LANBERK - il freddo del nord che riscalda
(Di Massimo Salari)
CHI
SONO I LANDBERK
Si
formano nel 1992 con Patric Helje (voce), Reine Fiske (chitarra), Stefan Dimle
(basso), Simon Nordberg (tastiere) e Jonas Lidholm (batteria). Sono dediti ad
un rock progressivo dal suono essenziale, quasi magnetico. Gli strumenti
vengono appena sfiorati e raramente aggrediti. Mancano dunque lunghe suite nei
loro dischi, mancano i cambi di tempo, ma in controparte hanno un carisma al di
fuori della norma. C’è tristezza, religiosità, delicatezza nei brani, sin
dall’iniziale cd d’esordio RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven). Il
cantato in lingua madre non rende il disco molto fruibile, ma la musica
ossessiva e delicata riesce ugualmente a cogliere l’animo di chi ascolta. Nello
stesso anno i Landberk registrano nuovamente il disco con il canto in inglese
ed il titolo è LONELY LAND (1992 - The
Laser Edge) logicamente per tentare di accalappiare l’attenzione di un pubblico
più vasto. Le potenzialità a loro disposizione fuoriescono nel 1994, nel
capolavoro ONE MAN TELL’S ANOTHER (1994
- Megarock Records) eletto dalla critica disco Prog dell’anno. In esso c’è
magia, una magia che sfiora ed ammalia, anche i King Crimson hanno la loro
influenza, come in Time e Kontiki. La band parte per diverse date
live e toccano anche il nostro suolo. La testimonianza sonora dell’evento è
intitolata UNAFFECTED (1995 - Melodie & Dissonanze). Le canzoni sono
registrate alcune all’Usignolo Di Castelnuovo Del Garda ed altre il giorno dopo
in Germania. Bella la cover iniziale dei Van Der Graaf Generator Afterwards. I Landberk si congedano
dalle scene con un disco di una bellezza cristallina dal titolo INDIAN SUMMER (1996
- Record Heaven), proprio per questo che il rammarico per la scissione è ancora
più doloroso. Nel 1998 Stefan Dimle e Reine Fiske si fondono con Nicklas Berg e
Peter Nordis degli Anekdoten per dar luce ad un breve progetto dal titolo Morte
Macabre, Il risultato è il buon SYMPHONIC HOLOCAUST, lavoro dalle ovvie
tonalità oscure ma carente dell’energia madre che caratterizzano le due band.
DISCOGRAFIA IN STUDIO
RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven)
LONELY LAND (1992 - The Laser's Edge)
ONE MAN TELL'S ANOTHER (1994 - Megarock Records)
INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven Music)
LANDBERK –
Indian Summer
Record Heaven
Ci
sono dischi che vorremmo non finissero mai. Musica rassicurante, che coccola
l’anima, quella che fa stare bene, quasi come trovarsi nel grembo materno, nuotare
nel liquido amniotico, i svedesi Landberk con questa ultima loro fatica in
studio lo testimoniano anche nella copertina rappresentante un corpo di una
donna in dolce attesa.
In
questo caso si rientra in un genere che potremmo definire sia progressive rock
che post rock, la musica dei Landberk sfiora i King Crimson e gode di
personalità importante. Gli strumenti vengono spesso accarezzati, quasi
sfiorati , come se si volesse chiedere scusa del disturbo. La voce è sognante,
così come le esibizioni live che elargiscono nel tempo rappresentazioni
spirituali con tanto di candele accese. La band fa parte del filone della
rinascita del progressive rock anni ’90 in compagnia dei connazionali The
Flower Kings, Anekdoten, Anglagard e Sinkadus. Non sono autori di molti dischi,
solo cinque in studio ma tutti di elevata fattura tecnica ed emotiva. INDIAN
SUMMER è il loro ultimo disco come ho avuto modo di dire, e lascia ancor più
l’amaro in bocca in quanto rappresentante del crescendo qualitativo del gruppo,
chissà cosa avrebbero potuto produrre visto il miglioramento artistico in
divenire.
In
questo album non esistono momenti di calo, tutte le canzoni prendono
l’ascoltatore dal primo all’ultimo istante, ad iniziare da Humanize. La chitarra sfiorata di Reine Fiske (Morte
Macabre, Paatos, Motorpsycho, Elephant9 e Träd, Gräs & Stenar.) inizia il
brano che si apre in un giro ritmico molto blando ed un Mellotron che riporta
l’ascoltatore indietro negli anni ’70. Le melodie sono semplici, dirette
traghettate dalla bella e sentita voce di
Patric Helje. Musica per alcuni versi ipnotica nell’incedere. La
sensazione di fluttuare nel liquido che ci circonda è amplificata dal brano
ancora più lento All Around Me. Una
sensazione che travalica nell’onirico, sopraggiunge una quiete appagante anche
se non mancano frangenti più nervosi dettati proprio dall’influenza dei King
Crimson, compresa nella voce filtrata.
Un
momento più rock, ma anche quello più breve con i tre minuti e poco più, lo si ascolta
in 1st Of May, frazione stranamente
più solare rispetto all’andamento del disco, il tutto comunque sempre in
maniera pacata ed elegante. Uno dei capolavori si intitola I Wish I Had A Boat, momento quasi in punta di piedi, un giro di
basso ancora ipnotico accompagna l’ascolto in un percorso dove si può
incontrare un sussurrato Mellotron, una ritmica minimale e una chitarra
cortese. La voce inutile sottolinearlo è la protagonista per patos. Il ritmo
torna a salire con Dustgod, vero e
proprio potenziale singolo di INDIAN SUMMER con un ritornello a dir poco
orecchiabile. Dreamdance è ancora più
ritmata, insistente ma anche soave, essa accompagna all’ascolto di un altro
capolavoro dell’album, Why Do I Still
Sleep. La mente viene rapita fra echi e voci femminili a supporto della
lirica mentre la chitarra si limita a
fare da guida. Ecco uno di quei momenti che vorresti non finissero mai.
INDIAN
SUMMER si chiude con la title track, uno dei brani più lenti che io abbia
ascoltato in vita mia, a questi livelli neppure i Radiohead. Una minimal-song
assoluta, dove spazio e tempo sembrano immersi nel liquido amniotico
dell’inizio della vita. Chitarra arpeggiata, quasi sfiorata e voce in fievole
sussurro lamentoso. Tutto intorno a noi sparisce. Quando la musica è arte.
Un ringraziamento per aver ricordato una stupefacente band, che faceva parte del trittico delle meraviglie con Anglagard e Anekdoten (mai sopportati i Flower kings solo in rare occasioni) li scoprii un po tardi, perché in quegli anni era il metal estremo che amavo ed il metal tutto era diventato di "moda". Mi chiedo perché in tempi in cui viene ristampato e rimasterizzato di tutto, anche molte porcherie, questi gioielli (soprattutto il secondo cd) vengono dimenticati e lasciati nell'oblio. È un vero sacrilegio. Poi sono convinto che piacerebbero anche ai non convinti progster. Loro tre insieme a pochi altri sono stati i gruppi della vera rinascita prog. Altro che Dream Theater, loro anno fatto scoprire ai ragazzini il prog nel metal, scopiazzando dai Rush, Pink Floyd e Metallica. Dimenticati. Grazie da Ivano.
RispondiEliminaCiao Ivano!
RispondiEliminaSottoscrivo tutte le tue parole, e visto che mi ci trovo ti consiglio anche i SINKADUS, band molto simile ai Anglagard e sono dello stesso periodo. Magari li conosci già, ma se non li conosci, hai di che godere!