GIANT
THE VINE – Music For Empty Places
Lizard
Records
Distribuzione: BTF Distribuzioni / GT Music
Genere:
Rock Progressive / Post Prog
Supporto: cd – 2019
In
Italia nascono continuamente gruppi musicali legati a quel filone del Rock che
molto spesso abbiamo dato per spacciato, il Progressive Rock. Gli amanti dello
stesso, leggendo il nome della band qui in recensione già troveranno indizi
sulla direzione musicale intrapresa dal quartetto ligure in analisi, fra Gentle
Giant e Genesis. Tutto ciò sta a dimostrare che la qualità nel tempo paga
sempre. La musica quando è fatta con la mente e con il cuore non conosce
confini e neppure cessazioni d’esistenza.
I
Giant The Vine sono un gruppo che si forma nel 2014 su iniziativa di Fabio
Vrenna che attraverso un sito di annunci per musicisti incontra Fulvio Solari,
anche lui chitarrista e Daniele Riotti, batterista. Al trio si aggiunge
virtualmente Marco Fabricci, bassista di Torino che partecipa al progetto senza
comunque incontrarsi fisicamente con gli altri componenti. Alle tastiere Chico
Schoen e Ilaria Vrenna, figlia di Fabio. Antonio Lo Piparo,
bassista ventottenne, si unisce alla band con la quale si appresta ad
affrontare i prossimi eventi live.
Vista
la differenza d’età fra i singoli musicisti, si denotano nelle influenze sonore
diverse tipologie di band, a partire ovviamente dalle già citate per poi
aggiungerci Tool, e Porcupine Tree.
Il
disco che si presenta in confezione cartonata, è composto da otto brani tutti strumentali ed
inizia con “67 Ruins”, un Rock apparentemente freddo che in realtà sa sfuggire
alla routine del Prog in maniera dignitosa, e come non pensare alle band
nordiche ascoltando quel mellotron e quelle chitarre? Landberk, Anekdoten ed
Anglagard sono inevitabilmente da nominare. Ma i Giant The Vine hanno una loro
personalità ben marcata, essa fuoriesce anche dall’ascolto di “Ahimsa”,
cadenzata ed ipnotica sotto certi movimenti. Ricercate le armonie, la band da
più spazio all’emozione che alla tecnica, anche se le qualità dei singoli
componenti sono elevate. La musica è sempre enfatica, ampia e avvolta da un
velo di malinconia. Buona la qualità sonora. “The Kisser”
con le chitarre elettriche sposta le coordinate verso un Metal Prog fra Tool e
certi Porcupine Tree. Il crescendo sonoro è un arma sempre vincente, così la
semplicità con cui viene eseguito.
Un
piano apre “The Rose”, brano dalle note inizialmente centellinate che si
evolvono e si stoppano a metà del brano per poi ripartire in quelle atmosfere
che molto fanno sognare ad occhi chiusi. Inizialmente più vigorosa “Gregorius”
che potrebbe benissimo uscire da “From Within” degli Anekdoten, tuttavia la
mediterraneità nostrana non si cela dietro ad un dito, certe atmosfere e
sonorità le abbiamo intrinseche in noi e scolpite con il fuoco. Per chi vi
scrive questo è il migliore brano dell’album, o perlomeno quello che più mi ha
emozionato.
“Lost
People” entra in punta di piedi, alza la voce e se ne va come è entrata, mentre
“ A Little Something” si apre con un semplice arpeggio di chitarra e qui il
richiamo alla vecchia band di Steven Wilson è inevitabile. Altro fluire sonoro
dal grande impatto emotivo. L’album si chiude con “Past Is Over”, perfetto
sunto di quanto dimostrato sino ad ora dai musicisti.
Un
lavoro degno di nota, consigliato soprattutto a coloro che nella musica cercano
qualcosa di emozionante e non scontato. MS
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