Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

lunedì 27 luglio 2020

Tributo da AREA PROG

AREA PROG e NONSOLO PROGROCK

E' con vero piacere e sorpresa che vado a ringraziare AREA PROG e Marcio Sà dal Brasile per il video tributo al mio blog. E' un piacere constatare che c'è chi apprezza il lavoro di un appassionato. Propellente per fare sempre di più e meglio.



Grazie



domenica 26 luglio 2020

TRASIMENO PROG FESTIVAL 2020

Trasimeno Prog Festival 2020

Anche quest'anno il 21 ed il 22 agosto si terrà il TRASIMENO PROG FESTIVAL a Castiglione Del Lago nel Teatro Della Rocca.


Monjoie

MONJOIE- Love Sells Poor Bliss For Proud Despair
Lizard Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cde – 2020



Ritornano i liguri Monjoie e lo fanno proseguendo il cammino intrapreso nel 2018 con  “And In Thy Heart Inurn Me” (Lizard Records), quello della poesia e del romanticismo inglese dettato da poeti come John Keats, Percy Bysshe Shelley e George Byron. Arte grafica, poesia, musica, sono muse che quando si incontrano danno inesorabilmente vita ad emozioni intense. Fa piacere nel 2020 incontrare ancora chi ama la bellezza e la eleva al giusto piano dell’ importanza.
I Monjoie in questo nuovo capitolo della loro esistenza sono Alessandro Brocchi (voce, chitarra, tastiere, tampura), Valter Rosa (chitarra, bouzuki), Davide Baglietto (flauti, tastiere, Musette del berry), Alessandro Mazzitelli (basso, tastiere, percussioni), e Leonardo Saracino (batteria, percussioni). Nel corso del lavoro si avvalgono dell’ausilio di special guest del calibro di Edmondo Romano (sassofoni e clarinetti), Fabio Biale (violino), Matteo Dorigo (ghironda), Alessandro Luci (basso), Simona Fasano (voce recitante) e Lorenzo Baglietto (Musette del berry).
La musica proposta è viatico di culture differenti associate a tempi distinti, fra passato e presente, lingua inglese antica e mondo greco passato, il tutto rivisitato anche in chiave Rock Progressivo.
L’edizione cartonata supporta il libretto interno con i testi, mentre il dipinto della copertina è ad opera di Giovanni Pazzano. La musica è scritta da Alessandro Brocchi eccetto per “A Dirge” (Davide Baglietto) e “To Night” (Valter Rosa).
Inizia la suite “Ode On A Grecian Urn”, suddivisa in cinque parti. Il mellotron è lo strumento più adatto per far tornare indietro l’ascoltatore alle sensazioni passate, in “Part1: Thou Still Unravish’d Bride Of Quietness” un suono lo catapulta verso la fine degli anni ’60 quando Moody Blues e Procol Harum compongono opere d’arte. Il whistle completa l’operazione.
Tampura, solina strings, basso fretless coronano il suono di “Part 2: Heard Melodies Are Sweet But…” , cantato anche in questo caso da Brocchi. Ancora strumentazioni d’epoca in “Part 3: Ah, Happy, Happy Boughs!”, questa volta si possono incontrare la ghironda, musette del berry (cornamusa del centro della Francia), l’harmonium , il bouzuki e la tampura (chitarra indiana). Eppure il tutto assume un connotato Neo Prog stampo Marillioniano di primi anni ’80, quando Fish e soci si divertono ad entrare nel folclore antico inglese. Le atmosfere restano sempre pacate, anche in “Part 4: Who Are These Coming To The Sacrifice?”, una ballata delicata da ascoltare ad occhi chiusi. La conclusiva “Part 5: OdeOn A Grecian Urn” è impreziosita dal sax di Edmondo Romano (Eris Pluvia, Avarta, Orchestra Bailam, Ancient Veil) ed ha connotati più moderni, se così vogliamo definirli rispetto quanto ascoltato sino ad ora. La bellezza prende il sopravvento.
Sulla poesia di Percy Bysshe Shelley giunge “Mutability”, il violino di Biale dona al complesso un aurea sognante, mentre il crescendo sonoro completa l’opera enfatica. “To Night” si rivolge più alla formula canzone, invece “A Lament” mostra i Monjoie più progressivi riguardante sia la ricerca sonora che compositiva. Tutto ciò tuttavia non comporta una complessità strutturale elevata, l’ascolto è semplice, congiunto a passaggi gradevoli e mai complessi. “The Flower That Smiles To-Day” prosegue il sentiero senza ulteriori diramazioni, mentre un pianoforte apre “A Dirge”, un accesso a ritroso nel tempo grazie alle coralità oltre che all’utilizzo stesso dell’harmonium e del musette del berry. Il disco si conclude nella poesia di George Byron in “She Walks In Beauty”.
Bellezza e cultura si sposano perfettamente in questo lavoro dove il tempo gioca un ruolo fondamentale, come in una sorta di elastico che ci trascina da un capo all’altro della sua massima estensione. Bungee jumping progressivo, semplicemente belle emozioni. MS


