Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

sabato 29 ottobre 2022

Caravaggio

CARAVAGGIO – Caravaggio
I Cuochi Music Company
Genere: Progressive Rock Italiano
Supporto: file/cd – 2022




Quante volte navigando nel web ci siamo imbattuti in alcuni gruppi musicali a noi sconosciuti, vuoi perché formatisi solamente di recente, vuoi per la scarsa distribuzione del materiale a volte relegata a semplici file. Internet per questo è un contenitore che apostroferei con il termine “magico”, dove ci si può trovare veramente di tutto e siccome amo ricercare, a volte m’imbatto in piccoli o grandi sorprese sonore.
I Caravaggio, nome assolutamente importante e impegnativo, fanno parte di una di queste sorprese, anche se a memoria ricordo di averli ascoltati nella trasmissione “Prog & Dintorni” dell’attentissimo Gianmaria Zanier di Radio Vertigo One.  Rimango colpito dal brano “Before My Eyes” il quale in me fa scaturire la voglia di ricercare e approfondire la band. Dopo una scrupolosa navigata leggo che Caravaggio è figlio di una band che ha dato al Metal Italiano alcune pagine importanti di musica, gli storici Adramelch scioltisi almeno una decina di anni fa. Vittorio Ballerio (voce) e Fabio Troiani (chitarra) hanno in mente nel 2015 di ricercare anche nel mondo del Progressive Rock e lo fanno circondandosi di validi musicisti come ad esempio il batterista Alessio Del Ben (Quel Che Disse Il Tuono, Wotan) e il bassista Marco Melloni (Pino Scotto). Probabilmente la scelta del nome Caravaggio sta ad accostare la musica proposta a certe immagini, la volontà del gruppo di dare visione alle proprie note con grande maestria, questo è quello che io fantastico, anche perché durante l’ascolto le sensazioni provate mi portano proprio a una fase sinestetica. Il cantato è in lingua inglese, suggerita a Vittorio Ballerio da Tracy Bell, già produttore di “Opus” dei citati Adramelch. L’artwork è per opera di Gianfranco Ferlazzo, “The Front Window” (Voyeur) (serie: “The Adbusters project box”).
Per questo esordio le registrazioni iniziano nel 2018, periodo pre pandemia, per giungere oggi al risultato di dieci canzoni. Il Rock proposto potrebbe sembrare per bontà delle melodie di matrice americana, ma strumentazioni assolutamente mediterranee come la fisarmonica, il flauto, la chitarra ispanica, le nacchere e altre ancora, donano al prodotto una fisionomia completamente differente, accostando la musica a un Prog sia ricercato che folclorico.
Assolutamente valida l’interpretazione delle linee vocali, ma ancora di più lo sono le parti di chitarra elettrica che spesso intraprende assolo davvero espressivi con tanta buona tecnica al seguito.
“Caravaggio” inizia molto bene proprio con “Before My Eyes”, infarcita di buoni arrangiamenti e una personalità ben definita. Vigore e cambi di tempo fanno accostare alcuni frangenti sonori a quelli proposti dai Porcupine Tree, ma Caravaggio ha poco da spartire con la band di Steven Wilson. L’intervento della fisarmonica dona all’ascolto un fascino del tutto particolare. Ricercate scelte vocali in stile anni ‘80 aprono “Not On Me”, canzone spensierata nell’incedere e comunque pregna di sorprese. Quasi un’ora di musica che sembra racchiusa in una manciata di minuti tanto è la scorrevolezza dell’ascolto. Difficile estrapolare solo alcuni brani dal contesto, la validità della proposta è quantomeno omogenea, resto colpito magari dalla dolcezza di “Guernica” dove superlativa è la prova della chitarra acustica oltre a quella interpretativa di Ballerio. Da sottolineare la cover di “Fix You” dei Coldplay con l’ospite Courtney Swain, di carattere e rispettosa. Altro ospite è Antonio Zambrini e il suo flauto nella conclusiva “Life Watching”.
“Caravaggio” è semplicemente un disco molto gradevole, professionale, ispirato e solare dove le belle melodie sono il pennello, la tecnica la tavolozza e la nostra mente la tela. Buona visione. MS







La Cruna Del Lago

LA CRUNA DEL LAGO – Schiere Di Sudditi
ZdB
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: file/cd – 2022




