Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

sabato 26 novembre 2022

Seddok

SEDDOK – Geometrie Nere
Lizard Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Avantgarde, Prog Rock
Supporto: cd – 2022




I meandri della mente sono un grande labirinto dove spesso ci si può perdere. Capita a volte che si ha la sensazione di avere paura di andare a scavare, per timore di scoprire un qualcosa che sembra non appartenerci, e si sa che le cose che non comprendiamo ci destabilizzano. La paura è una sensazione che intimorisce, ma che allo stesso tempo affascina. Anche chi crea musica, ha bisogno qualche volta di esprimerla, una sorta di esorcismo capace di tirare fuori da noi nuove e inattese emozioni. Il buio, la notte, oppure la nebbia, tutto ciò che non riusciamo a vedere è complice di quest’atavico comportamento umano: l’oscuro. Ecco che quindi ci piace scrivere storie di paura, film, dipingere e la musica essendo lei una musa che trasmette emozioni, non è da meno. Il genere Heavy Metal al riguardo ha raschiato il barile, ma esistono tanti generi che hanno trattato l’argomento, non da meno quello più sperimentale come l’avant-prog/RIO.
L’ecletticità non tutti sono capaci di palesarla, ma chi riesce in pieno a sviluppare questo modo di fare, trae conclusioni che molto spesso lasciano sbalorditi.
Un caso è questo dei Seddok, trio formato da A.T. La Morte (basso), Marco Nepi (chitarra) ed Enzo P. Zeder (sintetizzatori, batteria).
Passando attraverso gli anni ’70, specialmente quelli del Krautrock, i Seddok inseriscono nella loro musica molteplici ingredienti che la rendono farcita e appetibile. E per parlare di oscurità con annesse emozioni, serve anche uno spunto tangibile, specialmente se si ha la volontà di comporre un concept album, e “Geometrie Nere” lo è a tutti gli effetti, in questo caso l’ispirazione deriva dalle opere del pittore veneziano Emilio Vedova.
Quattro movimenti strumentali sono il risultato finale, intitolati “0101”, “0102”, “0103” e “0104”, inoltre a conclusione del disco si trova la bonus track “Nascita Di Una Dittatura”.
A testare il nostro stato d’animo ci pensa il suono elettronico e oscuro all’inizio di “0101” il quale lascia spazio al pezzo vero e proprio, in bilico fra il ritmato e il greve, sottolineato da certe chitarre distorte immerse nel mondo del Doom come i Candlemass oppure Mario Di Donato o Paul Chain ci hanno insegnato nel tempo. Elettronica sempre in cattedra, anche in “0102”, una mini suite di dodici minuti immersi nella pece sonora. Pochi strumenti e neppure molti accordi, il minimo indispensabile per andare attraverso la chitarra elettrica a visitare questo secondo affresco di note ben sorretto dalla batteria di Enzo Zeder.
Come un pugno nello stomaco sopraggiunge “0103”, nulla di rassicurante, sembra di trovarsi al cospetto di una colonna sonora di un film del terrore. I Seddok sono riusciti nell’intento, ossia attraverso gli strumenti a trasmettere la paura. L’altra mini suite “0104” ha un inizio maggiormente lucente rispetto a quanto ascoltato sino ad ora, in alcuni momenti sembra di sentire qualche passaggio dei vecchi Porcupine Tree, quelli più grevi. Da sottolineare con quanta facilità il trio si riesce a barcamenare in questi meandri. Molta ricerca nel finale, specialmente nella stesura, o meglio nella struttura del brano che proprio per questo motivo rientra in pieno anche nel Progressive Rock. Chiude la bonus track in modo marziale, proprio come il titolo suggerisce, “Nascita Di Una Dittatura”.
Il supporto fisico al cd è elegante, anche lui a sua volta oscuro e cartonato, è un piccolo quadro da esporre. Per “Geometrie Nere” raccomando l’ascolto da effettuare con lo stato d’animo giusto e necessariamente al buio… Se ci riuscite! MS






Parafulmini

PARAFULMINI – Incubini [Tiny Nightmares]
Lizard Records / Parafulmini / Open Mind
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Prog Rock,  Punk, R.I.O., Jazz, Alternative
Supporto: cd – 2022




L’ironia fa girare il mondo, anche se non ce ne accorgiamo o non sempre la comprendiamo. Una risata è una pillola contro il malessere quotidiano, mai prendersi seriamente, si rischiano l’incupimento psicologico, il grigiore morale e quindi una vita maledettamente triste. Una risata è un parafulmine, così la musica riesce a esorcizzare quello che durante l’arco della giornata abbiamo accumulato come tossine. Buona musica, ridere e magari aggiungo anche del buon cibo o bevande ed ecco che il mondo cambia radicalmente sotto i nostri occhi. Bene lo sanno i pisani Parafulmine che fanno dell’umorismo e della musica ricercata uno stile di vita. Si formano nella metà degli anni ’80 con il nome Zampironi e suonano nei centri sociali. Nel tempo subiscono diversi cambi di line up, specialmente al basso, e vincono il premio della critica al Rock Contest di Controradio, a Firenze, nel 1988. Segue una pausa che dura dal 1994 al 2011, quando si riformano con il nome Parafulmini. Il trio oggi è composto sempre dal timoniere Marco Bigliazzi (tamburi, piatti) e a seguire Filippo Brilli (sax baritono e tenore) e Riccardo Zini (basso, voce e sax).
Dopo il debutto “Tenere Fuori Dalla Portata Dei Bambini” (2016 – Lizard Records), “Incubini” è il secondo album in studio. Anche in questo disco collaborano supporti esterni qui denominati “Parafulmini onorari” e nella fattispecie rispondono al nome di Fabrizio Asmagheddon Bondi dei Tossic (chitarra), Luca Cantasano dei Diaframma (basso) e Mezz Gacano, quest’ultimo è un altro grande artista habitué dell’umorismo raffinato. Tutto l’artwork interno è ricco di doppi sensi e situazioni strambe, tanto che l’album non è altro che la colonna sonora di un film mai girato e come descrive la bio di supporto al disco “E’una specie di concept album con la storia di Giangualberto Incubini, seguito di Parrucchieri dall’Ultraspazio – L’incredibile storia del Professor Magnifizio, del precedente “Tenere Fuori Dalla Portata Dei Bambini” (entrambe narrate nelle liner notes dei rispettivi album).”.
Nel libretto che accompagna il cd, c’è dunque di che ridere, ma con intelligenza con tanto nonsense, e la musica non è banale, bensì uno strepitoso connubio di influenze che possono derivare dal Jazz, dal Punk, dal R.I.O, dal Progressive Rock e molto altro ancora! Per realizzare tutto ciò serve soprattutto una preparazione tecnica sopra la norma, infatti i musicisti che si adoperano spesso lasciano l’ascoltatore piacevolmente colpito.
Dieci le tracce contenute e una bonus track, “Alzavalvole – Mi Presteresti”.
Saltellante Ska iniziale per “Incubini”, ma che dico Ska, è Reagge…No aspettate, Rock? Fusion? Ho capito, i Parafulmine mi hanno già fregato! Inutile descrivere brano per brano, preferisco segnalarvi quelli che più mi hanno colpito come ad esempio “Arnaccio – Tallox” perfetta colonna sonora per un film western…Strambo. Le voci liriche di tanto in tanto fanno capolino come nell’inizio di “Fanfarone”. Mezz Gacano suona la chitarra in “Birretta”, composizione assolutamente sperimentale ma dal ritmo trascinante, la batteria svolge un eccellente lavoro. Altra chicca dell’album s’intitola “Il Soffritto Sul Soffitto Suite” mentre la Bonus track chiude l’ascolto come si è aperto, ossia con un ipotetico Ska.
Dalle mie parti nelle Marche si dice “Sei un parafulmine” quando si vuol censurare un'altra parola che sta a significare furbetto, ebbene, questa volta ve lo dico io, cari Parafulmini, siete dei parafulmini e questo lo pronuncio con piena gioia dopo un ascolto davvero divertente. MS