sabato 25 luglio 2020

Savelli & NoStress

SAVELLI & NOSTRESS – Doing Nothing “Live At The Tower”
Radici Music Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2020



Alex Savelli è un nome importante per il nuovo Progressive Rock Italiano, alcuni di voi lo hanno conosciuto con il progetto Pelikan Milk, ma anche attraverso il grande maestro Massimo Manzi nel 2019 con il quale realizza l’album “Gettare Le Basi”, oppure sentito nominare in collaborazioni con artisti del calibro di  Eddie Kramer, Simon Painter, Paul Chain (Death SS – Paolo Catena), David Eserin, Ares Tavolazzi (Area), Andrea Giomaro, Gianpiero Solari, Elyan Fernova e molti altri ancora.
Quello che nel tempo ho sempre apprezzato della filosofia musicale del cantante e chitarrista bolognese è la libertà totale con cui si è sempre saputo muovere. Un artista che sembra essere fuori del tempo, relegato ad un modus operandi non più attuale, capace di esprimere solo ed esclusivamente ciò che prova al momento, non curando l’aspetto popolare, piaccia o meno ha sempre realizzato musica sentita e vissuta al momento senza compromessi. Lo relego nel puro spirito del Progressive Rock più significativo del termine, oggi purtroppo svalutato e storpiato per convenienze più o meno di comodo. Non trattasi di musica scimmiottante Genesis, King Crimson etc., bensì di personalità, pur avendo ovviamente punti di riferimento storici rielaborati dalla propria vena artistica.
Essendo io un vecchio ascoltatore collezionista, di quelli che tengono molto all’insieme del prodotto e quindi anche all’artwork, sottolineo che tutti i progetti di Savelli sono sempre stati supportati da un packaging importante, curati ed esaustivi. Anche in questo caso all’interno dell’elegante confezione cartonata si trova il libretto con i testi tradotti in italiano. Una forma di rispetto per l’ascoltatore che ho sempre apprezzato.
Savelli ritorna con un album registrato dal vivo in una torre medioevale, poco prima del nefasto evento pandemico. Con lui i NoStress, trio acustico bolognese formatosi nel 2013 e composto da Jeanine Heirani (voce, chitarra, basso, piano), Paolo Lapiddi (basso) e Max Bertusi (batteria, percussioni). L’album si intitola “Doing Nothing” e contiene dodici brani, di cui tre tratti dal primo disco dei Pelikan Milk “South Enough” (2000 - New LM Records) e sono “The Secret”, “Days” e “See You Later”.  La scelta della registrazione a presa diretta dona all’insieme ulteriore spinta, una sincerità aggiunta in un momento come questo dove la tecnologia e l’artefazione regnano sovrani, mentre il mastering viene realizzato a Los Angeles da Alex Elena (Bruce Dickinson).
“Doing Nothing” pur essendo un disco acustico lo relego nel Progressive Rock perché in esso convergono differenti stili sonori che variano dal Hard Rock al Folk passando per la Psichedelia sino a giungere alla base del Rock, ossia il Blues. Un filo conduttore lega le canzoni, un contesto prettamente Neo Prog, un argomento molto trattato in questo genere (Marillion, IQ etc.), ossia gli amori andati a cattivo termine e le relative esperienze.
“See You Later” inizia il percorso sonoro, il brano dei Pelikan Milk assume una veste Folk con dei passaggi di chitarra davvero notevoli. Più rilassate le atmosfere di “No Choice”, qui si poggia i piedi su due staffe, il Rock sudista (a tratti Beatelsiano) e la Psichedelia acustica cara a certi Porcupine Tree, il risultato è gradevole, anche grazie alle coralità di Jeanine che fanno da controcanto. Il suono caldo avvolge l’ascoltatore, l’ambientazione sicuramente gioca un ruolo importante.
Prosegue il cammino Folk/Country “By My Side”, vivace e gioiosa, un passaggio nell’America senza tempo. Ancora una volta fuoriescono i Porcupine Tree primo periodo nel brano dei Pelikan “The Secret”, tanta è la personalità che avvolge il brano in maniera delicata e rispettosa da rendere la musica da ascoltare ad occhi chiusi con una attenzione scevra da distrazioni. 
“The Seaside First” guarda al passato ma anche alla melodia di facile assimilazione, un piccolo esempio di come la semplicità paga sempre. Bello il frangente in cui il Blues  si lascia trasportare in stile primo Pino Daniele. Più Rock “Who’s That Man”, un territorio Pinkfloydiano rappresentato da brani come “Fearless”, un passaggio nei primi anni ’70 ma arrangiato in chiave decisamente moderna. E’ la volta della title track “Doing Nothing”, qui c’è l’essenza di Alex Savelli, la sua anima in splendida veste. Risale il ritmo con “Days” altro tuffo nella discografia passata e una chiave di lettura musicale più ricercata, un arrangiamento ben congeniato fa del brano un altro piccolo gioiello sonoro. Giunge a questo punto “Would You Kill Me”, singolo potenziale dell’album con un refrain ben congeniato e ancora una volta sostenuto dal gioco a più voci. Torna il Folk in “Little Girl”, ampi spazi si aprono avanti a noi durante l’ascolto. “Don’t Listen” ha reminiscenze Doors, fra Psichedelia e Folk, mentre la conclusiva “Ariaz” passeggia nel tempo e nell’Hard Rock acustico.

