BUONE FESTE A TUTTI!!!!
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domenica 22 dicembre 2013
SOUNDSICK
SOUNDSICK
– Astonishment
Audioglobe
Genere:
Avantgarde Prog
Supporto:
cd – 2013
Con “Art Is The Mirror Of The Universe”, ep dei
fabrianesi Soundsick, avevo visto giusto! Quando ho ascoltato il trio composto
da Ilario Onibokun (voce, chitarra, percussioni), Alexander Onibokun (batteria,
percussioni, chitarra) e Valentino Teodori (basso) per la prima volta, ho colto
nel loro essere acerbi ma entusiasti, un qualcosa in più rispetto ad altre band
, quel qualcosa che semplicemente si chiama “talento”. Il fatto che i fratelli
Onibokun si scambino gli strumenti è di per se già un segnale di immersione
totale nella musica.
Visti dal vivo, ho avuto la conferma di una crescita
esponenziale di anno in anno, una vera forza della natura, impetuosità e
grinta. Il genere trattato è quantomeno di difficile collocazione tuttavia la
Psichedelia ne esce fuori con prepotenza fra semplicità ed astrusità. Un
impatto sonoro che hanno soltanto le grandi band ed un songwriting accattivante,
fanno di “Astonishment” una crescita evolutiva che non lascia di certo
indifferenti, neppure chi questo genere non lo concepisce.
Undici brani per una durata di un ora di musica a
partire dalla strumentale “Lena”, con una ritmica Pinkfloydiana con echi
annessi. Ma i Soundsick in realtà non si rifanno ad uno stile preciso, loro
suonano e compongono ciò che sentono dentro e questo varia da umore ad umore.
Ancora una volta mi ritrovo a sottolineare il lavoro alla batteria, marchio di
riconoscimento della band.
“CH3 CH2 OH” è di facile memorizzazione e con “Lena”
derivano dall’ep “Art Is The Mirror Of The Universe”.
Con “Disco Rat” escono i Soundsick Post Rock ed i
synth sono ad opera dell’ospite Paolo Messere. Il sound si avvicina di molto a
quello più nervoso e metallico degli ultimi Porcupine Tree, non so se questo
sia un fatto voluto o meno, tuttavia lapalissiano. “Brain In Brine” mette in
evidenza il basso di Teodori, sempre preciso e potente. I scenari cambiano a
favore di una decadenza propria di band anni ’90 come i The Smashing Pumpkins.
Come rappresentato all’interno dell’artwork, questo è un raggio di luce
colorato nel buio, flash sonori e Psichedelici.
Addirittura pianoforte e Synth a fisarmonica in
“Grandparents” che per l’ennesima volta richiama in me la band di Wilson e
precisamente quella periodo “Lightbulb Sun”. Tornano tuonanti ed esplosivi
nell’ottima “Astonishment”, con cambi di ritmo ed umorali, a testimonianza di
una amalgama fenomenale, un movimento unisono ed armonico. Un balzo indietro
nel tempo con una loro hit tratta dall’ep precedente dal titolo “Loneliness”,
qui in nuova veste, più fresca e cristallina.
Gli Onibokun le ritmiche le hanno nel sangue e
provate quindi ad ascoltare “Asphixia” senza restarne colpiti. Una chitarra
Punk apre “Moleskine”, altro movimento ricercato e vicino allo stile
“Loneliness” per quello che ne concerne solamente il ritornello. Scarica di
adrenalina in “Varnelli E Muffa”, cadenze emotive sempre sopra un impatto sonoro
importante. Nei brani spesso traspare comunque un velato senso di nostalgia. Chiude
il capolavoro sempre tratto dal precedente ep “Candies & Cum”.
