Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

domenica 26 febbraio 2023

Haken

HAKEN – Fauna
Inside Out
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd – 2023




Ho sempre seguito con curiosità l’evolversi musicale della band londinese Haken, perché sono quelle che piacciono a me, ossia coloro che cambiano disco dopo disco, anche a discapito dei fans stessi. “Fauna” è il settimo album in studio e vede il ritorno del tastierista Pete Jones per una formazione che oggi si presenta così: Ross Jennings (voce), Richard Henshall (chitarra, tastiere), Charlie Griffiths (chitarra), Pete Jones (tastiere), Conner Green (basso) e Ray Hearne (batteria).
A chi non conosce la band, dico che iniziano con un Metal Progressive dalle forti tinte Progressive per poi mutare il suono anche attraverso ritmiche spezzate e incastri sonori come piaceva fare ad esempio a Fripp con i suoi King Crimson. Non credo poi sia un caso stampare due copertine monocromatiche come “Vector” (Rossa come “Discipline”) e “Virus” (Gialla come “Three Of A Perfect Pair”). I tratti ripetitivi, duri e su scale in crescendo in effetti sono comuni alle due band, ma come ho avuto modo di dire, gli Haken cambiano nel tempo più velocemente dei maestri King Crimson stessi. Oggi il ritorno a una copertina tutta colorata. Non nascondo che all’ascolto dell’EP “Taurus” ho avuto molti dubbi sulla bontà di questo nuovo prodotto che ora andiamo ad analizzare.
Il primo brano “Taurus” è uscito settimane fa come singolo per cui conosco bene il suo andamento, quello che poi mi ha preoccupato maggiormente. La voce di Jennings è sempre ottima, così è buona la scelta del ritornello, ma tutto è già sentito sembra un brano aggiuntato con spezzoni di altri fra Tool, Pain Of Salvation e del Nu Metal (Tò, chi si rivede). Poca materia rispetto la personalità di questi inglesi. Gli Haken amano ritmiche sbilenche, come ad esempio suonano nella già nota “Nightingale”, alcune coralità e andamenti sono come quelli che ci hanno insegnato gli americani Echolyn, ma qui risiede oscurità, non a caso sento anche sprazzi di Opeth. Non è colpa mia imporvi tutti questi nomi, le mie orecchie sentono questo. Terzo brano noto, tratto anche lui dall’EP “Lovebit” intitolato “The Alphabet Of Me” qui c’è elettronica, un cambio stilistico notevole rispetto quanto ascoltato.  Ruffiano e ricolmo di dejà vu ha comunque un interessante finale con tromba e atmosfere anni ’80. Vengo ora ai brani non noti a iniziare da “Sempiternal Beings”, premetto che sono un pochino stanco di ascoltare smanate sulle corde della chitarra a battere su ritmiche sempre spezzate e con un cantato che sembra incongruente a quanto suonato (praticamente del Math Rock), lo dico sinceramente, è una formula che alla fine mi ha stancato, magari a un ascoltatore che giunge ora piace e lo definisce una genialata. Tuttavia la band si diverte, questo si percepisce benissimo ed è quindi uno dei pezzi meglio riusciti dell’album. Il copia incolla degli incastri fra ritmi spezzati procede con “Beneath The White Rainbow” dall’incedere greve e …Nulla di nuovo all’orizzonte. Basso, batteria e voce aprono “Island In The Clouds”, brano fra i più Crimsoniani dell’intero album. Nel proseguimento la band dimostra ancora una volta un intesa invidiabile. “Lovebite” è breve ma è una mitragliata di suoni che potremmo definire alla Haken e non manca il solito placamento dove la voce tesse belle melodie, questa volta in stile anni ’70. Il brano che più ho apprezzato è anche il più lungo “Elephants Never Forget” con i suoi undici minuti abbondanti. Qui c’è tanta materia soprattutto il riferimento clamoroso ai Gentle Giant che poi lascia spazio al suono moderno e ai ritornelli gradevoli, tecnica strumentale, intesa, insomma qui c’è del carattere forte che mi ha convinto come nei primi album della loro carriera. Il Math Rock forse è troppo presente fra le note come ad esempio nella malinconica “Eyes Of Ebony”, canzone dedicata alla dipartita del padre di Richard Henshall proprio avvenuta durante le sessioni dell’album. In conclusione il colorato “Fauna” è un mix fra “Vector” e “Virus” con sprazzi di “The Mountain” e “Affinity”, il tutto rivisitato in chiave sonora moderna ma a mio giudizio con troppe ripetizioni che alla lunga tendono a stancare l’ascoltatore. I King Crimson sono punto di riferimento per molte band, ma solo loro sono i King Crimson, quindi…Attenzione. Mi spiace, pensavo fosse un disco migliore, direi più un mezzo passo falso, anche se all’interno per fortuna ci sono alcune chicche da non sottovalutare come quelle descritte. Gli Haken mutano sempre, metto “Fauna” nel limbo dell’ibrido e attendo nuove uscite. MS 






sabato 25 febbraio 2023

Lorenzo Venza

LORENZO VENZA – Mind Atlas
Autoproduzione
Genere: Virtuoso – Fusion
Formato: cd / Shining Thoughts Land / Spotify – 2022