La musica di Savelli & NoStress  rilascia una sensazione di rilassatezza e al contempo di pacatezza che rende l’anima netta da ogni scoria moderna che in questo ultimo periodo ci aggredisce. Disintossicatevi anche voi con “Doing Nothing”, è efficace. MS




mercoledì 22 luglio 2020

Barbara Rubin

BARBARA RUBIN – The Shadows Playground (Piano Works)
Autoproduzione – Neraluce Studio
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2020


 

Il mondo del Progressive Rock Italiano dalla sua nascita risalente circa al 1970 ha avuto prettamente un pubblico maschile. Questo non per sessismo o quant’altro, il dato si può semplicemente estrapolare dalla media mondiale di persone che ascoltano o suonano il Rock in senso generale, sono molti di più gli uomini. Il perché è difficile da interpretare, molto probabilmente (ma è solo un mio modesto parere) è dato dal fatto che il Prog con i suoi cambi repentini di tempo e di stile, destabilizza molto l’ascoltatore, mentre la donna non ama sentirsi destabilizzata. Probabilmente non è neppure così, ma una verità di fondo esiste, ossia il dato della percentuale uomini-donne. Il PRI dunque viaggia su percentuali analoghe a quelle di chi ascolta il Rock, e le protagoniste più note si contano veramente sulla punta delle dita, a partire da Silvana Aliotta dei Circus 2000 a Jenny Sorrenti (sorella di Alan Sorrenti) dei Saint Just, oppure Donella Del Monaco (Opus Avantra) o la bravissima Sophya Baccini.
Tuttavia le nuove leve oggi ci sono, internet negli anni ha aperto un mondo anche a chi non ha avuto la possibilità di documentarsi su tutto, molta nuova gente si è accostata a questa musica e in alcuni casi anche con risultati soddisfacenti (quasi mai di vendite, ma questo è un discorso a parte).
Ho avuto la fortuna di ascoltare la pavese Barbara Rubin nel suo disco d’esordio “Under The Ice”, nel 2009 apprezzandola anche nei ProgAwards, li ho conosciuto un artista sensibile e dotata. Posso anche definire Barbara Rubin una “one woman band” in quanto autrice di tutte le liriche, musiche e strumentazioni. Lei suona dalla viola al violino, pianoforte, synth, chitarra, basso e batteria. Un artista totale che si getta anima e corpo nella propria musica.
Nel 2017 realizza assieme a Simona Sottocornola l’ep “Luna Nuova”, un progetto di tre canzoni riguardante la violenza sulle donne, argomento sempre poco trattato e che più spesso andrebbe approfondito, soprattutto nei nostri tempi. L’ep contiene il brano strumentale “Gradalis”, “Luna Nuova” e “Libera”. Il primo si concentra in un movimento piano/violino toccante e d’effetto, tanto che le parole non servono per estrarre dalla mente le sensazioni che si provano sull’argomento. Il secondo mette in evidenza la voce limpida di Barbara, arie scure come certi Anathema sono riusciti ad esporre attraverso voce e piano. “Libera” è più canzone rispetto le precedenti, con un ritornello davvero d’effetto, un ep che mostra Rubin con le idee ben chiare.