SPOTIFY: https://open.spotify.com/album/4SbAuXijHqUhk8mf9vbWz4?fbclid=IwAR3hp0n4EDTy3zbMtCLHr-xaFhOoGtfko6k2GJ8Pzp-gj30MIRyj9W7JZog




 

Monjoie

MONJOIE – Tanto Tempo Fa Prima Del Caos
Lizard Records / Open Mind
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2022




Il tempo è sempre un galantuomo, se si hanno idee valide e perseveranza, alla fine i risultati giungono. Sappiamo bene che il Rock Progressivo Italiano nell’immaginario collettivo è sempre relegato ai soliti nomi degli anni ’70, che poi ancora oggi suonano grazie anche alle giovani leve che in tempi avversi al Prog, come per esempio nella fine degli anni ’70, hanno saputo tenere calda la brace sotto la cenere. Facile fare il Prog quando va di moda, difficile farlo quando il pubblico non c’è. Molte band italiane nel semi anonimato hanno combattuto, anche negli anni ’90, e il Prog arriva ai giorni nostri sempre più fresco in alcune sue fasi, grazie appunto a questi artisti che hanno saputo perseverare nel tempo. Questo preambolo per fare i miei personali complimenti a tutti quelli che ci hanno creduto, alla passione vera non legata al Dio quattrino, se vogliamo anche alla scelleratezza e comunque a chi fa la musica con il cuore. Un esempio ci giunge dalla Liguria, terra di grandissimi artisti cui l’Italia deve molto, loro si chiamano Monjoie. Nel 2002 esordiscono con “Contravveleno “ e poi altri cinque album in crescendo qualitativo, questo a testimonianza che l’esperienza, il duro lavoro e la passione alla fine come ho avuto già modo di dire, pagano sempre.
Dopo le due raccolte con testi tratti da poeti romantici inglesi degli album passati, i Monjoie tornano oggi alla scrittura in italiano Con “Tanto Tempo Fa Prima Del Caos”. La grafica dell’artwork ricco di foto e di testi, è di John Francis Dooley e ben si sposa con il contenuto sonoro a cui ci si appresta ad ascoltare.
La musica proposta è ricca di strumentazioni, tanti i musicisti che appaiono in questo lavoro suddiviso in dieci tracce: Alessandro Brocchi (voce, chitarre, tampura, tastiera), Valter Rosa (chitarre, Bouzuki), Davide Baglietto (piano, tastiere, piccolo Whistles, Musettes, Scacciapensieri),
Alessandro Mazzitelli (basso, Prophet 5, Eminent Solina, Minimoog, organo,
Hammered Dulcimer, Glockenspiel, chitarra), Leonardo Saracino (batteria, percussioni), Fabio Biale (violino in “Dogma”) e Edmondo Romano (Chalumeau in “Caino”).
Tutte sono in definitiva canzoni che difficilmente superano i cinque minuti, nessuna suite, eppure il suono a cavallo fra il moderno e gli anni ’80 ha moltissimo del Rock Progressivo. Spesso sublimemente riflessivo e onirico “Tanto Tempo Fa Prima Del Caos” si apre con “Canto Dei Due Voli”, poeticamente ispirato si lascia squarciare da numerose sorprese sonore, anche dall’elettronica. Fiabescamente Folk con innesti arabeggianti è “Febbre”, bella da cantare assieme a loro. Un passaggio vicino al mondo delle Orme avviene attraverso “Limbo” che sa dosare energia a pacatezza, semplici canzoni che hanno comunque una forte componente Prog.
Suoni curati anche per “Sciame” e tanti anni ’80, quando i Litfiba intraprendevano i primi passi. Ogni brano è sorretto da un testo importante e non banale, personalmente mi ha colpito quello di “Specchi” mentre la musica qui probabilmente ha poco a che fare con il Rock Progressivo. Maggiormente ricercata, è “Vento” fra arpeggi, crescendo, un ritornello piacevole e alcune coralità. I Monjoie mostrano il lato più ruvido attraverso “Eco” che ispira il titolo dell’album estrapolandolo dai testi. Ammaliante “Circo”, ma ecco giungere il pezzo che più ho gradito dell’album ossia “Dogma”, se vogliamo possiamo definirla anche una ballata ma bene arrangiata con tanto di sax e violino. Ritorna l’elettronica e le arie arabeggianti nella conclusiva “Caino”, così il cerchio si chiude.
“Tanto Tempo Fa Prima Del Caos” è un disco semplice ma non banale, un mix fra Pop e Rock diretto senza troppi fronzoli. Nell'enorme calderone del Prog esiste anche questo. MS







Invernalia

INVERNALIA – Tenebras
Habitat / Lizard Records – Open Mind
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Nell’ormai lontano 2010 ho avuto modo di apprezzare un disco proveniente dall’Argentina (Buenos Aires) di un gruppo chiamato Habitat, s’intitolava “Tratando De Respirar En La Furia” (Lizard Records), quarto lavoro in studio. Il polistrumentista Aldo Pinelli successivamente lascia questa band per intraprende una carriera solista creando il progetto Invernalia con il quale esordisce nel 2015 attraverso il disco “Invernalia”. Dopo sette anni ecco il ritorno con “Tenebras” formato da nove nuove canzoni. Oggi la band è costituita da  Aldo Pinelli (tutti gli strumenti, voce), Gabriel Puig (batteria nei brani 1, 2, 3, 6, 7), Carlos Vidal (batteria in 5, 8), Ricardo Henestroza (tastiere in 8 e tastiere aggiuntive in 5), Roberto Sambrizzi (Hábitat) (batteria aggiuntiva in 4, 9), Sebastian Calise (violino) e Paula Dolcera (Aldo Pinelli, Hábitat) (flauto).
L’artwork per opera di AP, riflette una certa malinconia di base, decisamente invernale che bene si sposa con la proposta registrata nel disco fatta di musica a noi nota, come quella delle band Genesis, Yes e Le Orme. Malgrado questi nomi altisonanti, tutto aleggia nella semplicità in forma maggiormente acustica o perlomeno rilassata senza cercare strade complicate, in definitiva si bada molto al sodo. Il riff elettrico di chitarra accompagna la strumentale “Año Bisiesto”, oscura e nervosa per un inizio che incute un certo tipo di timore, come l’addentrarsi in un percorso sconosciuto di notte. Non a caso il disco s’intitola “Tenebras” e proprio questo è anche il titolo del brano che sopraggiunge cantato in lingua spagnola. Una nenia è la base del pezzo che a metà si apre seppur lentamente per poi ritornare all’origine. “Esquema Rúnico” in momenti alterni mi ricorda materiale dei King Crimson e comunque la ripetitività è una carta che Pinelli gioca spesso. Un piccolo raggio di sole si staglia nel quarto brano intitolato “La Silla Ardiente”, dove dolci arpeggi rassicurano l’ascoltatore, come sapevano fare le Orme negli anni ’70 nei loro analoghi brani. Riprende il ritmo in “Perdiendo Sueños” canzone in stile Neo Prog come proponevano i primissimi IQ nel 1982, soprattutto per quello che concerne il suono della chitarra elettrica. “Balcones De Barcelona” lascia trapelare già dal titolo cosa la nostra fantasia può immaginare, vociare per le strade e colori durante l’ascolto, uno strumentale che si basa su un buon riff ancora una volta ripetuto numerose volte. Semplice e diretta “Cielo Incandescente” cantata a due voci, maschile e femminile. Molto interessante la fase centrale del brano affidata ancora una volta alla chitarra elettrica di Pinelli. “Tijeretazos En El Aire” è ancora molto IQ style mentre la conclusiva “Zurigo” si affida ancora ad arpeggi nervosi tratti dal cilindro di Robert Fripp, quest’ultimo è uno dei momenti più interessanti dell’intero album.
“Tenebras” è un lavoro che lascia solo qualche perplessità per la registrazione e qualche fase insistente di troppo, per il resto posso definire questo Progressive Rock piacevole e velato di nostalgia, anche questa sensazione ha i lati positivi perché comunque sa emozionare. MS







