Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

domenica 31 ottobre 2021

Alessandro Monti

ALESSANDRO MONTI – Monti
M.P. & Records
Distribuzione: G.T. Music Distribution
Genere: Elettronica / Art Rock
Supporto: cd – 2021




La musica non smette mai di stupire, la creatività è il propellente e per fortuna esistono ancora artisti che sentono la necessità di esprimere il proprio stato d’animo attraverso un suono, qualunque esso sia. Con la musica si può cantare, ballare, gioire o piangere, ma anche pensare, questo è il potere di cui essa dispone. La ricerca è un altro espediente per realizzare certe composizioni ed i risultati spesso godono di freschezza, così di vita propria.
Il nome di Alessandro Monti per i più attenti amanti del Progressive Rock in senso generale sicuramente non risulterà nuovo, infatti lo ritroviamo in progetti come Unfolk, o Quanah Parker.
L’idea geniale per la realizzazione di questo album omonimo consiste nell’essere se stesso artista special guest del disco. Come è possibile? E’ presto detto, riporto la descrizione che risiede all’interno dell’artwork:
Essere una guest star, un ospite speciale nel tuo primo lavoro solista sembra surreale, ma in realtà è quello che succede: ho realizzato questo lavoro utilizzando solo alcuni pezzi di chitarra acustica realmente suonata, il resto è virtuale. Per settimane ho assemblato, riprocessato, alterato, editato suoni, trovato le giuste armonie da moltissime fonti condivise liberamente in rete. In un momento in cui non era possibile una vera collaborazione "fisica" con altri musicisti, mi sembrava la strada giusta da percorrere. Ne sono uscite una serie di nuovissime composizioni, grazie alle fonti più diverse che in origine sono il frutto del lavoro di tante persone, per la maggior parte impossibili da identificare nell'oceano della rete. Ecco la ragione per cui mi sono sentito un ospite speciale nel progetto. L'idea dietro il metodo è spiegata nel breve testo dell'ultimo brano, "We Are The Guest Stars".
L’artwork realizzato da Monti è molto bello, il libretto interno diventa mini poster con tanto di grafica psichedelica perfettamente rappresentante il contenuto sonoro del supporto ottico.
Otto le tracce sonore per un totale di cinquantaquattro minuti di musica ben registrata. Ascoltare “Turning Of A Wheel” mi getta subito nel mondo dei Porcupine Tree quando nei primi tempi degli anni ‘90 si divertivano a ricercare nella psichedelia malinconica sensazioni oniriche. Per chi li conoscesse aggiungerei anche i No Man sempre con Steven Wilson in cattedra.
“Low Tech Montage Part 1” si apre con un pianoforte insistente che lascia campo a suoni oltre che alla chitarra di Monti, il brano gira su se stesso tornando a ripetere le soluzioni ricercate. Atmosfere impalpabili conducono ad un ascolto fatto inevitabilmente ad occhi chiusi per lasciare via libera alla fantasia. Concatenato giunge “Low Tech Montage Part 2” un frangente di tre minuti abbondanti di suoni elettronici, qui le atmosfere si palesano maggiormente nervose. Ed è la volta di “Low Tech Montage Part 3” con i suoni che sfociano nella rumoristica a chiudere il trittico. Il brano è così vivo che puoi sentirlo respirare.
La musica è colore, lo sanno bene i sinestetici, e qui il tutto ricade in questo contesto.
Il gioco diventa sempre più forte con i suoni di “Interference And Dissonance”, c’è elettronica che riporta alla memoria i primi suoni di “Radioactivity” dei Kraftwerk con un bell’effetto stereofonico da gustare i cuffia.
“Let The Ocean In” ha un suono che si infrange come le onde del mare, ipnotizza e ad un certo momento diventa addirittura inquietante, è il brano più lungo dell’album con i suoi undici minuti. Le chitarre elettriche distorte ripetono il riff come in un loop e l’ascoltatore sembra non avere via di scampo, soprattutto quando sopraggiungono suoni elettronici stridenti e di alta frequenza.
Ma ecco la quiete con l’ingresso della chitarra acustica, un altro momento psichedelico. ”Seven And SevenWas” prosegue il cammino interrotto nel brano precedente, la differenza consiste nell’intervento delle linee vocali. Per concludere “We Are The Guest Stars” e ancora una volta mi sopraggiungono i Porcupine Tree, questa volta quelli di “Metanoia” per poi cambiare nuovamente, questo è il momento più vicino alla formula canzone dell’intero lavoro.
 Alla realizzazione del disco hanno contribuito anche Daniele Principato (chitarra elettrica e sintetizzatori) e Franco Moruzzi (batteria).
Chi sfida la musica ed ama essere sorpreso “Monti” è pane per i propri denti. Open mind. MS  




