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lunedì 31 maggio 2021
domenica 30 maggio 2021
Blacksmith Tales
BLACKSMITH TALES – Dark Presence
Immaginifica/ Aereostella
Genere: Neo Prog
Supporto: 13xFile, AAC
Il
Neo Prog sta vivendo in Europa una seconda giovinezza grazie ad innesti di
suoni Metal e Folk, alle sinfonie Genesis e alla psichedelia di matrice
Pinkfloydiana. Ciò accade anche in Italia con molte band che si cimentano in
lavori più o meno complessi, fra di questi risultano gli udinesi The Blacksmith
Tales.
Si
formano grazie ad un idea del tastierista cantante David Del Fabro nel 1990
ispirati dal Prog inglese dei noti maestri già nominati ai quali vado ad
aggiungere Gentle Giant, Kansas e Rush.
Iniziare
a mettere da parte idee sonore sin dagli anni ’90 e realizzare in tutto l’arco
dell’esistenza un solo album in studio, fa pensare ad un risultato quantomeno
interessante e così in effetti si dimostra essere. Un concept album con cura di
particolari dedicato ai simboli ed alle immagini che partono dall’antico Egitto
sino giungere al medioevo. Un viaggio introspettivo soprattutto alla ricerca
del proprio essere, nel cuore e nella mente del protagonista.
Per
realizzare cotante argomentazioni servono necessariamente composizioni sonore
ed interpretazioni di stampo cinematografico, in pratica una vera e propria
colonna sonora da supporto ai testi. La musica in generale ha queste capacità
intrinseche, anche il Neo Prog, a prova del concetto basta andare ad ascoltare
la discografia e le opere composte dal tastierista Clive Nolan (Pendragon,
Shadowland, Strangers On A Train, Arena, Caamora etc) su tutti.
In
questo viaggio sonoro formato da tredici episodi, David Del Fabro si circonda
di musicisti come Michele Guaitoli (voce), Beatrice Demori (voce), Stefano
Debiaso (batteria), Denis Canciani ( basso), Marco Falanga (chitarre), e Luca
Zanon (tastiere, flauto).
Il
disco si apre con la mini suite di quasi dodici minuti “The Dark Presence”, la
voce richiama il Neo Prog style, come ha saputo insegnare Fish dei Marillion in
cattedra, mentre le tastiere abbondano e rendono l’ascolto intriso di anni ’80.
La chitarra elettrica dona energia al contesto sferzando il brano rendendolo
più fruibile. Molto curate anche le coralità. In “Golgotha” risiedono numerose
peculiarità dello stile in analisi, tuttavia David Del Fabro filtra il tutto
attraverso la personalità. I frangenti strumentali come nel caso dell’assolo
della chitarra, lasciano ampio spazio all’immaginazione rendendo l’ascolto
ricco di suoni avvolgenti e penetranti. Il suono diventa sensuale quando giunge
anche la tabla indiana e poi Minimoog, Mellotron, insomma tutto quello che un
vero progfans desidera ascoltare da un lavoro del genere. “Let Me Die” ha un
sound moderno ed incisivo, sembra uscito da un disco dell’olandese Lucassen (
Ayreon).
Una
nota di piano in stile “Echoes” dei Pink Floyd sta a riportare il suono della
goccia perché ora…“Rain... Of Course!”. La canzone è semplice rispetto quanto
ascoltato sino ad ora e scorre velocemente sino a “Into The Sea (Apocatastasis)”.
L’opera prosegue con la breve ed acustica “Interlude”, impreziosita dalla voce
di Beatrice Demori. Tutto il disco è un piacevole scorrere di emozioni
differenti, sino giungere alla suite “Possessed By Time” vero e proprio fiore
all’occhiello dell’album. Qui l’ensemble sonoro raggiunge vette davvero
elevate, sia in ambito esecutivo che compositivo, davvero musica totale.
Tutto
“Dark Presence” è suonato molto bene, così risulta buona la registrazione, un
prodotto che a mio gusto personale, si candida per diventare uno dei migliori
cinque album italiani di questo 2021.
Solo complimenti. MS
sabato 29 maggio 2021
Evership
EVERSHIP
- The Uncrowned King Act 1
Atkinsong
Productions
Genere:
Progressive Rock sinfonico
Supporto: Flac – 2021
Incredibile
come un certo tipo di Progressive Rock nel 2021 ancora sopravviva pur rimanendo
esclusivamente radicato al passato, questo testimonia che la qualità paga.
