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domenica 22 dicembre 2013

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

              BUONE FESTE A TUTTI!!!!


SOUNDSICK

SOUNDSICK – Astonishment
Audioglobe
Genere: Avantgarde Prog
Supporto: cd – 2013



Con “Art Is The Mirror Of The Universe”, ep dei fabrianesi Soundsick, avevo visto giusto! Quando ho ascoltato il trio composto da Ilario Onibokun (voce, chitarra, percussioni), Alexander Onibokun (batteria, percussioni, chitarra) e Valentino Teodori (basso) per la prima volta, ho colto nel loro essere acerbi ma entusiasti, un qualcosa in più rispetto ad altre band , quel qualcosa che semplicemente si chiama “talento”. Il fatto che i fratelli Onibokun si scambino gli strumenti è di per se già un segnale di immersione totale nella musica.
Visti dal vivo, ho avuto la conferma di una crescita esponenziale di anno in anno, una vera forza della natura, impetuosità e grinta. Il genere trattato è quantomeno di difficile collocazione tuttavia la Psichedelia ne esce fuori con prepotenza fra semplicità ed astrusità. Un impatto sonoro che hanno soltanto le grandi band ed un songwriting accattivante, fanno di “Astonishment” una crescita evolutiva che non lascia di certo indifferenti, neppure chi questo genere non lo concepisce.
Undici brani per una durata di un ora di musica a partire dalla strumentale “Lena”, con una ritmica Pinkfloydiana con echi annessi. Ma i Soundsick in realtà non si rifanno ad uno stile preciso, loro suonano e compongono ciò che sentono dentro e questo varia da umore ad umore. Ancora una volta mi ritrovo a sottolineare il lavoro alla batteria, marchio di riconoscimento della band.
“CH3 CH2 OH” è di facile memorizzazione e con “Lena” derivano dall’ep “Art Is The Mirror Of The Universe”.
Con “Disco Rat” escono i Soundsick Post Rock ed i synth sono ad opera dell’ospite Paolo Messere. Il sound si avvicina di molto a quello più nervoso e metallico degli ultimi Porcupine Tree, non so se questo sia un fatto voluto o meno, tuttavia lapalissiano. “Brain In Brine” mette in evidenza il basso di Teodori, sempre preciso e potente. I scenari cambiano a favore di una decadenza propria di band anni ’90 come i The Smashing Pumpkins. Come rappresentato all’interno dell’artwork, questo è un raggio di luce colorato nel buio, flash sonori e Psichedelici.
Addirittura pianoforte e Synth a fisarmonica in “Grandparents” che per l’ennesima volta richiama in me la band di Wilson e precisamente quella periodo “Lightbulb Sun”. Tornano tuonanti ed esplosivi nell’ottima “Astonishment”, con cambi di ritmo ed umorali, a testimonianza di una amalgama fenomenale, un movimento unisono ed armonico. Un balzo indietro nel tempo con una loro hit tratta dall’ep precedente dal titolo “Loneliness”, qui in nuova veste, più fresca e cristallina.
Gli Onibokun le ritmiche le hanno nel sangue e provate quindi ad ascoltare “Asphixia” senza restarne colpiti. Una chitarra Punk apre “Moleskine”, altro movimento ricercato e vicino allo stile “Loneliness” per quello che ne concerne solamente il ritornello. Scarica di adrenalina in “Varnelli E Muffa”, cadenze emotive sempre sopra un impatto sonoro importante. Nei brani spesso traspare comunque un velato senso di nostalgia. Chiude il capolavoro sempre tratto dal precedente ep “Candies & Cum”.

“Astonishment” è questo, una promessa mantenuta e soltanto chi pensa che la musica non sia una forma d’arte vera e propria, ignora la sua esistenza. Tutti gli altri si divertono all’ascolto, perché di fronte ad una vera e propria barriera sonora! (MS)

Fabio Zuffanti

ZUFFANTI – La Quarta Vittima
AMS Records/BTF.it – A Buzz Supreme
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2014



Fabio Zuffanti, figura esponenziale per il panorama Progressivo italiano, compie venti anni di attività. Tante ne ha passate di storie ed altrettante di collaborazioni, a partire dai Finisterre e poi Aries, Hostsonaten, Lazona, L’Ombra Della Sera, Merlin-The Rock Opera, Quadraphonic, Rhomer, R.U.G.H.E. , La Maschera Di Cera, che potremmo scriverne un libro! Ed oggi eccolo a noi con il sesto suggello da studio come solista.
“La Quarta Vittima” è il sunto stilistico di una carriera, pur sempre realizzato in chiave moderna, dove in esso si intersecano le influenze passate negli anni e soprattutto si evince una maturazione professionale come pochi altri interpreti nostrani hanno saputo dimostrare nel tempo.
 Si tratta di un concept album, basato sul libro di racconti gotico surreali “Lo Specchio Nello Specchio”. Tuttavia nell’album le canzoni non sono contigue anche se qualcosa di misterioso sembra tenerle legate, la stessa magia e continuità che Peter Hammill sapeva dare con i suoi Van Der Graaf Generator. Un insieme d’ influenze e generi che si danno staffetta con grande indifferenza, tanto da sembrare in effetti una sola creatura, ma così non è, si trovano Psichedelia, Dark Prog, Hard Rock, Jazz, Elettronica ed altro ancora che lascio a voi scoprire.
Si comincia con una fuga fra le stanze vuote di un palazzo labirinto, “Non Posso Parlare Più Forte” è questo, una corsa disperata sulle ali di un flauto che sospinge il movimento e una maestosità cupa degna dei Goblin impegnati in altri più terrificanti contesti. Mini suite emozionante già al primo ascolto, con tutti gli ingredienti per un Prog fans, Mellotron compreso. Sensazioni e flashback si presentano sopra il solo di chitarra di Laura Marsano, Psichedelia di Pinkfloydiana memoria. E gli amanti della band di Waters e soci, hanno di che gioire anche nella successiva “La Certezza Impossibile”, con un altro assolo di chitarra semplicemente da pelle d’oca!
Molti i musicisti che si alternano all’interno dell’opera, alcuni anche noti, come il fido Luca Scherani (vibrafono) ed Alberto Tafuri (tastiere) anche produttore di musica Pop italiana e vocal coach di Elio nelle ultime edizioni di X Factor. Il brano si svolge anch’esso in una tematica dalla base oscura e sognante.
Ma ecco a questo punto il Zuffanti che non ti aspetti, “L’Interno Di Un Volto” sfocia persino in ambito Metal, qui l’artista mostra i muscoli pur rimanendo dentro i binari umorali in una sorta di mix fra Orme e Van Der Graaf Generator.
Segue “La Quarta Vittima”, Jazz Rock impreziosito da fiati e tutto questo fa pensare inevitabilmente ad uno stile Frank Zappa. Così è, ma soprattutto godibile l’intro del flauto di Gian Marco “Pantera” Pietrasanta. Canzone più ricercata nel contesto, direi più coraggiosa in ambito Progressivo.