Ma veniamo a “The Shadows Playground”, nove nuove canzoni che mettono alla luce storie, viaggi e riflessioni raccolte dall’artista nel corso della vita. Giochi di chiaro scuro si palesano nelle foto ad opera di Simona Sottocornola contenute nell’artwork, così come la musica che riesce a rappresentare. Anche in questo nuovo lavoro come in “Under The Ice”, Rubin si coadiuva dell’aiuto di Andrea Giolo alla voce. Il cantato è in lingua inglese e dona all’ascolto quel tocco di internazionalità che non guasta mai.
“Endless Hope” non può che aprirsi con voce e piano, un giro armonico lento e malinconico che ha l’onere di entrare nel cuore di chi ascolta. Una fase intima di solitudine che l’artista non esita a manifestare, l’enfasi successivamente cresce con l’ingresso del violino e la voce di Andrea Giolo. Più struggente “Seven” una goccia scura nel mare del sentimento. Effetti vocali rendono il brano “progressivo”.
“La Maddalena” racconta la storia del viaggio di Maria verso il sud della Francia, la storia con Gesù e le sensazioni provate. “Clouds” è un breve interludio voce e piano che rivolge uno sguardo verso il cielo (come direbbero le Orme) quando le nuvole disegnano figure che la nostra mente riesce con fantasia ad interpretare, in questo caso il volto della mamma di Barbara. La title track è profonda, quasi una ballata in stile Branduardi, quello più toccante. Giungono ora i tre brani conclusivi ispirati dal romanzo “Heresy” di Hais Timur, il primo si intitola “Sleeping Violin” ed ovviamente lo strumento a corda è il protagonista non soltanto del brano ma anche della passione musicale di Rubin in generale, sin dai suoi albori artistici. E’ musica immaginifica, quasi cinematografica, una colonna sonora melodiosa e classica. Lo strumentale di quasi sette minuti risulta essere uno dei punti più alti dell’intero album.
Le belle sensazioni proseguono in “La Ballata Degli Angeli”, dove l’artista vibra assieme al proprio violino e rilascia fantastici momenti di quiete. “Helen’s Word” chiude il viaggio sonoro con classicismo e sentimento, grazie anche all’intervento soprano di Veronica Fasanelli.
“The Shadows Playground (Piano Works)” è un disco ben realizzato, inciso bene e soprattutto sincero. Di esso ne esiste anche la versione vinilica.
Nella cover l’artista ci porge il Graal, un gesto che richiama Maria Maddalena e le donne  in generale, un messaggio che fuoriesce da uno sfondo scuro, un richiamo, un tentativo di augurarsi il meglio per una nuova alba, così lo interpreto, malgrado oggi le cose non vadano sempre per il verso giusto (così interpreto lo scuro). Prosit Barbara e grazie per la tua arte progressiva, sicuramente questa ti aggiunge fra le donne più influenti del nostro Progressive Rock, considerando poi le annesse difficoltà nel barcamenarsi autonomamente. Fortemente consigliato. MS