“Astonishment” è questo, una promessa mantenuta e
soltanto chi pensa che la musica non sia una forma d’arte vera e propria,
ignora la sua esistenza. Tutti gli altri si divertono all’ascolto, perché di
fronte ad una vera e propria barriera sonora! (MS)
Fabio Zuffanti
ZUFFANTI
– La Quarta Vittima
AMS
Records/BTF.it – A Buzz Supreme
Genere:
Progressive Rock
Supporto:
cd – 2014
Fabio Zuffanti, figura esponenziale per il panorama
Progressivo italiano, compie venti anni di attività. Tante ne ha passate di
storie ed altrettante di collaborazioni, a partire dai Finisterre e poi Aries,
Hostsonaten, Lazona, L’Ombra Della Sera, Merlin-The Rock Opera, Quadraphonic,
Rhomer, R.U.G.H.E. , La Maschera Di Cera, che potremmo scriverne un libro! Ed
oggi eccolo a noi con il sesto suggello da studio come solista.
“La Quarta Vittima” è il sunto stilistico di una
carriera, pur sempre realizzato in chiave moderna, dove in esso si intersecano
le influenze passate negli anni e soprattutto si evince una maturazione
professionale come pochi altri interpreti nostrani hanno saputo dimostrare nel
tempo.
Si tratta di
un concept album, basato sul libro di racconti gotico surreali “Lo Specchio
Nello Specchio”. Tuttavia nell’album le canzoni non sono contigue anche se
qualcosa di misterioso sembra tenerle legate, la stessa magia e continuità che
Peter Hammill sapeva dare con i suoi Van Der Graaf Generator. Un insieme d’
influenze e generi che si danno staffetta con grande indifferenza, tanto da
sembrare in effetti una sola creatura, ma così non è, si trovano Psichedelia,
Dark Prog, Hard Rock, Jazz, Elettronica ed altro ancora che lascio a voi
scoprire.
Si comincia con una fuga fra le stanze vuote di un
palazzo labirinto, “Non Posso Parlare Più Forte” è questo, una corsa disperata
sulle ali di un flauto che sospinge il movimento e una maestosità cupa degna
dei Goblin impegnati in altri più terrificanti contesti. Mini suite emozionante
già al primo ascolto, con tutti gli ingredienti per un Prog fans, Mellotron
compreso. Sensazioni e flashback si presentano sopra il solo di chitarra di
Laura Marsano, Psichedelia di Pinkfloydiana memoria. E gli amanti della band di
Waters e soci, hanno di che gioire anche nella successiva “La Certezza
Impossibile”, con un altro assolo di chitarra semplicemente da pelle d’oca!
Molti i musicisti che si alternano all’interno
dell’opera, alcuni anche noti, come il fido Luca Scherani (vibrafono) ed
Alberto Tafuri (tastiere) anche produttore di musica Pop italiana e vocal coach
di Elio nelle ultime edizioni di X Factor. Il brano si svolge anch’esso in una
tematica dalla base oscura e sognante.
Ma ecco a questo punto il Zuffanti che non ti
aspetti, “L’Interno Di Un Volto” sfocia persino in ambito Metal, qui l’artista
mostra i muscoli pur rimanendo dentro i binari umorali in una sorta di mix fra
Orme e Van Der Graaf Generator.
Segue “La Quarta Vittima”, Jazz Rock impreziosito da
fiati e tutto questo fa pensare inevitabilmente ad uno stile Frank Zappa. Così
è, ma soprattutto godibile l’intro del flauto di Gian Marco “Pantera”
Pietrasanta. Canzone più ricercata nel contesto, direi più coraggiosa in ambito
Progressivo.
Con “Sotto Un Cielo Nero”, in una nera città senza
vita, un pianoforte impazzito fa da base ad un movimento sonoro in crescendo
dalla base Jazz Rock. Imponenti gli interventi di tastiere. Ne “Il Circo
Brucia” i riferimenti Van Der Graaf Generator si accumulano, miscelandosi con
soluzioni di Crimsoniana memoria. Si chiude con sofficità grazie a “Una Sera
D’Inverno”, il titolo già fotografa le sensazioni che si hanno all’ascolto e si
vola verso le stelle con il sound tipico dei migliori Pink Floyd. Un album a
cui è quasi impossibile trovare un difetto, dove dentro si trova l’anima
odierna dell’artista Zuffanti, a questo punto vero e proprio patrimonio nazionale.
