta dal loro ep, una gemma sonora che spazia in ogni lato della musica ed è impreziosita da un assolo di chitarra in pieno stile Pink Floyd.
Un tappeto di tastiere introduce “Untold Memories”, un mid tempo più scuro di quanto ascoltato sino ad ora, anche se nell’assolo di chitarra e successivamente in quello dei tasti d’avorio si può godere di squarci di sole.
Vengo ora al brano che ho apprezzato maggiormente, “Seas Of Prayer”, qui davvero in quasi sette minuti è racchiusa l’intera anima della band. La cadenza massiccia del sound in una sorta di caracollare motorio porta l’ascolto in ambienti Hard e psichedelici oltre che Neo Prog (chi ha detto Pendragon?).
Un piano apre “Almost Me”, canzone di cinque minuti e quindi più breve dell’intero album. Qui si può godere della voce di Valeria Ronsisvalle e di Chiara Monaco. All’ascolto mi ritornano in mente alcune ballate dei Queensryche e scusate se dico poco. Il ritmo ritorna a salire con “The White Page”, altro abito che cade a pennello in stile Time Haven Club mentre il disco si conclude con la seconda mini suite intitolata ”Gathered At Dusk”, altra vetrina per le doti tecniche della band, queste  però ci tengo a sottolinearlo, sono al servizio della melodia e non viceversa.
Questa volta voglio chiudere la recensione con le parole della band scritte all’interno del disco, esse sono migliori di quanto io possa dire:
 
La musica per noi è un traguardo lontano.
Le nostre teste pulsano doloranti fino a quando
Dal caos arriva la creazione,
pur sapendo che tutto andrà perduto.
Ma i fardelli diventano lievi.
Le chitarre sono asce, i tamburi
Sono cuori che pompano sangue,
i tasti d’avorio, fieri alfieri del libero arbitrio,
le voci, gole che urlano “Sono vivo”.
Restateci accanto, affinché questo non sia una “Vigilia della fine”,
vi ripagheremo, il tempo sarà clemente.
Esiliati, nel rifugio del tempo,
ritorneremo e ci incontreremo al crepuscolo. Ancora una volta”
 
E’ proprio così. Complimenti per l’esordio ufficiale ed ora resto in attesa di nuovi passi che sono sicuro porteranno in altri sentieri. Potere della musica dei Time Haven Club. MS
 





Il disco si può acquistare su G.T.MUSIC Distribution: https://www.gtmusic.it/it/compact-disc/4289-time-haven-club-gathered-at-dusk-cd-8001902100944.html

Nicola Alesini - Saro Cosentino

 

NICOLA ALESINI / SARO COSENTINO  – Cities
M.P. & Records
Distribuzione: G.T. MUSIC
Genere: Electronic, Jazz
Supporto: cd – 2021




Le caratteristiche che contraddistinguono la musica italiana sono ben note a tutti, la melodia che nasce dalla musica napoletana si districa nel tempo in una vera e propria carta d’identità che tutto il mondo ci invidia, sintetizzabile nei termini “mamma, sole, cuore, amore” come molto spesso amano etichettarci dall’estero. In realtà il nostro parterre artistico è ben più esteso, noi italiani siamo molto attenti alla creazione e quindi all’arte pura dettata anche dall’improvvisazione, arma che solo i grandi musicisti sanno mettere bene in pratica. Ma anche l’ascoltatore è predisposto ad accettare nuove sonorità o idee, basti solamente pensare che negli anni ’70 i successi di band sperimentali inglesi quale i Genesis o i Gentle Giant vengono raggiunti grazie all’acquisto dei dischi di noi italiani. Siamo sempre all’avanguardia nel saper accettare le novità e dimostriamo di saperle apprezzare e comprenderle.
La sperimentazione se poi è concatenata alla nostra mediterraneità porta a risultati che esulano dal linguaggio musicale comune. Credo che questo preambolo possa benissimo adattarsi a Nicola Alesini, sanremese amante dei strumenti a fiato, ricercatore di nuove sonorità ed amante del Jazz. La creatività negli anni si palesa in dischi come “Mediterranea” del 1988 realizzato in collaborazione con Andrea Alberti e Gianluca Taddei ed in altre forme artistiche come la danza, il teatro e la poesia.
Ma veniamo all’altro grande artista che contribuisce in ugual maniera alla creazione di “Cities”, ossia Saro Cosentino. Il polistrumentista nasce a Roma ma si trasferisce a Milano negli anni ’70 per suonare musica acustica della tradizione popolare nord-americana e Blues. Nel 1979 crea l’ensemble Saro Cosentino Entertainment Blues Band di cui fanno parte anche Fabio Treves e Maurizio Angeletti. Da qui anche per lui vale il discorso della passione sperimentale, tanto da portarlo a collaborare con il mai troppo compianto Franco Battiato. Ma i nomi degli artisti con cui ha lavorato sono davvero molteplici, Morgan, Milva, Alice, Mino Di Martino, Ivano Fossati, Peter Gabriel, Peter Hammill Tony Levin, Gavin Harrison e molti altri ancora. E poi dischi solisti e colonne sonore tanto per sottolineare la caratura del musicista quale è.
Per la realizzazione di “Cities” si avvalgono della collaborazione di Massimiliano Di Loreto, altro grande polistrumentista e batterista mentre la realizzazione è in mano a Vannuccio Zanella per M.P. & Records.
Più che tracce che compongono l’opera opterei per sensazioni, in quanto esse scaturiscono dalla visione di determinate città, vissute e visitate, ad ogni brano corrisponde dunque un luogo per un totale di sette frangenti sonori. Ed il disco inizia con “Genova (Per Carlo)” fra l’odore salmastro dei vicoli stretti che raccolgono un mix formato da fragranza di cucine, panni stesi e mare. Facile recepire questo stato di appartenenza, una quiete magica suggerita dai strumenti musicali trattati con delicatezza ed amore, quasi sfiorati per non urtare il quadro emotivo. Il sax è voce, le parole non servono, mentre il basso fa da spina dorsale supportando come un genitore pieno di esperienza il proprio figlio.
“Istanbul” ha un andamento simile ma leggermente orientaleggiante, leggiadro e quasi impalpabile.
“Lisbon” si affaccia sul mare, anche in questo caso le atmosfere di quiete vengono filtrate attraverso il sax di Alesini riportando alla mente i colori e la mediterraneità che ci accomuna. Viene naturale all’ascolto di socchiudere gli occhi.  Ma veniamo in Italia e più precisamente andiamo a  “Palermo” dove la musica acquisisce connotati che fanno tornare alla memoria antiche sigle di documentari o sceneggiati anni ’70. Ed ecco subentrare anche  la ritmica, lieve, educata, coadiuvata da altre percussioni il tutto ad impreziosire le atmosfere narrate. “Praga” ha un bellissimo andamento tracciato dalle linee di basso protagonista sino all’innesto del giro armonico delle chitarre, al solo di sax e della batteria sempre gentile e riguardosa dell’andamento proposto. Uno dei momenti più alti di “Cities” almeno per il gusto personale di chi vi scrive.
La capitale “Roma” è suonata come fosse vista di notte, quando le luci ed i colori prendono il sopravvento e la conclusiva “Venezia” fa l’occhiolino fra le calle. 