Con “Sotto Un Cielo Nero”, in una nera città senza vita, un pianoforte impazzito fa da base ad un movimento sonoro in crescendo dalla base Jazz Rock. Imponenti gli interventi di tastiere. Ne “Il Circo Brucia” i riferimenti Van Der Graaf Generator si accumulano, miscelandosi con soluzioni di Crimsoniana memoria. Si chiude con sofficità grazie a “Una Sera D’Inverno”, il titolo già fotografa le sensazioni che si hanno all’ascolto e si vola verso le stelle con il sound tipico dei migliori Pink Floyd. Un album a cui è quasi impossibile trovare un difetto, dove dentro si trova l’anima odierna dell’artista Zuffanti, a questo punto vero e proprio patrimonio nazionale. Consigliatissimo, soprattutto ai fans delle band citate nella recensione. (MS)

giovedì 19 dicembre 2013

Nashville Pussy

NASHVILLE PUSSY - From Hell to Texas
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock - Heavy Blues
Support: CD - 2009



Il quartetto di Atlanta oramai ci ha abituati a standard qualitativi elevati. Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo album da studio e li ritroviamo oggi più in forma che mai. Il loro Hard Rock derivante dal Blues è sempre sporco e rozzo, pregno di sudore e narratore di storie di strada. Il suono è grezzo e minimale, tuttavia tremendamente trascinante e le chitarre di Blaine Cartwright e di Ruyter Suys la fanno da padrona.
Questa volta si vola in Texas, l’argomento è “From Hell To Texas”, titolo tratto da un film Western del 1958. La ritmica composta da Karen Cuda al basso e da Jeremy Thompson alla batteria è grezza e minimale, ma questo è il mondo dei Nashville Pussy, dove l’essere è prioritario rispetto l’apparire. Riff vincenti, ma a sorpresa di tanto in tanto fuoriescono anche schegge di Punk Rock, come in “Late Great USA”, quasi stile Clash. Se vogliamo in questo disco di riferimenti ne troviamo a decine, dai Lynard Skynard ai Motorhead, Ramones e band stile Hanoi Rocks.
Ci sono dei frangenti altamente coinvolgenti fra i dodici pezzi che compongono il cd, come ad esempio “Why Why Why”. Coinvolgente sotto molti aspetti “From Hell To Texas” è ben strutturato, scorrevole, davvero semplice e diretto. La voce roca di Blaine è perfetta narratrice di losche storie, per il resto questo tipo di musica non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni, in quanto gode di uno stile unico e solo chi vive il Rock può capire pienamente questo concetto.
Una cosa è certa, l’ascolto fa venire la voglia di bere una bella birra fresca, magari con una bella pupa al fianco ed ovviamente la musica a palla. Ma a parte questi luoghi comuni, il disco è davvero consigliato ad un pubblico vasto, che varia dal Metal all’Hard & Blues. Non titubate avanti a “From Hell To Texas”, lasciatevi trascinare e sporcare anche voi dal vento e dalla polvere del vecchio West. Quaranta minuti di svago assicurati. Rock On! MS


lunedì 16 dicembre 2013

Fabriano pro Musica e il "Compleanno Di Peppe"


"COMPLEANNO DI PEPPE"



 Sabato 7 dicembre al Teatro Gentile Di Fabriano si è svolto un evento che ha del magico, per commemorare la recente scomparsa di Giuseppe “Peppe” Costarelli, noto negoziante di strumenti musicali di Fabriano, per la prima volta 27 band locali si sono esibite a rotazione in un concerto che nella città non ha mai avuto precedenti. Una serata dal titolo “Compleanno Di Peppe”, nata da un idea di Marco Agostinelli, che ha unito quattro generazioni e decine di generi musicali differenti come il Jazz, Rock, Metal, Blues, Cantautore, Demenziale, Popolare, Orchestrale, Psichedelico, Punk, Grunge, Thrash, Epic, Sperimentale, Death, Progressive ed Hard Rock. Presentati dal duo culturale ROCK & WORDS composto da Fabio Bianchi e Massimo “Max Salari” 



e da Gabriele Chiappa, sul palco si sono esibite le realtà musicali: CONCORDIA, DETERIORS, QUINTETTO PETROV, CONFUSIONI INTENSE, LORENZO MEGNI E BIAGIO FERRERI, EXHUMIND, DIEGO TRIVELLINI, LAMBERTO DI PIERO INTERPLAY JAZZ GROUP, WORD FUNK, NYA, MOTOZAPPA, LEVANA, LAIKA SENZA RITORNO, SOUNDSICK, MARIA GRAZIA TODI, SUPERPUSHER, JUICE BLUES, FRANCESCO ASCANI AAAC GROUP, RENATO GASPARINI (AGORA'), MOTHERSIDE, JAIL UNDERDOG, HARD FOR WIND, SIMONE FRANCHINI, SPARE PARTS, HERESY OF THE DEADGOD, BLACK MIRRORS, BEATOMATO e GABRIELE BRENCIO . In conclusione sul palco una jam finale con gli artisti.



Grande partecipazione del pubblico che ha saputo ascoltare ed apprezzare le nostre realtà, venendo così anche a conoscenza di nuovi gruppi. Fra gag amichevoli ed aneddoti di volta in volta raccontati sul palco dagli artisti stessi in ricordo di Peppe, la serata è scorsa con grande partecipazione, sentimento e rispetto. Da sottolineare la maturità di tutti i partecipanti che si sono esibiti in un unico abbraccio, come fossero una realtà unica, pur non essendo mai convissuti assieme. Toccante l’esibizione di Maria Grazia Todi.


L’evento ha fatto anche nascere una nuova associazione dal nome FABRIANO PRO MUSICA, fondata da MARCO AGOSTINELLI (presidente), FRANCESCO BELLOCCHI (vice presidente), FABIO BIANCHI (segretario) LAMBERTO DI PIERO (tesoriere), RENATO GASPARINI (socio fondatore), SALARI MASSIMO (socio fondatore) e SARA PALPACELLI (socia fondatrice).   L'Associazione vuole diffondere la cultura musicale nel mondo giovanile e non ed ampliare la conoscenza della cultura musicale. Chi volesse aderire alla neonata associazione, tutti i dettagli ed il modulo in PDF lo potete trovare alla pagina https://www.facebook.com/fabrianopromusica . Durante lo spettacolo si sono raccolte offerte a donazione libera in beneficenza all’Istituto MAGNIFICAT DI GERUSALEMME, scuola dove bambini ebrei e palestinesi studiano musica insieme.