Mauro Mulas Trio

MAURO MULAS TRIO – Chiaroscuro
G.T. Music - M.P. Records
Genere: Jazz Melodico
Supporto: cd – 2021




Il Jazz come il Blues è alla base di moltissima musica che stiamo ascoltando anche oggi. Il Jazz melodico sa coccolare l’anima per un momento di relax davvero gustoso. Di norma il suono proposto è caldo, creato da batteria, piano e contrabbasso, l’intesa fra i componenti poi completa il risultato. Questo in senso generale.
Mauro Mulas è con “Chiaroscuro” all’esordio solistico, dopo aver militato per anni con la band di Rock Progressivo “Entity”, sua creatura autrice di due demo e del disco “Il falso Centro” edito dalla Lizard Records per la serie La Locanda Del Vento.
Mulas Nasce a Nuoro ed inizia lo studio del pianoforte all’età di quattro anni. Studia presso il conservatorio di Cagliari dove consegue il compimento inferiore di composizione sotto la guida del Maestro Franco Oppo nel 1999 e la laurea di I e II livello in musica elettronica nel 2007 a pieni voti. Oggi si dedica al genere con passione registrando questo album formato da undici composizioni. L’artwork è semplice, contenente le foto di Sara Deidda mentre la grafica è a cura di OndemediE.
La musica che si ascolta è realizzata dall’artista nel corso degli anni ed è resa rinnovata dal trio completato da Alessandro “Cinzio” Atzori al contrabbasso e Pierpaolo Frailis alla batteria.
Il protagonista indiscusso è il pianoforte, ad iniziare da “Un Giorno Ancora”, dove le atmosfere sono raffinate e leggere. Molto sentimento e passaggi che mi ricordano il tocco di Sante Palumbo, altro grande dello strumento in questione.
Si acquista vigore con “Agitazione” qui Mulas mette sul piatto tutta la tecnica e l’intensità di cui è in possesso. Un lungo assolo che corre fra scale crescenti e decrescenti. La ritmica è soffice, mai sopra le righe, diciamo più d’accompagnamento che di sostegno. Il contrabbasso del suo ha un suono che avvolge e scalda.
Il movimento più lungo è intitolato “Grey” della durata di sette minuti e mezzo, anche qui risiede quiete ma anche ritmo, un brano ricercato oltre che tecnico. Jazz di personalità con “Bobcat” ma è tutto l’album un susseguirsi di atmosfere intriganti, fra il delicato ed il vigoroso, il tutto per la causa Jazz melodico.
Oggi ascoltare un disco del genere è come fare un salto nel tempo, manna dal cielo, perché è vero che il Jazz non morirà mai, ma è altrettanto vero che nel marasma della musica moderna esso oggi  sta subendo duri colpi vagando nel disinteresse collettivo. Chi ricorda ed ama il trio Sante Palumbo, Tullio De Piscopo, e Franco Cerri (del quale sottolineo la recentissima e dolorosa dipartita), avrà di che gioire perché Mauro Mulas Trio viaggia su questi binari di assoluta bellezza, una perla in questo 2021.  MS
 




sabato 23 ottobre 2021

Welcome Coffee

WELCOME COFFEE - Light Years Away
Autoproduzione/ Marco Parlante
Distribuzione: Overdub Recordings
Genere: Progressive Rock
Supporto: Soundcloud - 2021