Una citazione di merito a OndemediE che si occupa dell'artwork, in esso foto suggestive impreziosite da citazioni poetiche come ad esempio quella di Italo Calvino tratto da Isidora: "All' uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio di una città".
Musica per staccare la spina dopo una settimana stressante, musica semplicemente per stare bene, da ascoltare, non da sentire. E reset sia. MS





Il disco si può acquistare su G.T.MUSIC Distribution: 

https://www.gtmusic.it/it/compact-disc/4307-nicola-alesini-saro-cosentino-cities-cd-8001902100951.html

 

venerdì 25 giugno 2021

Landberk

 LANBERK - il freddo del nord che riscalda

(Di Massimo Salari)


CHI SONO I LANDBERK

 


Si formano nel 1992 con Patric Helje (voce), Reine Fiske (chitarra), Stefan Dimle (basso), Simon Nordberg (tastiere) e Jonas Lidholm (batteria). Sono dediti ad un rock progressivo dal suono essenziale, quasi magnetico. Gli strumenti vengono appena sfiorati e raramente aggrediti. Mancano dunque lunghe suite nei loro dischi, mancano i cambi di tempo, ma in controparte hanno un carisma al di fuori della norma. C’è tristezza, religiosità, delicatezza nei brani, sin dall’iniziale cd d’esordio RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven). Il cantato in lingua madre non rende il disco molto fruibile, ma la musica ossessiva e delicata riesce ugualmente a cogliere l’animo di chi ascolta. Nello stesso anno i Landberk registrano nuovamente il disco con il canto in inglese ed il titolo è LONELY LAND  (1992 - The Laser Edge) logicamente per tentare di accalappiare l’attenzione di un pubblico più vasto. Le potenzialità a loro disposizione fuoriescono nel 1994, nel capolavoro ONE MAN TELL’S ANOTHER  (1994 - Megarock Records) eletto dalla critica disco Prog dell’anno. In esso c’è magia, una magia che sfiora ed ammalia, anche i King Crimson hanno la loro influenza, come in Time e Kontiki. La band parte per diverse date live e toccano anche il nostro suolo. La testimonianza sonora dell’evento è intitolata UNAFFECTED (1995 - Melodie & Dissonanze). Le canzoni sono registrate alcune all’Usignolo Di Castelnuovo Del Garda ed altre il giorno dopo in Germania. Bella la cover iniziale dei Van Der Graaf Generator Afterwards. I Landberk si congedano dalle scene con un disco di una bellezza cristallina dal titolo INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven), proprio per questo che il rammarico per la scissione è ancora più doloroso. Nel 1998 Stefan Dimle e Reine Fiske si fondono con Nicklas Berg e Peter Nordis degli Anekdoten per dar luce ad un breve progetto dal titolo Morte Macabre, Il risultato è il buon SYMPHONIC HOLOCAUST, lavoro dalle ovvie tonalità oscure ma carente dell’energia madre che caratterizzano le due band.