Dite la verità, certi nomi non fanno scaturire in voi vecchi ricordi? Ovviamente mi rivolgo a tutti quelli che hanno almeno superato i cinquant’anni. Non perché sono già sentiti, anzi, sicuramente originali, ma prerogativa di un certo periodo musicale italiano che va dal 1971 alla fine degli anni ’70, quando il Rock Progressivo allora nominato “Musica Pop” aleggiava su moltissimi stereo nelle case degli italiani. Questi nomi come Premiata Forneria Marconi, Banco Del Mutuo Soccorso, Il Biglietto Per L’Inferno, Raccomandata Ricevuta Ritorno, Quella Vecchia Locanda, Locanda Delle Fate etc. sono rimasti intarsiati nelle menti di noi “giovani” pionieri dell’ascolto impegnato. La tradizione, così come la musica nel tempo è stata tramandata anche con ottimi risultati e non lo scopro certo qui in questa recensione, ne ho parlato abbondantemente nel libro enciclopedia “Rock Progressivo Italiano – 1980 – 2013” (Arcana). Ebbene, giungere nel 2022 ad ascoltare ancora questa musica senza tempo, solo infarcita di nuove strumentazioni dettate dall’evoluzione della tecnologia avvenuta inesorabilmente negli anni, è un grande piacere.
Nuove formazioni si aggiungono ad altre più o meno fortunate nel tempo, guidate da quella passione irrefrenabile che si chiama Progressive Rock.
La Cruna Del Lago (quanto ci piace giocare con i nomi) è formata da quattro musicisti toscani d’esperienza, Carmelo J. Arena (voce, tastiere), Pino Polistina (chitarre), Matteo Tuci  (basso), Andrea Bruni  (batteria).  Nonostante l’esordio di questo “Schiere Di Sudditi” alle spalle risiede già un’ottima esperienza, come ad esempio quella del Trasimeno Prog, dove aprono il concerto niente meno che al Banco Del Mutuo Soccorso. I testi scritti dal batterista Andrea Bruni sono specchio di questa società moderna, messaggio forte e valido che bene rende l’idea dell’attualità dilaniata da diseguaglianze, rassegnazioni, e sfruttamenti.
Quello che personalmente mi colpisce molto, oltre lo stile che alterna il passato al presente, è il suono, potente, enfatico proprio come piace al Prog fans e molto del merito, va alle tastiere.
Ascoltatele nel vigoroso brano d’apertura  “Giostra”, dove conducono verso un Neo Prog in stile Arena o IQ. Quando subentra la voce, improvvisamente subisco un balzo temporale, il mid tempo mi fa regredire negli anni ’70 inesorabilmente, fra Orme e tutto quello che è Prog sinfonico. Questo connubio passato/presente m’intriga sempre. Lo stereo emana un suono pieno e gratificante.
“La Mantide Agnostica” si lascia nuovamente introdurre da ruvide chitarre per poi passare a un incedere storico caro a gruppi come Banco del Mutuo Soccorso o se vogliamo anche ai maestri EL&P. Le atmosfere si quietano in “Illogica Distanza”, canzone maggiormente riflessiva dai testi importanti e non banali, dove le coralità aiutano nella riuscita del risultato. Certe musiche solo noi italiani sappiamo come comporle.
Ho parlato di musicisti d’esperienza e quindi preparati, la vetrina in cui si fanno ammirare è quella strumentale di “Interludio”. Apre il basso e un mondo sonoro in crescendo emotivo avvolge caldamente, fatto anche di effetti eco. La band è rodata e compatta. La chitarra elettrica si mette in evidenza nella Pinkfloydiana “Elettrodramma”, qui trapelano passioni musicali ataviche e coinvolgenti.
“Stato” indurisce il suono in maniera ruvida, questo perché il testo lo richiede e bene è recitato da Carmelo J. Arena. Porcupine Tree docet? “Acqua Da Marte” è un altro pezzo assolutamente Rock, energico con carattere.
“Schiere Di Sudditi” è un esordio sostanzioso, con tanta materia all’interno, questo non fa che accrescere la mia curiosità per l’evolversi dei promettenti futuri fatti che spero non tardino molto a sopraggiungere. MS






 
 

sabato 22 ottobre 2022

The Lost Vision Of The Chandoo Priest

THE LOST VISION OF THE CHANDOO PRIEST - The Lost Vision Of The Chandoo Priest
Ams Records | BTF Vinyl Magic
Genere: Neo Psichedelico
Supporto: file – 2022




Negli anni in Italia abbiamo imparato a dosare le influenze musicali provenienti dall’estero con la nostra personalità, ciò ha concesso al nostro Progressive Rock di evolversi e di arrivare al giorno d’oggi ancora vivo e vegeto. C’è stata un’ondata di nuovi gruppi a partire dal 1980 in poi che hanno riportato linfa vitale a questa musica, come ho saputo spiegare nel mio libro “Progressive Rock Italiano 1980 – 2013” edito da Arcana. Nomi nuovi si sono aggiunti ai grandi classici e se andiamo avanti con il tempo, possiamo dire che il lavoro di Steven Wilson e dei Porcupine Tree ha tracciato una netta riga fra passato e presente, di questo invece parlo nel mio quarto libro “Post Progressive Moderno – L’alba Di Una Nuova Era” (Arcana). Mi rivolgo quindi alla psichedelia ma non fine a se stessa, bensì infarcita di altri generi, quindi trattasi di Neo Psichedelia. Il genere prende forma non soltanto all’estero ma ha buoni esecutori anche qui in patria. Chi ha saputo coinvolgere il Progressive Rock con la Psichedelia ha creato questa nuova ondata, da noi alcuni nomi sono Aldi Nello Spazio, Il Giardino Onirico, Metronhomme e moltissimi altri fra cui Unreal City, Quel Che Disse Il Tuono e Cellar Noise, proprio in queste tre ultime band militano Francesca Zanetta (chitarra elettrica, basso elettrico, Eminent Solina, Logan String Melody II, Elka Rhapsody
490, Moog Voyager) e Niccolò Davide Gallani (batteria, basso elettrico, chitarra elettrica, Fender Rhodes, organo, Mellotron, Elka Soloist 505, flauto traverso). Dal connubio di questi due artisti nasce il progetto The Lost Vision Of The Chandoo Priest, dove propongono brani strumentali e non cantati.
Il debutto dal titolo omonimo è formato da dieci brani per una durata totale di circa quarantuno minuti di musica. Il passato si unisce al presente con l’apporto di Pietro Pellegrini, tastierista dei leggendari Alphataurus alla registrazione e al missaggio dell’album.
Quando si parla di Psichedelia, non si può fare a meno di citare i Pink Floyd, ossia coloro che maggiormente hanno influenzato il genere e tutte le band che si cimentano al riguardo non possono fare a meno di suggere da questa fonte per poi rielaborare il tutto con la propria personalità. I TLVOTCP non sono da meno, anche loro subiscono questa influenza anche se non in maniera poi così marcata, come ho spiegato prima, il genere si è ampliato. Ecco allora ascoltare “Floating Down The Valley” e capire che anche la Scandinavia progressiva ha avuto una forte valenza riguardo certe atmosfere maggiormente malinconiche, e comunque bucoliche con annesso canto di uccelli. La chitarra ripete ciclicamente il giro armonico solo spezzato dall’intervento delle tastiere. Un ticchettio apre “Chasing Time In Opposite Direction (Pt. I)” qui il duo mette in evidenza tutte le credenziali. Il motivo ha molto del Progressive Rock anni ’70, specialmente nelle chitarre in stile Steve Hackett.
Avete presente il riverbero del piano di Wright in “Echoes” dei Pink Floyd? Ebbene in “Entering The Void Of Madness” siamo al cospetto di cotanto suono, per poi non parlare dell’incedere ritmico che comunque termina nel roboante suono metallico della chitarra ed ecco fare capolino anche i Porcupine Tree. Il finale è nuovamente arioso, e sono le onde del mare a fare da arrangiamento alla conclusione. Prog Rock Psichedelico e maturo è inciso in “The White Toad Majesty”, per chi dovesse avere conoscenza di queste band posso dire che s’intravedono influenze Sinkadus, Anglagard ed Anekdoten. Quiete mentale in “Droplets”, canzone basata sulle tastiere mentre la seconda parte di “Chasing Time In Opposite Direction” rialza il ritmo e ritorna il ticchettio del tempo.
“Getting Nowhere” procede imperterrita la strada scandinava, le arie sono spezzate, il basso diventa protagonista e poi tastiere e chitarre alla King Crimson, insomma un connubio Prog Psichedelico davvero efficace. “London Underground” come una macchina del tempo ci trasporta verso la fine degli anni ’60.
Prerogativa del sound TLVOTCP è il ritmo cadenzato che si presenta quasi in ogni brano, come ad esempio in “Farewell, Dog”. Degno il finale grazie a “Dunans Castle”, altro frangente per la mente, da ascoltare ad occhi chiusi e senza distrazioni.
Questo esordio è interessante, l’intesa artistica fra Francesca Zanetta e Niccolò Davide Gallani è notevole, così come certe emozioni che possono sprigionarsi durante l’ascolto. Una bella sorpresa che mi auguro possa ripetersi nel tempo. MS






