Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO

Libri ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013 - METAL PROGRESSIVE ITALIANO
La storia dei generi enciclopedica

sabato 13 luglio 2019

Unfolk


UNFOLK – File Under Oblivion
MP&Records
Distribuzione: G.T.Music /Burning Shed
Genere: Progressive/Pop Rock
Supporto: 2cd – 2019


Il Collettivo Unfolk è il progetto di Alessandro Monti (Quanah Parker), musicista/polistrumentista veneziano autodidatta. Inizia il proprio percorso musicale nel 2006 rilasciando diversi dischi per la Diplodisc, etichetta autogestita. Il genere primordiale espresso è un Post-Folk che negli anni va mutando in un genere non proprio ben definito, e proprio per la ricercatezza delle soluzioni e negli innesti di generi che io li vado a collocare nel “Progressive Rock”, ma non quello rivolto ai soliti anni ’70, bensì al più moderno, di sviluppo. Infatti il nome  ha intrinseca l’evoluzione, il senso della progressione, questo è il vero significato del Progressive Rock, negli anni ’70 nominato semplicemente “Musica Pop”. Lasciati dunque i paragoni sbagliati con Genesis, Yes, Gentle Giant, King Crimson e compagnia bella, veniamo al nuovo doppio album di Unfolk, esso per essere realizzato ha necessitato di più anni di lavoro. Il primo disco parla di un oblìo esistenziale ed artistico, dove tuttavia lascia intravedere per il futuro possibilità positive, mentre il secondo cd tocca un argomento molto vasto per contenuti sociologici: il mondo di internet.
In questo lungo viaggio creativo dove numerosi stili si vanno a miscelare, come il Pop e la Dance, oltre che il Rock, Monti si coadiuva di special guest come Tim Bowness (No-Man, Henry Fool), Mauro Martello (Opus Avantra) e Visnadi (Livin’ Joy. Alex Party) quest’ultimo per il lato dance.
In generale il Collettivo Unfolk è composto da: Roberto Noè, Claudio Valente, Daniele Principato, Alex Masi, Elisabetta Montino, Riccardo De Zorzi, Franco Moruzzi, David Mora, Matteo Lucchesi, Tullio Tombolani, Bebo Baldan, Andrea Marutti ed Alessandro Monti.
L’artwork di Jarrod Gosling è di stile “neutro”, ossia non rappresenta al 100% un unico genere musicale come spesso avviene per altre copertine, ma lascia adito a differenti interpretazioni, mentre è musa del  primo brano introduttivo del secondo cd, “Doorways”.  Molto bella la confezione in senso generale, semplice, contenente i testi (cantati in lingua inglese) e la descrizione su chi suona nei singoli brani.
Il primo cd è suddiviso in undici tracce, mentre il secondo in otto.
L’”Oblivion Signal/Introduction” ci immette nella prima parte del viaggio fra suoni psichedelici e descrizione di arte e creazione con voce femminile, esso conduce a “Time Capsule 1983: The Shadow”. Un loop  di synth si lascia raggiungere dalla chitarra elettrica di Roberto Noè e da un gorgoglìo di suoni che  tracciano nella stanza in cui si ascolta sinuose atmosfere magiche. La voce inconfondibile fragile e sussurrata del collaboratore di Steven Wilson nei No Man, Tim Bowness non può che narrare un brano acustico e delicato dalla vena malinconica, qui dal titolo “Guides To Oblivion”. A raggiungerlo nella parte centrale del brano la voce femminile di Elisabetta Montino (Quanah Parker) in una coralità che va ad impreziosire il crescendo sonoro del brano mentre sfocia in un graffiante  muro sonoro sostenuto dalla chitarra elettrica. Monti si fa notare nel brano strumentale “Time Capsule 1988: Format For Matt”, orecchiabile e sentito, qui la melodia la fa da padrona, mostrando il lato più sensibile dell’artista. Si ritorna alla Psichedelia con gli otto minuti di “Every Note Of Us” e la voce di Claudio Valente, la chitarra di Alex Masi, le percussioni di Roberto Noè e il sax di Mauro Martello. Sul brano aleggiano le ombre di David Bowie, quello più recente. Molti di voi noteranno anche frangenti di Pinkfloydiana memoria.
“Time Capsule 2008: Mr. Vuh Returns” fa capolino nel Pop e nel Prog più delicato, quello per esempio dei concittadini Orme, grazie all’uso delle tastiere quasi sgocciolate nel tocco e delle melodie eteree.
Una chitarra acustica apre “Dreams Of Angels/Apocryph”, un sentiero dove ancora una volta le capacità tecniche di Monti vengono alla luce per poi passare ad una fase più Dance e Pop. Ricercatezza e semplicità, due cose ben distinte che invece in questo brano dimostrano di poter convivere in maniera perfetta. Qui possiamo estrapolare il sunto del progetto Unfolk, ossia il non fossilizzarsi su un genere  o in uno stile sonoro in senso generale. Elettronica  nei quasi tre minuti della strumentale “Q: Are We Not Humans?” fra sintetizzatori e basso per passare a “Oblivion Loop”, una sorta di Dance sussurrata. Con “Time Capsule 2018: Stimmen Der Engel” ritorna il brano strumentale ancora una volta narrato dalle chitarre di Monti, assieme ad un gradevole slide.
Il cd 1 si conclude alla grande con “Time Capsule 1999: Skybus To Oblivion”, sunto sonoro di quanto ascoltato in questo già lungo percorso, con la giunta preziosa del flauto in un susseguirsi di immagini sonore.
Il secondo cd si apre con il brano ispirato dalla copertina “Doorways”, un mix fra Psichedelia e Pop che conducono verso lo spazio infinito per chi ha uso di fantasia abbinata al suono. “Dance In Opposition” è nomen omen, il ritmo sale e si può anche ballare. Si parla di internet e dell’uso sbagliato che ne facciamo, portando la musica quasi alla morte, quando invece usato a dovere potrebbe essere soltanto che un oggetto di fondamentale importanza culturale. “Dance In Opposition: Lost In Translation” non fa altro che proseguire il discorso intrapreso dal brano precedente. Più articolata e ricercata “Dance In Opposition: Before It’s Too Late, qui si apportano  modifiche alla struttura sonora base. I brani si richiamano, anche se l’autore non definisce il proprio operato un concept album. Si esce da questo loop sonoro con “Modern Art Blues”, pur sempre navigando sopra suoni elettronici, questa volta però compare la chitarra. C’è anche la versione Visnadi rmx di “Doorways” e quella inedita completamente strumentale di due minuti e poco più.
Si giunge alla fine del disco con “Alpha/Black Hole/Omega” ancora fra echi, elettronica e in questo caso anche di rumoristica che ci fa accedere ad un mondo parallelo decisamente onirico.
Avrete dunque capito che questo nuovo lavoro del Collettivo Unfolk è decisamente un prodotto non adatto a chi dalla musica vuole solo spensieratezza o perlomeno canticchiarla (qui tuttavia possibile in alcuni frangenti), si necessita di ascolto e statene pur certi che al suo interno troverete anche della destabilizzazione, quella che invece piace moltissimo agli ascoltatori incalliti di Rock Progressivo e dintorni. Viene in mente il classico detto: “O lo si ama o  lo si odia”. MS

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