giovedì 24 novembre 2022

Nodo Gordiano

NODO GORDIANO – H.E.X.
Lizard Records
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2021




Nutro una grande stima per questa band romana che ho avuto già modo di recensire in altre occasioni. Mi piace perché nel tempo modifica il proprio stile alzando di volta in volta sempre di più l’asticella della ricerca, sono questi gli artisti che a pieno titolo s’immergono nel termine Progressive Rock al 100%. Ho quindi decantato le caratteristiche e le capacità sia tecniche che compositive dei Nodo Gordiano, nome oramai radicato e importante per la storia del nostrano Progressive Rock. Storia lunga che incomincia nel 1999, un viaggio che passa attraverso cinque album in studio e con questo “H.E.X.” (Hic Erant Xoana) siamo a sei. Dopo quasi due anni dall’ottimo precedente “Sonnar” (Lizard Records – 2020), Filippo Brilli (sassofoni), Andrea De Luca (sintetizzatori analogici e digitali, campionatore, basso, chitarre acustiche ed elettriche) e Davide Guidoni (Daal) (tastiere, campionatore, percussioni acustiche ed elettroniche) tornano alla carica con un album contenente solamente due suite, entrambe lunghe curiosamente ventisei minuti esatti.
Le suite sono completamente strumentali, ecco il motivo dell’assenza della cantante Natalia Suvorina, la prima s’intitola “Heng” ed è scritta da De Luca, la seconda “Kou” è per mano di Davide Guidoni. I Nodo Gordiano colgono l’ispirazione dal Libro Dei Mutamenti, conosciuto anche come Zhou Yi, i mutamenti della dinastia Zhou, grande classico cinese considerato da Confucio stesso un libro di saggezza. Qui in definitiva si è al cospetto dell’arte divinatoria. L’edizione cartonata che supporta il cd, infatti,  rappresenta per immagini i due esagrammi Heng e Kou ed è per mano di  Davide Guidoni.
La suite “Heng” (esagramma 32) è un mix di psichedelia, Krautrock e sperimentazione. Il suono dell’acqua è uno dei più rilassanti al mondo che conosciamo e inizia il cammino, dove il fascino della psichedelia  abdica proprio per il Krautrock. Il lavoro di Brilli al sax è impeccabile oltre che trascinante, mentre la base musicale cambia ritmo in continuazione. Scenari si susseguono nell’immaginazione di chi ascolta, alternando paesaggi bucolici a stati spirituali e mentali. I Pink Floyd della fine anni ’60 e primi ’70 fanno capolino spesso e volentieri, dopo un lungo tratto lisergico al primo terzo della suite ritorna la ritmica e il sax con veemenza. Molti i punti di convergenza anche con gruppi storici come i Tangerine Dream oppure i Van Der Graaf Generator e quando la chitarra elettrica si getta a capofitto in un arpeggiare nervoso e insistente anche con i maestri King Crimson. Tutto ciò che rilevo non sta dimostrando un inutile copiaticcio, bensì evidenzia la cultura musicale degli strumentisti stessi in azione. Come la corrente alternata, la musica dei Nodo Gordiano disegna un’onda fra fasi irruente e fasi rilassate, sempre e comunque concatenate fra di loro nell’unico brano.“Kou” (esagramma numero 44) attraverso i primi suoni della chitarra acustica e tastiere in seguito, inizia la seconda suite dove la malinconia di un’estate post solstizio assale ognuno di noi, quando l’oscurità giorno per giorno rosicchia cinque minuti in più di luce. Questa descrizione della sensazione da me provata durante l’ascolto, nel Libro Dei Mutamenti è rappresentata da una ragazza la quale non lascia presagire nulla di buono, “Il farsi incontro. La ragazza è potente.Non bisogna sposare una tale ragazza.”, lo scuro. Per cercare di capire questa difficile suite composta da mille dettagli sonori e richiami ancora una volta ai Pink Floyd e a quanto detto della precedente, bisogna entrare nel contesto “Kou”. 
I Nodo Gordiano non hanno né restrizioni e neppure limiti, sono liberi da stilemi popolari ed è proprio questa la chiave della bellezza della loro musica, la libertà di poter vagare dove si vuole, spesso scrutando nuovi luoghi dove la mente si diverte a disegnare scenari fantastici. Posso dire con prove in mano che questo è per loro un  periodo prolifico, spero che anche voi che amate la musica ne facciate tesoro. MS






sabato 19 novembre 2022

Emanuele D'Alfonso

EMANUELE D’ALFONSO – Musica Sei
Music Force / Egea Music
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2022