Deaton Lemay Project

DEATON LEMAY PROJECT – The Fifth Element
Progressive Promotion Records
Distribuzione G.T.Music
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2022




Amanti degli anni ’70, delle tastiere ridondanti, dei Kansas, di Keith Emerson, del Metal Progressive e dell’AOR, fermatevi a leggere la recensione, qui c’è materiale per le vostre orecchie.
Ascoltare nel 2022 ancora questa musica mette gioia, è un poco come aprire le finestre in una stanza dall’aria consumata. Quale musica? Questa del duo Roby Deaton (tastiere, chitarre) e Craig LeMay (batteria, percussioni), e del loro progetto Deaton Lemay Project. Con “The Fifth Element” giungono al secondo album in studio dopo “Day After Yesterday” del 2019, e il buon vino invecchiando acquista miglior sapore.
Sono americani, precisamente del Texas e questo si sente sia per alcune delle suddette influenze che per il gusto verso le melodie orecchiabili, gli americani sono maestri in questo. Si coadiuvano dell’ottimo cantante Hadi Kiani, dei chitarristi Ehsan Imani e Josh Mark Raj, dei bassisti John Haddad e Charles Berthoud oltre coinvolgere la violinista Liza Evans su una traccia. La tedesca Progressive Promotion Records si prende carico della distribuzione in Europa e nel realizzare il cd formato da undici canzoni, aggiunge una bonus track intitolata “Voice Of Freedom”.
Circondato da una marea di tastiere Deaton s’intende alla perfezione con LeMay, il divertimento che provano nel suonare assieme è davvero contagioso anche per chi ascolta. L’amore per gli anni ’70 è davvero grande e lo si percepisce sin da subito, già nel brano “The Great Aweking”, così le tastiere fanno la voce grande fra effetti e sonorità vintage. Il suono è pulito e gradevole, un piccolo evidenziatore per l’ascolto. Tanta tecnica ma come ho avuto modo di dire, le melodie sono protagoniste anche nel ritornello semplice e diretto. “A Different Place In Time” mi ricorda materiale di un'altra band americana, i Magellan mentre il passato ritorna anche attraverso arpeggi in stile Genesis. Numerosi i cambi di tempo, nonostante tutto la canzone gode sempre di solarità rasserenante.
Un melodioso suono di pianoforte supporta la strumentale “Dragonfly”, sognante ed eterea mette in cattedra le capacità di Deaton, senza ombra di dubbio eccellenti. Si riparte alla grande con l’andamento ruffiano di “The Nightmare”, il suono ritorna pieno e super arrangiato, potenziale singolo dell’album. Bellissimo l’assolo di chitarra da parte di Josh Mark Raj, questo brano AOR è al top nell’insieme. E dopo una sberla del genere ci si aspetta altrettanto da “Exordium” ma cambia lo stile, colto per ricercatezza di soluzioni, e qui è evidente la passione per Keith Emerson, nulla da aggiungere, Prog al 100%. Brano dopo brano la qualità aumenta e così l’interesse nell’ascolto, vengo quindi alla suite del disco della durata di quasi trentasei minuti intitolata “Elements Of Life Suite”, vera e propria gemma sonora che da sola vale il prezzo del disco. Suddivisa in sei movimenti non può che iniziare con un “Overture” strumentale, qui la chitarra è in mano a Charles Berthoud. A seguire i quattro elementi, fuoco, acqua, aria e terra. Maestosa “Water” dall’incedere cadenzato quasi in stile IQ, musica senza tempo e dalle gradevoli fattezze. “Air” è inevitabilmente soffice e lieve, soprattutto grazie al violino di Liza Evans, fase sognante di relax.
Massiccia come la roccia “Earth”, il suono sa occupare bene il posto delle parole per far viaggiare la fantasia. Gli elementi si terminano con “Music”, canzone più lunga dell’intero disco grazie ai suoi sette minuti e mezzo. La bonus track è palestra per le dita di Deaton, simpatica nelle scelte melodiche, in bilico fra canzone e Rock colto.
 Per finire vi dico che “The Fifth Element” non è un disco da ascoltare solo distrattamente, anche se per esempio potrebbe essere di ottima compagnia in macchina, ma è un lavoro semplicemente da possedere, ricco di tante soluzioni sarebbe un peccato non averlo, una delle migliori uscite del 2022 almeno per chi vi scrive. MS