  

 
 
 


sabato 11 luglio 2020

Programmi Web e Radio Prog

PROGRAMMI WEB E RADIO PROG

Nel web ci sono davvero molti programmi musicali dedicati al Progressive Rock, a dimostrazione che il genere è davvero seguito anche oggi da irriducibili fans. Scaturisce da questa constatazione una sorpresa alquanto gradita, tutti sono concentrati soprattutto sul genere  Rock Progressivo Italiano. 
In questo post voglio mettere in evidenza i più interessanti a mio modo di ascoltare. 
Un ringraziamento ai protagonisti ad iniziare dal capitano Gianmaria Zanier a Max Polis, Renato Scuffietti,  Donato Zoppo, Mirella Catena e il grande amico dal Brasile Marcio Sà.
Buon ascolto!



RADIO VERTIGO ONE  - "Prog & Dintorni" https://www.radiovertigo1.com/progedintorni.html







PROG SKY - "Web Rock Radio Station" https://www.progsky.com/










RADIO POPOLARE - " From Genesis To Revelation" https://www.radiopopolare.it/trasmissione/from-genesis-to-revelation/





WITCH WEB RADIO - "Overthewall" https://witchradio.wixsite.com/witchwebradio





RADIO.IT - "100% Rock Progressive" https://www.radio.it/s/progressiverock






MOROW - "Prog Rock Radio" https://www.morow.com/




RADIO CITTA' BENEVENTO - "Rock City Night" https://www.radiocitta.net/




sabato 4 luglio 2020

Apogee

APOGEE – Endurance Of The Obsolete
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Crossover Prog
Supporto: cd – 2020



Mi sento in dovere ad apertura di recensione, di confessare che per Apogee  personalmente ho sempre avuto stima. Arne Schäfer è l’ideatore di questo progetto one man band, cofondatore dell’eccellente band Versus-X ispirato anche dalla musica dei connazionali RPWL e Sylvan. Chi segue questa scena sarà sicuramente colpito da questi grandi nomi. Con “Endurance Of The Obsolete” raggiunge il ragguardevole traguardo del decimo album da studio. Il primo “The Border Of Awareness” risale al 1995. Tutta la discografia staziona ad alti livelli, anche sperimentali e spesso vicino al mondo dei Van Der Graaf Generator. Ricerca, tempi dispari, arrangiamenti importanti, il tutto sempre supportato da una qualità sonora eccellente.
L’amore per il Progressive Rock da parte di Arne è totale,  cura anche dei particolari e rispetto per la storia, in questo ultimo lavoro si presentano anche molte sonorità care ai Gentle Giant. L’artwork a cura di Bernd Webler è molto curato, anche nel libretto interno che rappresenta il tema trattato dei nostri tempi: l’inquinamento. Con Arne (tutti gli strumenti) suona alla batteria Eberhard Graef. Sei i brani contenuti di cui tre mini suite.
Resto già appagato all’ascolto di “Interpretation”, perché anch’io sono un vecchio amante del Prog e avendo conosciuto i fasti del genere so a che livello stiamo viaggiando. Ascoltare i cori polifonici in stile Gentle Giant mi fa solo che piacere oltre che rimandarmi con la mente indietro nel tempo. Eppure la musica incredibilmente ha un qualcosa di moderno. La chitarra elettrica si lancia in un bell’assolo, a tratti evocando Hackett (Genesis) e in altri momenti con propria personalità. Probabilmente proprio questo connubio è la carta vincente del disco che già vi dico che è da avere, ossia l’alternanza storia/personalità moderna.
I quasi sei minuti di “Waiting For The Dawn” si aprono proprio alla Genesis, con un arpeggio atavico, la voce è perfetta interprete dei testi, i quali ci ricordano che per troppo tempo l’uomo ha ignorato l’appello dei scienziati nei confronti dell’inquinamento e del surriscaldamento del globo. La ballata potrebbe benissimo risiedere nella discografia dei Pendragon. Il suono della chitarra è perfetto, sembra di trovarsela proprio dentro la stanza avanti a noi.
La prima mini suite è la title track “Endurance Of The Obsolete”, e annette al proprio interno tutto ciò che il Prog ha raccontato per decenni, mentre la chitarra ancora una volta sale in cattedra.
“Spirits Disengage” è un brano Neo Prog dal profumo anni ’80, più semplice e diretto rispetto al materiale ascoltato sino ad ora, ma non per questo da considerarsi minore. Nel refrain fanno capolino addirittura i Beatles. Il finale è sinfonico e chitarristico. “The Complex Extensive Way” come tutte le suite prende la rincorsa per poi lanciarsi nei numerosi ed immancabili cambi di tempo. Qualche reminiscenza Marillion era Fish si propaga di tanto in tanto nel corso del brano. Il disco si conclude con la canzone più lunga grazie ai quasi 17 minuti di durata, con eleganza e consapevolezza dei propri mezzi.
Proprio per questo immagino il nome Apogee è incastonato nel sapere. Da avere. MS