Abbiamo lasciato i Welcome Coffee nel 2017 autori di quell’interessante EP intitolato “The Mirror Show” (autoproduzione) con tante buone intenzioni per il nuovo album. Oggi a distanza di quattro anni eccoci qui a raccontare i suoni e le emozioni di “Light Years Away”.
La band triestina formatasi nel 2012 giunge dunque al terzo disco ufficiale della loro carriera con la formazione attuale composta da Alessandro Cassese (chitarra), Stefano Ferrara (basso, chitarra acustica), Andrea “Armando” Scarcia (voce , armonica), Andrea Parlante (tastiere) e Michele Manfredi (batteria).
Nel tempo il sound acquisisce sicurezza, avvicinandosi ad un suono leggermente più duro, una forma di Rock maggiormente vivace pur mantenendo sempre ben saldi alcuni tipi di stilemi progressivi. Il disco ha dieci canzoni per una durata di circa 47 minuti, mentre la copertina è ad opera del grafico argentino Andres Furioso. Il cantato in lingua inglese è la strada scelta dal quintetto e lo possiamo ascoltare sin dall’iniziale “4th Dimension” che molto ha del carattere sonoro dei Muse. Il pezzo scorre bene nei cinque minuti sostenuto da un semplice ritornello e un buon uso delle tastiere in senso generale. Convincente anche la fase conclusiva di una chitarra che si immerge in un breve viaggio psichedelico. Con “She” la band mostra i muscoli addentrandosi in un condotto  energico impreziosito dai lievi cambi di tempo e di umore. Questa volta sono le chitarre a darsi da fare oltre che ovviamente la ritmica, qui in ottimo spolvero.
"Light Years Away" è il primo singolo del quale viene realizzato anche un videoclip. Qui si può apprezzare la crescita artistica dei Welcome Coffee dove gli arrangiamenti sono ben curati, arma vincente del brano. La melodia è orecchiabile in un contesto che ha del “senza tempo”. Energia positiva.
Il Progressive Rock compare in maniera netta nella canzone “Sick”, ancora una volta le melodie sono orecchiabili e gradevoli, la prova vocale di Andrea “Armando” Scarcia è perfetta nel contesto. Arriva anche il momento delle atmosfere rilassanti grazie a “Rainbows & Clouds”. I Welcome Coffee tornano a ruggire con "Ice in my mouth", qui un mix di Rock, Prog e Metal anni ’90 ad infarcire il brano. Molto ruffiana “Just Say No”, ennesima conferma della crescita artistica, certi trucchi di strutturazione del brano vengono messi in pratica in modo preciso e professionale, fino al raggiungimento di un risultato piacevole e mai monotono. Esperienza si, ma anche cultura musicale riguardante un certo tipo di passato prossimo sonoro. Un giro di basso apre nel Blues “We’ve Broken Up”, la base del Rock messa a disposizione del presente. Qui le tastiere fanno buona vetrina.
E’ la volta del secondo lento dell’album intitolato “Stolen Land”, mi viene da fare un paragone non tanto per il suono che poco o nulla ha da spartire, però l’andamento mi fa venire alla memoria i passaggi più acustici degli Opeth misti ai Queensryche più ricercati. Interessante l’innesto dell’armonica.
Il disco si chiude con il ruggito di “The Man Who Cried The World”, tanta sostanza e mestiere.
I Welcome Coffee hanno confezionato un prodotto moderno, snello e ricco di buone melodie, consigliato agli amanti della musica in senso generale, senza etichette. MS