Consigliatissimo, soprattutto ai fans delle band citate nella recensione. (MS)
giovedì 19 dicembre 2013
Nashville Pussy
NASHVILLE PUSSY - From Hell to Texas
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock - Heavy Blues
Support: CD - 2009
Il quartetto di Atlanta oramai ci ha abituati a standard qualitativi elevati. Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo album da studio e li ritroviamo oggi più in forma che mai. Il loro Hard Rock derivante dal Blues è sempre sporco e rozzo, pregno di sudore e narratore di storie di strada. Il suono è grezzo e minimale, tuttavia tremendamente trascinante e le chitarre di Blaine Cartwright e di Ruyter Suys la fanno da padrona.
Questa volta si vola in Texas, l’argomento è “From Hell To Texas”, titolo tratto da un film Western del 1958. La ritmica composta da Karen Cuda al basso e da Jeremy Thompson alla batteria è grezza e minimale, ma questo è il mondo dei Nashville Pussy, dove l’essere è prioritario rispetto l’apparire. Riff vincenti, ma a sorpresa di tanto in tanto fuoriescono anche schegge di Punk Rock, come in “Late Great USA”, quasi stile Clash. Se vogliamo in questo disco di riferimenti ne troviamo a decine, dai Lynard Skynard ai Motorhead, Ramones e band stile Hanoi Rocks.
Ci sono dei frangenti altamente coinvolgenti fra i dodici pezzi che compongono il cd, come ad esempio “Why Why Why”. Coinvolgente sotto molti aspetti “From Hell To Texas” è ben strutturato, scorrevole, davvero semplice e diretto. La voce roca di Blaine è perfetta narratrice di losche storie, per il resto questo tipo di musica non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni, in quanto gode di uno stile unico e solo chi vive il Rock può capire pienamente questo concetto.
Una cosa è certa, l’ascolto fa venire la voglia di bere una bella birra fresca, magari con una bella pupa al fianco ed ovviamente la musica a palla. Ma a parte questi luoghi comuni, il disco è davvero consigliato ad un pubblico vasto, che varia dal Metal all’Hard & Blues. Non titubate avanti a “From Hell To Texas”, lasciatevi trascinare e sporcare anche voi dal vento e dalla polvere del vecchio West. Quaranta minuti di svago assicurati. Rock On! MS
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock - Heavy Blues
Support: CD - 2009
Il quartetto di Atlanta oramai ci ha abituati a standard qualitativi elevati. Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo album da studio e li ritroviamo oggi più in forma che mai. Il loro Hard Rock derivante dal Blues è sempre sporco e rozzo, pregno di sudore e narratore di storie di strada. Il suono è grezzo e minimale, tuttavia tremendamente trascinante e le chitarre di Blaine Cartwright e di Ruyter Suys la fanno da padrona.
Questa volta si vola in Texas, l’argomento è “From Hell To Texas”, titolo tratto da un film Western del 1958. La ritmica composta da Karen Cuda al basso e da Jeremy Thompson alla batteria è grezza e minimale, ma questo è il mondo dei Nashville Pussy, dove l’essere è prioritario rispetto l’apparire. Riff vincenti, ma a sorpresa di tanto in tanto fuoriescono anche schegge di Punk Rock, come in “Late Great USA”, quasi stile Clash. Se vogliamo in questo disco di riferimenti ne troviamo a decine, dai Lynard Skynard ai Motorhead, Ramones e band stile Hanoi Rocks.
Ci sono dei frangenti altamente coinvolgenti fra i dodici pezzi che compongono il cd, come ad esempio “Why Why Why”. Coinvolgente sotto molti aspetti “From Hell To Texas” è ben strutturato, scorrevole, davvero semplice e diretto. La voce roca di Blaine è perfetta narratrice di losche storie, per il resto questo tipo di musica non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni, in quanto gode di uno stile unico e solo chi vive il Rock può capire pienamente questo concetto.