Limite Acque Sicure

LIMITE ACQUE SICURE – Limite Acque Sicure
Minotauro Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: file – 2022




Il Rock Progressivo Italiano nel 2022 gode ancora di buona salute, affezionati ascoltatori e numerosi musicisti si contengono il lauto pasto per la mente con vigoroso piacere. La storia si tramanda, si ripete, tuttavia ogni volta con un’aggiunta personalità. Le mode sono inesorabili, giustamente si susseguono passandosi la staffetta dell’evoluzione, ecco quindi la passione che travalica la banalità. I Limite Acque Sicure nascondono nel proprio nome la chiave della volontà di osare sempre un qualcosa di più, pur mantenendo le basi solide dell’insegnamento passato. Uscire dal confine della sicurezza è arma a doppio taglio, ma la preferita del Prog fans.
I limite Acque Sicure si formano nel 2005 eppure esordiscono soltanto oggi con questo concept album dal titolo omonimo. Nascono come band tributo di Banco Del Mutuo Soccorso, Orme e Premiata Forneria Marconi e nel 2016, diventano sestetto con elementi provenienti dalla fusion e dal Metal oltre che dal Rock classico, chiave della loro intrigata personalità.
Sono di Ferrara e sono composti da Andrea Chendi (voce), Ambra Bianchi (flauto, voce e arpa), Antonello Giovannelli (tastiere), Luca Trabanelli (chitarre), Paolo Bolognesi (batteria) e Francesco Gigante (basso).
Sei le composizioni originali e una cover, quella de “Il Giardino Del Mago”, band iconica dal nome Banco Del Mutuo Soccorso. Le premesse per un bell’ascoltare ci sono tutte.
Il violino parte nelle atmosfere arabeggianti di “Sogno D’Oriente”, il vociare ci conduce per le strade di un mercato, almeno così è per la mia fantasia e poi nel proseguimento s’introducono tutti gli strumenti, voce annessa. Essa non si discosta poi di molto da quella di Aldo Tagliapietra (Orme), anche la musica ha il sapore del Prog Italiano vintage. I testi trattano il bisogno di emigrare per trovare un mondo migliore e ricominciare, problema sempre attuale sin dai tempi dei tempi. Trattasi di mini suite grazie ai quasi tredici minuti. Buoni gli interventi della chitarra elettrica dopo un ritornello gradevole oltre che scorrevole, e non mancano neppure passaggi di tastiere nel Neo Prog targato IQ. Da rilevare anche il lavoro importante svolto dal flauto per la riuscita dell’insieme.
“Terra Straniera” è il primo brano composto nel 2006/2007, questa volta è il Banco Del Mutuo Soccorso a essere preso come faro illuminante, anche per quello che concerne l’intro di pianoforte. Sentirsi stranieri nella propria terra è il fulcro focale del testo mai banale. La band si trova perfettamente ad adagio durante le partiture strumentali, alternando assoli a parti vocali espresse nel finale anche a doppia voce femminile, maschile.
Da bravi italiani non possiamo esimerci dal trattare anche l’argomento della mamma, “Il Respiro Dell’Anima” è dedicata proprio a lei. Si ritorna nel mondo delle Orme per esprimere queste calde parole su di una musica che alterna fasi più concitate a momenti maggiormente riflessivi. Altro argomento trattato nella musica colta italiana è quello della storia dei popoli, dove il mare accomuna molte culture. Accomuna ma può anche dividere fra battaglie e sangue, la musica qui accompagna il concetto, questa volta nella formula canzone. Maggiormente introspettiva è “Fiamme Intorno” e il Prog torna a farsi sentire in tutto il suo regale splendore.
La cover de “Il Giardino Del Mago” mette in tavola tutte le capacità tecniche di questa formazione oltre che lo smisurato amore per il genere. Questa canzone non è semplice da eseguire e gli esperti in campo saranno d’accordo con me, tuttavia i Limite Acque Sicure bene si muovono nel contesto fornendo una prestazione più che lodevole.
Il debutto si conclude con l’acustica “Ti Salverà”, come cantava Tagliapietra, alzare lo sguardo verso il cielo per guardare una stella e seguire il suo brillare che ci salverà, almeno così ci piace pensare. Una canzone folcloristica quasi in stile Delirium anni ’70.
Storia e attualità presenti all’unisono in “Limite Acque Sicure”, rispettose di un genere che mai finirà fino a quando band come queste continueranno a formarsi. Prog DOC. MS
 
Limite Acque Sicure:
https://limiteacquesicure.it/  
 
https://www.facebook.com/limiteacquesicure 
 
Minotauro Records: 
https://minotauro.store/product/limite-acque-sicure/  





 
 

sabato 15 ottobre 2022

Arturo Stàlteri

ARTURO STALTERI – Visione Dai Tarocchi
M.P. Records – G.T.Music Distribution
Genere: Progressive Rock / Sperimentale
Supporto: cd – 2022