Parlare di un disco strumentale scritto da un musicista e compositore virtuoso non è mai semplice, perché se ti addentri nella tecnica, potresti spaventare il lettore il quale si ritroverebbe avanti ad una selva di termini che non conosce, se invece ne parli in maniera superficiale, potresti rendere addirittura banale un lavoro che magari così non è. Come comportarsi in maniera corretta è una via di mezzo, ma l’importante è che passi il messaggio di cosa c’è all’interno di un’opera, poi sarà la vostra curiosità, magari navigando in internet, a colmare il resto.
Questo piccolo preambolo per introdurci nel mondo di Lorenzo Venza, così spiega la sua biografia: “Suona dall’età di quattordici anni: studia privatamente chitarra a Siena. Nel 1999 consegue il Diploma di Maturità Classica presso il Liceo Ginnasio “E.S. Piccolomini “ di Siena. Nel 1999 frequenta i seminari teorici di “Siena jazz” al secondo livello. Nel settembre del 1999 si trasferisce a Roma, dove si iscrive all’UM (Università della Musica) alla facoltà di Chitarra; nel 2000 prosegue gli studi presso “Percentomusica”, dove si diploma nel 2004, sotto la guida di Massimiliano Rosati, Stefano Micarelli, Franco Ventura, Umberto Fiorentino, Maurizio Lazzaro, Fabio Zeppetella. Al momento è impegnato con gli Utòpia nella promozione del fortunato disco “Ice And Knives”(Anteo Records) e con la band elettro-funk-acustica “Acoustic Axe Hit”, mentre continua collaborazioni didattiche in varie scuole e centri specializzati, proponendo una didattica personale e personalizzata, inerente alla chitarra moderna.
Vede anche l’uscita del disco “Yonaguni” (Terre Sommerse) della band progressive strumentale “Portal Way”, band alla quale ha prestato il proprio lavoro chitarristico.”.
La sua carriera da solista incomincia nel 2017 grazie all’album autoprodotto e digitale “Liquid Sky” e oggi ritroviamo il chitarrista con questo nuovo album intitolato “Mind Atlas” composto di dieci brani. Assieme a Venza suonano Gabriele Sorrentino (chitarra in brano 10), Alessandro Patti (basso), Iacopo Volpini (batteria), Oz Noy (chitarra elettrica in brano 8), Rocco Zifarelli (chitarra elettrica in brano 3), Lorenzo Antonelli (tastiere), e Riccardo Fernaroli (voce in brani 2, 10).
Il suono della chitarra è nitido, la musica mette immediatamente in cattedra il compositore il quale alterna buone melodie a passaggi tecnici di buona fattura, a partire da “Are We Real?”. Molti di voi tireranno fuori immediatamente nomi quali Steve Vai, oppure Joe Satriani, quello che sicuramente hanno in comune i tre sono l’amplificazione MZero, testata prodotta dalla Mezzabarba Custom Amplification. Il brano “Shining Thoughts Land” intonato da Riccardo Fernaroli spazia dal Progressive Rock a una Fusion dai caratteri forti dove ovviamente non possono mancare scale inebrianti. Un buon esempio di Jazz Rock orecchiabile e allo stesso tempo moderno arriva da “Cosmic Wave” con Rocco Zifarelli alla chitarra. Fra i frangenti migliori c’è la title track “Mind Atlas” dove arpeggi delicati si affacciano anche nel mondo sonoro del passato. Più vigorosa “The Wonder” dove un Venza roccioso sciorina assolo accattivanti mentre la tecnica fa staffetta con una buona melodia di base. “Hey Boo” è una ballata di classe, qui l’anima del chitarrista s’intreccia con le note arpeggiate in un movimento mai troppo melenso e allo stesso tempo toccante. “Maybe Tomorrow” invece mi riporta agli anni ’80, quando i canadesi Uzeb facevano centro con brani si strumentali, ma anche da canticchiare. Altra vetrina per le scale sonore è “It Was A Joke” un gioco praticato assieme al chitarrista Oz Noy. E a proposito di Uzeb ecco a noi “Young Man's Journey”, mentre il disco si chiude in maniera solare con “Agni's Breath” dove Agni è il nome di un'antica divinità del fuoco.
In Italia abbiamo tanti artisti e altrettanti musicisti che non soltanto hanno studiato musica, ma che mettono l’anima mediterranea innata in noi nella propria musica, ascoltiamoli perché in giro nel mondo c’è molto di peggio e spesso valutiamo questo peggio più del dovuto, mentre qui abbiamo l’oro. Non è polemica, ma la semplice verità. MS 





L' Estate Di San Martino

L’ESTATE DI SAN MARTINO – Kim
AMS Records / BTF
Genere: Rock progressivo
Supporto: cd – 2022