L’associazione Fabriano Pro Musica intende ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’evento, con la promessa di tornare l’anno prossimo con altrettanto entusiasmo e voglia di stare con Peppe. Nell'attesa l'Associazione FPM farà sentire la sua voce con la promozione di altri eventi. 



sabato 14 dicembre 2013

Toxic Smile

TOXIC SMILE – 7
Progressive Promotion Records
Genere: Metal Prog
Supporto: cd – 2013



Quando nel Metal Prog la tecnica non soffoca la melodia, nascono proposte davvero affascinanti e gradevoli. Equilibri di suoni fra controtempi e fughe strumentali ma soprattutto buoni ritornelli, sono gli ingredienti che adoperano i tedeschi Toxic Smile.
Nella band milita una vecchia conoscenza del circuito, Marek Arnold, sassofonista anche con Cyril, Seven Step To The Green Door e Flaming Row. Assieme al batterista Daniel Zehe nel 1996 forma la band Toxic Smile, con loro si uniscono Uwe Reinholz alla chitarra, Robert Brenner al basso e Larry B. alla voce. Oggi alla batteria troviamo Robert Eisfeldt.
Come lascia presagire il titolo dell’album, questo è il settimo sigillo da studio. Qui ci sono ingredienti che fanno del Metal e del Prog la punta di diamante della ricerca nel Rock. Dove c’è “evoluzione” esistono questi album che possono anche non essere considerati dei capolavori, perché per esserlo devono avere forte personalità, ma dentro le composizioni hanno comunque un puzzle formato da differenti ed interessanti soluzioni. Come ci raccontano i ritornelli di “From Inside Out” e “Barefooted Man”, la melodia è un punto imprescindibile ed inamovibile. Paragonate questi due brani con il successivo “Needless” e capirete la differenza fra essere Metal Prog e sperimentalmente Metal Prog. Quest’ultimo sembra uscire da “Rage For Order” dei Queensryche.
Il sax ci accoglie  in “Love Without Creation”, composizione più abbordabile, quasi in stile Toto. Ebbene il fascino e la classe dei Toxic Smile qui fuoriescono in tutto il loro splendore. Riff taglienti in modalità “on” nella successiva “Rayless Sun”, una mini suite di otto minuti che lascia campo anche ad ampie schiarite sonore.
“King Of Nowhere” è una sorta di mix fra New Prog e Metal, un tentativo alquanto bizzarro ma non sgradevole, specie nella fase ritmica, sicuramente messa a dura prova. L’album si chiude con “Afterglow” (no, non è “Wind And Wuthering” dei Genesis), altra palestra per la sezione ritmica con tappeti di tastiere e molto dei Dream Theater.

“7” è un album schietto, ma indeciso fra “schiaffo o bacio”, avesse avuto un poco più di coraggio, o dal lato Metal, o dal lato Prog, forse avrebbe convinto di più. Così si rischia una via di mezzo nella terra di nessuno. Ma è davvero ben fatto, ben registrato e con ottimi momenti musicali. Sicuramente nel complesso un disco sufficiente e da ascoltare. (MS)

martedì 10 dicembre 2013

The Black Noodle Project

THE BLACK  NOODLE PROJECT – Ghosts & Memories
Progressive Promotion Records
Genere: Progressive Rock – Psichedelia
Supporto: cd – 2013



Dopo quasi tre anni di attesa, ritornano i francesi The Black Noodle Project per farci ascoltare il settimo lavoro da studio. Questo periodo di assenza non è passato incolume, si è assistito alla defezione del bassista Anthony Lètèvè e del tastierista Matthiew Jaubert e quindi come si disse per i Genesis, sperando che sia di buon auspicio di vendite….e rimasero in tre. La formazione è composta da Jeremie Grima (chitarra, basso, voce, tastiere), Sebastian Bourdeix (chitarra) e Fabrice Berger (batteria).
“Ghosts & Memories” prosegue il percorso intrapreso con il buon “Ready To Go” (2010), ma quello che risalta principalmente all’ascolto è una maggiore cura per gli arrangiamenti. Le atmosfere Dark presenti anche nei capolavori dei Pink Floyd come in “Whis You Were Here” ed “Animal” sono ancora una volta presenti, così lo stile musicale somiglia nuovamente a quello della band di Gilmour e Waters. Gli interventi sonori indirizzati verso il Metal fanno di tanto in tanto capolino, rendendo ancora più grevi le atmosfere.
L’album si apre con “The Wanderer Of Lost Moments”, canzone che potrebbe benissimo trovare spazio nella discografia degli Anathema, periodo centrale della loro carriera. Ascoltando questo modo di comporre, viene naturale anche un paragone con la band Porcupine Tree di Steven Wilson, oramai vero e proprio faro illuminante per molte delle band odierne che intraprendono il percorso Progressive Psichedelico.
“They Live, We Sleep” è una bordata vera e propria di suoni dedicati al Pink Floyd fans, brano strumentale che alterna acustica con chitarre elettriche trascinate in stile Gilmour. Sembra di tornare negli anni ’70 e nell’album “Obscured By Clouds” con la successiva “The Owis (Are Not What Thy Seem)”, questa tuttavia resta la prerogativa di tutto l’album.
Musica da ascoltare con attenzione, che deve essere affrontata con una preparazione psichica adeguata, per poter meglio affrontare il viaggio proposto ed apprezzarne al meglio i passaggi. Fatelo con “Voices From Yesterday” e ne trarrete vantaggio anche fisico oltre che mentale.
Profondità di carattere, la band nulla lascia al caso, curando ogni aspetto delle composizioni, dagli effetti sonori alla registrazione stessa, davvero ben effettuata. “Ghosts” è uno dei frangenti più alti del disco che a questo punto chiamerei anche opera.
Si chiude con “A Purple Memory”, puro Porcupine Tree style era “Up The Downstair”, nervoso e cadenzato, aperto ad ampie schiarite.
Un disco nella sua integrità oscuro, ma composto d’aria, aperto, sottile e delicato e chi segue il genere in analisi sa bene dove vado a parare, tutti gli altri non devono esimersi dall’affrontare questo nuovo percorso sonoro, sicuramente alcuni di voi ne resteranno folgorati. La Francia non è nuova a belle sorprese in ambito e faccio anche i complimenti ad Oliver Wenzler, per aver assunto nella propria scuderia, la Progressive Promotion Records, questa band che sicuramente negli anni farà parlare di se. Noi italiani arriveremo a capirlo solo fra qualche anno, è inesorabile. (MS)

domenica 8 dicembre 2013

Sonata Islands

SONATA ISLANDS – Meets Mahler
Zone Di Musica
Genere: Avant-Jazz
Supporto: cd – 2013