Mettere a nudo la propria anima e darla in pasto al pubblico non è semplice, specialmente se si ha un carattere timido. Un cantautore è spesso fragile, lo diceva anche De Andrè che non è stato di certo un principiante nel settore. I sentimenti sono personali e andando a toccare certe corde si emoziona sia chi interpreta sia chi ascolta. Si ha paura di andare incontro a critiche, così ci si sente vulnerabili, questo è inevitabile, ma la musica oltre che arte è una salutare valvola di sfogo.
C’è chi passa la vita a suonare con gli amici, chi ne intraprende carriera e chi è con i piedi su due staffe, Emanuele D’Alfonso esordisce per Music Force con un disco che lo rappresenta a pieno, una vita passata a suonare dal vivo e un capolino in studio. Elemento della band I Ruvidi, il teatino si adopera nel mondo musicale sin dal 1994, e soltanto oggi decide di mettersi in gioco e lo fa con un esordio particolare composto di tre situazioni differenti, le cover, due inediti e la parte live. Le cover sono protagoniste indiscusse di “Musica Sei”, qui il cantautore mostra quali sono stati i brani significativi che l’hanno accompagnato nell’arco della vita, quelli che sono entrati dentro e hanno lasciato un segno indelebile. I due inediti sono “Musica Sei”, il brano d’apertura, e “Bambina Mia”, due canzoni che potremmo definire sicuramente d’amore. Si accompagna per l’esibizione in studio con Andrea Fontana (batteria), Max Gelsi (basso), Marco “mambo” Boem (piano e tastiere), Ivan Geronazzo (chitarra elettrica) e Massimo Bonanno (chitarra acustica).
Per il resto la protagonista di questo viaggio è la chitarra acustica. Non nascondo che un debutto fatto principalmente di cover mi riporta indietro negli anni, quando grandissime band esordivano nella stessa maniera, un nome su tutte i Beatles.
“Musica Sei” che apre il disco racconta cosa riesce a combinare in noi la musica, o per meglio dire un disco, un brano Rock cadenzato semplice ma coinvolgente, grazie anche a un gradevole ritornello. Iniziano le cover con “Così Celeste” di Zucchero, rispettosa dell’originale e sentita da parte di D’Alfonso. Solare “Rotolando Verso Sud” dei Negrita, il cantautore qui si trova particolarmente a suo agio. Segue un brano davvero difficile per interpretazione perché Tiziano Ferro ha una voce e un’impostazione davvero particolare oltre che caratteristica, sto parlando di “Sere Nere” un grande classico. Ho apprezzato il fatto che D’Alfonso non cerchi di ricopiare il cantante di Latina, restando prevalentemente se stesso.
“Bambina Mia” è come ho avuto già modo di dire, un pezzo inedito e dentro c’è cantato tutto l’amore per la propria figlia, una ballata toccante e ariosa. Molti di noi sicuramente si potranno rispecchiare in questa canzone. Uno sguardo anche nel Rock di Grignani e il pezzo non può essere che “Destinazione Paradiso”, intensità e melodia a braccetto.
Le registrazioni live iniziano con il tributo al grandissimo indimenticato cantautore napoletano Pino Daniele. D’Alfonso imbraccia la sua chitarra e parte con una bellissima versione sentita di “Je So’ Pazzo”. L’asticella della difficoltà sale con “Caruso” di Lucio Dalla, queste sono canzoni che sembrano apparentemente semplici, ma che in realtà non lo sono, anche perché la metrica di Dalla è difficile da eseguire, a parte il ritornello che sappiamo bene essere decisamente popolare. Non manca neppure il classicone italico “Nel Blu Dipinto Di Blu” di Domenico Modugno, qui il cantautore si diverte e va a ruota libera mettendo molta farina del proprio sacco. Ritorna il Rock, che va di moda oggi, quello dei Måneskin con “Torna A Casa”, il tutto sempre e solo con la chitarra acustica. E a proposito di chitarra viene preso in analisi anche Alex Britti con “Oggi Sono Io” e a terminare l’album c’è “Generale” di Francesco De Gregori. Come avete avuto modo di  vedere i gusti di D’Alfonso sono variegati e non banali, così da far risultare l’ascolto davvero scorrevole. L’artista dice “Musica Sei”, io ci aggiungo la parola “vita”. Buon ascolto. MS






venerdì 18 novembre 2022

Bridgend

BRIDGEND – Einder
Autoproduzione
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: lp – 2022




Terzo lavoro in studio per i Bridgend autori di due ottimi dischi, “Rebis” (Orange Park Records - 2016) e “Rajas” (Autoproduzione – 2020). La band oggi è formata da Andrea Zacchia (chitarra), Leonardo Rivola (sintetizzatori), Massimo Bambi (batteria) e Dario Piccioni che al basso prende il posto di Matteo Esposito.
Con grande piacere mi ritrovo a recensire per la terza volta un loro vinile, in quanto sono amante di questo tipo di supporto oltre che collezionista, per fortuna c’è ancora chi nel 2022 stampa lp come nuova uscita.
Tre dischi in pochi anni già la dicono lunga sulla passione e la creatività di questa band prodotta da Andrea Zacchia. Il disco è in formato gatefold con i bei disegni di Paolo Di Orazio che gettano l’ascoltatore immediatamente nel mondo progressivo del concept scritto sempre da Andrea Zacchia. Le voci seppure poco presenti nell’intero lavoro sono di Lodovico Zago in “Sattva” e Karina Pino in “Rebis”. Quattro le canzoni che compongono “Einder” tra cui la suite finale “La Fine Del Ponte” della durata di diciannove minuti.
La musica la definisco personalmente Post Prog Moderno, ossia un mutamento del classico Prog Rock con innesti attuali sia di suoni sia di stili, pur mantenendo lo sguardo ai preziosi anni che furono, ossia i mitici ’70.
Suoni elettronici fanno da sfondo all’iniziale “Sattva”, quasi totalmente strumentale, dove si raggiungono buoni livelli nei mai banali assolo di chitarra. Come nell’inizio dell’album “Ulisse” della PFM, la narrazione di Zago è calda, profonda e struggente. Altra carta vincente a favore della band è la bellezza della scelta delle melodie spesso toccanti, “Ogni Notte” è un esempio di come si scrive una canzone strumentale senza troppi fronzoli, dove l’ascolto scivola via con piacere. Il crescendo è galeotto, le tastiere di Leonardo Rivola salgono in cattedra per lasciare spazio finale alla chitarra elettrica.
Chiude il lato A del vinile “L’Interprete Sublime” canzone dalla base psichedelica, dove si congiungono due strade, quella di Gilmour e di Steven Wilson. Il lato B è interamente coperto da “La Fine Del Ponte”, qui traspare tutto il carattere dei Bridgend, una personalità che si è saputa forgiare disco dopo disco sino a giungere oggi a una ferma certezza, quella del saper distinguere la band attraverso pochi suoni. All’interno anche un assolo di percussioni oltre che l’immancabile stile chitarristico di Zacchia che fa sognare a occhi chiusi.
Si dice spesso che la musica fa stare bene, in realtà non è una regola esatta, ci sono musiche fastidiose, altre indifferenti, e ci sono quelle gradevoli, ma da qui a dire “fa stare bene” ce ne corre, e i Bridgend ci riescono! Si, perché alla fine dell’ascolto si ha una sensazione di benessere, una pulizia mentale che specie dopo una dura giornata è solo che rigenerante. Siamo giunti quasi al termine di questo 2022 e “Einder” nella mia classifica personale degli album italiani risiede sicuramente fra i primi dieci album. MS






Imaginaerium

IMAGINAERIUM – The Rise Of Medici
Anesthetize Productions
Genere: Progressive Rock / Rinascimentale / Opera Rock                                
Supporto: Ear Book / 2CD  - 2022