Il mondo musicale underground italiano è davvero vasto e ricco di storie da raccontare, se poi andiamo a sezionare a sua volta questo sottosuolo e ci imbattiamo in band di Rock Progressivo, le storie diventano ancora più particolari. Molti i complessi (come si chiamavano allora) che negli anni ’70 hanno registrato musica senza renderla pubblica per svariati motivi, altri sono stati da un disco e via, molti quindi i lavori non conosciuti e fra questi chissà quanti piccoli gioielli si sono persi nel tempo. Un esempio di vita combattuta lo portano gli umbri L’Estate Di San Martino, del polistrumentista Marco Pentiricci (flauto, sax, arpa).
Formatisi nel 1975 a Perugia, non registrano al momento nulla in studio ma hanno un’intensa attività live, tanto che nel 1978 partecipano al concorso Centocittà dove vincono la possibilità di registrare un 45 giri per la prestigiosa RCA.  Il risultato porta il titolo di “Il Bimbo E L’Eroe” ma purtroppo non avendo avuto una buona distribuzione finisce presto nel dimenticatoio. Comunque la band non si perde d’animo e fra cambi di formazione proseguono l’attività concertistica sino ai primi anni ’90 con lunghi brani concept e tante tastiere, fino al primo stop che avviene nel 1993. Alcuni componenti restano nell’ambito musicale, mentre Adolfo Broegg facente parte nel gruppo di musica medievale Ensemble Micrologus purtroppo muore nel 2006. Nel 1983 registrano uno spettacolo musicale a Perugia, il quale viene edito in CD solamente nel 2006 con il titolo “Elder”. Nel 2007 è la volta di “Febo” (AMS/BTF), altro concept-album ideato nei primi anni '90 e registrato per l'occasione. Esiste anche un DVD con un concerto in cui partecipano anche Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese del Banco Del Mutuo Soccorso, questo accade nel 2008 grazie a “Io Ti Canto, Io Ti Racconto”. Ma è nel 2012 che la band sfoggia il meglio di se grazie all’album “Talsete Di Marsantino” (AMS/BTF) con il contributo di ospiti importanti come Steve Hackett, Francesco Di Giacomo e Bernardo Lanzetti.
Oggi è la volta di “Kim”, un concept album che narra la triste e reale storia di una giovane ragazza malata di cancro che tenta l’ibernazione per giungere in un ipotetico futuro dove la malattia potrebbe essere debellata. Un disco drammatico suddiviso in dieci tracce suonate da Massimo Baracchi (basso), Luca Castellani (chitarra), Marco Pentiricci (flauto, sax, arpa), Andrea Pieroni (voce), Riccardo Regi (chitarre), Sergio Servadio (batteria), Stefano Tofi (tastiere) e Mauro Formica (basso).
La musica dei L’Estate Di San Martino è colta, ricca di riferimenti e anche di passaggi contenenti buona tecnica individuale, tuttavia denotano un piccolo distacco con il passato arricchendo il proprio sound con movimenti maggiormente moderni fatti di elettronica. Molta sostanza sin da “Cretto”, uno strumentale che rimanda addirittura al Battisti più sperimentale. Le tastiere e il flauto si fanno immediatamente valere creando atmosfere sia lisergiche che toccanti. Ma come dicevo il passato è comunque dietro l’angolo, la bellissima voce di Pieroni conduce l’ascolto presso il mondo dei Genesis e della PFM in “Sul Prato”. Arpeggi di chitarra coccolano l’anima e il flauto rende tutto ancora più leggero. Ci sono passaggi nella World Music (Inanna), nel cantautorato (Gocce) e nel Canterbury style (Libera). Vetrina per le doti chitarristiche è la breve e toccante “Ciclope” mentre il Rock si presenta nel pieno del suo splendore attraverso “Il Monaco Pierre”, qui mi ricordano i siculi Fiaba. E come nei fuochi d’artificio il meglio arriva nel finale, “Immaginami”, “Caleidoscopio” e la conclusiva contenente anche una ghost track “Tewar”, valgono da sole il prezzo del disco. 
Parola d’ordine, molteplicità di suoni e stili.
Per chi ama il Prog sono sicuro che questa musica è addirittura terapeutica tanto fa stare bene con la mente. Ovviamente “Kim” è un disco per tutti, non solo rivolto a un singolo pubblico. Il tempo passa, certa musica resta e i L’Estate Di San Martino sono un altro gruppo che rende noi italiani orgogliosi. MS





 

domenica 19 febbraio 2023

Hermetique Garage

HERMETIQUE GARAGE - Hermetique Garage
Autoproduzione
Genere: Rock/Psichedelia/ Progressive Rock
Supporto: Bandcamp – 2022




Per un tipo attempato come me leggere certi nomi è un ripercorrere dentro bellissime sensazioni e ricordi. Hermetique Garage era il titolo di una storia a fumetti di fantascienza di Moebius. Fu pubblicato in Francia in episodi da due-quattro pagine sulla rivista Métal Hurlant tra il 1976 e il 1980. Un disegnatore che se non conoscete già vi consiglio la visione e la lettura. Con quest’appellativo si ritrovano Alessandro Niero (pianoforte e tastiere, synth e voce), Nicola Boer (chitarre), Giacomo Bertoldi (basso) e Giulio Maria Genovesi (batteria), esordienti veneziani che approcciano al mondo musicale con inattesa personalità e aggiungo anche veemenza. Sì, perché la musica proposta ha al proprio interno diversi mondi sonori che partono dal Rock degli anni ’70 alla Psichedelia passando per il Progressive Rock.
Il disco s’intitola proprio “Hermetique Garage” ed è un’opera Rock con tematiche sociali introspettive, poi l’amore e quelle sensazioni di sofferenza che spesso portano dietro con sé. Il lavoro potrebbe uscire benissimo come doppio lp in quanto la durata totale è di settanta minuti, il che impegna molto l’ascoltatore. Per fortuna questo impegno è ripagato da una musica che lascia spazio a diverse interpretazioni, un disco che sicuramente fa riflettere e quindi impiegare bene il tempo dedicato.
Mi resta difficile trovare un brano su tutti che mi colpisca di più, il livello è mediamente buono. Il cantato è in inglese sin dall’iniziale “Short Story Of A Failed Assasination”, qui già c’è il sunto del carattere “Hermetique Garage” e gli anni ’70 aleggiano nella stanza compresi certi Van Der Graaf Generator. Le parti strumentali sono ottime in senso generale, la band s’intende a memoria, si sente che sono passati anni di prove, infatti si formano nel 2009.
Ci sono brani strumentali, ballate come ad esempio l’arpeggiata ”Fall Down” o la pianistica “The Choice” il tutto a spezzare il lungo percorso rendendolo meno impegnativo.
Ritmo irresistibile per “We Wan’t”, più sorniona e ruffiana “Light” con coralità Echolyn, mentre “Deadalus” sperimenta. Grunge Stoner e del Post Rock degli anni '90 aleggiano di tanto in tanto nelle canzoni a testimonianza di un insieme di generi proposti davvero importante.
In questo periodo storico il Progressive Rock Italiano vede nascere molteplici band e tante di loro esordiscono con un disco importante che tutto fa pensare tranne a una band al suo primo lavoro. Carattere, questa sembra la parola d’ordine d’oggi e aggiungo io per fortuna, perché i media ci mostrano un’Italia musicale decisamente differente, fatta di copia incolla imbarazzanti. Se vi piace impegnarvi seriamente all’ascolto della musica i veneziani Hermetique Garage vi offrono davvero molti spunti. La copertina dell’album di Benedetto Mineo bene rappresenta con i colori il contenuto sonoro. Buon ascolto. MS