Esistono progetti per chi vuole ascoltare qualcosa di più che semplice musica. Esistono progetti dove l’arte e la cultura si uniscono per una ricerca armonica e strutturale di nuova sostanza, in cui si può restare sorpresi da un risultato d’impatto sicuramente non convenzionale. Esistono progetti dunque per intenditori e per coloro che ancora oggi hanno voglia di stupirsi. I Sonata Islands sono un progetto cameristico nel quale sound si evince dell’Avant-Jazz e dell’Avant-Rock, quindi con un dna strutturalmente complesso. Realizzano nella loro storia quattro cd e con “Meets Mahler” raggiungono il quinto sigillo, mentre per conoscere la realizzazione di altri numerosi progetti, teatrali e cinematografici per cortometraggi, vi rimando al loro sito http://www.sonataislands.com/sonata_islands/index.html .
Mi sento di affermare che “Meets Mahler” è il loro progetto più ambizioso, qui si va a riproporre una sinfonia per voce soliste ed orchestra composta fra il 1908 ed il 1909 di un artista che è già nel suo campo uno sperimentatore, il compositore e maestro d’orchestra austriaco Gustav Mahler. L’opera sinfonica porta il titolo di “Das Lied Von Der Erde” (in italiano “Il Canto della Terra”).
La composizione si suddivide in sei movimenti, qui eseguiti da jazzisti del calibro di Giovanni Falzone (tromba), Emilio Galante (flauto), Achille Succi (Clarinetto e sax alto), Simone Zanchini (fisarmonica), Stefano Senni (contrabbasso) e Tommaso Lonardi (voce).
L’operato di Mahler si nutre di musica popolare e quindi si avvicina ad un approccio significativamente differente da quello adottato per la sinfonica sino al 1900, non a caso questa attitudine è anche musa per altri musicisti importanti, come ad esempio per il pianista jazz e compositore di New York, Uri Caine. Possiamo dire che l’artista gioca “sporco”, alterando certe convenzioni notoriamente irremovibili della struttura musicale sinfonica. Ed i Sonata Island si gettano in questo percorso alterato e sconnesso, mettendo del proprio, giocando con l’Avant-Jazz e l’Avant-Rock.
Vengono alla mente immagini all’ascolto di molti passaggi, come nel secondo movimento “Kind Of Earth”, dovuto anche alla vicinanza di soluzioni adottate anche dal maestro Ennio Morricone. Sarà per l’uso della tromba, della fisarmonica, resta il fatto che fra cambi di tempo ed umorali si viaggia nel Jazz, ma anche in una improvvisazione a tratti minimalista. Un film di Fellini? Un puzzle assolutamente difficile da ricomporre. ”Non Mahler” è nervosamente Crimsoniano, salvo poi aprirsi a del jazz solare, saltando nel pentagramma fra fughe e rallentamenti. Nuovamente si fa luce l’improvvisazione, un colloquio fra strumenti che danno l’impressione di non comprendersi, ma che comunque si cercano freneticamente, come in una sorta di “Acchiapparella” (gioco infantile popolare).
Più affidata ai fiati “Von Der Schonheit”, anche lei senza una struttura madre apparente, a tratti basata su una ritmica Jazz marcata, ma è un alternarsi emotivo anche in questo caso.
Tuttavia il lavoro necessita sino al termine di una attenzione particolare, un ascolto certamente mirato e non approssimativo per far si di poterlo comprendere al meglio. Il progetto risulta fresco ma allo stesso tempo monolitico, tanti piccoli componenti che compongono un gigante. Mi sento di proporre questo album a chi di jazz sperimentale è già avvezzo, perché prima di addentrarsi dentro questi labirinti sonori serve sicuramente una preparazione mentale e culturale apposita. A me l’ascolto ha fatto venire in mente un simpatico quesito: E se gli Area avessero composto  nel 1900?

(MS)

mercoledì 4 dicembre 2013

Luca Poletti Trio

LUCA POLETTI TRIO – Colors
Autoproduzione
Genere: Jazz
Supporto: cd – 2013



Luca Poletti è un giovane pianista di Belluno, laureato allo strumento nel 2009 e nel 2010 diplomato in composizione e strumentazione per bande. Nel 2012 si laurea con 110 e lode e menzione d’onore in musica Jazz sotto la guida di Roberto Cipelli e Bob Bonisolo. Detto questo non resta che attendersi dal musicista un buon esordio, perlomeno con idee interessanti. Ed ecco “Colors”, una dimostrazione di sicurezza nei propri mezzi per un concept alquanto intrigante.
 La storia parla di un pianista che in cerca di ispirazione, gira frequenze sulla radio alla ricerca di spunti musicali. Nello zapping incrocia Monteverdi, Chopin, Petruciani e Leonard Bernstein, fino a raggiungere una composizione che lo colpisce. Ma ironia della sorte, la frequenza lo abbandona, lasciando in lui solo dei ricordi alquanto scollati di melodie. Il pianista si mette giù d’impegno per eseguire almeno quelle che si ricorda. In questo viaggio sonoro c’è un ospite d’eccezione alla tromba, Paolo Fresu, mentre il trio viene completato da Stefano Senni al basso e Matteo Giordani alla batteria. Altri ospiti sono Matteo Cuzzolin (sax tenore), Christian Stanchina (tromba), Annika Borsetto (voce) e Michele Bazzanella (basso).
Il prodotto si presenta molto curato e particolareggiato. In custodia cartonata e plastificata, contiene anche un grazioso libretto di accompagnamento con foto, descrizioni e colori. Questo è ad opera di DC Grafics – Diego Cossalter. Ottima anche l’incisione sonora seguita da Stefano Amerio negli Artesuono Recording Studios, sicuramente una esaltazione in più all’intero concept. Ed i colori stanno anche ad indicare i differenti stili musicali e gli stati d’animo che essi rappresentano, almeno personalmente preferisco credere che sia così.
Il disco si apre con il citato zapping, nel quale si può scorgere anche una scheggia di Pink Floyd e poi via verso un Jazz elegante, se vogliamo in vecchio stile, come sapeva ben fare il buon Sante Palumbo. Ed il colore di questo “Strollin’ Around” è il giallo. I brani sono collegati da brevi “preludi” sonori. La tromba di Fresu ci accoglie nella dolcissima “Raining Grey”, caratterizzata da un cambiamento vigoroso a metà del percorso, quando Poletti sale magistralmente in cattedra. Il suono caldo ed avvolgente della tromba è un qualcosa che non si può descrivere con le parole.
Il “Preludio#2” ci accompagna a “Sirene”, verso una melodia tranquillizzante, immersa nei suoni del contrabbasso di Stefano Senni. Una musica di classe, non invasiva, da ascoltare a luce soffusa in assoluto silenzio.
“Colors” è un disco che ha un pregio, la semplicità con cui fa sembrare un movimento complesso a qualcosa di facilmente fruibile e memorizzabile. Bello anche il momento di sax in “Bastian Oirartnoc” (giustamente “contrario” al contrario). Ammaliante la voce di Annika in “This Is For You”, unico brano cantato del disco, movimento piano e voce. Il resto… sta a voi scoprirlo perché le sorprese non finiscono qui e quindi vanno scartate come un regalo.