Evidentemente il genere in questione possiede uno zoccolo duro che non
tradisce, sempre affamato di novità e vivo acquirente. E la storia continua.
Ecco
il progetto americano del compositore,
polistrumentista, produttore e ingegnere Shane Atkinson venire all’uopo per la causa.
Evership viene creato nel 2013 in
America, più precisamente a Nashville.
Shane
Atkinson è molto attivo in ambito
produttivo, realizza anche lavori per pubblicità oltre che rappresentazioni teatrali. Nella sua carriera
ad un certo momento sente la necessità di dare sfogo alla propria creatività
realizzando appunto questo progetto Evership. Atkinson esordisce nel 2016 con
“Evership” (Atkinsong Productions) proponendo un Prog sinfonico adatto per
ascoltatori amanti degli Styx, EL&P e Yes su tutti. Il successo è buono
tanto da convincere l’artista a replicare nel 2018 con “Evership II” (Atkinsong
Productions). Oggi lo ritroviamo con un concept ambizioso diviso in due dischi,
al momento esce soltanto il primo atto “The Uncrowned King Act 1”, il re senza
corona.
Ed è
subito mini suite con il primo brano “The Pilgrimage”, vetrina per i gusti
musicali dell’autore, gli anni ’70 sono davvero marcati ma con una produzione
sonora abbastanza felice. Gli Yes ed i EL&P sono presenti e rimanendo in
ambito regale si può dire che le tastiere e la voce regnano sovrane.
Giunge
la bucolica “The Voice Of The Waves” ad accompagnare l’ascoltatore verso il
vero e proprio ascolto dell’album, ossia tutto ciò che ne consegue, un universo
sonoro fatto di moog, cori, mellotron e chitarre.
Il
primo assaggio proviene da “Crownshine Allthetime”, undici minuti di grande e
magniloquente Prog. Gli autori di cotanta musica sono Beau West (voce), Shane
Atkinson (tastiere, batteria, voce, percussioni), James Atkinson (chitarra),
John Rose (chitarre), Ben Young (basso) e Matt Harrell (chitarra a 12 corde).
Un
piano apre “The Tower” e sembra di immergersi nella discografia degli Yes
grazie soprattutto all’uso delle voci a cappella. Brano per gli amanti di
Hammond e Mellotron.
“The
Voice Of The Evening Wind” è un frangente d’atmosfera acustico ed introverso
che conduce alla suite “Yettocome Itmightbe” vera e propria scorpacciata
vintage. Il disco si conclude con il pezzo più orecchiabile dell’album con
riferimenti questa volta rivolti verso i Camel ed i Kansas.
Musica
melodiosa e tecnica al punto giusto, la classica che ti fa stare bene. Non un
capolavoro ma neppure un passo falso dettato dai troppi richiami al passato
perché in Evership risiede anche personalità. Si sente che Atkinson ama il
proprio mestiere e ciò che realizza è sicuramente fatto con il cuore.
Contagioso. MS
mercoledì 19 maggio 2021
Massimo Salari a Trasimeno Prog
INTERVISTA A MASSIMO SALARI
Domenica 23 maggio alle ore 21:00 nuova puntata, la quattordicesima, della rubrica "La musica nelle parole", con interviste agli scrittori di libri sulla musica.
** Attenzione al nuovo orario / ore 21:00 **
Questa volta l'ospite sarà Massimo Salari, con cui parleremo dei suoi tre libri, pubblicati tra il 2018 ed il 2020; "Il rock progressivo italiano dal 1980 al 2013", "Metal progressive italiano" e "Neo Prog, Storia e discografia essenziale".
Il tutto ascoltando / vedendo frammenti di brani musicali scelti dall'autore.
Canale Youtube e Pagina Facebook di Trasimeno Prog; Pagine Facebook di Area Prog e Vivo Umbria
Questo è il link dove potrete seguire la diretta
Grazie ad ALFREDO BUONUMORI e all'organizazione TRASIMENO PROG
sabato 15 maggio 2021
Officina F.lli Seravalle
OFFICINA
F.LLI SERAVALLE – Blecs
Lizard
Records / ZeiT Interferance
Distribuzione:
BTF, GT Music, Pick Up, Ma.Ra.Cash, Syn Phonic
Genere: Sperimentale
Supporto: cd – 2021
Quando
si ama la musica in maniera passionale, si tenta di renderla personale, la si modifica
fino a farla diventare speciale…Unica. Non è una pretesa, bensì una esigenza,
quando l’artista è degno di questo nome non segue ciò che dice la moda, neppure
suona per il pubblico, ma esclusivamente per se stesso. Il classico “Chi mi ama
mi segua”.