sabato 18 febbraio 2023

Ephemeral

EPHEMERAL – Guiding Ghost
Elevate Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Quanto sia importante lo studio della musica, si può ascoltare anche in un album di debutto, quando le capacità esecutive rendono tutto apparentemente semplice, anche le composizioni articolate.
Si resta colpiti dal potere del suono, sembra quasi trovarsi al cospetto di una magia, come può una cosa che non si vede, non toccare, senza odore e neppure sapore scatenare in noi sensazioni emotive di forte valenza. Eppure la musica ha questo potere e se poi è in mano a chi sa manipolarla allora il risultato è maggiore.
Questo è il caso dei giovanissimi romani Ephemeral, freschi di studio al conservatorio si uniscono prima nel 2018 con il nome Floating Minds per poi cambiare nel 2021 in Ephemeral.
Il gruppo è composto da Arianna De Lucrezia (voce, basso), Gabriele Catania (tastiere), Francesco Ciancio (chitarra) e Matteo Morini (batteria). Come avrete avuto modo di capire il disco di debutto “Guiding Ghost” mi è piaciuto molto, ma non tanto per chissà quale astrusa fantasia contenuta all’interno, chiaramente stiamo parlando di Rock Progressivo, ma mi ha convinto per un insieme di fattori che vanno dalla composizione a tratti articolata ma vicina anche al Pop soprattutto nelle parti vocali, e per la storia che aleggia all’interno di queste sette canzoni. E’ evidente che i ragazzi non sono sprovveduti neppure al riguardo del passato, qui c’è materia per il Prog fans incallito e pure tanta.
“Deep Blue” sin dall’apertura del basso prende la scena per il collo, crescendo nel suono e quindi nell’intensità per poi gettarsi in scorribande sonore mai fine a se stesse. Un equilibrio di elementi che solo chi già è in possesso di esperienza può permettersi, ecco l’importanza degli studi cui mi riferivo. Bello anche l’assolo di chitarra elettrica seppur breve che mi rimanda al Neo Prog degli anni ’80.  Il cantato è in lingua inglese.
“Lock'em Out” dimostra che i ragazzi sanno da dove proviene questa musica, ossia dal Blues per poi passare sempre all’interno al Rock coinvolgente e ruffiano ben cantato da Arianna, molto coinvolta in questo contesto. Le tastiere ricoprono un ruolo importante in tutti i brani di “Guiding Ghost” e si gode quando gli strumentisti si mettono in vetrina.
Ancora un inizio Neo Prog, quasi Marillioniano per “Inky Eyes” ma attenzione, il seguito stupirà tutti, fra chitarra spagnoleggiante e suoni da videogioco a testimonianza di una creatività di base innata. Alla cantante e bassista De Lucrezia piace il Funky, questo traspare di tanto in tanto nel suo modo di suonare, anche in “Freddy” ci sono accenni e il pezzo strumentale mette alla luce del sole le capacità tecniche di ogni singolo elemento.
“Into The Ether” apre una suite composta in totale di tre brani. Il pianoforte regala passaggi storici che mi fanno ritornare alla memoria certe nostrane Orme degli anni ’70 e non soltanto loro. L’emozione è molta, il cammino è ricco di sorprese, un sentiero come un safari, dove si ha la possibilità di incontrare qualsiasi cosa. I brani s’intitolano “Guiding Ghost Part I” e “Guiding Ghost Part II”.
Faccio i miei più sinceri complimenti a questi ragazzi che sono certo, sapranno stupirci sempre più nel futuro, quando l’esperienza accrescerà ulteriormente, al momento resto piacevolmente colpito da questo debutto che consiglio a tutti gli amanti della musica, nessuno escluso. MS








Rick Miller

RICK MILLER – Altered States
Progressive Promotion Records
Distribuzione G.T. Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2023




Fare musica è una necessità per chi ha passione e sensibilità nell’animo, non sempre uno si può tenere tutto dentro. Non è questione di voglia di notorietà, ma è una vera e propria valvola di sfogo.  Chi suona Progressive Rock sa bene a cosa va incontro, ossia a un pubblico di nicchia e molto critico, tuttavia è il linguaggio più appropriato per esprimere mille sensazioni e stati d’animo. E’ una musica che permette perché, quasi priva di regole in quanto sperimentale, e quindi ricca di cambi d’umore. Appagante.
Chi suona Prog Rock di ciò ne è consapevole. Una nazione che stupisce nell’ambito per eterogeneità è il Canada, qui diversi artisti contribuiscono a creare un nuovo stile a testimonianza di quanto detto. Un esempio su tutti è quello dei Rush che nella fine degli anni ’70 gettano le basi del Metal Progressive in largo anticipo rispetto ai più fortunati Dream Theater (e Queensryche). Libertà d’espressione sembra la parola d’ordine anche per Rick Miller, noto polistrumentista, compositore e produttore di Progressive Rock sinfonico. Una carriera incredibile che inizia nei primi anni ’80 per giungere ai nostri giorni attraverso una discografia alle spalle formata da sedici album in studio.
Miller ritorna oggi dopo il buon “Old Souls” del 2022 a sigillare il diciassettesimo album intitolato “Altered States”. L’esperienza insegna e Miller sembra un fiume in piena grazie ad una vena creativa impetuosa e irrefrenabile. La musica proposta è poco derivativa, ovviamente tutti gli artisti hanno un punto o più punti di riferimento, ma in questo caso possiamo parlare di forte personalità, quella che ho rilevato portando l’esempio del singolare mondo sonoro canadese.
In questo nuovo progetto suonano con lui Sarah Young (flauto), Giulia Cacciavillian (flauto), Mateusz Swoboda (violoncello), Barry Haggarty (chitarra), Kane Miller (violino) e Will (batteria, percussioni).
Veniamo all’artwork del disco, questa volta molto colorato rispetto ai più cupi album del passato, anche se all’interno ritornano i disegni fantasiosi, grotteschi e inquietanti che solitamente ci hanno introdotto nel mondo di Miller. Animali, ombre e personaggi oscuri fanno da Caronte all’ascolto mentre le influenze sonore sono di base ispirate da artisti quali Pink Floyd, The Moody Blues e Steve Hackett.
Nove le tracce del disco a iniziare dalla title track con i suoi dieci minuti abbondanti di musica. Un intro psichedelico di stampo “Shine On You Crazy Diamond” accompagna attraverso la chitarra elettrica all’evolversi del brano cantato, o per meglio dire abbastanza sussurrato, dove gli assolo fanno volare alto con la fantasia. Già in pochi minuti si può evincere l’esperienza del compositore nel campo, tanta materia messa in poche note dirette e bene arrangiate. Ovviamente la mini suite ha all’interno i suoi bei cambi come il Prog fans desidera, orchestrazioni annesse. Un flauto inizia “New Moon Prelude” accompagnando l’ascoltatore verso un nuovo mondo dalle caratteristiche africane, la savana sembra essere la vera protagonista, invece trattasi di una nuova luna, breve strumentale affascinante oltre che ammaliante. Ed è la volta di “Wolf Moon”, spazio alle note sostenute e al ritmo quasi doom. Gli animali sono i veri protagonisti oltre che gli ispiratori di questa musica. Splendido l’inizio fra canti d’uccelli, cori Mellotron, archi, tastiere e flauto di “Borrowed Time”, composizione riuscita fra le mie preferite dell’album. La voce ben si sposa con le armonie, anche se sarebbe bene qualche volta osare di più, oltrepassare il sussurrato giusto per rendere tutto più variegato, anche se capisco che questa è la caratteristica base della musica di Rick Miller. La strumentale “The Trap” rapisce fra psichedelia e Folk dal sapore antico. Commovente ballata è “Old Secrets” per poi passare al Prog strumentale intenso di “Half Moon” con ancora una volta tante carte in tavola. Altra ballata dal sapore vintage è “A Dream Within”, immaginate Simon & Garfunkel fare del Prog. In effetti, il disco si conclude qui, anche se il finale è lasciato dal vento e dal violoncello di “Full Moon Rising”. Il viaggio su questa fantastica luna dallo stato alterato è terminato.
Ogni disco di Rick Miller ha un suo perché, la maturità del compositore aggiunge ulteriori finezze ed io non posso fare altro che apprezzare, anche perché vibro con le stesse frequenze, quelle generate da un Prog in bilico fra passato e presente, connubio a mio modo di vedere semplicemente perfetto. MS