 

 

DISCOGRAFIA IN STUDIO

 

 

RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven)

LONELY LAND (1992 - The Laser's Edge)

ONE MAN TELL'S ANOTHER (1994 - Megarock Records)

INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven Music)





LANDBERK – Indian Summer 
Record Heaven

Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 1996




 

Ci sono dischi che vorremmo non finissero mai. Musica rassicurante, che coccola l’anima, quella che fa stare bene, quasi come trovarsi nel grembo materno, nuotare nel liquido amniotico, i svedesi Landberk con questa ultima loro fatica in studio lo testimoniano anche nella copertina rappresentante un corpo di una donna in dolce attesa.
In questo caso si rientra in un genere che potremmo definire sia progressive rock che post rock, la musica dei Landberk sfiora i King Crimson e gode di personalità importante. Gli strumenti vengono spesso accarezzati, quasi sfiorati , come se si volesse chiedere scusa del disturbo. La voce è sognante, così come le esibizioni live che elargiscono nel tempo rappresentazioni spirituali con tanto di candele accese. La band fa parte del filone della rinascita del progressive rock anni ’90 in compagnia dei connazionali The Flower Kings, Anekdoten, Anglagard e Sinkadus. Non sono autori di molti dischi, solo cinque in studio ma tutti di elevata fattura tecnica ed emotiva. INDIAN SUMMER è il loro ultimo disco come ho avuto modo di dire, e lascia ancor più l’amaro in bocca in quanto rappresentante del crescendo qualitativo del gruppo, chissà cosa avrebbero potuto produrre visto il miglioramento artistico in divenire.
In questo album non esistono momenti di calo, tutte le canzoni prendono l’ascoltatore dal primo all’ultimo istante, ad iniziare da Humanize. La chitarra sfiorata di Reine Fiske (Morte Macabre, Paatos, Motorpsycho, Elephant9 e Träd, Gräs & Stenar.) inizia il brano che si apre in un giro ritmico molto blando ed un Mellotron che riporta l’ascoltatore indietro negli anni ’70. Le melodie sono semplici, dirette traghettate dalla bella e sentita voce di  Patric Helje. Musica per alcuni versi ipnotica nell’incedere. La sensazione di fluttuare nel liquido che ci circonda è amplificata dal brano ancora più lento All Around Me. Una sensazione che travalica nell’onirico, sopraggiunge una quiete appagante anche se non mancano frangenti più nervosi dettati proprio dall’influenza dei King Crimson, compresa nella voce filtrata.
Un momento più rock, ma anche quello più breve con i tre minuti e poco più, lo si ascolta in 1st Of May, frazione stranamente più solare rispetto all’andamento del disco, il tutto comunque sempre in maniera pacata ed elegante. Uno dei capolavori si intitola I Wish I Had A Boat, momento quasi in punta di piedi, un giro di basso ancora ipnotico accompagna l’ascolto in un percorso dove si può incontrare un sussurrato Mellotron, una ritmica minimale e una chitarra cortese. La voce inutile sottolinearlo è la protagonista per patos. Il ritmo torna a salire con Dustgod, vero e proprio potenziale singolo di INDIAN SUMMER con un ritornello a dir poco orecchiabile. Dreamdance è ancora più ritmata, insistente ma anche soave, essa accompagna all’ascolto di un altro capolavoro dell’album, Why Do I Still Sleep. La mente viene rapita fra echi e voci femminili a supporto della lirica mentre la chitarra  si limita a fare da guida. Ecco uno di quei momenti che vorresti non finissero mai.
INDIAN SUMMER si chiude con la title track, uno dei brani più lenti che io abbia ascoltato in vita mia, a questi livelli neppure i Radiohead. Una minimal-song assoluta, dove spazio e tempo sembrano immersi nel liquido amniotico dell’inizio della vita. Chitarra arpeggiata, quasi sfiorata e voce in fievole sussurro lamentoso. Tutto intorno a noi sparisce. Quando la musica è arte.








domenica 20 giugno 2021

Daniele Mammarella

DANIELE MAMMARELLA – Moonshine
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Virtuoso - Chitarra
Supporto: cd – 2021