Una cosa è certa, l’ascolto fa venire la voglia di bere una bella birra fresca, magari con una bella pupa al fianco ed ovviamente la musica a palla. Ma a parte questi luoghi comuni, il disco è davvero consigliato ad un pubblico vasto, che varia dal Metal all’Hard & Blues. Non titubate avanti a “From Hell To Texas”, lasciatevi trascinare e sporcare anche voi dal vento e dalla polvere del vecchio West. Quaranta minuti di svago assicurati. Rock On! MS
lunedì 16 dicembre 2013
Fabriano pro Musica e il "Compleanno Di Peppe"
e da Gabriele Chiappa, sul palco si sono esibite le realtà musicali: CONCORDIA, DETERIORS, QUINTETTO PETROV, CONFUSIONI INTENSE, LORENZO MEGNI E BIAGIO FERRERI, EXHUMIND, DIEGO TRIVELLINI, LAMBERTO DI PIERO INTERPLAY JAZZ GROUP, WORD FUNK, NYA, MOTOZAPPA, LEVANA, LAIKA SENZA RITORNO, SOUNDSICK, MARIA GRAZIA TODI, SUPERPUSHER, JUICE BLUES, FRANCESCO ASCANI AAAC GROUP, RENATO GASPARINI (AGORA'), MOTHERSIDE, JAIL UNDERDOG, HARD FOR WIND, SIMONE FRANCHINI, SPARE PARTS, HERESY OF THE DEADGOD, BLACK MIRRORS, BEATOMATO e GABRIELE BRENCIO . In conclusione sul palco una jam finale con gli artisti.
Grande partecipazione del pubblico che ha saputo
ascoltare ed apprezzare le nostre realtà, venendo così anche a conoscenza di
nuovi gruppi. Fra gag amichevoli ed aneddoti di volta in volta raccontati sul
palco dagli artisti stessi in ricordo di Peppe, la serata è scorsa con grande
partecipazione, sentimento e rispetto. Da sottolineare la maturità di tutti i
partecipanti che si sono esibiti in un unico abbraccio, come fossero una realtà
unica, pur non essendo mai convissuti assieme. Toccante l’esibizione di Maria
Grazia Todi.
L’evento ha fatto anche nascere una nuova
associazione dal nome FABRIANO PRO MUSICA, fondata da MARCO AGOSTINELLI
(presidente), FRANCESCO BELLOCCHI (vice presidente), FABIO BIANCHI (segretario)
LAMBERTO DI PIERO (tesoriere), RENATO GASPARINI (socio fondatore), SALARI
MASSIMO (socio fondatore) e SARA PALPACELLI (socia fondatrice). L'Associazione vuole diffondere la cultura
musicale nel mondo giovanile e non ed ampliare la conoscenza della cultura
musicale. Chi volesse aderire alla neonata associazione, tutti i dettagli ed il
modulo in PDF lo potete trovare alla pagina https://www.facebook.com/fabrianopromusica
. Durante lo spettacolo si sono raccolte offerte a donazione libera in
beneficenza all’Istituto MAGNIFICAT DI GERUSALEMME, scuola dove bambini ebrei e
palestinesi studiano musica insieme.
L’associazione Fabriano Pro Musica intende
ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’evento, con la promessa di
tornare l’anno prossimo con altrettanto entusiasmo e voglia di stare con Peppe.
Nell'attesa l'Associazione FPM farà sentire la sua voce con la promozione di
altri eventi.
sabato 14 dicembre 2013
Toxic Smile
TOXIC
SMILE – 7
Progressive
Promotion Records
Genere:
Metal Prog
Supporto:
cd – 2013
Quando nel Metal Prog la tecnica non soffoca la
melodia, nascono proposte davvero affascinanti e gradevoli. Equilibri di suoni
fra controtempi e fughe strumentali ma soprattutto buoni ritornelli, sono gli
ingredienti che adoperano i tedeschi Toxic Smile.