Un album che consiglio vivamente a coloro che vogliono incominciare ad avvicinarsi al Jazz, ricco di buone melodie e passaggi differenti, proprio come i colori della copertina. Debutto superbo! (MS)

lunedì 2 dicembre 2013

R-Evolution Band

R-EVOLUTION BAND– The Dark Side Of The Wall
Wide Production
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd – 2013



Dietro al nome R-Evolution Band c’è Vittorio Sabelli, fiatista ed arrangiatore e con lui Marcello Malatesta (tastiere), Gabriele Tardiolo “Svedonio” (chitarra, Bouzuki), Graziano Brufani (basso e contrabbasso) ed Oreste Sbarra (batteria). Dopo due album Jazz, la R-Evolution Band opta per un idea quantomeno bizzarra, la rivisitazione del capolavoro “The Wall” dei Pink Floyd. Coraggiosi o scellerati? A chi viene in mente di andare a confrontarsi con tale capolavoro? Sappiamo bene che i Pink Floyd sono una band di culto e come tale ha molti fans che l’adora e la protegge da eventuali attacchi esterni, siano loro di critica che di plagio. “The Dark Side Of The Wall” per molti di loro andrebbe criticato in maniera negativa, magari scambiandolo anche per una manovra prettamente commerciale……sbagliato, perché il contesto non è proprio questo.
E’ come guardare un nuovo film, nuovi suoni che si riallacciano ai temi classici del disco, un vetro rotto del quale i pezzi si vanno a confondere con quelli di altri vetri rotti. Nel risultato finale ci sono coraggiosi passaggi ed interessanti interventi bizzarri, come nella scelta di unire il sax con il cantato in growling. Ma la cosa più strana è che più il disco va avanti e più ci si concentra sull’ascolto, sintomo che il progetto è quantomeno interessante. Si ha la voglia di sentirsi stupiti, ma con la tranquillizzazione di melodie note e care, un approccio questo che potrebbe interessare a chi si vuole avvicinare al Prog senza il timore di ascoltare astruse ed incomprensibili cavalcate sonore.
Il termine “scorrevole” è limitato, il disco vola via fra Psichedelia, Rock, Jazz, Fusion, Prog, Avant Jazz….davvero un lampo, a testimonianza di un arrangiamento valido e spettacolare. Viene spesso da chiedersi, “ma è The Wall?”, perché ci si dimentica di lui.
“The Wall” è la realtà, “The Dark Side Of The Wall” è la cronaca del sogno di “The Wall”, fra sensazioni, voli a bassa quota ed immersioni in posti apparentemente incongruenti. Non esistono altri termini per questa sorta di genialata che spero non venga a mancare nella vostra discografia, magari proprio nello scaffale dei Pink Floyd, fra mattoni, vacche, prismi ed orecchi immersi.

Statene certi che non sfigura. (MS)

sabato 30 novembre 2013

Il Fauno Di Marmo

IL FAUNO DI MARMO - Canti, Racconti E Battaglie
Andromeda Relix/GT Music Distribution
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2013



Basta un semplice nome suggestivo per far sobbalzare il fans del Progressive Rock, anche senza ascoltare la musica. Basta leggere  il nome e guardare la copertina di questo cd per capire che qui c’è molta carne al fuoco per le sue orecchie. Se poi a tutto questo andiamo a nominare l’attenta Andromeda Relix, il cerchio si chiude.
Il Fauno Di Marmo è formato da musicisti del Friuli Venezia Giulia, con esperienza alle spalle e si compone nel 2001 a nome The Rebus. Realizzano due dischi in studio ed uno live, “Il Fauno Di Marmo” (2002 – Autoproduzione) e “Acroterius” (2005 – Autoproduzione), mentre il live è del 2009. Il gruppo formato da Luca Sterle (voce, flauto, sax), Valerio Colella (chitarra), Francesco Bonavita (tastiere), Alberto Ballarè (basso) e Luca Carboni (batteria), non può che proporre un Progressive Rock legato ai nostrani anni ’70 con interventi Jazz, atmosfere dark e vista la presenza del flauto, l’immancabile paragone con i Jethro Tull.
Il prodotto si presenta elegantemente, in cartonato plastificato con all’interno il libretto con foto e testi. L’Artwok grafico è a cura del chitarrista Valerio Colella, mentre i disegni colorati che infarciscono il tutto sono di Francesca Capone, con la collaborazione di  Antonio Zuberti.
Le nove tracce che si possono ascoltare in “Canti, Racconti E Battaglie” presentano una maturazione artistica ed una consapevolezza dei propri mezzi invidiabile. “Benvenuti Al Circo” gronda anni ’70 da ogni nota. Nel brano ci sono special guest come Simone D’Eusanio al violino e Federica Sterle come seconda voce ad impreziosire il tutto. Successivamente incontreremo anche Andrea Tomasin alle percussioni ed Alessandro Serravalle (leader dei Garden Wall) alla chitarra.
“Madre Natura” è un Rock’n Blues datato in stile Jethro Tull periodo “Benefit”, sia per l’approccio del flauto che come articolazione di composizione. Allegro e  giocoso, colorato proprio come la copertina dell’album, dal patos incontenibile.
Con “Hop Frog”, la vendetta del buffone ranocchio si realizza nei confronti del vil sovrano. Qui si va incontro ad una mini suite di undici minuti che ha tutti gli ingredienti al posto giusto per essere un classico del genere. Tastiere  presenti sia come tappeto che come effetti, chitarre Hard, flauto aggressivo, cariche sonore in stile Trip o primi Osanna, quelli di “Uomo”, fanno del pezzo uno dei frangenti più alti di tutto il disco. Non mancano richiami ai Gentle Giant. “Magic Kazoo” gode di un bel assolo di chitarra centrale, così di tastiera. “Nova Res” è un gradevolissimo brano strumentale (l’unico dell’album) spudoratamente anni ’70. Qui c’è tutto quello che abbiamo ascoltato in un intero decennio, a dimostrazione di una cultura degli elementi alquanto preparata.
Hard Prog in “Non Mollare Mai”, Biglietto Per L’Inferno? Trip? Jumbo? Questo è il sunto.
Ma ci imbattiamo in una cover davvero bella, quella di “Un Villaggio, Un Illusione” di Quella Vecchia Locanda tratto dall’album omonimo del 1972. Chiude “Dorian Gray” senza togliere o mettere nulla di nuovo a quanto detto.
“Canti, Racconti E Battaglie” è un disco che piacerà sicuramente ai vecchi nostalgici del genere in analisi e a me piace chiudere questa recensione con le loro parole tratte dal cd: “E’ il prodotto di una inestinguibile passione e dedizione alla musica che inizia da bambini, prosegue da ragazzi e continua da adulti, evolvendo e facendo da colonna sonora alle mille difficoltà dell’esistenza terrena”. A chi lo dite…mai ho letto in un cd parole più vere! (MS)


giovedì 28 novembre 2013

Gianni Pieri E Mauro Di Rienzo

GIANNI PIERI E MAURO DI RIENZO – Drum’ n Cello
Autoproduzione
Genere: Minimalismo - Etno-Jazz
Supporto: cd – 2011