Ritorna dopo quasi due anni dal debutto “Past, Present And Let’s Hope” (Music Force), il virtuoso chitarrista Daniele Mammarella con questo nuovo album intitolato “Moonshine”. Ho già avuto modo di tessere le lodi di questo ragazzo di Pescara nella precedente recensione, sottolineando il suo amore per lo strumento e la musica, già all’età di tredici anni compone brani propri con la  chitarra Fingerstyle.
Tengo subito a sottolineare oggi la difficoltà di emergere con un disco prettamente strumentale, il mondo della musica sappiamo bene come si sta muovendo a discapito di materiale da ascoltare con cura ed attenzione. Il pregio di Mammarella è proprio quello di rendere i brani molto fruibili, diretti e senza troppi fronzoli, puntando sull’emotività delle composizioni. Tredici sono le tracce contenute nell’album dove la produzione artistica è affidata a Giuseppe Lo Faro. Gli stili toccati sono differenti, variano dal Blues al Rock passando per il Folk ed il Country, così come lo sono le tecniche adoperate nelle esibizioni, come ad esempio la Fingercussion del brano di apertura “Shadow Blues”. Qui l’autore batte con la mano sul legno della chitarra producendo il ritmo di accompagnamento. I suoni si moltiplicano in “In The Sky”, la chitarra viene toccata maggiormente e in diverse maniere, stop & go e tapping, la musicalità orecchiabile è comunque il filo conduttore del motivo. Sulla stessa lunghezza d’onda il Rock di “Twister”, fresco ed allegro proprio come sapeva fare Ivan Graziani durante certi assolo live per spezzare ed arricchire il brano.
Si toccano le corde ma questa volta dell’anima nella title track “Moonshine”, canzone più lunga dell’album grazie ai quasi quattro minuti di durata. Qui viene palesata tutta la tecnica esecutiva del musicista e compositore, pur restando un brano dolce nell’incedere. Notevole anche la successiva “B-Train” perché palesa nuovamente  il tutt’uno fra l’esecutore e lo strumento, proprio come se fosse una estensione del corpo. “Flying” è nomen omen, la musica lancia l’ascoltatore alto nel cielo in un volo delicato a planare. Molto divertente la folcloristica “Waterfall” da ballare in una sorta di saltarello. Torna il Blues con “Ireland Blues”, composizione che ha la stessa capacità emotiva di “Shadow Blues”.
“Horizon” staglia paesaggi ariosi grazie anche all’uso dell’eco mentre la breve “Windy” alza nuovamente il ritmo rendendo così l’ascolto mai monotono, sempre vivo. La dolcissima “Dreaming” è un lento passaggio nel morbido mondo dei sogni per poi passare alla penetrante “Blazing Sun, traccia scritta assieme all’amico Christian Mascetta. A chiusura “Goodnight” con il suo arpeggio che porta l’ascolto verso territori più cantautorali.
La capacità artistica di Mammarella è dunque è quella di saper trasmettere serenità ed armonia, il tutto sotto paesaggi bucolici che fanno capolino nella nostra fantasia durante l’ascolto. In un settore dove si corre in maniera anomala c’è bisogno della musica di Mammarella, una diversificazione che almeno per un istante ci fa rilassare e riflettere. MS






giovedì 10 giugno 2021

Police

POLICE – Reggatta De Blanc
A&M Records
Genere: Rock/Punk / Reagge
Supporto: 1979 – lp




I Police si formano a Londra nel 1977 in piena era punk. Il trio è composto dal bassista Gordon Matthew Sumner, in arte Sting, il chitarrista Andy Summers e il batterista Stewart Copeland.  Il genere proposto è di personalità, riescono a miscelare insieme reggae, punk, new wave e jazz. Non hanno una grandissima longevità artistica, purtroppo si sciolgono nel 1986 per poi fare un breve ritorno nel 2007 in occasione di un tour mondiale.
Stewart Copeland prima di iniziare a pensare ai Police, ha una breve carriera nella storica band Curved Air, dove inizia una relazione con la cantante Sonja Kristina Linwood , che diventa in breve tempo sua moglie. Sting nel 1976 suona il basso nel gruppo jazz fusion Last Exit, una volta contattato da Copeland vanno alla ricerca del chitarrista. Inizialmente la scelta ricade su Henry Padovani e con questa formazione registrano il singolo Fall Out (Miles Copeland III ) nel 1977. Nel frattempo Stewart e Sting partecipano al progetto Strontium 90, organizzato da Mike Howlett, bassista dei Gong, qui restano colpiti dal modo di suonare la chitarra di Andy Summers. Per un breve periodo la formazione dei Police è dunque composta da quattro elementi con due chitarre, ma in breve tempo Padovani lascia il gruppo. Nel tempo numerosi i concerti ed i riconoscimenti.
Ma veniamo ora al disco in analisi, esso è epocale per quello che concerne il fenomeno che abbraccia il punk di fine anni ’70 ed il reggae portato in quel periodo al successo da Bob Marley. I Police tuttavia nella loro pur breve carriera ci hanno deliziato sempre con album di altissima qualità. Il riscontro delle vendite ne è testimone.
Il trio è una vera e propria macchina da guerra ritmica. La musica proposta si basa essenzialmente su una ritmica insistente e comunque ricercata e raffinata. “Regatta De Blanc” è il secondo disco in studio della band, dopo il buon successo del debutto “Otlandos D’Amour” del 1978 (A&M Records) contenente la famosa “Roxanne”.
Si parte subito con un classico del gruppo, quel “Message In A Bottle” che ancora oggi cantiamo e sentiamo sia nelle radio che nei canali tv  musicali. Impossibile resistere al ritmo e rimanere fermi impassibili all’ascolto. Secondo la prestigiosa rivista Rolling Stone il brano giunge al numero 65 nella classifica delle "100 migliori canzoni con la chitarra di tutti i tempi". I testi narrano di un personaggio sperduto in un isola impegnato a spedire in una bottiglia al mare il suo messaggio di richiesta d’aiuto, ma che ironicamente nel tempo vede tornare a riva con altre migliaia di bottiglie contenenti richieste analoghe. Non si è soli nell’essere frustrati. Segue la title track “Reggatta De Blanc”, il cui titolo lascia trapelare che questo brano (ma anche tutto l’album), è “reggae per bianchi”. Copeland sfoggia tutta la materia in dote, oltretutto  la tecnica per suonare la batteria  è raffinata da un viaggio in Africa avvenuto in una tribù per apprendere al meglio certe ritmiche tribali. Il Post Punk arriva con “It's Alright For You”, semplice e diretta come genere comanda.
“Bring On The Night” è la più malinconica dell’album, pur avendo comunque un ritmo godibile, essa narra del detenuto in attesa di morte Gary Gilmore,  dove  l’esecuzione è oggetto del romanzo nel 1979 The Executioner’s Canzone di Norman Mailer. La ricerca di Copeland è messa in pratica in “Deathwish”, così l’apporto ipnotico della chitarra. Sting con voce inconfondibile impreziosisce il tutto. Un pregio del trio è sicuramente il dono della sintesi, con poco riescono a realizzare molto.
Il lato B del vinile si apre con il secondo classico del gruppo, “Walking On The Moon”. Il singolo si piazza al numero uno delle classifiche inglesi. Sting asserisce di aver scritto questa canzone in condizioni alterate da una bella bevuta, mentre il testo parla  della sensazione che si prova nell’essere innamorati. Tanto Reggae. Si ritorna al Post Punk con “On Any Other Day”, in sintonia con lo stile Clash.
“The Bed's Too Big Without You” ancora una volta gode di una ritmica irresistibile e di un giro di basso profondo e penetrante. Un connubio fraseggio riff chitarra, batteria e basso impressionante per riuscita, un mix fra New Wave (allora di moda) e Reggae. Esso è l’ennesimo singolo dell’album che descrive la solitudine e il dolore della fine di una relazione.
“Contact” è in perfetto stile Police, con un basso greve che lo sostiene e sviluppa. Successivamente “Does Everyone Stare” è la canzone decisamente più ricercata di tutto l’album, specialmente nell’interpretazione vocale di Sting,  davvero sentita e quasi recitata. Belle le coralità. “No Time This Time” chiude a ritmo sostenuto quasi Ska questo lavoro epocale, punto di riferimento per molte band a venire.
I Police sono campioni di composizioni brevi e immediatamente ruffiane, perfettamente adatte come colonna sonora della nostra vita quotidiana, ma adesso non lo scopro di certo io. MS