Chi ama il Rock Progressivo Italiano di sicuro conosce il nome del tastierista e compositore Arturo Stàlteri. Una lunga carriera artistica che passa dal 1974 attraverso il gruppo Pierrot Lunaire rilasciando quel “Gudrun” (IT – 1977) che ancora oggi è un piacere da ascoltare, per poi nominare Radio Vaticano, presentazioni RAI, collaborazioni con Rino Gaetano, Franco Battiato, Grazia Di Michele, Sonja Kristina (Curved Air), David Sylvian, Fabio Liberatori, canzoni per il film di Carlo Verdone “L'amore E’ Eterno Finché Dura”, e molto altro ancora. La discografia è molto lunga (19 realizzazioni), ad iniziare da “Andrè Sulla Luna” (IT – 1979), “… E Il Pavone Parlò Alla Luna” (Lynx Records – 1987), oggi quest’ultimo “Visione Dai Tarocchi”.
Anche qui se andiamo ad analizzare non si tratta poi di nuovo materiale, bensì di colonna sonora per un balletto della coreografa americana Barbara Schaefer messo in scena nel maggio del 1985 al Teatro In Trastevere a Roma.
Le composizioni sono inusuali, e aleggiano fra suoni acustici ed elettronici. Otto carte tarocchi per altrettanti movimenti sonori registrati allo Studio Citadel sempre per opera di Stàlteri, mentre per il mixaggio l’autore si coadiuva della presenza di Maurizio Campagnano.
Certo che mischiare, alzare le carte e vedere subito come prima “La Morte” non è che faccia piacere, invece l’opera si apre proprio con essa, fra sibili inquietanti e campane a morto, il suono la racconta e immaginate di conseguenza anche il balletto. Le tastiere intervengono e suonano un riff in stile Goblin. Sembra una colonna sonora e l’inquietudine sale attraverso il ripetersi della nenia ficcante e l’ingresso roboante del basso. La signora con la falce è bene rappresentata da queste sonorità. La seconda carta è quella de “L’Imperatrice”, autorevole ma anche regale nell’incedere, Stàlteri usa le note al posto delle parole mentre le arie sono quasi musica da camera. Altre atmosfere si assaporano in “Il Bagatto”, pur essendo sempre insistenti, consentono un ascolto più variegato grazie a soluzioni maggiormente musicali. La musica di Stàlteri sta disegnando armonie su cui muovere il corpo, le visioni sono altamente presenti.
Nel “L’appeso” si percepiscono difficoltosi e introspettivi malesseri, un incubo che si staglia nella realtà dove tutto sembra attendere una dolorosa fine. Ci pensano “Gli Amanti” a donare un raggio di sole, una carta benevola, armoniosa dove l’amore si sospinge nel cuore dell’essere umano. Qui a tessere i passaggi sono i tasti d’avorio d’Arturo. Il pezzo più breve grazie ai poco più di tre minuti s’intitola “La Ruota”, fra suoni elettronici e psichedelia che lasciano immaginare un giro sonoro circolare proprio come quello di una ruota in azione senza freni. Seguono altri otto minuti abbondanti d’inquietudine, dove la carta della “Forza” ci introduce in un ascolto da effettuare a occhi chiusi. L’ultima carta pescata dal mazzo è quella de “Il Mondo”, una descrizione della natura e di tutto ciò che contiene il nostro pianeta.
“Visione Dai Tarocchi” sembra un lavoro scritto non soltanto per una coreografia, ma anche per un viaggio mentale. Serve uno stato d’animo adatto per l’approccio, non è musica da cantare e neppure da fischiettare, piuttosto è una condizione e quando si hanno queste prerogative di certo non serve la superficialità ma una condizione attenta e preparata all’ascolto. Questo soltanto per chi osa addentrarsi nei meandri della mente, senza paura, la musica può stupire ulteriormente al di là di ogni banalità. MS






Satin

SATIN – Appetition
Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group
Genere: AOR / Hard Rock
Supporto:cd – 2022




Va bene, che i generi AOR e Hard Rock siano datati è vero, ma se resistono nel tempo, ciò sta significando che hanno sia un pubblico seguace, sia che gli album sono ancora commerciali. I tempi sono duri per le vendite fisiche e meno per la musica liquida, eppure gli irriducibili fans di vecchia data non si lasciano distrarre e continuano ad apprezzare il supporto sia ottico che vinilico. La tecnologia avanza negli anni, e aiuta gli artisti a migliorarne il proprio prodotto, poi ci sono quelli che invece sono ruspanti, che tendono a tenere tutte le redini in mano per poter realizzare un lavoro che li soddisfi al cento per cento, questi ultimi sono una rarità, ma hanno una passione e una competenza sulla materia che travalica la media.
Il norvegese Tommy Nilsen in arte Satin è un polistrumentista molto apprezzato, soprattutto in Giappone, dove i primi due album della carriera hanno venduto bene. Ritorna oggi con “Appetition”, terzo suggello composto di dieci canzoni. Cantante, produttore, polistrumentista e cantautore, queste le credenziali, una passione che lo spinge a ottenere sempre il meglio da se stesso e i risultati con il tempo maturano sempre di più. Ha suonato nei Pegasus e ha anche vinto il Grammy norvegese nel 2012.
Che dire dunque di un genere che soprattutto negli anni ’80 ha dato il meglio di se? Niente, perché basta ascoltare “Appetition” per avere chiaro il quadro della situazione. In questo lavoro ci sono tutti gli ingredienti che fanno anche dell’Hard Rock un genere apprezzabile ed eterno, grazie soprattutto al gusto raffinato delle composizioni qui contenute, basate su di una generica melodia sia ruffiana che semplice da ricordare. Il risultato è straordinario perché se andiamo ad analizzare a fondo, tutti e dieci i brani potrebbero essere un potenziale singolo dell’album.
Apre “Going Your Way”, in realtà questo è il vero singolo e da subito si apprezza la produzione oltre la qualità sonora nitida e cristallina. I punti di riferimento sono i soliti grandi nomi, vedi Bon Jovi, Kiss etc. Non nascondo una grande emozione quasi commovente nel poter ritornare indietro nel tempo, quando spensierati ascoltavamo musica assieme fra amici e non dietro ad un cellulare, potenza di una certa musica.
Ancor più apprezzabile a mio gusto è “Angels Come, Angels Go”, dal ritornello irresistibile. I riff sono sempre gradevoli, in ogni brano anche in “Waiting For Another Man” oppure in “Everybody Needs To Be Loved”, altre canzoni che mettono serenità. Mai strafare, sembra una parola d’ordine eppure gli assolo di chitarra seppur brevi hanno sempre una magia nascosta. Le tastiere spesso ricoprono il ruolo d’accompagnamento o da tappeto sonoro per enfatizzare maggiormente i passaggi. Buona anche l’interpretazione vocale, sempre malleabile a disposizione della canzone secondo i casi.
Il jolly Satin se lo gioca con la ballata “A Dream Coming True”, e che ballata! E poi arriva il riff slinky di “Looking At You” dove resta impossibile restare fermi durante l’ascolto. Quindi è la volta dell’Hard Rock importante con tanta storia dentro, di classe e basilare, quello di “Pearly Gates”, dal vivo dovrebbe davvero spaccare il mondo. Il pianoforte inizia “Jenny (I'm Bringing You Down)” altra ballata riuscita, qui mai un momento di tregua emotiva. Se si vuole avere un esempio di cosa sia l’AOR lo si evince dall’ascolto di “Still Waiting”, poi a chiudere giunge “Fight Again” nomen omen.
 “Appetition”, quando la semplicità e la passione prevaricano sopra a ogni cosa. Basta tanto poco per emozionare e la musica di Satin è perfetta per lo scopo, su il volume! MS