giovedì 2 luglio 2020

Saris

SARIS – Beyond The Rainbow
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Neo Prog
Supporto: cd – 2020



I Saris sono una band tedesca che si fonda nel 1981 grazie ad un idea del chitarrista e tastierista Derk Akkermann. Negli anni accadono loro molte vicissitudini, così cambi interni di formazione e momenti di pausa, tuttavia sono autori di quattro album tutti di buona fattura. Propongono un Neo Prog attento sia agli anni ’70 che all’Hard Rock, un connubio interessante dove potersi giocare molte carte.
Sono passati tre anni dal buon “Ghosts Of Yesterdays” e “Beyond The Rainbow” è il loro quinto album, in questo caso per la realizzazione si avvalgono della competenza di Progressive Promotion Records, casa discografica molto attenta sia ai gruppi tedeschi che mondiali. Un viaggio nel fantastico a bordo di una futuristica mongolfiera capitanata da Derek Akkermann (chitarra, tastiere), Henrik Wager (voce), Anja Günther  (voce),  Lutz Günther (basso) e Jens Beckmann (batteria e percussioni).
Dieci gli episodi sonori per una durata totale di circa sessantadue minuti di musica ad iniziare da “Avalon” in cui si denota già dalle prime note  la passione per una certa sinfonia. Enfasi e potenza proprio come spesso riescono a fare gli Arena, oserei definire tutto ciò Neo Prog D.O.C..
“Time Machine” come lascia presagire il titolo, è un viaggio con tanto di effetti sonori, le tastiere ricoprono quindi un ruolo importante in tutto il disco, qui si lanciano anche in un giro armonico trascinante. Non mancano i cambi di tempo. Il refrain è facile da memorizzare e tutto il brano scorre fra parti cantate e brevi assolo, annessi quelli di chitarra elettrica. La qualità sonora è più che buona, specie nel suono della batteria, pulito e importante.
I Saris puntano molto sulle belle melodie, arrangiando i brani in maniera elegante, anche con cori femminili come nel caso di “Oblivion”. C’è anche una mini suite della durata di undici minuti, si intitola “Beyond The Rainbow” ed è l’immagine che rappresenta la copertina del disco, in questo viaggio aereo fantastico ci si imbatte in un arcobaleno, qui interpretato da una miriade di suoni che variano dall’epico al sinfonico passando per l’acustico. Un brano dove i Saris dimostrano e giocano tutte le loro carte a disposizione, annesse quelle dell’esperienza annosa, quindi della loro relativa cultura musicale.
“Orphan” potrebbe essere un brano lento dei Dream Theater, anche per l’approccio vocale di Henrik Wager. Ritorna la sinfonia in “Strange Melody”, una ballata delicata adatta a tutti i gusti, non soltanto per chi ascolta il Progressive Rock.
Salgono in cattedra i Pendragon di “The World” in “New World” grazie all’intro delle tastiere, ma il proseguo cantato a due voci, maschile e femminile, riporta il sound verso la personalità dei tedeschi in analisi. In “Heaven’s Gate” ci sono tutti gli ingredienti che fanno di un disco Rock un contenitore ricco di sorprese, poi quando parte la chitarra qualche brivido sulla pelle scorre inevitabilmente. Semplice “Away From You” mentre “Infinity” conclude il viaggio portando l’ascoltatore verso l’ignoto, Prog energico e cadenzato misto ad AOR.
In conclusione “Beyond The Rainbow” è un disco consigliato agli amanti del genere, ma anche dell’AOR, e perfino chi segue gli Ayreon. Proprio per tutti i gusti. MS




mercoledì 1 luglio 2020

The Black Noodle Project

THE BLACK NOODLE PROJECT – Code 2.0
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Psychedelic/Space Rock
Supporto: cd – 2020