domenica 6 giugno 2021

La Musica

 LA MUSICA NELL'ERA CONTEMPORANEA

Di Massimo Salari




A cosa serve la musica, o per meglio dire, che valore aggiunto è per l’esistenza dell’uomo? In effetti l’essere umano può vivere tranquillamente senza, anche se si dimostra essere un vero e proprio linguaggio, si possono estrapolare molte sensazioni ed emozioni aggiuntive attraverso di essa. Il ritmo riesce a far ballare, fa stare bene. C’è chi adopera la musica per terapie come quelle sulle persone con problemi neurologici, chi per addormentarsi, chi per compagnia, è chiaro che la musica ha un suo determinato comportamento nel cervello dell’essere umano, tuttavia ripeto, non è fondamentale per l’evoluzione della sua esistenza. Sicuramente la migliora ma non è come il cibo o l’acqua che se non vengono assimilati in breve tempo si muore. E non tutti noi siamo uguali, c’è chi la musica l’ascolta in maniera rassicurante, semplice senza tanti fronzoli per sentirsi tranquillizzati e chi invece ama essere disturbato, provocato con soluzioni che fanno pensare e riflettere. Eppure l’uomo è sempre uomo.

La musica produce nel nostro cervello dopamina, una droga naturale che ci fa stare bene, come quando mangiamo o facciamo sesso.
La musica rispecchia molte delle persone che hanno un certo tipo di carattere, oppure che hanno vissuto una vita più complessa di altre. Non tutti siamo uguali. C’è dunque differenza nel nostro cervello musicale ed emozionale.
La musica è viatico di sensazioni, ed essendo un linguaggio come lo è la lingua per una nazione, c’è chi lo esprime in un modo chi in un altro. Esistono la lingue inglese, italiana, il giapponese, il francese, l’arabo etc. Nella musica invece ci sono il rock, il blues, la classica, l’elettronica, il pop, il jazz etc. Lingue differenti che comunque hanno uno scopo comune, quello del comunicare un concetto, un azione o un consiglio soltanto per dirne alcuni.
La musica si evolve attraverso la mutazione degli eventi, così delle tecnologie, è sempre la rappresentazione della società attuale. Ecco che ad esempio  il genere  post prog moderno è da definire come un genere contemporaneo, e sempre lo sarà, possiamo cambiargli il nome quante volte vogliamo, ma resta sempre e solo “musica”.  Anche il linguaggio nei secoli si modifica e si arricchisce di nuove terminologie, l’analogia fra il pensiero umano e la musica è sempre legata nel tempo. Eppure c’è chi la musica non l’ascolta per niente o addirittura gli da fastidio, non la vede come un esigenza bensì come un suono a cui si può fare necessariamente a meno.
Il tormentone è un brano musicale che mette d’accordo intere popolazioni e generazioni, è il brano che accomuna tutti e fa stare bene perché nella massa ci si sente coccolati e protetti. Guai destabilizzarla, un fuggi fuggi generale potrebbe recare la società verso l’isolamento, alla paura ed alla conseguente aggressività. Quindi, cosa spinge un musicista a realizzare musica non convenzionale se non addirittura destabilizzante? La risposta potrebbe risiedere dietro al termine “arte” dove l’individuo tende ad essere al centro dell’attenzione a discapito della già esistente globalizzazione.
 