giovedì 16 febbraio 2023

Sacromud

SACROMUD – Sacromud
Labilia
Genere: Blues
Formato: cd – 2022




Il Blues è alla base di tutta la musica moderna, un’evoluzione che incomincia dai canti dei neri afro americani nei campi di cotone verso la fine del 1800, per poi evolversi nei decenni in Rithm'n Blues del dopoguerra (vedi Fats Domino), e successivamente nel Rock And Roll. Se fosse cibo, per intenderci sarebbe farina e acqua, la base di tutto, pane, pizze, pasta etc.
E sì, il Blues è un amico che mai ci ha tradito, si è evoluto, però sempre presente in molti generi che ascoltiamo anche oggi. Fu denominata musica del diavolo perché uno dei padri del Blues, ossia Robert Johnson, imparò a suonare la chitarra molto velocemente tanto da far pensare a coloro che lo conoscevano che avesse fatto un patto con il diavolo. Ma la musica di per se è molto semplice, nulla di dannato o esoterico, piuttosto un viatico di protesta per chi trovava la propria vita un disagio, proprio come accadde successivamente con il Rock, come già detto parte evoluta del Blues. Per me il Blues è colore, anche oggi una musica senza tempo, quella che ti scalda l’anima e ti fa socchiudere spesso gli occhi durante l’ascolto.
Conoscono molto bene la materia Raffo Barbi (voce), Maurizio Pugno (chitarra), Frank Piombino (basso), Alex Fiorucci (tastiere), e Riccardo Fiorucci (batteria, percussioni), ossia gli eugubini  Sacromud che vengono anche premiati come migliore band e migliore album italiano del 2022 da ADMR Rock Web Radio.
E’ anche per me un vero piacere ascoltare il blues nel 2022, una sorta di ritorno alla fonte, un cotton fioc per le orecchie oggi bombardate da milioni di suoni e di generi. In un’elegante confezione cartonata e gatefuld l’album si presenta con un libretto ben strutturato contenente testi e info, mentre il disco è composto da dodici brani ben registrati ai Pobmusic Recording Studio di Maurizio Pugno, mixati da Walter Lanzara al Fondino Recording Studio di Gubbio e masterizzati nei mitici Abbey Road Studios di Londra (vi dice qualcosa?).
Fatti i convenevoli passiamo alla carne, a iniziare da “The Hider &The Seeker” e la musica da subito voce a suggestioni, ma quello che trapela maggiormente è la capacità compositiva di Maurizio Pugno, altresì palese è la sua annuale esperienza in campo. L’America è avanti i nostri occhi, e per la precisione New Orleans, mentre la voce di Barbi sperimenta e gioca su un riff ruffiano interrotto a metà da un assolo di chitarra di gran classe. Che molta musica provenga dai neri è un fatto inopinabile, non solo il Blues, ma anche il Jazz, il Funk, il Reggae e ancora altri stili, molti di questi sono racchiusi in “Ordinary Day” canzone di base decisamente Reggae. L’accoppiata Pugno/Barbi prosegue il cammino con “Carousel”, ammaliante in maniera ipnotica nell’incedere capace di spolverare certi passaggi che sono alla base del Blues anni ’30. Mai banali gli assolo i quali non fanno altro che impreziosire e staccare l’ascolto rendendolo scorrevole. Una parte del merito va tuttavia anche alla produzione. “The Merchant Of Soul” è arrangiata bene e gioca con le voci fra canto e cori, pezzo caleidoscopico senza tempo. Del vento apre “Exodus” assieme a canti atavici femminili e questa volta si vola in Africa.
Ma siamo sicuri che i Sacromud siano umbri? Non si direbbe proprio, in questo progetto c’è tanto di quel Groove e storia che si resta colpiti, come in “The Mule”, DNA americano. Una menzione anche alla ritmica sempre pulita e mai invadente, la coppia basso e batteria s’intendono all’unisono regalando un tappeto perfetto su cui cucire orpelli sonori. Archi per “Rag Doll Crying”, ballata toccante e vetrina per le qualità canore di Barbi qui vicine a quelle di Roland Gift degli inglesi Fine Young Cannibals. Quando ho detto di musica da ascoltare a occhi chiusi ecco cosa intendevo.
E poi arriva l’Hammond, la voce modificata, e tutto il mondo di Frank Zappa in un solo titolo: “Symmetry”. Il gruppo si diverte e il risultato è contagioso. In “You’re Ready To Laugh” siamo al cospetto di un polveroso Blues, lento e ruffiano al punto giusto. Sale il ritmo nella ballabile “Apple Slice”, canzone dall’inconfondibile suono anni ’70 per poi aumentare ulteriormente in “Dark Clouds”. Per finire ecco il puro Blues, quello che ha segnato tante generazioni, “The Woman’s Trouble Is Me” ha alle spalle Robert Johnson e migliore chiusura non poteva esserci.
“Sacromud” è un disco diverso, un lavoro meticoloso e particolareggiato che esula dalla maggioranza dei prodotti odierni, una bella finestra aperta per arieggiare la nostra mente oggi consumata da tanta spazzatura sonora… E non soltanto quella. MS