Quando si parla di opera Rock, c’è da attendersi un lavoro monumentale o perlomeno ricco di colpi di scena e cambi repentini di sonorità. Spesso questi concept sono pretenziosi, se poi vengono affrontati da artisti di primo pelo, sono addirittura arma a doppio taglio se non indigesti a causa di un’eccessiva pomposità o prolissità. Ma quando sono concepiti da musicisti di grande esperienza nel campo, allora il discorso cambia radicalmente. Sto parlando di Clive Nolan, grande maestro e compositore oltre che militante storico di band Neo Prog di elevata fattura, come gli storici Pendragon o Arena. Nel caso del tastierista in questione potremmo aggiungere altri progetti come Medicine Man, Shadowland, Strangers On A Train, Caamora etc. In parole povere Clive Nolan è nel campo sin dalla fine degli anni ’70.
Ho sempre seguito con piacere tutta la sua carriera sempre ricca di perle, comprese le opere Rock, tuttavia vi anticipo che in questo caso sono rimasto veramente colpito dalla magniloquenza del prodotto.
“The Rise Of Medici” è di base composto di tre elementi che fanno capo al nome Imaginaerium, ossia oltre al citato tastierista inglese ci sono Eric Bouillette (composizioni, arrangiamenti, chitarra, tastiere, mandolino e violino) e la cantante Laura Piazzai. Il concept, come suggerisce il titolo, narra la saga dei Medici tra il matrimonio di Cosimo de’ Medici e la Contessina de’ Bardi, oltre all’esilio di Rinaldo degli Albizzi, rivale di Cosimo. Clive Nolan interpreta Rinaldo, Laura Piazzai è Contessina e poi si aggiungono numerosi e importanti special guest come Andy Sears alla voce nella parte di Cosimo, Elena Vladyuk alla voce nella parte di Lucrezia, Mark Spencer sempre voce è Monks e a seguire Scott Higham alla batteria, Bernard Hery al basso e Isabella Cambini all’arpa.
Il prodotto è curato nei minimi particolari, supportato da un libro nell’edizione limitata di ventotto pagine con l’artwork di Steve Anderson e la copertina di Kim Ouzo.
L’opera di per se dura un’ora ed è suddivisa in dodici tracce, poi esiste l’edizione limitata e nel bonus cd ci sono (In formato prove?) altri otto brani e tre interviste, la prima a Eric Bouillette, la seconda a Laura Piazzai e la terza ovviamente a Clive Nolan.
L’opener s’intitola “Festina Lente” che significa “Affrettati Lentamente”, un motto dei Medici. Sopraggiunge “Duty Love” interpretata in maniera sentita dalla potente voce di Laura Piazzai, potente come il brano che esplode in ritmiche possenti e una cadenza massiccia. Tutto questo sta sottolineando lo stato nervoso della Contessina che ragiona sulle conseguenze del matrimonio con Cosimo I. Teatrale e sinfonica “House Of Dreams”, i coniugi riflettono su come creare un nuovo ordine a Firenze e la musica riempie la mente per maestosità. Il duetto delle voci funziona fra intercalare e incroci di tonalità, coinvolgenti anche per intensità. Le coralità aumentano in “The Tide Will Change” per l’ingresso di Rinaldo degli Albizzi, arrabbiato al punto giusto contro i suoi nemici. Qui il Rock diventa opera sinfonica, un compromesso difficile da assemblare, territorio per pochi eletti. Un maestoso coro introduce e accompagna “Never Close Your Eyes”, qui Lucrezia avvisa Contessina e Cosimo su cosa potrebbero andare incontro, anche qui un insieme di voci suggestive e ammalianti.  Il consiglio viene accolto da Contessina in “Glass Throne”, altro esempio di come la musica evidenzia le parole, anche un bell’assolo di chitarra elettrica appone un prezioso contributo.
Si spalancano le porte del grande Prog in “Treachery”, Cosimo tradito viene messo in gattabuia da Rinaldo, dialoghi di voci si sovrappongono, tensione nell’aria sottolineata dalla musica impegnata anche in cambi di tempo. Cosimo viene esiliato a Venezia, “Fall From Grace” apporta un momento di riflessione con Lucrezia in un brano dal sapore Folk e quindi giunge “Will I Never Return” con veemenza, sinfonia e tratti di pacatezza, tutti ingredienti Prog Rock DOC.
Colpo di scena, Rinaldo nonostante tutto non ottiene i suoi propositi, così Contessina vede avvicinarsi la propria vittoria, “Fortune Reverse” narra tutto ciò e le sensazioni di lei seguono passo passo le sonorità che fungono da vero e proprio evidenziatore dei fatti. Ancora una volta devo sottolineare il buon lavoro al microfono da parte dei protagonisti, ma anche delle tastiere di Nolan sempre fortemente presenti.
E trionfo finale sia, con il cerchio che si chiude, “Return Of The Medici” riprende l’opener per poi esplodere in tutta l’enfasi possibile, tre voci e Rinaldo esiliato. “Legacy” è il degno suggello finale.
Il secondo disco (bonus) si apre con “Fortune Reverse” cantata da Laura Piazzai e Clive Nolan, non ci crederete se vi dico che preferisco questa versione. “Duty Of Love Bonus” è parte aggiunta al brano madre, l’intesa fra Piazzai e Nolan è davvero incredibile. La stessa sorte per “Legacy Bonus”, “Never Close Your Eyes Bonus”, “Fall From Grace” (soave), “Fortune Reverse Gtr”, Festina Lente”, tutti brani cantati dalla Piazzai. Chiude la musica la strumentale “The Tide Will Change”, a seguire le succitate interviste.
Cura per i particolari, la professionalità e la bravura nel comporre è l’arma vincente di quest’opera Rock, a mio modo di vedere la migliore in assoluto della carriera di Clive Nolan, il merito è anche di Laura Piazzai e ovviamente anche di Eric Bouillette. Da avere assolutamente, per un’ora di proiezioni mentali che la musica sa suggerire oltre le parole. MS








domenica 13 novembre 2022

Barale'Space Trip

BARALE’S SPACE TRIP - Barale'Space Trip
Karma Conspiracy Records
Genere: Space Rock -– Post Prog Moderno
Supporto: Vinile / file – 2022




La musica denominata Rock Progressivo è un ampio contenitore che molto spesso porta a creare molta confusione attorno al suo essere, anche negli addetti ai lavori. Troppi anni sono passati da quello stile che negli anni ’70 genera numerosi proseliti. I tempi cambiano, così le mode e la tecnologia, di conseguenza le contaminazioni si aggiungono e la ricerca diventa sempre più intrigata. Non a caso ho scritto il libro per Arcana Edizioni “POST PROG MODERNO – L’alba Di Una Nuova Era”, proprio per cercare di fare più chiarezza possibile riguardo l’argomento.
Di certo i fenomeni Tool, Porcupine Tree e nel passato i Pink Floyd, mutano le carte in tavola, così che certe sonorità ipnotiche prendono il sopravvento su un certo tipo di Progressive Rock. Il fenomeno è mondiale, vedi in Polonia i Riverside, oppure nei paesi nordici gli Airbag o gli Opeth e così via per il resto del globo.
Anche noi in Italia siamo attenti ascoltatori e produttori di questa musica in bilico fra Space Rock e Post Prog Moderno, un esempio giunge dal duo Barale’s Space Trip, un nome che racchiude in se l’essenza di tutto questo mio discorso.
I fratelli Davide Barale e Fabio Barale sotto la produzione di Fabio Ferraboschi, realizzano quest’album di debutto dal titolo omonimo composto di sette brani. Nel viaggio si coadiuvano della collaborazione di artisti quali Vince Pàstano, Daniele Mencarelli ed Elia Garutti. Oltre che le atmosfere spesso vicine al mondo dei Pink Floyd, quello che mi balza subito all’orecchio è finalmente, una volta tanto, un buon inglese nel cantato, di solito pecca delle nostre band italiche.
“Mountain Of Madness” introduce immediatamente l’ascoltatore nel mondo etereo dei Barale’s Space Trip fatto di natura, arte e Psichedelia. L’incedere seppure non eseguito con chitarre distorte sembra tratto dalla scuola Tool. L’assolo finale con slide e quant’altro il genere in analisi necessita, è di sicuro uno dei momenti più belli dell’intero lavoro.
“Distant Land” non è altro che un piccolo trip, suoni e voci avvolgono la mente, mentre un ritmo cadenzato ammalia e fa decollare la fantasia. La breve malinconica e pianistica “Awakening” è una dolce poesia narrata da voce femminile che conduce a “Imagination”. La forma canzone qui è maggiormente presente, un Pop che si potrebbe accostare al mondo di “The Division Bell” sempre dei maestri Pink Floyd, grazie soprattutto alla chitarra oltre che agli arrangiamenti vocali.
I discorsi si fanno maggiormente complessi con “Dancing Spirit” dove una ricerca più accurata per i suoni scomoda perfino l’elettronica per poi sgomitolarsi su di un refrain popolare e intenso, infarcito con cori da stadio e un assolo di chitarra chiaramente di stampo Gilmouriano.
“Rain & Cry” fa nuovamente volare la fantasia, ritornando a quel mondo Psichedelico più marcato e il debutto si conclude con “Lady Of The Dark Room”, brano preferito da chi vi scrive, sia per l’intensità sia per le atmosfere (e ancora quella chitarra…).
Questo debutto è positivo e farà sicuramente la gioia di chi ama oltre che i Pink Floyd anche i Porcupine Tree, Airbag, Bjorn Riis, Anathema e tutto quello che circonda questo stile.
E' possibile pre-ordinare il vinile su bandcamp store: https://baralespacetrip.bandcamp.com/album/baralespace-trip  MS