“Io voglio essere unico e la mia arte mi rappresenta”.
 
Nascono tuttavia problematiche economiche perché chi vive di musica deve necessariamente vendere per mangiare e quindi si rivolge ad uno stile possibilmente popolare e rassicurante, chi invece sperimenta o tende ad esplorare percorsi innovativi, rischia al momento di fare la fame. Chi sperimenta non viene subito capito,  serve tempo per assimilare questo “nuovo linguaggio” proposto ed è proprio per questo che molte volte si vedono artisti idolatrati ed imitati soltanto dopo molti anni dalle loro realizzazioni se non addirittura dopo la dipartita. E’ anche vero che oggi la vita caotica ci conduce verso un ascolto mordi e fuggi piuttosto che riflessivo e concentrato, come detto i tempi cambiano, la tecnologia avanza apportando nuovi prodotti, ma tutto questo va a discapito del nostro poco tempo libero in quanto siamo più impegnati a produrre e a correre dietro risultati concreti che a riflettere. E poi si dorme.
 
“L’unicità stilistica dell’artista potrebbe essere la sua ancora di salvezza”.
 
Il concetto ovviamente non è riconducibile a tutti, non sempre la sperimentazione va a braccetto con la riuscita, i dati negativi generalmente sono davvero sconfortanti per numero quantitativo, ma chi ci riesce porta all’evoluzione dell’arte un valore aggiunto. Conduce ad un nuovo linguaggio più adatto ai tempi, la sperimentazione è nel dna dell’uomo il quale si migliora anche attraverso gli errori ma soprattutto attraverso la trasgressione della regola. Il beneficio che ne trae l’artista che raggiunge lo scopo è ovviamente quello remunerativo. E’ vero che oggi la società tende più all’apparire che all’essere, ma l’evoluzione c’è sempre stata e sempre ci sarà.
 
“La musica non è per tutti.”.
 
Open mind.


sabato 5 giugno 2021

Wine Guardian

WINE GUARDIAN – Timescape
BM Burning Minds Group - Logic Il Logic Records
Distribuzione: Plastic Head
Genere: Metal Progressive – Progressive Rock
Supporto: cd – 2021




Prosegue l’evoluzione artistica del trio milanese Wine Guardian, la vena compositiva sembra aver trovato il giusto affluente musicale. Il trio composto da Lorenzo Parigi (voce, chitarra), Stefano Capitani (basso, voce) e Davide Sgarbi (batteria e voce), realizza “Timescape” dopo i buoni
“Fool's Paradise” (2013 – Autoproduzione) e “Onirica” (2017 – Autoproduzione).
Il genere in cui spaziano è il Metal Progressive ma con uno sguardo attento al Progressive Rock stesso, anche a dimostrazione di una buona conoscenza della storia musicale in senso generale. L’album è formato da sette canzoni per una durata totale di quasi un ora. La formazione a tre ed il genere proposto possono far pensare ad uno stile Rush completo, tuttavia all’interno delle composizioni le influenze risultano molteplici. Dopo un inizio di carriera che protende verso sonorità Queensrÿche, Savatage e Fates Warning, la band si raffina lasciandosi contaminare anche da suoni di band più recenti (se così possiamo definirle) come Opeth e Porcupine Tree.
Il disco si apre con l’energia di “Chemical Indulgence”, un riff massiccio alla Holocaust ne è spina dorsale per poi lasciarsi variare dalle armonie progressive sempre relegate ai cambi di ritmo e di umore. La voce di Lorenzo Parigi è malleabile a seconda delle situazioni, riesce ad essere melodica e pulita, oppure nel caso ruvida e addirittura growl. Si staglia avanti all’ascoltatore un banco di nebbia durante l’ascolto della “Opethiana” “Little Boy”, salvo diradarsi nel corso del prosieguo.
Un arpeggio acustico di chitarra introduce la strumentale “Magus” che potremo definire complementare alla precedente “Little Boy” per atmosfere, non certo per il completo andamento. Il pezzo è davvero un bell’esempio di come si può concepire oggi un certo tipo di Metal Progressive, apportandoci soluzioni moderne e non scontate. Un frangente molto divertente e scorrevole. Adiacente giunge “Digital Dharma”, in qualche momento vicino al Neo Prog inglese. Aumentano le soluzioni sonore e la durata del brano con “The Luminous Whale”, qui davvero molto materiale per il Prog Metal fans, ancora di più nella mini suite di quasi tredici minuti “The Astounding Journey”, per chi vi scrive fiore all’occhiello di “Timescape”. Il disco finisce con dolcezza e stile grazie all’acustica “1935”, un bell’arrivederci da parte del trio che spero di poter riascoltare con nuovo materiale al più presto se questi sono i risultati. “Timescape” è stato registrato, mixato e masterizzato da Andrea Seveso, nei Ivory Tears Music Worksstudio.
Concludo la recensione riportando mie parole scritte all’interno del libretto che accompagna “Timescape”:


La musica all’ascolto propina immagini che prendono il posto delle parole, dove esse non raggiungono più  lo scopo esplicativo del concetto voluto.
Subentrano prepotentemente nella nostra mente.
Il Metal Progressive attraverso gli alti e bassi di ritmo si presta molto all’immaginazione essendo un insieme di generi incastonati fra di loro.
I Wine Guardian hanno assimilato la lezione storica delle band passate e con la propria personalità che trasuda inevitabilmente mediterraneità, amalgamano  un mondo sonoro visionario, esplicativo, risoluto.
La tecnica non fa di se inutile vetrina, bensì si mette a disposizione della melodia, il tutto rigorosamente fra sterzate umorali.
Una nuova avanguardia sonora si fa ulteriormente avanti attraverso band come i Porcupine Tree,  Opeth e Soen, un muro sonoro che i Wine Guardian attraverso Timescape riescono a riproporre con raffinatezza e consapevolezza. La musica è questo”.


Per gli appassionati collezionisti di dischi dico altresì che di “Timescape” ne esiste una speciale edizione limitata di sole 30 copie a cura di Outward Styles (disponibile solo sul sito web dell’etichetta). MS
 
 
https://www.wineguardian.it/





Gianni Venturi

GIANNI VENTURI – Socrate E’ Morto
Atoproduzione
Genere: Sperimentale – Voce
Supporto: cd – 2021




L’artista emiliano Gianni Venturi è un valore aggiunto per l’arte contemporanea italiana, non soltanto in sede musicale, quanto letteraria. Il poeta sperimentatore della voce possiede moltissimi progetti in corso ed alle spalle, fra i tanti ricordo la recente collaborazione con Alessandro Seravalle (Officina F.lli Seravalle, Garden Wall), gli Altare Thotemico e Moloch.
Personalmente sono stato fra i primi critici musicali a credere nella sua arte sin dal 2009, a supportarlo a dovere, perché ho sempre ritenuto il connubio poesia/sperimentazione un contesto esplosivo per comunicazione ed emozioni, mentre in lui ne intuivo il perfetto viatico. Gianni Venturi è un nostro genio al riguardo, un fiume in piena, ma quello che maggiormente colpisce dell’artista è la semplicità con cui fa sgorgare le proprie opere. Ha una capacità comunicativa devastante, una interpretazione graffiante al servizio di argomenti mai banali, sempre annessi nel contesto sociale. La voce è il suo strumento, il canto sciamano un punto di riferimento e non soltanto di partenza, l’artista con il proprio strumento naturale ricerca e come anche nel caso di “Socrate E’ Morto” ne fa uso totale. Unico strumento dell’album riesce a completare foneticamente le poesie che compongono questo ultimo lavoro composto da undici tracce sonore.
Praticamente impossibile recensire un album di poesie in fonetica, è come descrivere a parole un mondo senza farlo vedere quando esso è unico nel suo genere.
Ci provo sempre, ma Venturi è appunto un mondo a parte, da visitare per comprenderlo al meglio in tutte le sfaccettature che propone.
Ed è con “Buco Nero” che si aprono le danze, le voci riproducono suoni che circondano la poesia. Nenie, tonalità mutevoli ed echi lasciano l’ascoltatore interdetto fra lo stupore dei suoni e quello delle parole.
Voce su voce è l’arma vincente di Venturi.
Come Bobby McFerrin adopera il suo corpo come strumento, anche qui il concetto non si discosta dal risultato, la title track “Socrate E’ Morto” cerca una via di fuga da questa società, un monito quasi disperato nella ricerca di un aggregazione nuova, per non sentirsi più soli e spaesati. Voglia di resettare, estraniarsi da questo mondo che poco di buono ci sta lasciando. Una visione oscura ma inesorabile, quasi un grido di disperazione da parte dell’autore. Il concetto prosegue in “Like” anche se qui Venturi diventa più un osservatore dei fatti oltre che un registratore.
Le voci sovra incise fanno musica in “Paese Che Crolla”, qui la melodia fa capolino timidamente, quasi strano poter dire che il pezzo è una canzone dove l’autore recita sempre ma con armoniosa musicalità. Tuttavia le parole procedono la via della durezza.
“L’Uomo Nuovo” è pessimistica, una marcia verso la sconfitta sociale, sottolineata dalla cadenza ritmica della voce in accompagnamento al brano, in questo caso più prosa che poesia. Narrazione acida in “Il Demone Dalle Ossa Rotte”, ancora distrofia sociale mentre la parte musicale gode di un attenzione fonetica maggiormente impegnativa.
Come vede Venturi  un benpensante? Lo ascoltiamo nell’ ironica “Ritratto Di Uno Stronzo Allo Specchio”, il titolo di per se toglie molti dubbi al riguardo. Più solare ed ariosa “Ommaya”, mentre “I Am Sorry I Don’t Speak English” spinge l’acceleratore sull’ironia. Ritorna la poesia pessimistica in “Obsolescenza Programmata” probabilmente adoperata come un salvagente mentre “Black Hole” chiude il disco e guarda caso è lo stesso titolo del primo brano soltanto in lingua inglese.
L’artista gioca con l’ascoltatore ma lo fa a mio modo di vedere in maniera inconscia, liberando soltanto l’arte che è in lui, senza badare a compromessi o eventuali commenti negativi. Un vero artista fa questo, o per meglio dire deve fare questo. Se si ha da dire lo si fa con la personalità e non con la voce di altri, quindi concordo pienamente con il modus operandi del poeta. Ciò può piacere o meno, non importa, resta il fatto che personalmente io nel 2021 voglio ancora sentirmi stupito, ora più che mai visto che la società ci propina sempre più prodotti preconfezionati o politicamente corretti.
Per me Gianni Venturi è sempre stato una boccata d’aria pulita e continua ad esserlo ancora oggi, capisco la difficoltà del prodotto per chi non frequenta la sperimentazione e la poesia, pazienza, io intanto godo. Dimenticavo la cosa più importante: Non allarmatevi ma vi confessiamo che… Socrate è morto! MS