Nella band milita una vecchia conoscenza del
circuito, Marek Arnold, sassofonista anche con Cyril, Seven Step To The Green
Door e Flaming Row. Assieme al batterista Daniel Zehe nel 1996 forma la band
Toxic Smile, con loro si uniscono Uwe Reinholz alla chitarra, Robert Brenner al
basso e Larry B. alla voce. Oggi alla batteria troviamo Robert Eisfeldt.
Come lascia presagire il titolo dell’album, questo è
il settimo sigillo da studio. Qui ci sono ingredienti che fanno del Metal e del
Prog la punta di diamante della ricerca nel Rock. Dove c’è “evoluzione”
esistono questi album che possono anche non essere considerati dei capolavori,
perché per esserlo devono avere forte personalità, ma dentro le composizioni
hanno comunque un puzzle formato da differenti ed interessanti soluzioni. Come
ci raccontano i ritornelli di “From Inside Out” e “Barefooted Man”, la melodia
è un punto imprescindibile ed inamovibile. Paragonate questi due brani con il
successivo “Needless” e capirete la differenza fra essere Metal Prog e sperimentalmente
Metal Prog. Quest’ultimo sembra uscire da “Rage For Order” dei Queensryche.
Il sax ci accoglie
in “Love Without Creation”, composizione più abbordabile, quasi in stile
Toto. Ebbene il fascino e la classe dei Toxic Smile qui fuoriescono in tutto il
loro splendore. Riff taglienti in modalità “on” nella successiva “Rayless Sun”,
una mini suite di otto minuti che lascia campo anche ad ampie schiarite sonore.
“King Of Nowhere” è una sorta di mix fra New Prog e
Metal, un tentativo alquanto bizzarro ma non sgradevole, specie nella fase
ritmica, sicuramente messa a dura prova. L’album si chiude con “Afterglow” (no,
non è “Wind And Wuthering” dei Genesis), altra palestra per la sezione ritmica
con tappeti di tastiere e molto dei Dream Theater.
“7” è un album schietto, ma indeciso fra “schiaffo o
bacio”, avesse avuto un poco più di coraggio, o dal lato Metal, o dal lato
Prog, forse avrebbe convinto di più. Così si rischia una via di mezzo nella
terra di nessuno. Ma è davvero ben fatto, ben registrato e con ottimi momenti
musicali. Sicuramente nel complesso un disco sufficiente e da ascoltare. (MS)
martedì 10 dicembre 2013
The Black Noodle Project
THE BLACK NOODLE
PROJECT – Ghosts & Memories
Progressive
Promotion Records
Genere:
Progressive Rock – Psichedelia
Supporto:
cd – 2013
Dopo quasi tre anni di attesa, ritornano i francesi
The Black Noodle Project per farci ascoltare il settimo lavoro da studio.
Questo periodo di assenza non è passato incolume, si è assistito alla defezione
del bassista Anthony Lètèvè e del tastierista Matthiew Jaubert e quindi come si
disse per i Genesis, sperando che sia di buon auspicio di vendite….e rimasero
in tre. La formazione è composta da Jeremie Grima (chitarra, basso, voce,
tastiere), Sebastian Bourdeix (chitarra) e Fabrice Berger (batteria).
“Ghosts & Memories” prosegue il percorso
intrapreso con il buon “Ready To Go” (2010), ma quello che risalta
principalmente all’ascolto è una maggiore cura per gli arrangiamenti. Le
atmosfere Dark presenti anche nei capolavori dei Pink Floyd come in “Whis You
Were Here” ed “Animal” sono ancora una volta presenti, così lo stile musicale
somiglia nuovamente a quello della band di Gilmour e Waters. Gli interventi
sonori indirizzati verso il Metal fanno di tanto in tanto capolino, rendendo
ancora più grevi le atmosfere.