I
fratelli Seravalle tornano sul luogo del delitto con il terzo lavoro in studio
dopo “Us Frais Cros Fris Fics Secs” (ZeiT Interference, Lizard – 2018) e
“Tajs!” (Lizard – 2019) a conferma che la vena artistica in pochi anni è
davvero fluida. Il duo Alessandro (chitarre elettriche, elettronica, voce
oggetti, tastiere) e Gian Pietro (ritmiche, tastiere, basso generatore di
frequenze) questa volta si coadiuvano di guest musicians come Simone D’Eusanio
(violino elettrico), Andrea Massaria ( chitarra), Alessandra Rodaro (Horn
francese) e Paolo Volpato (chitarra). Per chi non conoscesse l’artista
Alessandro Seravalle ricordo che proviene dall’esperienza annosa con la band
storica di Progressive Rock e Metal sperimentale Garden Wall.
“Blecs”
in gergo friulano sta a significare “rattoppo”, un chiudere una falla aperta
dall’esplosione della vita quotidiana che ci mette avanti a mille problemi, la
musica è qui intesa come un palliativo, un “Blecs”. La Psichedelia che circonda
l’ascolto così come la sperimentazione, sono come una droga che anestetizza il
nostro essere, basta non aver paura nel lasciarsi trasportare.
Non
bisogna soffermarsi ad un solo ascolto, la profondità di alcuni passaggi ed
elementi meritano davvero una concentrazione particolare, proprio per questo in
apertura ho parlato di “artisti”.
Undici
rattoppi , undici differenti stati d’animo ad iniziare da “Imprevisto
Cristallo”, brano più lungo dell’album con i suoi nove minuti abbondanti. Un
tunnel sonoro avvolge l’udito in una sorta di bolla, spezzato solo dall’elettronica
che di tanto in tanto fa riaprire gli occhi cogliendoci alle spalle, perché
l’ascolto deve essere come dicevo “concentrato”.
In
“Shady Business” sensazioni oniriche aleggiano sulle note del violino
elettrico, il tutto in una ritmica spezzata ma insistente. Il crescendo sonoro
ha sempre il suo maledetto fascino, il coinvolgimento è dunque garantito.
L’elettronica prende il sopravvento sulla psichedelia in “Digital Panoptikon”,
nomen omen.
Instabilità,
nervosismo e senso di ipnotica destabilizzazione portano all’incanalarsi
nell’era della digitalizzazione.
Ma
non serve soffermarsi sulla descrizione di ogni singolo brano, perché il bello
di questo lavoro è proprio la scoperta che personalmente non intendo rovinare.
Posso
dire invece che la copertina è un dipinto ad opera di Giovanni “Ninos”
Seravalle, davvero una vera e propria famiglia di artisti che calzano a
pennello l’aggettivo in questione, oggi troppo spesso adoperato in maniera
superficiale. Spazio dunque a chi osa, perché non sempre si ha voglia di
ascoltare musica per cantare o ballare, spesso si ha anche voglia di sentirsi
stupiti. La vita è stupore come diceva il grande Lucio Dalla, ed è vero, quando
non ci stupiremo più avremo perso il significato della nostra esistenza.
“Blecs”
lassù, dove osano le aquile. MS
Aleco
ALECO – Il Sapore Della Luna
Music Force / EgeaMusic
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2021
La
luna.
Quante
volte abbiamo alzato lo sguardo anche solo per coglierne la magica energia che
riesce ad emanare. Colei che non ha paura del buio è una sicurezza, come il
sole di giorno ogni notte è li e accompagna i sogni, le emozioni e le
esperienze vissute da tutti noi. Il fascino intimo nel poterla osservare senza
il caos del giorno nella quiete più riflessiva, rende l’atmosfera magica e ci
affeziona maggiormente ad essa pur essendo in realtà un semplice sasso arido di
pietre e polvere.
La
luna accompagna le notti passate a ricordare certi eventi che hanno fatto il
dna della nostra vita, è stata sempre presente e lo è tutt’ora. Proprio come ci
racconta il cantautore Aleco nel suo secondo lavoro in studio intitolato “Il
Sapore Della Luna”. Ognuno di noi ha passato una gioventù con esperienze
proprie, ricordi indelebili, e qui Alessandro Carletti Orsini ci confessa i
propri, vissuti nei pieni anni ’80 con personaggi che ti hanno segnato
l’esistenza, così come certi film ed è proprio con l’amico Enio Drovandi in una
giornata passata in un traghetto che certi aneddoti fanno riaffiorare ricordi
vissuti nella felicità, il tutto sempre sotto l’occhio vigile della luna.