venerdì 4 giugno 2021

Curiosità Pink Floyd



 CURIOSITA' PINK FLOYD




 

A Saucerfull Of Secret  Saucerful è stato il primo Brano dei Pink Floyd che mi sia veramente piaciuto suonare come tastierista"  (R. Wright). "Questo brano è nato per caso e non a tavolino" (Waters).

 




Apologies  Questo è il titolo di un brano fantasma mai edito dai nostri, secondo indiscrezioni tutto è nato a causa di un disturbo telefonico durante un colloquio la canzone di fatto si intitolava  “Apples And Oranges”.

 

“Tatood” e “Great Lost Pink Floyd Album”  sono i titoli di due rarissimi bootleg del 1969 in versione quasi uguale all'originale contenenti i brani “Flaming”, “The Scarecrow”, “The Gnome E Matilda Mother” ,”Apples And Oranges”.

 

Candy And A Currant Bun I Pink Floyd  non avevano ancora un contratto discografico nel 1966 che già collezionavano la loro prima censura. Il brano non poteva essere pubblicato a causa della sua allusione all'uso dello spinello. Raramente venne suonata dal vivo.

 

Sigma 6 / T-set / The Meggadeaths /  Abdabs  Sono alcuni dei nomi con cui si chiamavano prima di diventare Pink Floyd.

 

Atom Heart Mother  Anche se non citato nel disco Ron Geesin è l'autore orchestrale e principale scrittore del brano. Dice Mason: 'Nella copertina abbiamo messo una mucca perché tutti oggi cercano qualche cosa di complicato mentre noi vogliamo soltanto qualcosa di semplice!'

 

Echoes  “The Return Of The Son Of Nothing” era il suo titolo provvisorio. Anche questo brano è nato con la casualità, senza uno studio già predefinito.

 




Lucy Lea (InThe Blue Light)  E' la prima canzone in assoluto dei PF scritta da Barrett e mai pubblicata.

 

The Man  Altro mistero della discografia PF. E' un brano di quaranta minuti esibito solo dal vivo dal 1969 al 1970 e mai edito.




 

Moonhead Brano inedito scritto per commentare l'allunaggio (evento storico del periodo) per la televisione Olandese.





Free Four   Tratto dalla colonna sonora “Obscured By Clouds” parla dell'uccisione in guerra del padre di Waters e sarà ispiratrice pure di 'The Wall' e di 'The Final Cut'.




 

One Of These Days  E' uno dei rari momenti canori da parte del batterista Nick Mason, la sua è la voce distorta che interpreta (anche se brevemente) il brano.




 

Ummagumma  E' il sinonimo di 'Fuck'!

 

Vegetable Man   Altro brano inedito del 1967 scritto da Barrett e presente solo in qualche bootleg.

 




What Shall We Do Now?  E' un brano tratto dal capolavoro “The Wall” ma non inciso nel disco per motivi di spazio. Questo viene suonato esclusivamente dal vivo con “Empty Spaces”.

 




The Wall  Segnò la fine della collaborazione tra i componenti del gruppo, la tensione all'interno era altissima, Waters era sempre di più il tuttofare, al punto che Wright e Mason non vennero citati nemmeno sulla copertina del disco.

 

Welcome To The Machine   Il rumore che apre il brano è composto da pulsazioni di un VCS3 modificate con l'effetto "eco".

 





Have A Cigar   E' cantata da Roy Harper perché aveva tonalità troppo alte per Waters.




 

Shine On You Crazy Diamond  Il 5 Giugno 1975 durante il mixaggio del disco fece comparsa negli studi un uomo grasso e pelato, nessuno lo riconobbe ma era Syd Barrett!!!



 


Sheep   “Raving And Drooling” era il suo primo vero titolo.




 

Us E Them   Tratta da “The Dark Side Of The Moon” risaliva al 1969 e si intitolava “The Violence Sequenze”.

 




The Final Cut   Il disco della dipartita di Waters, il quale con queste storie di guerra diventò troppo paranoico e dopo oltre dieci anni di militanza venne allontanato dal gruppo il quale dirà: 'Non volevamo più fare musica così.'