sabato 12 novembre 2022

Reale Accademia Di Musica

REALE ACCADEMIA DI MUSICA – Lame Di Luce
Sony Music
Distribuzione: M.P. Edizioni Musicali
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2022




Ecco uno di quei nomi che fanno tremare dall’emozione i fans del Progressive Rock Italiano, quello dei romani Reale Accademia Di Musica. Nella carriera si ritagliano un seguito considerevole grazie soprattutto al debutto storico del 1972 dal titolo omonimo, un equilibrio fra canzone e ricerca strutturale. Una delle carte vincenti di questa formazione, infatti, è proprio il ricercato gusto per la melodia dalla facile assimilazione, il tutto filtrato attraverso il Progressive Rock di classe, e credetemi quando vi dico che far coincidere le cose non è semplice. Numerose ristampe anche viniliche di questo piccolo gioiello seventies rilevano l’importanza storica. Ma la carriera della band ex I Fholks ha risvolti interessanti anche nei tempi più moderni, grazie alla passione e competenza di Pericle Sponzilli. Li abbiamo lasciati nel 2018 con il buon “Angeli Mutanti” (M.P. Records) e oggi li ritroviamo grazie a “Lame Di Luce”.
Sotto la produzione di Fabio Liberatori, Danilo Pao e Pericle Sponzilli i Reale Accademia Di musica sono oggi formati da Pericle Sponzilli (chitarra, voce), Fabio Liberatori (pianoforte, organo Hammond e sintetizzatori), Erika Savastani (voce), e Fabio Fraschini (basso), con loro partecipano anche Francesco Isola (batteria), e Danilo Pao (Fender VI su “Onde di Sabbia”, “Lame di Luce” e “Ore Lente”).  “Lame Di Luce” nel vinile è formato da otto tracce, mentre sul cd se ne possono ascoltare due in più.
La cura per gli arrangiamenti dimostra a pieno l’annosa esperienza dei musicisti, la forma canzone è rispettata sin da “Onde Di Sabbia”, qui buona la prova vocale di Erika Savastani, ma gli arpeggi della chitarra e soprattutto l’intervento delle tastiere nell’assolo sono il fulcro del brano. Il profumo degli anni ’70 aleggia già nella stanza e non nascondo da buon nostalgico quale sono qualche brivido sulla mia pelle. Voce, piano elettrico e batteria nell’inizio di “Ascesa al Fuji”, qui si apprezzano a pieno le caratteristiche Prog della band.
Atmosfere pacate fra le corde della chitarra in “Due Pietre Preziose Birmane”, cantata a due voci con un’ottima resa. Nella title track “Lame Di Luce” scaturisce intensa mediterraneità, sia nei testi sia nella musica. Le linee vocali sono ispirate e tra le note si scorge l’esperienza di Sponzilli. Sale il ritmo con “Si Parlerà” mentre l’ascoltatore si ritrova in una dimensione viaggiante, in un momento senza tempo. “Una Ferita Da Disinfettare” sembra semplice nella stesura, ma la cosa più difficile per un compositore (e chi è musicista, mi supporterà) è proprio trovare una melodia accattivante e diretta, e qui i Reale Accademia Di Musica ci riescono con classe. Ci sono anche arrangiamenti elettronici in “Ore Lente”, una semi ballata sorretta da un riff convincente e un assolo di tastiere dall’innata nostalgia per il Prog anni ‘70.
“Incontri” cantata da Pericle chiude il vinile, con un ascolto da effettuare a occhi chiusi.
I brani aggiuntivi del cd s’intitolano “Ossessione” e “Il Cavaliere Del Cigno”, vigoroso il primo e soave ballata il secondo, sempre con la voce di Erika in cattedra.
Come ho avuto già modo di dire, le composizioni semplici sono in realtà le più difficili da ricercare, un algoritmo prezioso, e in questo disco abbiamo la prova che l’esperienza, la sensibilità e la passione pagano sempre, con genuinità. Ben tornati Reale Accademia Di Musica. MS 

mercoledì 9 novembre 2022

Ologram

OLOGRAM – La Nebbia
Autoproduzione
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd – 2022




La nebbia. Ciò che esiste è celato, lasciando adito a fantasiose immaginazioni. Eppure tutto è, come sempre è stato. Diceva il Banco Del Mutuo Soccorso, “Messere, da quassù si domina la valle, ciò che si vede…è”, ma la nebbia scatena in noi altre ipotesi. La nebbia è stata presa negli anni come spunto per diversi romanzi, film, libri, e chi più ne ha più ne metta, perché nell’immaginario collettivo ha sempre avuto il suo maledetto fascino.
In questo caso il musicista Dario Giannì (fondatore della storica band siracusana Ydra, ex Anèma) per il suo debutto a nome Ologram, prende spunto dal film di John Carpenter “The Fog” per narrare in questo concept album il viaggio dell’uomo alla ricerca del significato della propria vita. Una lunga storia suddivisa in due strumentali “Intro” e la conclusiva “Il Ritorno”, e sei brani cantati.
La formazione degli Ologram è composta da Dario Giannì (basso), Fabio Speranza (voce), Roberto Giannì (tastiere), Lorenzo Giannì (chitarre) e Giovanni Spadaro (batteria). A loro si aggiungono numerosi special guest sempre dell’ambito siracusano. Con queste premesse il disco si apre proprio con un intro di tre minuti circa e le atmosfere gettano immediatamente l’ascoltatore in un porto fra mare, gabbiani e navi, qui comincia il viaggio.
E siamo già ne “La Nebbia”, dove chitarre Hard Rock disegnano ambienti grigi su un mid tempo greve. Ma siamo nel Prog, quindi ecco giungere immediatamente il cambio umorale, arpeggi, tastiere si alternano fino giungere a un inciso capace di rimanere facilmente impresso nella mente. Buoni gli assolo che rimandano ai tempi Marillioniani degli anni ’80. Le tastiere sono fondamentali anche per richiamare attraverso il Mellotron schegge di Genesis finale “Entangled”, tutto questo per la goduria dei vecchi Prog fans. “Vetro Di Rame” ha un testo significativo e immaginifico, la musica punta nuovamente su stacchi di tempo e assoli vintage. Retta la prova vocale di Speranza che bene interpreta i testi senza mai strafare, il tutto eseguito in maniera sentita. Quello che funziona nella musica Ologram è proprio il variegare non soltanto con il ritmo, ma anche l’innestare al momento giusto buoni assolo strumentali. Qui in questo caso la mia mente vola nuovamente nei Marillion era Fish. Segue “Mediterraneo”, orecchiabile perché più canzone rispetto quello che si è ascoltato sino ad ora, anche se il Prog è sempre fortemente presente. Gli arrangiamenti sono buoni e il risultato finale è piacevole, grazie anche al supporto del violoncello di Matteo Blundo.
Questa è musica che come la nebbia ti riempie i polmoni, come amo dire spesso è musica dall’ampio respiro. Su “Strane Voci” avviene la staffetta al microfono fra Speranza e Andrea Campisi, essendo il pezzo maggiormente ruvido, si necessita inevitabilmente di una voce più acida. Anche le chitarre s’irrigidiscono mentre la batteria passa nelle mani di Matteo Ceretto. Ancora cambio alla voce nei brani “Straniero” e “Una Rotta Verso Est”, le melodie sono cantate da Cristiano Sipione dotato di un vibrato in stile Bernardo Lanzetti. In effetti “Straniero” non avrebbe stonato neppure nell’album “Passpartù” della Premiata Forneria Marconi.
Il brano più lungo dell’album superiore ai sette minuti s’intitola “Una Ruota Verso Est”, qui tutte le caratteristiche già descritte del sound Ologram. Chiude il secondo strumentale “Il Ritorno” e qui il basso di Dario Giannì si diverte e osa di più, lasciandosi andare in maniera coinvolgente.
“La Nebbia” è un disco di musica totale, sia elegante che sincera ma attenzione, quello che potrebbe sembrare semplice in realtà non lo è, altra magia della nebbia. MS
 