Ne
scaturisce questo album di nove canzoni,
sempre solari come lo stile che contraddistingue Aleco, apprezzato al meglio
nell’album d’esordio “L’Ultima Generazione Felice”. Il disco è accompagnato da
un libretto esaustivo nei testi con tanto di preludi che introducono
l’argomento trattato nella canzone. Le foto contenute godono di un fascino
particolare, un poco offuscate tendente al
rosa antico, come fossero ricordi passati, salvo imbattersi nel paginone
centrale dove la foto dimostra ariosità, bellezza e natura, qui l’uomo ritrova
se stesso immerso in un senso di serenità apparente.
Nel
disco partecipano anche Martina De Cesare (voce), GiuliaLuz (voce) e Andy
Micarelli (tutti gli strumenti).
“Preludio
Alla Luna” è anche l’intro dell’album che fa il verso a Stanlio ed Ollio nella
loro storica canzone “Guardo Gli Asini Che Volano Nel Ciel”. Musicalmente si
inizia con “Il Sapore Della Luna”, un mondo sonoro vicino a quello di Max Gazze
ma anche agli anni ’80 soprattutto nei suoni, l’intento dell’artista è proprio
quello di immergere l’ascoltatore nel contesto. Assieme ad Aleco canta Martina
De Cesare.
In
“Godi E T’Amo” c’è sentimento, il piano
fa scorrere immagini narrate nei testi in maniera reale mentre il sound è molto
vicino allo stile di Lucio Battisti. Musica semplice e diretta al dunque, senza
fronzoli. Torna la solarità che contraddistingue il cantautore questa volta
anche nel titolo “No Agosto No”. In “Dalmazia” l’atmosfera è più intima, la
chitarra elargisce un gradevole arpeggio su un testo importante, descritto nel
libretto con le seguenti parole: “Ogni persona di qualunque etnia, colore o
religione dovrebbe avere il diritto di vivere nella propria terra…”, dire che è
vero è dire poco.
La
cultura musicale di Orsini è palesata fra le note di “E Me Ne Vado Via”,
canzone che non nascondo mi fa ritornare alla memoria alcune cose di Pino
Daniele tratte dai primi tre album. “Il Sapore Della Luna 2” torna
sull’argomento, ricordi narrati attorno ad un fuoco riguardanti gli anni
passati. Musicalmente più ricercata e arrangiata “Due Cose”, con alcuni
interventi elettronici e la voce di GiuliaLuz.
“Io Sono Eternamente Felice” è degna chiusura dell’album, ancora una volta
intima e sentita.
Non
esulano all’ascolto alcune piccole imperfezioni che rendono tuttavia l’insieme
sincero ed aggiungerei “ruspante”, quando la musica si fa con la testa ed il
cuore il messaggio di piacere passa senza restrizioni ed Aleco si diverte a
farla così tanto da risultare inevitabilmente coinvolgente. MS
Ernest Lo
ERNEST LO – Io So Essere Macchina
Music
Force / Egea Music
Genere:
Cantautore
Supporto: cd – 2021
Il
cantautore in senso generale del termine è mutato negli anni, questo è un fatto
inopinabile dettato dalla normale evoluzione delle cose. Gli avvenimenti e la
società del momento fanno in modo che ci sia un certo tipo di approccio alla
composizione, così nei testi che nella musica. Si è potuta ascoltare la melodia
italiana negli anni ’60, il cantautorato impegnato nei ’70, il melodico
commerciale nei ‘90 per poi trovare una stasi dettata proprio dalla
globalizzazione della società. Internet ci ha legato tutti, il mondo in tasca
ha fatto in modo che l’individuo non fosse più al centro dell’interesse bensì riunito
in una sorta di rassicurante gregge, dove la pecora nera (o perlomeno
differente) è necessariamente da isolare. Tutti uguali, allineati, ci muoviamo
ed agiamo come avanti ad uno specchio o ad un ballo di società. La musica
rappresenta oggi questo, ma attenzione perché il bello, l’idea, il messaggio
forte, esiste sempre pur se in maniera celata,
va solo cercato con parsimonia in questo immenso calderone mediatico. Chi è
geniale o perlomeno individuo a se, apporta sempre evoluzione e aria fresca nel
contesto in cui agisce.