Sono venti gli anni di carriera del gruppo francese The Black Noodle Project del polistrumentista Sébastien Bourdeix, un traguardo invidiabile che non tutti i musicisti hanno la fortuna di raggiungere. Solo chi sa dire qualcosa di interessante nel tempo riesce a raccogliere quanto seminato.
Sono serviti tre anni a Sébastien per portare al termine la sua ottava fatica intitolata “Code 2.0”. Ancora le argomentazioni vanno a rovistare all’interno dell’essere umano, cogliendo gli aspetti più intimi e psicologici. L’albero secco contenente nel tronco una sagoma di donna con tanto di radici in evidenza su sfondo completamente bianco, non è altro che un messaggio che si contrappone alla precedente ed oscura copertina di “Divided We Fall” del 2017. Essa è ad opera di Emilie Ouazi.
I musicisti che partecipano a questo nuovo progetto sono Fabrice Berger (batteria) e Anthony Létévé (basso), oltre che Sébastien Boudeix alla chitarra, voce, tastiere e basso.
Il disco è suddiviso in sette atti, tutti di media durata che oscilla dai cinque minuti ai sette e mezzo. Il sound si avvicina sempre più a quello di band come Anathema ed Opeth ultimo periodo, alternando momenti vigorosi ad altri più malinconici e ponderati. Una carta vincente per chi ama coccolarsi nelle melodie nostalgiche e riflessive. E si parte dunque con “Acte I” (nascita e crescita), in una atmosfera quasi spaziale, come fluttuare nel vuoto cosmico. La chitarra arpeggia e conduce le danze in questo strumentale che già mette in chiaro l’importanza delle melodie. Non manca l’inquietudine e il crescendo sonoro si alterna a momenti di quiete, musica che fa pensare, o perlomeno immaginare. La qualità dell’incisone esalta maggiormente il risultato, il disco è mixato e masterizzato da Lionel Forest nei DS Sound studio.
In “Acte II” (inganno/acquisizione) gli Anathema di “Fragile Dreams” sono molto vicini, il brano si districa bene nei sbalzi umorali, anche in questo caso trattasi di strumentale.
L’anima viene toccata in “Acte III” (la visione del mondo), un piccolo squarcio di sole punta a diradare le nebbie per lasciar intravedere il mondo. La chitarra è in stile Pink Floyd, e fa da sottofondo ad un estratto parlato in lingua francese tratto da “La Misére” di Victor Hugo (1849). Un arpeggio apre “Acte IV” (amore), il brano più dolce dell’intero disco, suonato egregiamente con l’uso della chitarra ancora una volta differente, qui non accompagna ma esegue sostituendosi alla voce. C’è tenerezza, appunto amore.
Il ritmo sale con “Acte V” (andare oltre/costruire/stabilità) pur rimanendo sempre nello stile The Black Noodle Project. Il brano in questione ben si sposa con la copertina dell’album, qui perfetta traduttrice in immagine del concetto espresso dalla musica.
In “Acte VI” (la felicità di essere padre ed avere una famiglia) ci sono voci, quelle di Sandrine e Clément Bourdeix, il tutto è in famiglia e scusate ancora se mi sovvengono in mente i fratelli Cavanagh (Anathema), ma è inesorabile, sia per l’approccio sonoro che strutturale.
Il disco si conclude con “Acte Final” (attraverso la luce/morte), il viaggio umano giunge al termine su questa terra, Léon Burghgraeve accompagna alla voce Sébastien, mentre la musica fa da epitaffio.
Un disco profondo, triste, aperto, narrativo, un percorso per chi vuole lasciarsi trasportare da certe arie e per chi ama le band che ho citato. MS