Collettivo Casuale

COLLETTIVO CASUALE – Aria
Music Force  - Egea Music
Genere: Rock – Cantautore
Supporto: cd – 2021
 


Musica è innanzi tutto condivisione, le emozioni che un artista vuole trasmettere passano attraverso di essa. Non è raro che alcuni musicisti si incontrano per caso e poi trovare un buon feeling. Questo è ciò che è accaduto anche a Konrad, Diana Rossi e Piero Filoni. Durante il tour estivo di Konrad per la presentazione dell’ultimo album “Luce” (Music Force – 2019) avviene l’incontro e l’intesa da cui nasce questo progetto nominato Collettivo Casuale.
Konrad ho già avuto modo di presentarlo in una mia recensione (https://nonsoloprogrock.blogspot.com/2019/06/konrad.html)
ed è un cantautore poliedrico con alle spalle collaborazioni importanti come quella realizzata con Mauro Pagani, quando il chitarrista faceva ancora parte della band Radiolondra.
Piero Filoni studia violino al conservatorio di Milano sin dalla tenera età di sei anni! A dodici si trasferisce a Kuwait City dove si approccia alla chitarra e alla tromba. Il suo girovagare nel suonare per strada lo riporta in Europa e l’amore per il cantautorato è totale. Incide tre album, “Via”, “Il Film” e “Antozoologia”. Forse qualcuno di voi lo ricorderà nel reality game “Pekino Express” dove ha gareggiato assieme a Paola Barale.
Diana Rossi vive di energia pura suggeritagli dall’arte, fra colori, sperimentazione e canto. Organizza diversi laboratori ed eventi artistici, coinvolgendo il pubblico per risvegliare in loro capacità creative e percettive. Studia la voce ed è al momento coinvolta in spettacoli musico culturali.
L’incontro fra questi tre artisti porta alla realizzazione di “Aria”, album cantato sia in lingua italiana che in inglese e composto da dieci tracce. Tre caratteri differenti innestati fra di loro portano ad un percorso sonoro davvero policromo. E allora iniziamo proprio dalla canzone “Aria” e dagli  arpeggi di chitarre, questi ci introducono in un mondo sonoro che ha radici profonde e lontane, infilzate negli anni ’70. Bello il gioco di voce e contro voce fra Konrad e Rossi, così l’assolo di chitarra elettrica che fa del titolo della canzone un  nomen omen. Più allegra “Nessun Reso Previsto”, orecchiabile nell’incedere e nel ritornello, tanta storia italiana fra le note.
Una capatina nel Rock in stile Matia Bazar in “L’Io Egemone”, bene arrangiata con gli effetti vocal phone, e sottolineo anche il bel ritornello cantato da Rossi. Americana “My Little Thing”, altro bagno negli anni ’70 tra il Folk ed il Rock. Poteva mancare il Country? Direi proprio di no, cade a fagiolo “Giuly”. Toccante la ballata “Going Away” che per molti tratti mi ricorda il migliore James Blunt.
“Fabrizio” dal quale brano è tratto anche il video, è vicino al mondo di Fiorella Mannoia, tanto per fare intendere il contesto sonoro. Confesso che all’ascolto ti fa stare bene. Segue “Trema La Pioggia”, altro lento adatto alle caratteristiche vocali di Diana Rossi. Si respira aria di West America in “Strada Di Luce”, canzone da cantare tutti assieme la sera accovacciati avanti ad un bel falò. Il disco si conclude in maniera eterea con “Un po’ Di Sole Ancora”.
Collettivo Casuale, divertente alchimia artistica da ascoltare. Pochi aggettivi da aggiungere, è semplicemente un disco bello. MS




domenica 10 ottobre 2021

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sabato 9 ottobre 2021

Three Generations

THREE GENERATIONS - Caligiuri - Tavolazzi – Capiozzo
MaRaCash Records
Genere: Jazz/fusion
Supporto: cd/vinile - 2021