La
musica cantautorale è quindi in fase evolutiva si adegua ai tempi, li racconta
e si reinventa.
Remo
Santilli è Ernest Lo, un arguto ed ironico cantautore che si propone nel mondo
della musica con questo esordio intitolato “Io So Essere Macchina”. La prima
cosa che colpisce nel disco sono le frasi contenute all’interno del libretto,
ossia “A piccoli parolieri buone intenzioni”, “Impara la parte e mettila ad
arte”, “A mali rimedi estremi bancari” e “Chi trova un tesoro perde un amico”,
ottimo preludio per l’ascolto che inizia con “Ssialaè”. Il brano giocoso è
quasi rappato assieme all’ospite Micromega, una canzone che descrive in maniera
ironica cosa piace della vita e di una donna da parte dell’artista. Il sound è
moderno, Ernest Lo naviga i mari dei tempi e lo fa con scaltrezza oltre che con
fare ruffiano grazie all’immediatezza dei suoni e delle soluzioni si già
sfruttate, ma pur sempre piacevoli.
Ancora
con Micromega in “Errore 404”, quella fastidiosa scritta che vorremmo mai
apparisse nel computer, canzone che viaggia nel mondo di internet mostrandone
più che altro i difetti, soprattutto quelli dei social. Lo sguardo ironico di
Ernest Lo si posa successivamente sul “Bla Bla Bla” della gente, piccoli
reminiscenze di Rino Gaetano più che altro per l’approccio al brano non per la
musica che piuttosto potrebbe essere accostata al mondo di Alex Britti.
Simpaticissima
“I Gatti Del Borgo” mentre acidamente analitica è “Ti Piace?”, sunto del modus
operandi della società del momento, un auto-deridersi fatto in modo intelligente.
“Alla
Coop” è il brano più lungo dell’album con i quattro minuti e mezzo. Non proprio
cantato piuttosto narrato risulta sia divertente che storicamente legato a
certi stilemi vissuti con i grandi Squallor e scusate se dico poco.
“Serena
Vuole Andare A Nanna” è il pezzo più canzone dell’album, diciamo anche il
momento ballata e qui l’artista mostra diverse potenzialità rispetto quanto
ascoltato sino ad ora, pur rimanendo sul binario dell’ironia. Cesare Cremonini
sembra aver lasciato qualche segno sonoro. “Numeri” è un altro momento
simpatico e diretto apparentemente banale, ma ascoltate il testo.
Ridere
su “Talpe Ubriache” è facile, ma se lo si ascolta più volte c’è meno da ridere.
Chiude “Bar Lume”, un luogo dove si trinca e si vive un certo tipo di
quotidianità. Non so il perché ma Pino D’Angiò mi passa per la mente e anche
questo particolare mi conferma la caratura delle potenzialità dell’autore in
analisi.
Ernest
Lo è un personaggio da tenere sott’occhio, ha cose differenti da dire, quelle
che servono all’attuale cantautorato per mutare, poi i difetti nel tempo si
possono smussare, ma credetemi, qui c’è molta carne in fuoco. MS
sabato 8 maggio 2021
Inner Prospekt
INNER
PROSPEKT – Canvas Two
Somnus
Media Ltd
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2021
La
band romana di Rock Progressivo Italiano (RPI) Mad Crayon ha lasciato nel suo percorso
storico quattro album importanti.
Tralasciando il demo “Far From The Clouds - Someone Wants To Play” del
1992, l’esordio ufficiale risale al 1994 con “Ultimo Miraggio” (Cygnus Records).
Questo album mostra al pubblico uno stile radicato nell’ RPI più classico,
quello suggerito da band come Genesis, Orme ma soprattutto Banco Del Mutuo
Soccorso.
Il
viaggio sonoro prosegue sino ai nostri giorni con l’ottimo “Drops” (2020),
autoproduzione digitale uscita solo su internet in FLAC. Il talentuoso
tastierista dei Mad Crayon si chiama Alessandro Di Benedetti e nel 2014 inizia
la carriera da solista con l’album “Dreaming Tony Banks” (autoproduzione). Il
titolo lascia trapelare le origini alle quali si ispira, il suono delle
tastiere di Tony Banks (Genesis) hanno segnato la storia sia del Progressive
Rock che della musica Rock in generale.
Alessandro
quindi fonda il progetto Inner Prospekt con il quale negli anni rilascia ben
dieci album. “Canvas Two” è l’undicesimo da studio e seconda parte di “Canvas
One” realizzato nel 2020 del quale esiste anche una versione completamente
strumentale.