domenica 12 febbraio 2023

Barbara Rubin e Elisa Montaldo


BARBARA RUBIN e ELISA MONTALDO live






Possiamo considerare l’incontro fra le due artiste BARBARA RUBIN (voce, viola e violino) e ELISA MONTALDO (voce, tastiere e strumenti etnici)  un vero e proprio supergruppo. Questa collaborazione ha tanta energia da elargire, Montaldo è fondatrice del gruppo italiano IL TEMPIO DELLE CLESSIDRE oltre che collaboratrice di numerosissimi progetti, mentre Rubin oltre che autrice di album solisti quali “Under The Ice”, “Luna Nuova” e “The Shadows Playground”, ha militato in band del calibro storico di Arcansiel e nei più recenti Loreweaver.

Il 3 dicembre 2022 al Teatro La Claque di Genova aprono il concerto alla storica band italiana LATTE E MIELE e realizzano due estratti da "A Fistful Of Planets And Other Galaxies":
 
"La Stanza Nascosta", un remake della canzone scritta da Elisa Montaldo per la sua band: IL TEMPIO DELLE CLESSIDRE, e "Moonchild", una personale interpretazione del brano dei King Crimson's, tratta dall'album "In The Court Of The Crimson King".
 
Registrato da - Andrea Torretta & Teatro La Claque
Mix & master - Barbara Rubin
Fotografia -  Daniel Nervi
Artwork e Grafica - Elisa Montaldo
 
Pubblicato il 3 Febbraio 2023
 
Buon ascolto:
https://barbararubin.bandcamp.com/
https://elisamontaldo.bandcamp.com/

sabato 11 febbraio 2023

Anabasi Road

ANABASI ROAD – Anabasi Road
Autoproduzione
Genere: Progressive Rock Italiano
Supporto: cd – 2014




Con l’esperienza passata abbiamo evinto che la scena progressiva degli anni ’70 della nostra nazione ha avuto band e dischi di ottima fattura celati nell’oblio. Piccole band che hanno prodotto solo un album di difficile reperimento ma ricco di tante emozioni al proprio interno, snobbato da molti, media compresi, questo vuoi per poche stampe dello stesso, oppure per poca divulgazione pubblicitaria. Non è un caso che ancora oggi ogni tanto scopriamo piccole gemme. Questo accade anche per band post anni 2000, ogni tanto fuoriescono piccole gemme, anche se attualmente siamo aiutati fortemente nella ricerca dalla rete internet. Ciò che mi spiego meno è come sia possibile che alcuni album molto belli passino ancora in sordina, proprio per questo mi sento di dare vetrina (nel mio piccolo) alla band emiliana Anabasi Road.
Si formano nel 2009 a Reggio Emilia e rilasciano solo un album, questo “Anabasi Road” e un EP intitolato “Ages” nel 2016. Il genere proposto potrebbe sintetizzarsi in un Blues dalle contaminazioni Hard Prog vintage, immaginate di miscelare i Nomadi con i Reale Accademia Di Musica e i Biglietto per L’Inferno, tanto per fare un esempio. Anche la voce del cantante Andrea Gilberti (voce, armonica, synth) si avvicina di molto a quella di Augusto Daolio in alcuni frangenti. Dopo alcuni cambi di formazione negli anni si stabilizzano con Massimiliano Braglia (chitarra, batteria), Alessio Gambarelli (chitarra), Riccardo Vecchi (basso), Luca Orlandini (tastiere, organo, pianoforte e synth), Nicholas Corradini (batteria, chitarra) e appunto Andrea Gilberti. Hanno partecipato a concorsi musicali come il “Concorso Liber@mente” di Quattro Castella (RE) arrivando secondi nell’edizione del 2012 e secondi al “Krisis Band Contest” di Carpi nel 2015. Inizialmente hanno un buon riscontro di pubblico vendendo 500 copie dell’album per poi perdersi nel vasto mondo musicale forse per i motivi sopra citati.
“Anabasi Road” è formato da otto canzoni a iniziare da “Pleasure In Me”, un Hard Prog basato molto sulle tastiere di Orlandini, generalmente protagoniste di ogni brano. All’interno anche un ottimo assolo di chitarra. Mi ritornano in mente gli Atomic Rooster, ma qui ci sono richiami decisamente più Prog. Tutti i brani sono cantati in inglese escluso “Guerra Mondiale”, vero e proprio gioiello sonoro di rara bellezza nel campo di competenza. Ritornando al brano di apertura, qui tanta storia aleggia fra le note e i nutriti assolo strumentali che palesano le indubbie capacità tecniche della band. Più breve “Clashing Stars”, ma sempre impelagata nell’ambito e bene interpretata dalla grintosa voce di Gilberti. Un momento di pausa ritmica giunge attraverso “Dreaming For You”, canzone comunque ricca di variazioni e con un basso ben presente, musica dalle fosche tinte con qualche spennellata di Black Widow all’interno. Un’armonica a bocca apre “Say Man” e all’improvviso ci si trova in America con un irresistibile Blues trascinante e storico.
Ora è la volta della pianistica e già citata “Guerra Mondiale”, dove tutto è magia, incantevoli passaggi alla Reale Accademia Di Musica danno staffetta ai Nomadi e il livello sale di molto, pezzo che da solo vale il prezzo del disco. “Maybe Tomorrow” mostra ancora una volta il carattere della band con lanci di chitarra elettrica davvero toccanti e allo stesso tempo ficcanti. Ancora più dura “I Walk Alone”, canzone trascinante e monolitica. Chiude “Requiem” e il Blues si riaffaccia prepotentemente.
“Anabasi Road” è un album da riscoprire, peccato lasciarlo così nel suo limbo, perché questa musica non ha tempo e riempie il cuore e la mente. MS