La buona musica si sa non ha tempo o età, nel senso che sembra vivere in un limbo inclassificabile, certamente la strumentazione può fare la spia e così il suono della registrazione, ma se nel caso le strumentazioni dovessero essere classiche, allora l’identificazione diventa ardua.
C’è un genere che ancor più sembra non tramontare mai, il Jazz, quello caro a molte band italiane che attraverso la mediterraneità hanno scritto pagine importanti della storia della musica italiana. Se andiamo ad analizzare il periodo più interessante e prolifico di questo filone ricade nei primi anni ’70 quando formazioni come Area, Perigeo, Bella Band, Arti & Mestieri, Agorà e moltissime altre ancora, hanno saputo deliziare i nostri padiglioni auricolari oltre che scaldare l’anima.
Il tempo passa, ma la tradizione di questa nobile arte si tramanda di artista in artista, ecco che certi incontri diventano una nuova valvola di sfogo e di idee, questo quando le nuove leve si innestano con i maestri del passato.
Il nome del progetto Three Generations sorto nel 2016 è proprio il sunto di questo preambolo, creato da tre musicisti di valore e di età differenti, il pianista e tastierista Leo Caligiuri (alcuni amanti del Prog lo ricorderanno nei Altare Thotemico), il bassista e contrabbassista Ares Tavolazzi (Area) e il batterista Christian “Chicco” Capiozzo, figlio del bravissimo Giulio Capiozzo (Boretto, 18 febbraio 1946 – Cesenatico, 23 agosto 2000) motore della band storica Area.
La strada intrapresa dal trio non può essere che quella del Jazz, ma anche della ricerca, ovviamente dentro c’è molto cuore Area e a tratti durante l’ascolto potrebbe anche scendere una lacrimuccia di commozione relegata i tempi che furono. Otto brani per più di 45 minuti di musica. Leo è un grande tastierista, non lo scopriamo sicuramente oggi, e ci delizia con i suoi tasti d’avorio che danno suono alla delicatezza d’animo. Christian è un talento puro, neanche a dirlo, e che dire del maestro Ares? Sempre preciso senza sbavature e poliedrico. Il disco suona molto bene e ci regala momenti caldi ed avvolgenti come in “Journey” o nell’iniziale “Cerambyx”. Giustamente alcune cose potrebbero benissimo risiedere nella discografia Area, come il brano “Indian Market” che tanto mi ha emozionato, e che dire di “Stratos”? Un grandioso tributo al cantante scomparso degli Area Demetrio Stratos (Alessandria d'Egitto, 22 aprile 1945 – New York, 13 giugno 1979). L’ascolto spesso viene effettuato ad occhi chiusi con il piede che batte il ritmo inesorabilmente, tutto questo perché la musica è davvero coinvolgente.
Quando mi riferisco alla delicatezza d’animo di Leo Caligiuri mi riferisco soprattutto a “Here”, brano delicato dal sapore antico, come quando Duke Ellington ci spaccava il cuore. “Memories” è un pezzo ricercato nelle soluzioni sonore, e piacevolissimo risulta l’intervento del flauto sempre ad opera di Caligiuri. La conclusione è affidata a “Sunset Poetry”, mentre l’ambiente circostante si riempie d’aria pura, una gemma che sfiora anche il mondo del Folk pur restando dentro certi canoni oramai noti.
Questo album è davvero piacevole, una chicca che nessun amante dei generi descritti si deve far mancare! Ve lo assicuro…  Mi saprete dire.
Del disco esiste anche la versione in vinile oltre che in cd. MS




 

sabato 2 ottobre 2021

La Società Virtuale

LA SOCIETA' VIRTUALE 

Di Massimo Salari



Nella società “virtuale” di oggi, dove è più facile chattare con uno sconosciuto piuttosto che parlare di persona con il tuo amico di fianco, ci sono cose che mi lasciano perplesso. Con internet abbiamo il mondo a casa, tutte le enciclopedie, la discografia mondiale, l’informazione in diretta… eppure non sappiamo. Non ci ascoltiamo, ci nascondiamo dietro ad un nick name per dire cose che non ci rappresentano. Facebook è un luogo di spionaggio su realtà che non esistono. Tutti filosofi… Italiani popolo di filosofi, peccato solamente che lo sono con le frasi degli altri. Viceversa siamo bravi ad insegnare ciò che non sappiamo spacciandolo per verità assoluta.