“Canvas
Two” è suddiviso in otto tracce e ci suonano Alessandro Di Benedetti (tastiere,
voce, batteria), Rafael Pacha (12-string e chitarra elettrica), Federico Tetti
e Carmine Capasso (chitarre), Giovanni Maucieri (batteria nel brano “Abby's
Escape”) e Giuseppe Militello (sassofono).
Difficile
non restare concentrati durante l’ascolto di questa musica che sembra voler
ipnotizzare l’ascoltatore, di certo non adatta ad un ascolto distratto o
perlomeno superficiale.
Proprio
il pianoforte apre la strumentale “Glimpse”, composizione leggera ma al
contempo sofisticata, arrangiata con archi in maniera accurata.
Come
il genere spesso ci mostra, non manca nell’insieme la lunga suite, qui
intitolata “Soul Of Hundred Lives” della durata di diciassette minuti
abbondanti. In essa circolano differenti soluzioni e cambi di ritmo, perfino
schegge di Jazz caldo e riflessivo. Qui c’è il cantato in lingua inglese, la
voce non è incisiva ma neppure scadente, diciamo che è da contabilizzare nella
media del genere italico, dove solitamente risulta essere vero e proprio
tallone d’Achille. Mentre la suite prosegue di sorpresa in sorpresa con
energia, molto spesso compaiono durante l’ascolto sonorità e situazioni
tipicamente anni ’70. A mio gusto questa musica è perfetta per accompagnare
anche dei telefilm di quegli anni, tanto per rendere l’idea di come riesca a
far confluire nella mente dell’ascoltatore immagini nitide e precise. Sempre
protagoniste le tastiere in generale, in “King Of Spades” però sono il sassofono
e le chitarre arpeggiate ad arricchire il contesto e l’atmosfera si fa
immediatamente calda e soft. Qui migliore anche l’interpretazione vocale ed
evidente l’ispirazione a Tony Banks. Personalmente apprezzo molto “Why Me” che
mi riporta anima e corpo dentro il mondo Genesis anni ’70, ma anche di
personalità con un equilibrio che apprezzo vivamente. “Abby's Escape” prosegue
il contesto senza aggiungere o togliere nulla, facendo così proseguire
l’ascolto nella fluidità. Altre mini suite portano il titolo di “White Skies” e
“The Knight And The Ghost”, nuova vetrina per i musicisti impegnati oltre che
per le tastiere di Alessandro. A concludere giunge la bonus track “The Queen Of
Clubs”, sexy, fumosa e da drink, grazie ancora al sax di Giuseppe Militello.
Quindi
avrete avuto modo di capire cosa elargisce la musica di “Canvas Two”, un disco
che coccola ma al contempo sa colpire. MS
Loonypark
LOONYPARK
- The 7th Dew
Lynx
Music
Genere: Crossover Prog
Supporto: cd – 2021
La
Polonia è una nazione molto attenta al fenomeno Progressive Rock, soprattutto
nei confronti del Neo Prog. Non è un caso che i storici Pendragon oppure gli
Arena o i Shadowland vadano a registrare molti dei loro live, sia in cd che in
dvd, proprio in questa nazione. Il pubblico è attento al fenomeno, ma anche
disposto a suonarlo, creando davvero una serie di sterminati gruppi. Il bello è
che la qualità di essi si aggira tutta attorno alla sufficienza, ossia sono
band che sanno suonare, emozionare e creare anche del proprio. Ci sono nomi che
spiccano di più, come i Millenium, i Riverside, Abraxas, Amarok, Quidam, Collage,
Moonrise, Hipgnosis, Albion e moltissimi altri, ed il livello è davvero
invidiabile.
Una
delle band più giovani a cimentarsi in questo stile sono i Loonypark.
Si
formano grazie ad un idea di Krzysztof Lepiarczyk (tastiere) e Jakub Greslo
(batteria) con diversi strumentisti che si sono affiancati a loro per
raggiungere ad oggi dopo alcune defezioni la seguente formazione: Sabina
Godula-Zając (voce), Piotr Grodecki (chitarra),
Krzysztof Lepiarczyk (tastiere), Piotr Lipka (basso) e Grzegorz Fieber (batteria).
L’esordio
discografico risale al 2008 con “Egoist” (Lynx Music) disco che raccoglie
immediatamente consensi di pubblico e presentano al mondo una nuova e fresca
band. Dopo altri quattro album tutti di medio buona fattura, giungono oggi a “The
7th Dew”, formato da otto tracce tutte di media durata.