domenica 5 febbraio 2023

Haken

HAKEN – Taurus
 Inside Out Music
Genere: Post Prog Moderno / Hard Prog
Supporto EP – 2023




Sono contento per la band Haken che molta strada ha fatto negli anni passando attraverso dischi molto interessanti e tecnici supportati dall'ambita casa discografica Inside Out. Ricordo che si formano nel 2007 a Londra. Lo meritano per tutte le fatiche espresse, sei per l’esattezza in attesa del settimo sigillo intitolato “Fauna” previsto per il 3 marzo 2023. Sono oggi formati da Charlie Griffiths (chitarra), Ray Hearne (batteria), Richard Henshall (chitarre, tastiere), Ross Jennings (voce), Peter Jones (tastiere), e Conner Green (basso).
Questo EP “Taurus” contenente tre brani espone la band com’è diventata oggi, passando attraverso l’Hard Prog, e tutto quello che sono sonorità di questo periodo, ma se i preliminari sono codesti, non nascondo una certa preoccupazione.
Gli Haken sembrano snaturare ulteriormente il proprio stile avvicinandosi sempre di più a quello dei Pain Of Salvation con alcune influenze Grunge. I maestri Pain Of Salvation non hanno di certo bisogno di presentazione, hanno un carattere ben definito e riconducibile a un suono nervoso e spesso malinconico, così gli Haken stanno approcciando nel loro nuovo sound. Apprezzo molto gli artisti che non si fermano mai e che mutano sempre pelle, non avrei scritto altrimenti POST PROG MODERNO – L’Alba Di Una Nuova Era (Arcana), perdono fans del passato ma ne acquistano di nuovi, però non sempre il passo riesce bene. Gli Haken non sono i Pain Of Salvation, e neppure una band Metal Grunge, hanno un loro stile che qui in Taurus sembra essere violentato. Un cambio repentino che mi lascia sgomento, non per il coraggio, ma per il risultato. “Taurus” è un brano banale, sembra messo su con il nastro isolante pezzo per pezzo e questo dall’estro di questi campioni di certo non me lo sarei mai atteso.
“The Alphabet Of Me” ha un inizio minimale ed elettronico sulla sempre bella voce di Jennings. La parte centrale è Metal per darsi staffetta con le parti pacate immancabili in un brano di Post Prog Moderno. Un piccolo passo in più rispetto “Taurus” ma ancora una volta nulla di trascendentale e aggiungerei già sentito, compresi gli “Oh, Oh, Oh”. Apprezzo invece l’inserimento della tromba nel finale che alza il tono del brano.
“Nightingale” ruggisce bene, ma ricade nuovamente nel dejà vu e questo è un vero peccato perché ha potenzialità e ottimi frangenti emotivi negli assolo oltre che nelle buone coralità.
Questo EP mi preoccupa un pochino per l’uscita imminente di “Fauna”, spero di sbagliarmi e comunque faccio i complimenti alla band per il balzo di notorietà comunque meritata. Al momento boccio, ma attendo l’ascolto totale, perché l’abito non fa il monaco ma a proposito di detti… Il buongiorno si vede dal mattino, quale dei due avrà ragione? MS





sabato 4 febbraio 2023

We Came From Space

WE CAME FROM SPACE – Overlords
Radiant Records
Genere: Crossover Prog
Supporto: cd – 2023