Silver Nightmares

SILVER NIGHTMARES – Apocalypsis
Autoproduzione
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2022




Dopo il promettente ep del 2020 intitolato “The Wandering Angel” i palermitani Silver Nightmares sono chiamati alla prova del debutto ufficiale, e lo fanno con coraggio grazie ad un concept che tratta il percorso storico del genere umano.
Gabriele Esposito (basso), Alessio Maddaloni (batteria) e Gabriele Taormina (tastiere) coadiuvati dal cantante Michele Vitrano e dai chitarristi Mimmo Garofalo ed Emanuele Lo Giudice, propongono uno stile musicale davvero ricco d’influenze che possono essere ricondotte al Rock Progressivo, l’AOR, l’Heavy Metal e alla musica classica. Tutto questo è evidente sintomo di ampia cultura musicale dei musicisti in questione. Quest’ampia gamma consente al disco di viaggiare su un binario senza soste, ossia senza momenti di calo o di noia. Personalmente ho apprezzato il crescendo emotivo dei brani che con il susseguirsi sono sempre più interessanti e godibili.
Il concept si apre con “Saphiens” e le percussioni della calda Africa per poi spaccarsi in un due con la potenza del Metal Prog prossimo al mondo dei Queensryche. Le doti vocali di Vitrano sono eccellenti e bene si adeguano ai cambi umorali del pezzo impreziosito da un folgorante seppur breve assolo di chitarra. Restando nella calda Africa si tessono le lodi della “bella delle belle”, “Nefertiti”, regina egizia della XVIII dinastia in un brano in cui si assaporano nuovamente suoni della band di Seattle, oltre che l’approccio vocale alla Geoff Tate. E fin qui quasi tutto normale, ma le carte in tavola iniziano a cambiare con “Etemenanki”, il processo sonoro prende una veste maggiormente progressiva, e psichedelica grazie anche a un suono uguale a quello di un sitar e poi vocalità più ricercate e una struttura compositiva più impegnata e ricca di cambi di tempo. Buono il ritornello e l’insieme degli arrangiamenti.
Un riff granitico apre “Sea Of Sikelia”, canzone che ha il sapore degli anni ’80 molto forte. La chitarra sale in cattedra così come la scelta dei cori per una felice riuscita epica che travalica la bontà delle melodie di base.
A sorpresa arriva un passaggio nel Neo Prog caro agli Arena o ai lavori del tastierista Clive Nolan, “Scorns Of Time” vuole essere una sorta di ballata ma ha molto del ricercato, soprattutto attinge dalla storia del genere nominato. Ancora una volta la chitarra si spinge in un assolo slide che funziona ed entra nel cuore. Ho parlato di crescendo e, infatti, a metà del percorso ecco un altro volto dei Silver Nightmares, quello Folk Prog con tanto di flauto traverso a far salire l’interesse dell’ascolto, il brano s’intitola “Wizards”. Le sonorità distorte delle chitarre elettriche sembrano aver dato tregua negli ultimi minuti e questo accade anche in “The Awekening”, al loro posto salgono in cattedra le tastiere. Il pezzo è completamente strumentale e qui si giocano tutte le carte a disposizione, un mix di generi e soluzioni che rendono la canzone a mio avviso la migliore dell’intero album. Fiati accolgono “8”, eppure sono sempre i Silver Nightmares, la band sta probabilmente cercando una vera identità, ma potrebbe anche averla trovata grazie all’imprevedibilità.
Ritornano gli anni ’80 e i Queensryche (o se volete per chi li conosce i Crimson Glory) nella ballata “The Blue Light Of A Star”, sentita e ben interpretata. “Te Weird Black Cross” trasporta verso un presente storico massiccio e metallico per poi passare la mano alla conclusiva “Intangible”, altra perla di “Apocalypsis”, soave, armoniosa all’inizio quasi in stile New Trolls melodici.
 