https://www.youtube.com/channel/UCOx37XIyfaWLblXh2j3R7HQ
https://open.spotify.com/album/3tOJpou4peLbVhd3cnvJ9u?si=KSpyII4LQj-ouozyLNYJRw
https://www.facebook.com/dariogianni22








Audio'm

AUDIO’M – Gaia | 1. Godzilla
Autoproduzione
Genere: Crossover Prog
Supporto: cd – 2022




Apprezzo moltissimo quando in un’autoproduzione lo sforzo fra musica, artwork e packaging raggiunge un livello di equilibrio nel rispetto dell’acquirente. E si, perché un disco sposa l’arte non soltanto sonora ma anche quella visiva e tattile. Immaginate voi cosa sarebbe stato “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd senza il prisma ed il gatefold. Certo, la musica in un opera è la più importante, ma l’equilibrio dell’insieme fa del prodotto finale un valore aggiunto, così che la memoria associa e ricorda meglio il tutto nel tempo.
Così mi sento di iniziare questa recensione del ritorno dei francesi Audio’m, proprio nominando le illustrazioni di Valentin Bayle, ed il design di Simon Segura e Mathieu Havart, in una bella edizione cartonata.
A sei anni di distanza dal buon debutto intitolato “Audio’m”, i francesi ritornano con un progetto davvero ambizioso, una trilogia che inizia con questo “ Gaia | 1. Godzilla”. Molto tempo è stato impegnato per la realizzazione che si sviluppa in un unico brano della durata di quarantatré minuti e mezzo. Da nove elementi la band screma a sei, con Simon Segura (basso, chitarra), Marco Fabbri (batteria), Dominique "Oiss" Olmo (chitarra), Mathieu Havart, Michel Cayuela (tastiere), Gary Haguenauer (chitarra) e Emmanuelle Olmo-Cayuela (voce). La scrittura, composizione, registrazione, missaggio e mastering sono effettuati nel sud della Francia, tra terra e mare, a Banyuls-sur-mer. La musica proposta è quella che piace al puro Prog fans, un mix in bilico fra anni ’70, jazz e barocca.
Nulla è lasciato al caso il minuzioso lavoro rapisce l’ascolto dal primo all’ultimo minuto, tanto da far sembrare tre quarti d’ora un lasso di tempo decisamente minore.
Il brano si apre vigorosamente con le tastiere in prima linea ed una ritmica spezzata ma decisa. Ca va sans dire che tutto è colmo di cambi di umore, le note disegnano spesso paesaggi e situazioni che hanno sia del bucolico che del vintage. Arpeggi di chitarra classica fanno tornare alla memoria i migliori Genesis e il cantato è in lingua inglese.
Il brano è suddiviso in dieci movimenti dove si ritagliano anche frangenti Neo Prog cari più agli inglesi IQ piuttosto che ai Marillion. Il terzo movimento intitolato “The Wake” ricorda gli IQ anche per il titolo. Toccate e fughe strumentali sono ben congeniate e quando il Mellotron interviene il suono riempie la mente, lasciando l’attento ascoltatore decisamente sazio.
In questi passaggi non soltanto emerge la preparazione tecnica dei musicisti, ma anche la  loro cultura musicale relegata alla storia del genere.
Da sottolineare l’ottimo lavoro svolto da Marco Fabbri dietro le pelli, un valore aggiunto all’insieme, i suoi tocchi hanno dello stilografico, impegnato fra controtempi e virgole di classe.
Altro momento molto interessante giunge quasi alla metà del brano, quando le due chitarre dialogano fra di loro su di una ritmica decisamente trascinante. Ma nulla di più vado a spoilerare.
Ora mi chiedo se quella dell’autoproduzione sia stata una scelta mirata della band, oppure ancora nessuno si è accorto di questa bella realtà che a mio modo di vedere andrebbe supportata. Se amate il Progressive Rock puro ricco di influenze e di storia non dovete fare altro che acquistare “Gaia | 1. Godzilla”, non ho davvero altro da aggiungere anche perché da vero fagocitatore di questa musica quale sono, vado a pigiare di nuovo il tasto play. Nella mia classifica personale sono decisamente fra i primi cinque album più interessanti di questo ottimo 2022.  MS







 

domenica 6 novembre 2022

Banda Belzoni

BANDA BELZONI – Timbuctu
MaRaCash Records
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: Bandcamp/cd – 2022