Nella musica c’è da fare un distinguo, perché c’è chi la fa e chi la vive. Quest’ultima categoria è la più rara, in genere è quella che affonda le radici nel passato, soprattutto nel periodo anni ’70. Incuranti delle mode, delle tendenze, degli atteggiamenti da palco, di tutto quello che fa parte del carrozzone music industry, gli artisti “veri”, o se vogliamo “ruspanti”, sembrano inattaccabili ed immortali. Ma attenzione, con questo non che la categoria sia indifferente a ciò che la circonda, questi sono anche presi nel sociale e sempre attenti a quello che accade attorno a loro nella quotidianità. Questo preambolo semplicemente per esternare che la musica è fonte di vita, intesa come sensazioni, esperienze, idee e personalità messe in note, quindi non solo canzoncine o motivo assoluto di vendita (per carità, rispettabili anche queste, altrimenti la musica non sarebbe anche un lavoro).
La propria terra ricopre un altro ruolo importante di questa tendenza, il Folk si può innestare nel Jazz, nel Rock ed in qualsiasi altro genere ed espressione musicale, impreziosendone l’ascolto.
Nel mio girovagare indipendente e “progressivo”, alla ricerca sempre di nuove sensazioni, mi imbatto in questo progetto proposto da Gianni Pieri (violoncello, Basscello e Loop Station) e Mauro Di Rienzo (batteria). I due artisti si conoscono e collaborano assieme da oltre venti anni ed hanno militato nella formazione romana di Etno Folk, A Sud Di Nogales sin dai primi anni ’90.
Suoni minimali si mettono a disposizione della musica ed anche alla formula canzone, a testimonianza di un vagare strutturale e sonoro di certo non scontato. Con un violoncello ed una batteria si possono fare molte cose, non sembra ma questo lo si evince già dall’iniziale “Fermate Gli Orologi” e si denota uno spiccato senso per l’armonia. “Vento Caldo E Pioggia A Busso” rappresenta il lato più mediterraneo del disco, mentre “Tacchi A Spillo E Sberleffi”, da come preannuncia il titolo, è giocosa, spensierata e goliardica. “Sulle Ali Di Un Sogno” presenta un violoncello che si sostituisce propriamente ad una teorica voce, canzone molto bella sulla quale si potrebbero benissimo adattare immagini o danze. Si evincono giri che militano nel classicismo in una sorta di Rondò Veneziano e ben si accostano alla formula canzone. L’intesa fra i due è pressoché perfetta, i dettagli e le virgole che Di Rienzo disegna sotto al tappeto di corde è importante e ricolmo di sensibilità, ascoltate “Melodica” e cosa racconta sotto al basscello di Pieri. “La Canzone Sociale” è uno stato d’animo sentito e profondo, mentre il lato più ricercato e sperimentale del duo fuoriesce nel brano “Passeggiando Controcorrente”, grazie anche ai loop percussionistici.
Non esula la musica popolare che di quanto in quanto fa capolino fra le composizioni variegate, come in “Tarancellopoli Bis”. Ariosa e solare “Volteggiando Nell’Aria”, titolo più appropriato non può avere. Sale il ritmo nella “Tribal Song”, così la voglia di ricercare sonorità e nuove strutture musicali. Come nella poesia ermetica di Ungaretti , in “Sulle Corde Del Vento” si riesce a rappresentare il concetto con poche note e si ha proprio la sensazione di essere liberi e trasportati dal vento. Torna la formula canzone ne “Il Serpente Che Ride”, questa potrebbe benissimo risiedere nella colonna sonora del telefilm “Pinocchio” di Luigi Comencini, tanto per rendere l’idea del contesto sonoro. Libera metrica ancora una volta per “ABC – Prima O Poi”, sfogo umorale e stilistico di Pieri che accompagna alla conclusiva “Potere Fare Tutto”, orecchiabile e degna di sottolineatura.

“Drum ‘n Cello” è un disco che ci mette in pace con il mondo e con noi stessi, il vibrato dei suoni caldi è un lasciarsi coccolare che non sempre accade oggi, in questo mondo sonoro fatto di nervi e di elettricità. Se volete ascoltare buona musica vi consiglio di contattare questi artisti, come ho fatto io all’indirizzo giannipieri@alice.it perché a volte nella vita, non volendo, ci si imbatte in piacevoli sorprese. Godibile. (MS)

martedì 26 novembre 2013

Black Mirrors

BLACK MIRRORS – La Vita Sul Serio
Autoproduzione/Fabio “Dandy Bestia” Testoni
Genere: Punk/Rock
Supporto: cd – 2013



C’è differenza fra un pollo d’allevamento ed uno ruspante? C’è differenza fra il vino industriale ed il casareccio? Se avete dubbi in riguardo, oppure preferite i primi, per voi la recensione può terminare anche qui perché neppure i Black Mirrors fanno per voi.
Vi starete chiedendo se questa è una recensione musicale o culinaria, vi rispondo musicale, anche se non crediate che ci sia molta differenza. La musica in effetti ha un gusto, qualunque il genere sia, ha anche un modo di essere…ha una storia, quella preconfezionata invece non ce l’ha. E se faccio il nome di Fabio “Dandy Bestia” Testoni? Ecco che a molti di voi torna in mente il gruppo demenziale Punk, Rock e molto altro ancora, degli Skiantos e non solo (Dalla, Berti, Stadio). Negli anni ‘70/80 gli Skiantos hanno raccontato tante storie divertenti e di anticonformismo di rottura sociale tutte vere, cioè spinte dalla voglia di essere e di fare musica per il corpo. Testoni è il chitarrista co-fondatore con Freak Antoni degli Skiantos e viene a conoscenza di questo gruppo prettamente marchigiano, soprattutto della zona Fabrianese, cogliendo in loro l’essere ruspanti e li produce!
La storia che i Black Mirrors hanno alle spalle è annosa, si va a pescare alla fine degli anni ’70 fra amici e cantine, solo voglia di strimpellare e di stare assieme con l’amore per una band che da questi solchi esce sbrodolante in ogni dove, i mitici Clash. Oggi alla reunion  i Black Mirrors si ritrovano con Andrea Morbi alla batteria, Francois Belocq al basso, Gabriele “Cats” Gatti alla chitarra e cori e Giorgio “Camel” Tinelli alla voce per lasciare un segno, un ricordo, una sorta di riassunto delle puntate precedenti. In “La Vita Sul Serio” esiste la loro storia, l’ironia e la sagacia che li rende liberi e solari.
Ed è proprio il brano “La Vita Sul Serio” ad aprire il disco, la storia di Leonel Rugama, da venditore di tortillas a Sandinista. Non arrendersi al nemico dittatore Somoza, ma fronteggiarlo spavaldamente al grido “Che si arrenda tua madre”. Argomento Sandinista caro appunto ai già citati Clash, anche se le sonorità qui sono più riconducibili ad altri maestri di questo genere, i Ramones. Invece richiamando un inno del Punk “Anarchy In The UK”, i Black Mirrors si adattano nei testi al Vaticano con “Anarchy In VK”. Di questo brano, possiamo godere anche della versione in DUB, nella traccia conclusiva come bonus track, davvero una hit!
L’arma vincente di questo sound è l’immediatezza e la semplicità in cui tutto si svolge. Non esistono particolari tecnicismi, ma tanta compattezza e quei brevi solo strumentali di chitarra spezzano l’ascolto. Venendo all’attualità, ci facciamo due risate con la bella scappata dell’ex ministro Elsa Fornero nel brano “Choosy”, qui analizzata a dovere. Ritornello indovinato e facile da memorizzare sin dal primo ascolto. Polvere, bombe e sangue su “Gaza”, terra rubata, canzone più Rock che Punk rispetto quanto ascoltato sino ad ora.
In “Stalingrado” nel solo di chitarra c’è come ospite Dandy Bestia, canzone rivisitata del gruppo Stormy Six datato 1975, mentre “Il Treno”…corre, con una ottima interpretazione da parte di Tinelli. Ascoltiamo anche cantata in lingua argentina “Jodanse”, perché la nazione qui viene trattata parlando della crisi economica del 2001 e della sua restrizione. La musica ancora una volta è vicina allo stile Ramones. Venendo alle bonus track, ascoltiamo brani scritti nei primi anni ’80 dalla band, quando nella formazione risiede anche Paolo “Rox” Rossi, si può dire che la breve ”Keep On To The Left” ha un groove che trascina. “God Save Rock And Roll” vede nuovamente Dandy Bestia come ospite alla chitarra, mentre il pezzo potrebbe benissimo uscire dalla discografia dei Rolling Stones. Una citazione anche per il buon artwork a cura di Orazio Metello Orsini ed una chicca, la stella che risiede nel logo della band è stata disegnata a Bologna nel 1999 da Joe Strummer (Clash)!