Un debutto autorevole, con tanta materia nella mente e nelle mani, i Silver Nightmares sono da seguire perché sono sicuro che in futuro possano regalarci ulteriori interessanti sorprese, per ora un grande applauso. MS
 
 
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sabato 8 ottobre 2022

Twenty Four Hours

TWENTY FOUR HOURS – Ladybirds
Andromeda Relix / Vrec Musiclab
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Ritorna la premiata ditta Lippe-Paparelli-Lippe, inossidabile dal 1987 di nome Twenty Four Hours, ma con l’ingresso del sassofonista Ruggero Condo’. Il fatto accade quattro anni dopo il disco tributo ai white album della storia del Rock “Closer” dei Joy Division, “The Lamb Lies Down On Broadway” dei Genesis, “The Beatles (White Album) ” e “The Wall” dei Pink Floyd intitolato “Close – Lamb – White – Walls”.
Una band storica con alle spalle sette dischi in studio, colma di esperienza e gusti musicali che toccano differenti stili, per convogliare il tutto nel calderone Progressive Rock attraverso importanti passaggi nella psichedelia, questo sono oggi i pugliesi/marchigiani Twenty Four Hours. La formazione è quindi composta da Paolo Lippe (tastiere, voce, bassline, ukulele), Antonio Paparelli (chitarre), Marco Lippe (batteria, voce, piano), Ruggero Condo’ (sax), Paolo (basso) Sorcinelli (basso, chitarra) ed Elena Lippe (voce).
Le coccinelle immortalate dalla macchina fotografica di Marco Lippe (due con sorpresa) fanno presagire un messaggio di speranza, o per meglio dire un augurio a tutti di buona fortuna, tema trattato anche nei testi che denotano uno spaccato societario preoccupante modificato soprattutto dall’evento Covid ma anche da quanto sta accadendo su questo pianeta.
Dieci tracce che come già accennato, si passano la staffetta fra Prog e psichedelia con apparente semplicità quando invece solo chi ha grande esperienza in campo può permettersi.
“Ladybirds” incomincia con semplicità grazie a “Crevasses And Puddles”, una canzone che rispecchia lo spaccato sonoro odierno nell’ambito. Il cantato è soprattutto recitato, quasi parlato mentre le percussioni ricoprono un ruolo fondamentale nella riuscita del brano. Pennate sulla tastiera della chitarra ricordano certi momenti dei primi Porcupine Tree e buono è l’assolo finale. La ballata “Una Perla Vive Nascosta Tutta La Vita” porta i Twenty Four Hours e i suoi ascoltatori indietro nel tempo quando il Prog si reggeva su grandi nomi e qui se ne estrapolano in maniera evidente due, i New Trolls e i lagunari Orme. Alternare il cantato in lingua italiana a quella inglese spezza l’ascolto rendendo tutto l’insieme maggiormente fruibile e scorrevole.
Ancora una volta le parti vocali di Paolo Lippe si alternano fra il cantato e il parlato in “Unexpected Results”, brano che ha molto degli anni ’80. Questo è il singolo estratto dall’album mixato da Andrea Valfrè.
Ancora anni ’80 specialmente nei suoni con “Ghost Pension”, semplicità fra le note registrate in diretta, canzone orecchiabile impreziosita dalle coralità di Elena Lippe. Potevano poi mancare le atmosfere Pinkfloydiane? Di certo chi tratta psichedelia non può fare a meno di sporcarsi le mani in questo sacco di farina, ecco dunque che in “Why Should I Care For Strangers!” si spalancano ai nostri orecchi gli anni ’70, soprattutto durante l’intervento del sax. Questo è il brano più lungo dell’album con otto minuti e trenta di musica. Dal più lungo al più breve (cinque minuti) “Permanent War” attraverso importanti effetti elettronici e stereo che mi ricordano i francesi Rockets. Siamo ancora nelle stesse atmosfere del brano precedente anche perché poi il cantato sembra proseguire sempre nella stessa direzione. Voce e piano aprono “Incantesimo K-44”, una semi ballata impegnata a trattare l’immortale argomento dell’amore. Più impegnata è “Eterno Grembo Che Dona”, non tanto per la parte esecutiva ma per l’approccio meno convenzionale alla formula canzone. Di nuovo si assaporano momenti vicini ai Porcupine Tree. E come in una macchina del tempo si ritorna nel passato grazie a “Caroline”, canzone maggiormente Progressive dell’intero album, i Twenty Four Hours palesano la cultura musicale spaziando fra questi ambienti. In conclusione arriva “Hypocrite And Slacker God”, situazioni oniriche sollevano l’ascoltatore verso il cielo con la fantasia, degna conclusione di un grosso lavoro.
“Ladybirds” ha una durata di oltre ottanta minuti, tanto da potersi oggi considerare a tutti gli effetti come un doppio album, quindi il materiale messo a disposizione dell’ascoltatore è davvero tanto, una valanga di musica che tuttavia riesce nell’intento di appagare grazie proprio al mutare dei stili contenuti all’interno e soprattutto per le buone melodie facili da memorizzare. Un bel ritorno, un disco che potrebbe accomunare diverse tipologie di ascoltatori, complimenti ai Twenty Four Hours. MS







Dark Ages

DARK AGES – Between Us
Andromeda Relix 7 Ma.Ra. Cash Records / Kraken Promotion
Genere: Metal Prog
Supporto: cd – 2022




