Il
Neo Prog sta vivendo in Europa una seconda giovinezza grazie ad innesti di
suoni Metal e Folk, alle sinfonie Genesis e alla psichedelia di matrice
Pinkfloydiana. Ciò accade anche in Italia con molte band che si cimentano in
lavori più o meno complessi, fra di questi risultano gli udinesi The Blacksmith
Tales. Si
formano grazie ad un idea del tastierista cantante David Del Fabro nel 1990
ispirati dal Prog inglese dei noti maestri già nominati ai quali vado ad
aggiungere Gentle Giant, Kansas e Rush. Iniziare
a mettere da parte idee sonore sin dagli anni ’90 e realizzare in tutto l’arco
dell’esistenza un solo album in studio, fa pensare ad un risultato quantomeno
interessante e così in effetti si dimostra essere. Un concept album con cura di
particolari dedicato ai simboli ed alle immagini che partono dall’antico Egitto
sino giungere al medioevo. Un viaggio introspettivo soprattutto alla ricerca
del proprio essere, nel cuore e nella mente del protagonista. Per
realizzare cotante argomentazioni servono necessariamente composizioni sonore
ed interpretazioni di stampo cinematografico, in pratica una vera e propria
colonna sonora da supporto ai testi. La musica in generale ha queste capacità
intrinseche, anche il Neo Prog, a prova del concetto basta andare ad ascoltare
la discografia e le opere composte dal tastierista Clive Nolan (Pendragon,
Shadowland, Strangers On A Train, Arena, Caamora etc) su tutti. In
questo viaggio sonoro formato da tredici episodi, David Del Fabro si circonda
di musicisti come Michele Guaitoli (voce), Beatrice Demori (voce), Stefano
Debiaso (batteria), Denis Canciani ( basso), Marco Falanga (chitarre), e Luca
Zanon (tastiere, flauto). Il
disco si apre con la mini suite di quasi dodici minuti “The Dark Presence”, la
voce richiama il Neo Prog style, come ha saputo insegnare Fish dei Marillion in
cattedra, mentre le tastiere abbondano e rendono l’ascolto intriso di anni ’80.
La chitarra elettrica dona energia al contesto sferzando il brano rendendolo
più fruibile. Molto curate anche le coralità. In “Golgotha” risiedono numerose
peculiarità dello stile in analisi, tuttavia David Del Fabro filtra il tutto
attraverso la personalità. I frangenti strumentali come nel caso dell’assolo
della chitarra, lasciano ampio spazio all’immaginazione rendendo l’ascolto
ricco di suoni avvolgenti e penetranti. Il suono diventa sensuale quando giunge
anche la tabla indiana e poi Minimoog, Mellotron, insomma tutto quello che un
vero progfans desidera ascoltare da un lavoro del genere. “Let Me Die” ha un
sound moderno ed incisivo, sembra uscito da un disco dell’olandese Lucassen (
Ayreon). Una
nota di piano in stile “Echoes” dei Pink Floyd sta a riportare il suono della
goccia perché ora…“Rain... Of Course!”. La canzone è semplice rispetto quanto
ascoltato sino ad ora e scorre velocemente sino a “Into The Sea (Apocatastasis)”.
L’opera prosegue con la breve ed acustica “Interlude”, impreziosita dalla voce
di Beatrice Demori. Tutto il disco è un piacevole scorrere di emozioni
differenti, sino giungere alla suite “Possessed By Time” vero e proprio fiore
all’occhiello dell’album. Qui l’ensemble sonoro raggiunge vette davvero
elevate, sia in ambito esecutivo che compositivo, davvero musica totale. Tutto
“Dark Presence” è suonato molto bene, così risulta buona la registrazione, un
prodotto che a mio gusto personale, si candida per diventare uno dei migliori
cinque album italiani di questo 2021.
Solo complimenti. MS
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