In definitiva questo album è frutto di voglia di divertimento, sincerità e di pensiero. Richiedetelo anche su https://www.facebook.com/BlackMirrors e vedrete che passerete una buona mezz’ora in allegria con della simpatica musica. (MS)

domenica 17 novembre 2013

Alla memoria di PEPPE COSTARELLI

PEPPE COSTARELLI, UNA VITA PER LA MUSICA


Chi vive nell'entroterra marchigiano e che almeno per una volta nella vita ha avuto a che fare con la musica, non può che aver conosciuto Peppe...si, Peppe, così veniva chiamato a Fabriano (AN) e famoso il suo caotico negozio di strumenti.  Esso mostra in ogni angolo sommerso di materiale la sua passione e bontà. Presente per tutti, disponibile, vero... Non ci sono parole per ricordarlo, per questo si è pensato di organizzare un MEGACONCERTO TRIBUTO proprio a Fabriano, dove non arrivano le parole , arrivano i SUOI strumenti. Da un idea di MARCO AGOSTINELLI (strumentista fabrianese) supportato dal duo ROCK & WORDS (Fabio Bianchi e Max Salari), da FRANCESCO BELLOCCHI e da una moltitudine di musicisti e tecnici volontari, si sta organizzando per il 7 Dicembre (il 5 è il giorno del suo compleanno) un concerto gratuito aperto a tutte le band locali e dei dintorni delle Marche. Chi avesse piacere di ricordarlo con noi e volesse suonare per lui, in questo Blog troverete tutti i chiarimenti :
COMPLEANNO DI PEPPE
 http://agomusic.jimdo.com/5-6-7-dicembre/

GRAZIE A TUTTI I PARTECIPANTI E CIAO PEPPE!

Roccaforte

ROCCAFORTE – Sintesi
Keep Hold
Genere: Pop/ New prog
Supporto: cd – 2013



Ricordo negli anni ’80 ad Alessandria, la band Arcansiel che ai “smarriti” fruitori del Prog italico, regalavano nuove boccate di ossigeno per le orecchie. Era il periodo del New Prog, sulla scia delle band inglesi come Marillion, IQ, Pendragon e Pallas, il risorgere di un genere che in teoria è stato dato per morto alla fine degli anni ’70. Questa è una vecchia storia, una come poche altre, si perché grazie a band come Arcansiel che in Italia sotto la cenere la brace è restata calda.
Sempre ad Alessandria dunque sorgono altre realtà, a testimonianza che agli inizi degli anni ’90 la materia è ancora trattata. Si formano i Roccaforte, certamente non derivativi degli Arcansiel, intendiamoci, ma che comunque nutre la passione in comune per il New Prog. Il gruppo composto da Daniele Malfatto (tastiere), Bruno Borello (basso), William Lucino (voce), Roberto Raselli (batteria) e Fabio Serra (chitarra), dimostra una predilezione per la formula canzone e Pop, piuttosto che avventurarsi in astrusi movimenti articolati o logorroici che siano.
Dopo la pubblicazione di tre ep come “Origine” (2012), “Metamorfosi” (2012) e del recente “Evoluzione”, tornano all’attenzione del pubblico con un disco che rivisita molto del materiale edito in passato, salvo ascoltare l’inedito “Avatar” proprio in apertura del cd. Quindi, i Roccaforte partono dal Pop per poi addentrarsi in questo nuovo percorso sonoro relegato a schegge di New Prog, in uno stile personale forgiato da numerose esibizioni live catturate negli anni.
Ebbene questa “Avatar” ci mostra una band fresca, rodata, con buone idee in fatto melodico e con adeguati arrangiamenti. Resta facilmente in memoria la canzone, come se fosse sempre stata nel nostro background mentale (Renga docet). Ma siamo ancora lontani dal New Prog, esso arriva con “20mq di libertà” grazie al giro di tastiere alla Marillion, pur restando sempre con i piedi nel Pop. I testi cercano di raccontare storie personali e situazioni psichiche, il tutto senza turbare troppo l’ascoltatore. Scorrevoli e gradevoli, così come la bella voce di William. “Vetrina” potrebbe nuovamente piacere ad un fans di Francesco Renga. Ottima “Vai” , grazie si alla ritmica perfetta e vigorosa, ma soprattutto per i solo centrali di tastiere e chitarra, oltre che ad un ritornello a dir poco ruffiano. “L’Aquilone” si apre narrato, per poi volare nella melodia che potrebbe essere stata composta anche da Lucio Dalla, uno dei momenti più importanti di “Sintesi”.
La forza dei Roccaforte risiede nel gusto arioso dei ritornelli, ma anche negli arrangiamenti, come ho detto in precedenza ed il risultato potrebbe interessare anche agli amanti di band come Negramaro.
Per potere ascoltare i Roccaforte  più vigorosi, bisogna giungere a “Giubbotto In Pelle Nera”. Altro brano degno di nota è il conclusivo strumentale “Metamorfosi”, sulle ali della chitarra elettrica di Serra, qui la band mostra il lato più Progressivo di se.
In conclusione “Sintesi” è la muta della pelle dei Roccaforte, un cambiamento che non stravolge troppo il loro modo di essere, ma che lo migliora, lo presenta più professionale ed adeguato ai tempi. Un disco consigliato a tutti coloro che amano sonorità di artisti qui citati e che comunque si lasciano coccolare da brani tranquillizzanti, a volte nel Rock c’è bisogno anche di questo. (MS)


Death Riders

DEATH RIDERS – New Captivity
Autoproduzione
Genere: Metal Prog / Power Thrash
Supporto: mp3 – 2013