Esiste un forte legame fra Beatles e Progressive Rock anche perché un’importante spinta verso la sinfonizzazione del Rock è data alle origini proprio dai fab four nel dal brano “Eleanor Rigby”, solo archi e voci, non più la chitarra elettrica come nel 100% delle band Rock del periodo.  Insomma, i Beatles hanno la loro valenza e anche oggi hanno molti proseliti, vogliamo ricordare ad esempio gli Oasis? Oppure venendo proprio al Progressive Rock a Neal Morse e ai suoi primi Spock’s Beard?  Guarda caso il tastierista Bill Hubauer ha militato nella formazione della Neal Morse Band. Sto quindi parlando degli americani We Came From Space che dopo un EP e due album ritornano oggi con “Overlords”. La band composta da Bill Hubauer (tastiere, chitarra, voce), Dave Buzard (chitarra, voce), Dave Hawk  (basso) e Tim Malone (batteria e percussioni) proseguono il cammino intrapreso con  “While You Were Away” nel 2018 ossia fra influenze Beatles, Styx, Kansas ed ELO.
L’album è tipicamente sinfonico con tematiche sociali, sulla tecnologia che oggi accompagna le nostre vite, le forzature politiche e l’intelligenza artificiale, ma attenzione non trattasi di concept album.
Il brano di apertura “Overlord” sembra in alcuni frangenti uscire da quel “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” che ha fatto storia e poi cambi di tempo, di armonie, proprio come gli Spock’s Beard hanno incantato negli anni. Direte voi, e la personalità? Si, rispondo io, essa si palesa maggiormente nei tecnici assolo strumentali, qui la band dimostra di avere un preciso carattere. Il pezzo è una mini suite che come genere vuole si apre con una bella melodia da ricordare, per poi svisare in altri lidi e nel finale riproporsi prepotentemente con tanto di coralità annesse e chitarra elettrica sostenuta in un galante assolo.
“On The Radio” fa ancor più seriamente, mettendo sul tavolo le caratteristiche del Progressive Rock con polso, come a voler dimostrare che non solo sanno suonare e comporre, ma anche il percorso storico del genere è preso in analisi e conosciuto. Il brano è trascinante con tanto di clap hands, altresì buoni gli effetti stereo, gli arrangiamenti e l’incisione. “Empty Space” è una ballata incentrata sul bel piano di Hubauer, tratti Reggae-Pop rendono le atmosfere ruffiane e di casa Neal Morse. Eppure ancora una volta si resta colpiti dalle coralità sempre bene strutturate. Ed è la volta dell’irresistibile “She’s The Bomb Atomic Blues”, gioiellino sonoro trascinante, dove restare fermi durante l’ascolto diventa quasi impossibile. Lo svolgersi del brano presenta assolo imponenti di rara bellezza. Non manca neppure un bel salto negli anni ’70 ciò avviene con “Reputation”, in territori Styx e Hard Rock. Altra ballata dalle buone melodie è “Silent Letters” e la voce di Hubauer diviene protagonista di una bella interpretazione. Ma il gioiello dell’album a mio parere resta “Facade”, già presente nell’EP “Reasons In The Rhyme” del 2020. Tanti Kansas ma qui di materia all’interno ce n’è davvero tanta, il connubio è piacevole. I nove minuti abbondanti di “Seize The Day” chiudono al meglio l’ascolto.
Hubauer è un vero e proprio maestro della materia, chi ama le band ora citate non può fare a meno di acquistare questo nuovo album ricco di grande musica, gli altri che non conoscono possono tranquillamente approcciarsi con sicurezza, perché questa è musica per tutti i padiglioni auricolari, nessuno escluso. MS





La Stazione Delle Frequenze

LA STAZIONE DELLE FREQUENZE – Chirale
Autoproduzione
Genere: Metal Progressive
Supporto: Bandcamp-Spotify – 2023




Non è che poi si parli molto di Metal Progressive in Italia, e se si fa, è solamente riguardo alle band straniere e questo è un peccato perché come ho dimostrato nel mio secondo libro METAL PROGRESSIVE ITALIANO (Arcana) anche da noi, ci sono artisti che hanno idee e tecnica da vendere.
E sì, perché per suonare Metal Progressive serve anche quella, la tecnica è importante come ci hanno insegnato i padri Dream Theater, poi noi abbiamo una capacità intrinseca che ci contraddistingue, la solarità mediterranea. Nel sottosuolo musicale metallico italiano dunque si muove un nuvolo di artisti sparsi per tutto lo stivale, oggi ci soffermiamo a Benevento con l’apporto del nuovo album dei La Stazione Delle Frequenze intitolato “Chirale”. Non è un debutto, esso viene dopo "Physis" del 2019, un approccio non convenzionale per stile nei confronti del genere. I giovani musicisti, infatti, s’impegnano a rispettare atmosfere spesso velate e malinconiche, pur ruggendo con gli strumenti e intercalando le composizioni a frangenti più pacati. Un risultato che di sicuro non lascia l’ascoltatore indifferente. Il gruppo è formato da Alberto Cervone (voce), Angelantonio Donisi (chitarre), Pierfrancesco Corbo (chitarre), Luca Lorio (basso) e Andrea Passaro (batteria).
“Chirale” è composto di sei canzoni ed è aperto da “Inerte”, qui si rileva già il carattere della musica che fra alti e bassi tesse una struttura dalla facile memorizzazione. Buona la prova vocale di Cervone che mai comunque tenta vette altissime come spesso capita di ascoltare nelle band di questo genere. Effetti elettronici aprono “Opposte Realtà”, canzone vigorosa dal ritmo inizialmente spezzato e coinvolgente. La melodia italica prende successivamente il sopravvento, a testimoniare la volontà di rendere tutto sempre e comunque molto fruibile.
“Le Mie Catene” non si discosta da quanto ascoltato sino ad ora mentre i testi narrano di episodi di vita quotidiana e riflessioni umane. Il ritornello è funzionale, anche se qualche dejà vu si palesa. Ancora belle melodie in “Disordine”, una semi ballata dal velo malinconico che parla d’amore, molto radiofonica e popolare, è anche quella che più mi ha convinto. La title track “Chirale” è un breve strumentale che gioca con i suoni degli strumenti e ha un anima leggermente psichedelica, essa lascia spazio alla conclusiva “Chiaroscuro”. Qui di nuovo la personalità dei musicisti è espressa con idee melodiche anche rassicuranti per certi versi.
L’energia che i La Stazione Delle Frequenze riescono a sprigionare è tanta, Metal Progressive Italiano in tutti i sensi con un forte ammiccamento alla formula canzone. Mi sento di dover rimpiangere la mancanza di qualche assolo importante che farebbe di un brano un valore aggiunto, ma questo non sempre è fondamentale, anche se l’ascolto ci guadagnerebbe in fluidità.
Sintonizzatevi se avete la voglia di addentrarvi nel mondo Metal Progressive Italiano, La Stazione Delle Frequenze è aperta. MS





mercoledì 1 febbraio 2023

Presentazione POST PROG MODERNO e Dintorni

 Presentazione POST PROG MODERNO e dintorni


Vi aspetto al VOX LIVE CLUB di Jesi (AN) per un viaggio nel mondo del Progressive Rock attraverso i miei libri.




Ospiti, letture, video e le vostre domande.




Evento Read And Play