Quest’ultimo periodo della nostra esistenza ha mostrato la fragilità umana, eventi duri esercitano su di noi una pressione che spesso non sappiamo reggere, a partire dalle pandemie, dalle crisi economiche alle guerre con conseguenze societarie devastanti. Qui di argomentazioni da trattare ce ne sarebbero davvero a migliaia, non a caso molte band oggi riescono nell’intento proponendo dei veri e propri concept sonori, come nel caso dei veronesi Dark Ages. In questo quinto album intitolato “Between Us” trattano di paure e di coraggio, elementi che servono per l’odierna sopravvivenza.
La storica band che si forma nei lontani anni ’80, come sempre riesce a miscelare il Metal con il Progressive Rock attraverso una personalità ben definita. Sempre comandati dal leader Simone Calciolari (chitarra, voce), i Dark Ages sono composti da Roberto Roverselli (voce), Angela Busato (tastiere, flauto, cori), Carlo Busato (batteria) e Gaetano Celotti (basso). Una parola per l’artwork di Angela Busato e Kraken Promotion, colorato e ben realizzato con tanto di foto della band e testi annessi. In tutto questo l'omino nel centro della cover è il funambolico protagonista del viaggio, e che dunque si abbia inizio.
“Pristine Eyes” ci lancia immediatamente all’interno del mondo Dark Ages fatto di cambi di tempo, buoni passaggi di chitarra e interventi di tastiere che possono richiamare alla mente quelle dei maestri Dream Theater ma attenzione, come già espresso qui la personalità la fanno da padrona. Notevoli le capacità vocali di Roverselli, cantante che sa dosare le potenzialità con saggezza. Il ritornello del brano è contagioso, davvero un inizio al fulmicotone. In “Showdown” c’è lavoro per il basso di Celotti, un movimento che è esaltato da un assolo di chitarra piacevolissimo. Le atmosfere diventano maggiormente cupe in “The Villain King” con stacchi di ritmo e un andamento che mi fanno venire alla memoria i grandi Shadow Gallery. Qui le parti vocali mettono in luce le caratteristiche sopra accennate e anche i Savatage sono dietro l’angolo, specialmente nell’arpeggio di chitarra che introduce “Beyond”, ballata gradevolissima arrangiata molto bene e con interventi di flauto. Giochi di ritmo in “Our Lonely Shelter” fra le canzoni più Prog dell’intero disco con piccole scappate anche nel mondo del Neo Prog. “The Great Escape” vedono il protagonista uomo in fuga verso un’uscita che spero possa portare l’umanità verso un mondo migliore, ma questo è solo un mio pensiero che si forma anche durante l’ascolto del dolce flauto di Angela Bussato. Più marcatamente terrestre l’assolo di chitarra elettrica che mette in vetrina le qualità balistiche di Calciolari. Fra i momenti che ho maggiormente apprezzato ci sono quelli di “Riddle From The Stars”, anche The Flower Kings style nei movimenti meno elettrici e quelli della conclusiva “There Is No End”, speranzosa e più solare del concept.
Ho sempre apprezzato la musica dei Dark Ages e anche questa volta ho provato a essere il più obbiettivo possibile. Credetemi se vi dico che non riesco a trovare grandi difetti a questo concept anche perché gli arrangiamenti sono notevoli, buona anche la qualità sonora e la varietà delle soluzioni melodiche che fanno di “Between Us” un album da gustare tutto d’un fiato. Inutile girarci attorno, l’esperienza paga sempre, non serve fare i fenomeni con il pc, serve gavetta nel campo, le idee si mettono in luce soprattutto così, vivendo la musica attraverso la propria pelle. Chi vuole intendere… MS







lunedì 3 ottobre 2022

Written In Sand

WRITTEN IN SAND – Shadowpath
Southern Cross Records
Genere: Neo Prog
Supporto: cd, Amazon Music, Spotify – 2022




Il genere Neo Prog proveniente dai primi anni ’80 grazie all’apporto di band come Marillion, IQ, Pendragon etc. è a differenza del classico e sinfonico Progressive Rock più orecchiabile. Solitamente le band che suonano questa tipologia di musica si basano su influenze Pink Floyd, Camel e Genesis. Il risultato è mai complesso ma allo stesso tempo neppure banale.
Un esempio arriva dalla Germania e precisamente dal gruppo Written In Sand, formato dal leader Helge Megerle (voce, chitarra, basso, tastiere), Jan stahlmann (piano), Luca Pine (Batteria) e Mark Anton (flauto).
In nove canzoni mettono in pratica tutto quello che nel tempo hanno amato e imparato, le strutture ampie di tastiere e le chitarre che non disdegnano passaggi anche nel Metal anche se in maniera velata. L’intro “Wind Of Scone” è epica e lascia presagire molta carne al fuoco e la conferma giunge subito da “Shadowpath”, orecchiabile oltre che ben strutturata. Il cantato è in pieno stile Neo Prog, ossia con passaggi che rasentano il recitato, un mix fra Arena e Pendragon.
“Sky Blue” è dedicata agli amici e compagni della Nabibia di Helge, una semi ballata impreziosita da un assolo di chitarra finale di pregevole fattura.
Altra apertura epica giunge da “Let In Rain”, canzone di cui viene anche girato un video. Le atmosfere sono cadenzate, bene arrangiate, anche se il pezzo sembra non voler decollare mai, a parte nel momento finale dove nel crescendo subentra la chitarra elettrica a fare da padrona.
Un suono di campane introduce “Under The Cross”, il piano riscalda il cuore per poi lasciare spazio nuovamente alle chitarre che in questo caso hanno dell’AOR. Il ruggire dei Written In Sand è sempre pacato e solo apparentemente cattivo, lo spazio a disposizione è lasciato alla canzone semplice da memorizzare, il che non è una pecca soprattutto se ci sono momenti da cantare assieme a loro. Durante l’ascolto tuttavia non mancano cambi di ritmo per rendere il tutto molto fruibile.
“Opeth” prosegue il cammino con piccole reminiscenze IQ, molta sinfonia e arie velate di scuro.
“Who Do We Think We Are” è fra i miei pezzi preferiti dell’album, ho molto apprezzato il connubio arpeggi di chitarra, archi e l’immancabile crescendo sonoro di chitarra elettrica. Quando nel Neo Prog si realizzano canzoni malinconiche il risultato sposa di molto i miei gusti personali.
“Skydance” è il brano più lungo dell’album grazie agli otto minuti abbondanti di musica e si conclude con “When Someday Comes Too Soon”, ancora una volta un viaggio fra malinconia e buone melodie.
“Shadowpath “ in definitiva è un lavoro onesto che di certo non farà gridare al miracolo, ma neppure è da ignorare. Ovviamente chi ama il genere lo apprezzerà sicuramente, forse ad altri interesserà meno. Personalmente lo relego nella via di mezzo, magari in attesa di una maggiore spinta adrenalinica nel futuro. MS