Ritornano dopo due anni dal buon debutto “Through Centuries Of Dust” i fabrianesi Death Raiders con “New Captivity”. Intanto quello che salta all’occhio è il passaggio di testimone al basso da parte di Cristiano Coppa a favore di Federico Mori, per il resto formazione invariata con Marco Monacelli alla chitarra, Valerio Gaoni alla voce, Francesco Pellegrini alla chitarra ed Alessio Monacelli alla batteria.
Il Metal Prog proposto risulta più fresco rispetto il buon esordio del 2011, sempre epico e ben curato, soprattutto nei suoni. L’acustica intro, “Lacerated Skies” presagisce quello che potrebbe accadere, ossia un massiccio attacco sonoro supportato da una ritmica chirurgica e secca. L’epicità in stile Blind Guardian è sempre presente nel sound dei Death Riders, ma questa volta il lato melodico è più marcato, aiutato da coralità importanti. Infatti la prerogativa di “New Captivity” è proprio questa, l’attenzione per le giuste melodie.
La prova di Gaoni al microfono è buona e di personalità, mentre le chitarre si ritrovano alla perfezione, sincronizzate da anni di convivenza. Un altro lato che tengo a sottolineare è quello della presenza di buoni assolo di chitarra, seppur di breve durata. E’ sempre difficile trovare nuove idee in un genere epico come questo, ecco dunque l’importanza delle giuste melodie che si intersecano con le sciabolate elettriche delle chitarre, in un connubio dolce-salato che in qualsiasi maniera accalappia l’attenzione di chi ascolta. Fin troppo eloquente “Side Effect”, qui il concetto espresso è ben capitalizzato ed eseguito.
Non esulano macigni sonori, pericolo caduta massi in “Bleeding Formy Pain” ed avanti tutta con “Frail Cages”. “Introspection” morde e sale di pathos, arioso nel ritornello, un vero inno.
I Death Riders amano le fughe, scorribande nelle scale ed anche stop and go. In “New Captivity” non fanno sconti ad emozioni, godendo di suoni fragorosi e appunto di epicità. Il gruppo cresce di personalità ed ha trovato a mio avviso il proprio sound, quello che li differenzia da altri gruppi del genere, ma sono serviti anni per giungere a questo risultato. Un uso aggiuntivo di synth e quindi di effetti elettronici (seppur rari), è a mio avviso indovinato in quanto impreziosisce l’insieme.
Se devo cercare un neo, posso lamentare la mancanza di un brano davvero più lento (a parte il breve intro) che magari a metà percorso avrebbe fatto rifiatare l’ascolto, tuttavia “New Captivity” scorre via che è un piacere.
Amanti del Metal e degli inni, io non mi perderei l’ascolto di questo secondo sigillo da studio dei marchigiani, questo è Metal D.O.C.

Lo potete trovare su tutte le piattaforme come ITunes, Soundcloud e ReverbNation. (MS)

martedì 12 novembre 2013

Psicosuono

PSICOSUONO – Eta Carinae
Autoproduzione
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd – 2013



Ho ascoltato nel 2008 con vero piacere (e non nascondo che ancora lo faccio) l’album d’esordio dei Psicosuono “Aut Aut”, un piccolo atollo nel mare della banalità Rock di oggi. Come dissi allora, non è semplice fare giuste melodie senza cadere nella trappola delle banalità, questo è un territorio che comunque può risultare minato, tuttavia non è questa la sede per approfondire l’argomento. Lo è invece per andare a trattare  il nuovo lavoro della band di Stefano De Marchi (chitarra) ed Elisabetta Giglioli (voce), “Eta Carinae”. Nella costellazione della Carena c’è una stella blu ipergigante, questa ha il nome di Eta Carinae, tuttavia invisibile ad occhio nudo. Essa è uno spettacolo dell’universo, l’infinito che ci circonda e che ci ispira sensazioni di immane bellezza. Le stelle ispirano l’arte, spesso e volentieri, perché fanno parte della nostra esistenza, siamo legati indissolubilmente a tutto questo equilibrio, così la musica.
In otto canzoni, ecco come intendono oggi il Rock i Psicosuono, un mutamento stilistico che porta non solo ad ascoltare, ma anche a pensare. Infatti le buone melodie ancora si aggirano, ma accresce la ricerca sonora, le influenze stilistiche si susseguono così come i cambi di tempo. Subentrano soluzioni care al Prog, già dall’iniziale “Il Conte Orlok”, grazie alle tastiere di Andrea Illuminati ed al sax di Betty Accorsi. I solo strumentali sottolineano il concetto, buono specialmente quello di chitarra, divertente quando duetta con le tastiere. Durante il percorso sonoro si aggiunge l’ascolto della voce di Morena Cappai ai cori. Pulita e precisa la sezione ritmica formata da Fabrizio Carriero alla batteria e da Luca Pissavini al basso.
In  direzione canzone “ Uomo Di Latta”, con le coralità gentili e la farcitura di un sax accattivante e caldo. Una valenza aggiuntiva è quella dei testi scritti da De Marchi e Giglioli, mai scontati ed espressi in una metrica composta di personalità, applicata al brano. “La Scena” è ariosa e decisa, trascinata da un solo di tastiere finale esplosivo, qui si sprigiona nell’aria il profumo degli anni ’70, così nella successiva “I Just Know That Wind Has Set” cantata da Betty Accorsi. Una semi ballata che attinge nella cultura Folk per quello che concerne le sonorità, tanto per riallacciarmi al discorso precedente dell’evoluzione stilistica dei Psicosuono, del concetto di arricchimento rispetto al precedente “Aut Aut”. Ritengo questa canzone uno dei momenti più belli dell’intero lavoro, la band viaggia amalgamata a dovere, resta impossibile tenere a bada il piede , deve battere il ritmo. Alessandro Mornati collabora alla stesura dei brani e nelle liriche, come in “Perché Il Futuro”, semplice, diretto curato negli arrangiamenti, così come lo è tutto l’album, perché gli arrangiamenti risultano essere il vero punto di forza di “Eta Carinae”. Questo accade anche con “L’Indiano” e nella conclusiva “Vedo”. Più Psichedelica ed intimistica “Mare profondo”. L’album si chiude con un buon ensemble sonoro, grintoso e di personalità, la band è matura.
Ora però vorrei che voi lettori ed usufruitori di musica per una volta tanto  non pensaste che questa recensione riguardi una band italiana…fate finta che è straniera, perché noi siamo fatti così, abbiamo in casa buoni artisti, ma non li supportiamo a dovere, salvo poi dare soddisfazioni immeritate a prodotti largamente ridicoli stranieri. Per questo i Psicosuono ci vengono incontro anche con “Eta Carinae” in versione inglese, interamente cantato in inglese, operazione commerciale? Certamente ed ascoltate come ne esce fuori…. Impossibile ignorarli. Potete anche reperire gli album su ITunes, Amazon, Emusic, Goggle Play e Nokia Music per la versione in digitale. Ora però un appello ai Psicosuono, ma che dobbiamo attendere altri cinque anni per avere un vostro nuovo album? Egoisticamente parlando spero di no. Consigliato. (MS)