C’è Sanremo? Facile…fa schifo, boicottiamolo! (lo dicevano negli anni ’70 anche quando vincevano i Matia Bazar, figuriamoci oggi). Scrivono su Facebook: C’è il calcio? Non dobbiamo guardarlo! Fa schifo, troppi soldi! C’è X Factor? Solo i stupidi lo guardano, è la morte dell’arte! Boicottiamolo! C’è Il Grande Fratello? Peggio che peggio.
MA… ecco il MA… alla fine tutti guardano questi programmi o eventi. MILIONI di ascolti!!!
La politica? Tutto va male, io spacco questo, io spacco quello…BASTA! E’ ORA DI CAMBIARE. Poi non si fa nulla. Mai!
L’Italia è ridotta ad un feudalesimo becero e squallido, dove ognuno pensa esclusivamente al proprio orticello, fregandosene sempre di coloro che sono veramente in difficoltà, pensando semplicemente: “A me non capita”, l’orto è il loro. Non si è capito che stare comodi nella cabina del capitano, quando la nave affonda si muore ugualmente. Quando si affonda, si affonda.
Tutto questo accade nella società “virtuale”, dove con un clic hai tutto. Dove a casa non arrivi a fine mese, ma hai l’I Phone. Che strano, funzionavano meglio i ciclostili negli anni ’70, con il volantinaggio, si comunicava meglio…molto strano. Avevano anche le App, si chiamavano “allegati”.
Sento parlare molto male dei giovani. Mi dispiace, perché in realtà potenzialmente sono meglio delle generazioni passate, in quanto più informati. Io credo in loro, credo più in loro che nei miei coetanei, fautori del bell’orticello feudale. Le scuole non gli sono di grande aiuto, perché un governo che toglie soldi all’educazione dei propri figli, non è degno rappresentante di un popolo civile. Ma tant’è.
In questa società “virtuale” l’arte e la cultura è agonizzante, c’è una gara a chi la fa gratis. Con la scusa che non ci sono soldi, i locali ed i comuni o chiamano dj, Karaoke o cover band a poco prezzo. L’artista vero è tagliato fuori. Questi signori sono gli stessi che dicono “Sanremo fa schifo”, “In Italia non ci sono più artisti di una volta”. Non è vero! Guarda caso sono proprio loro che li uccidono.
La cultura è questa.
Intendiamoci bene, va bene il dj, va bene la cover band… però perché almeno per una volta non si chiama un artista con del materiale proprio? Se la risposta è “perchè non porta clienti” allora è la società “virtuale” che culturalmente è morta, la paura del nuovo che destabilizza la massa.
Pecore.
Ho visto artisti spostare marchingegni e service da cinquanta mila euro per suonare a 200 euro!
Schifo dite voi? E allora, perché dire solo “schifo” e non cambiare? Ascoltateli!
Questo monologo è uno sfogo, solo per far riflettere per un attimo, ma non voglio avere ragione, anzi, rispondetemi e spiegatemi dove sbaglio, perché io spero di sbagliare. Spiegatemi perché nell’era della comunicazione, non ci capiamo.
Aveva ragione Sigmund Freud, tutto gira attorno al sesso, anche oggi. Chi guadagna alla grande su internet è You Porn e simili. Si nutre non il cervello…ma un altro muscolo (intesi come forza).
Voglio vedere fra poco tempo ai nostri figli cosa daremo da mangiare, una bambola gonfiabile?