Con
“The Heart” si palesa immediatamente una formazione coesa, attenta alle belle
melodie e capace di unire al Prog anche un certo tipo di AOR. Brano dall’energia
pulita, vigoroso ma al contempo gentile. La voce di Sabina è bella con il
pregio di non cercare di strafare in base alle proprie possibilità. Le chitarre
sono a tratti rudi, per poi lanciarsi in un assolo davvero al fulmicotone,
mentre le tastiere arrangiano e sostengono il brano come il Prog ci ha
insegnato. Immaginatevi se i primi Anathema si mettessero a suonare Prog
classico.
La
title track è profonda, con il crescendo sonoro che funziona al 100% delle
volte che viene effettuato, una carta vincente che non tradisce mai. Il
ritornello è ruffiano, il cantato in lingua inglese rende tutto molto
assimilabile e gradevole. Ancora una volta la chitarra elettrica regala un bell’assolo.
“The
Fever” fa capolino nel mondo del Metal Prog e qui si percepisce che i Riverside
nella nazione hanno lasciato un segno indelebile. Segue “Virtuality”, molto
semplice e lineare così come il prosieguo del disco sempre basato sulla
musicalità diretta ed una piacevole ballata dal titolo “The Tree Of Life”.
Nessun
miracolo, soltanto un buon disco che si lascia ascoltare con piacere e in
questi tempi moderni è già un serio risultato. MS
domenica 2 maggio 2021
Cirkus
CIRKUS
– Page 12 (On The Right)
Ramshaw
Records
Genere: Rock progressive
Supporto: cd – 2021
Cirkus
è un nome molto adoperato in ambito musicale, chi lo gestisce con la lettera K
chi meno. Anche in Italia negli anni ’70 avevamo i nostri bravissimi Circus
2000, oppure gli ottimi ed attuali Cirkus canadesi, ma in questa recensione parlo
dei storici Cirkus, quelli inglesi.
Si
formarono a Sunderland nel 1973 e rilasciano nel tempo sei album, ma il più
interessante risale al 1974 e si intitola “One”. Dopo una lunghissima pausa
ritornano nel 1994, quando il Prog rialza la testa per la terza volta dopo la
spinta delle band nordiche come Anglagard, Anekdoten, Landberk e altre come in America
i Spock’s Beard ed in Europa i Porcupine Tree. Si formano dalla fusione delle
band Moonhead e Lucas Tyson per suonare un genere ispirato a gruppi come King
Crimson e Yes. Sin da subito sono palesi le caratteristiche tecniche dei
singoli componenti che oggi sono Derek Miller (tastiere e programmazione), Nick
Mao (voce, chitarra, tastiera), Michael Maughan (chitarre), Brian Morton (basso),
Dave Ramshaw (voce), Rosie Prince (flauti) e Alex Saxon (sassofono).
L’album
è composto da dieci canzoni e subito dico che qui non ci sono lunghe suite, ma
tutti brani medi molto scorrevoli.
La
title track inizia con il vociare di gabbiani (chi ha detto Procol Harum?), uno
strumentale vigoroso che lascia presagire un bel viaggio Prog visto anche l’utilizzo
massiccio delle tastiere e delle chitarre Hard Rock. L’interesse si accende
immediatamente, la successiva “Angel” abbassa i toni presentando un eleganza
raffinata grazie all’uso dei fiati. La melodia è altresì piacevolmente
orecchiabile. Un giro di basso apre “Good News Week” con tanto di vocoder, una
canzone che aleggia fra il passato anni ’70 ed il presente in maniera molto
equilibrata e solare. Tornano i gabbiani in “Alive”, frangente Rock semplice e
diretto mentre “Back & Fourth” è una semi ballata che si staglia nell’alta
classifica del disco grazie agli arrangiamenti e alle idee ben incastonate fra
di loro. I Cirkus riescono a stupire ma non con effetti speciali, bensì con la
semplicità e questo non è assolutamente semplice da applicare.
Piano
e fiati in apertura di “I'm With You “, altra ballata gentile e calda
accompagnata dalla chitarra acustica. Se avesse avuto maggiori arrangiamenti
avrebbe potuto risiedere benissimo in “The Final Cut” dei Pink Floyd. Xilofono
per “One More Day”, brano niente di che, semplice e forse un pochino più stanco
del resto del contesto, ma il vero cavallo di battaglia è “The Lure Of Santa
Monica”, qui la band elargisce tutta l’esperienza annosa in cambi di stile e di
ritmo, ancora una volta fra passato e presente. Più elettrica la breve “So It
Goes”, a chiudere “Forever Tonight” con un pizzichino di Folk.