Come osservatore, collezionista e cultore del Rock Progressivo Italiano, ho spesso raccontato di periodi altalenanti riguardo all’attenzione del pubblico a questo fantasioso genere. Sappiamo bene che gli anni ‘70 da noi sono stati il decennio più interessante, non tanto per il numero di uscite ma per la qualità dei prodotti proposti, ciò è stato dato anche dalla Controcultura che aleggiava come un’utopia fra le menti dei giovani. Emergere dalla massa con la propria personalità era obiettivo comune. Poi c’è stato il momento di calo nei primi anni ’80, ma la brace è calda sotto la cenere, basta soffiare un pochino e questo lo fa il Neo Prog dei Marillion, Pendragon, IQ etc, svegliando nuovamente l’attenzione del vecchio fans abbastanza avvilito dalla temporanea dipartita del genere amato. Nuovamente un calo alla fine dei ’80 e poi la ripresa nei ’90 grazie questa volta a band nordiche come The Flower Kings, Landberk, Anekdoten, Anglagard etc, ma anche americane come ad esempio Spock’s Beard ed Echolyn per fare due nomi importanti. E poi così via, fra alti e bassi sino ai giorni nostri. Da rilevare nel frattempo il ritorno di grandi band del passato come Delirium, La Nuova Raccomandata Ricevuta Ritorno, Alphataurus e moltissime altre ancora sorte negli anni ’70 e riformatesi nei 2000, a dimostrazione che quando aumenta la richiesta basta rispondere presente. In parole povere il Rock Progressivo Italiano ha numerosi proseliti anche oggi 2022 e sono moltissime band di ragazzi giovani a portare avanti il testimone del genere. Ma come ho detto anche artisti del passato come Gigi Venegoni (chitarre, tastiere, voci) e Sandro Bellu (chitarre, tastiere, voci) hanno ancora molte cose da dire. Assieme a Mauro Mugiati (voce e cori), ma anche
Carlo Bellotti (batteria, piatti e percussioni), Silvano Borgatta (piano e tastiere), Fulvio Bosio (strumenti a quattro corde), Marta Caldara (Marimba), Andrea Pettinelli (tastiere) e la partecipazione straordinaria dei maestri Franco Mussida, Paul Mazzolini e Lino Vairetti, fanno del progetto Banda Belzoni un’ottima realtà. L’esordio dal titolo omonimo del 2019 è di per se una bella sorpresa ma oggi la Ma.Ra.Cash Records ce li propone in un concept di undici brani, dove la band così descrive il contesto: “Giovanni Battista Belzoni - il Gigante del Nilo famoso per aver svelato i segreti e le opere degli antichi egizi con le sue straordinarie scoperte - salpa da Gibilterra nel giugno 1823, destinazione Timbuctù. Si ferma a Madeira, Tenerife, Capo Verde, e infine atterra sul ramo settentrionale del delta del Niger, a sud di Lagos. Vuole raggiungere Benin City e da lì salire alla Regina delle Sabbie, da cui nessun bianco è mai tornato.
Durante il viaggio in mare, ha pensato a lungo alle sue avventure per l'Europa, ha raccontato con passione ai suoi compagni di bordo. Parigi, Copenaghen, Londra, Egitto, Russia. Ha ragionato sulle aziende che l’hanno reso famoso in Europa e ha pianificato la missione quasi impossibile che lo attende, illuminato dalla fede e dall'amore Sarah, la donna con cui ha affiancato per oltre vent'anni.
È determinato a riscrivere la storia. Ma il destino ha deciso che può essere solo una leggenda. Questo disco racconta cosa è successo navigando, tra tempeste, ricordi, amici, sogni, languori, amori e buon vino.”.
“Sarah Sarai” apre il disco e lo chiude, l’intro è breve ma ha la capacità di farci addentrare immediatamente nel percorso che ci attende. Il mare rumoreggia e lascia spazio ad un pezzo quasi del tutto strumentale, dove la marimba di Marta Caldara dei Syndone gioca un ruolo interessante, il pezzo s’intitola “Intrigoni”. Personalmente qui ci denoto piccole influenze Spock’s Beard miscelate a quelle della PFM centro carriera. Profumo di anni ’80 nella canzone “Se Mi Oriento” con un ritornello gradevole e semplice. La più vigorosa “Scrivi Con Ogni Carovana” è composta da Sandro Bellu, uno dei momenti più Rock dell’album. “La Città Della Luce” è il primo strumentale del concept con in evidenza la chitarra di Gigi Venegoni, piacevole e solare. Non mancano di certo cambi umorali e di tempo, neppure in “Copenhagen”, canzone di classe che mette in vetrina le capacità artistiche della band. In “Oltre Il Mare” c’è una gradevole sorpresa, Paul Mazzolini in arte Gazebo alla voce, e a proposito di voci storiche in “Latitudine Zero” si trova quella di Lino Vairetti dei partenopei Osanna.  Altro gioiellino sonoro è “La Nuvola”, semplice, diretto e con una melodia che difficilmente si può dimenticare, ricco di storia italica. Il secondo strumentale ha il titolo “Il Discorso Del Se”, e la chitarra acustica scalda il cuore. In chiusura giunge la seconda parte di “Sarah Sarai” con la ciliegina sulla torta, la chitarra dell’ex PFM Franco Mussida, sempre un piacere da ascoltare, vera e propria goduria.
Questo in definitiva è uno dei periodi in cui il Progressive Rock Italiano sta nuovamente e prepotentemente rialzando la testa, approfittiamone per goderne al meglio. Disco consigliatissimo. MS







sabato 5 novembre 2022

Queensryche


QUEENSRYCHE - Digital Noise Alliance
Century Media Records
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2022




E’ sempre molto difficile affrontare l’argomento Queensryche, per chi li conosce, sa già cosa intendo dire, agli altri rubo un minuto per spiegarne la situazione.
I Queensryche sono una band storica del Metal Progressive, si formano nel 1981 prima dei Dream Theater ed hanno fatto la storia del genere con album epocali e una voce, quella di Geoff Tate che definirei irraggiungibile per certi versi. Inutile ricordare un album piuttosto che un altro, dico solamente che “Operation: Mindcrime” è una sorta di “The Wall” del Metal. La carriera della band di Seattle si può descrivere in tre fasi, la creativa, quella che ha fatto da scuola per band a venire, il periodo Grunge, con i piedi su due staffe, probabilmente il momento più difficile con la conseguente dipartita di Tate e questo degli ultimi anni, con una leggiadria differente, una volta scrollatisi di dosso il pesante fardello del passato. Oltre Tate, abbandona più volte anche lo storico chitarrista Christopher Lee DeGarmo, band tormentata sul da farsi futuro. Alla voce da dieci anni a questa parte oltre che alla batteria, c’è il roccioso Todd La Torre, ottimo cantante anche lui dotato di buona estensione vocale. Diciassette le registrazioni in studio nella carriera, e comunque sia tutte chi più chi meno a loro modo interessanti. Certo, certe emozioni non sono più tornate anche perché questa è una regola che non è valsa soltanto per loro, ossia quella del cambiamento del contesto sociale. Cambiano i tempi e quindi anche le mode. Chi si è comunque adeguato ha proseguito imperterrito (magari fra alti e bassi con cambio inevitabile di fans), chi ha scimmiottato sempre se stesso con il tempo è sparito. Poi diciamo la verità, i Queensryche hanno veramente fatto di tutto tranne che scimmiottare se stessi, ogni album una storia a se, sia stilistica sia di concetto.
Oggi la band è composta da Todd La Torre (voce), Michael Wilton (chitarra), Mike Stone (chitarra), Eddie Jackson (basso) e Casey Grillo (batteria).
Non mi perdo più di tanto in inutili descrizioni brano per brano, in questo caso non serve, la musica proposta ha un suo standard qualitativo, come non apprezzare le chitarre? Una ritmica perfetta, una voce ottima e canzoni che sono sempre e comunque gradevoli, stiamo parlando dei Queensryche in fin dei conti…
Non mancano neppure attimi in cui la mia perplessità fa capolino come ad esempio nell’iniziale “In Extremis” o in “Chapters” dove i nostri sembrano fare il verso ai colleghi Power Iron Maiden. Ma la classe è quella che domina di più fra i solchi ottici del disco, “Lost In Sorrow” scava ad esempio anche nel passato della band. Il singolo “Behind The Walls” sa il fatto suo e non è di certo una canzone scontata. I classici mid tempo sono rispettati in “Nocturnal Light” mentre la classica ballata qui ha il titolo di “Forest”.
I Queensryche finalmente si divertono e si sa che il divertimento è contagioso. Una buona prova da far ascoltare a tutte le band che comunque muovono i primi passi in questo territorio. Niente di trascendentale per chi come me li ha sempre seguiti e amati nel passato, ma in fin dei conti il mondo oggi va così, chi si accontenta gode. MS