Non
si grida al miracolo, tantomeno al capolavoro, distante davvero da certi
irraggiungibili vette, però è inconfutabile la bellezza di questo disco che
riesce nella sua semplicità a farti una coccola come una carezza nella guancia.
Di questi tempi ne abbiamo tutti bisogno, chi più chi meno. MS
sabato 1 maggio 2021
Sproingg
SPROINGG – Clam
Autoproduzione
Genere: Eclectic Prog
Supporto: Digitale - 2021
C’è
musica e musica, così ci sono momenti differenti per ascoltarla. Il cultore del
Rock Progressivo si ciba prettamente di musica ricercata, oppure di
sinfonie magniloquenti, il tutto sempre
dietro la corazza della consapevolezza di ascoltare musica “acculturata” mai
banale. Momenti e momenti, come dicevo, serve molto spesso lo stato d’animo
adeguato per farlo o per ascoltare un certo tipo di musica. Quello che è
indubbio e che mette d’accordo tutti i fans del Prog è il come ascoltarla,
ossia con un buon impianto stereo, seduti o magari in cuffia e sicuramente non
da un telefonino o da un tablet. Chi ama la musica ricerca ed ascolta, non
subisce e sente. Sentire è distrazione, ascoltare è concentrazione.
Sempre
vengono presi gruppi storici come riferimento di stile risalenti agli anni ’70,
mai dagli ’80, ’90 e via dicendo salvo in alcuni sporadici casi, sarebbe anche
ora di cambiare questo atteggiamento visto che stiamo ascoltando ancora Prog
nel 2021 (se vogliamo che esso sopravviva ancora). Quindi cosa fanno i tedeschi
Sproingg? Si gettano anima e corpo nel tempo, saccheggiando a destra e manca
tutto quello che si può assimilare in tutti i stili ed anni. Sono amanti totali
della musica tanto da autodefinire il proprio genere “Experimental-prog-chaos, Excessive
polyrhythmic minimalism, Space-Punk-Ambient-Psychedelic e Dramatic, jazz & classically
influenced rock”.
Presunzione?
Pazzia? Realtà? Nulla di tutto questo a mio modo di vedere, loro amano gettarsi
nella musica e lasciarsi trasportare.
Stupirsi.
L’improvvisazione
regna sovrana, ma chiari sono i punti di riferimento a cui fanno capo nei
decenni.
I
Sproingg provengono da Friburgo ad eccezione del batterista americano e sono un
trio composto da Prudi Bruschgo
(chitarre), Erik Feder (batteria) e Johannes Korn (Chapman Sticks, violino
elettrico). L’esordio discografico risale al 2017 con l’ottimo “Sproingg”,
facendo molto discutere pubblico e critica, così oggi tornano con “Clam”,
lavoro composto da otto tracce tutte di medio/lunga durata.
Immediatamente
sin da “Stuffer Gapes And Drapes His Cape On A Vaping Ape (including Destiny's
Abortion)” ci rovesciano addosso la loro provenienza musicale. Chi fa maggiormente
capolino fra le note del brano ancora una volta è lo stile nervoso dei King
Crimson, vero e proprio punto di riferimento per chi è immerso in questo mondo
sonoro. Dissonanze, elettricità, ritmi spezzati, sincopati per un suono che di
certo non può definirsi prettamente melodioso. Si passa di palo in frasca (come
si dice nel mio dialetto marchigiano), ossia da una parte all’altra della
musica, essa è vista a tutto tondo ed è strattonata per la maglia.
La
Psichedelia è ben rappresentata in “(Impure Thoughts) Pure Cushion”, o forse
dovrei dire improvvisazione. Ma ha un senso effettivo dover descrivere brano
per brano? Non credo proprio, perché “Clam” è in realtà un viaggio unico,
distorto, visionario e leggiadro al contempo.
Musica
per chi vuole tutto del mondo sperimentale del Prog, brani esclusivamente
strumentali che potrebbero destabilizzare l’ignaro ascoltatore della domenica.
I Sproingg sono tosti e perché no…anche un poco folli! Voi cosa vedete, cosa
immaginate durante l’ascolto? Sapete ancora stupirvi? Vi invidio. MS
https://sproingg.bandcamp.com/
erik_feder@yahoo.com