L’album si apre con “The Wanderer Of Lost Moments”,
canzone che potrebbe benissimo trovare spazio nella discografia degli Anathema,
periodo centrale della loro carriera. Ascoltando questo modo di comporre, viene
naturale anche un paragone con la band Porcupine Tree di Steven Wilson, oramai
vero e proprio faro illuminante per molte delle band odierne che intraprendono
il percorso Progressive Psichedelico.
“They Live, We Sleep” è una bordata vera e propria
di suoni dedicati al Pink Floyd fans, brano strumentale che alterna acustica
con chitarre elettriche trascinate in stile Gilmour. Sembra di tornare negli
anni ’70 e nell’album “Obscured By Clouds” con la successiva “The Owis (Are Not
What Thy Seem)”, questa tuttavia resta la prerogativa di tutto l’album.
Musica da ascoltare con attenzione, che deve essere
affrontata con una preparazione psichica adeguata, per poter meglio affrontare
il viaggio proposto ed apprezzarne al meglio i passaggi. Fatelo con “Voices
From Yesterday” e ne trarrete vantaggio anche fisico oltre che mentale.
Profondità di carattere, la band nulla lascia al
caso, curando ogni aspetto delle composizioni, dagli effetti sonori alla
registrazione stessa, davvero ben effettuata. “Ghosts” è uno dei frangenti più
alti del disco che a questo punto chiamerei anche opera.
Si chiude con “A Purple Memory”, puro Porcupine Tree
style era “Up The Downstair”, nervoso e cadenzato, aperto ad ampie schiarite.
Un disco nella sua integrità oscuro, ma composto
d’aria, aperto, sottile e delicato e chi segue il genere in analisi sa bene
dove vado a parare, tutti gli altri non devono esimersi dall’affrontare questo
nuovo percorso sonoro, sicuramente alcuni di voi ne resteranno folgorati. La
Francia non è nuova a belle sorprese in ambito e faccio anche i complimenti ad
Oliver Wenzler, per aver assunto nella propria scuderia, la Progressive
Promotion Records, questa band che sicuramente negli anni farà parlare di se.
Noi italiani arriveremo a capirlo solo fra qualche anno, è inesorabile. (MS)
domenica 8 dicembre 2013
Sonata Islands
SONATA
ISLANDS – Meets Mahler
Zone
Di Musica
Genere:
Avant-Jazz
Supporto:
cd – 2013
Esistono progetti per chi vuole ascoltare qualcosa
di più che semplice musica. Esistono progetti dove l’arte e la cultura si
uniscono per una ricerca armonica e strutturale di nuova sostanza, in cui si
può restare sorpresi da un risultato d’impatto sicuramente non convenzionale.
Esistono progetti dunque per intenditori e per coloro che ancora oggi hanno
voglia di stupirsi. I Sonata Islands sono un progetto cameristico nel quale
sound si evince dell’Avant-Jazz e dell’Avant-Rock, quindi con un dna
strutturalmente complesso. Realizzano nella loro storia quattro cd e con “Meets
Mahler” raggiungono il quinto sigillo, mentre per conoscere la realizzazione di
altri numerosi progetti, teatrali e cinematografici per cortometraggi, vi
rimando al loro sito http://www.sonataislands.com/sonata_islands/index.html .
Mi sento di affermare che “Meets Mahler” è il loro
progetto più ambizioso, qui si va a riproporre una sinfonia per voce soliste ed
orchestra composta fra il 1908 ed il 1909 di un artista che è già nel suo campo
uno sperimentatore, il compositore e maestro d’orchestra austriaco Gustav
Mahler. L’opera sinfonica porta il titolo di “Das Lied Von Der Erde” (in
italiano “Il Canto della Terra”).
La composizione si suddivide in sei movimenti, qui
eseguiti da jazzisti del calibro di Giovanni Falzone (tromba), Emilio Galante
(flauto), Achille Succi (Clarinetto e sax alto), Simone Zanchini (fisarmonica),
Stefano Senni (contrabbasso) e Tommaso Lonardi (voce).
L’operato di Mahler si nutre di musica popolare e
quindi si avvicina ad un approccio significativamente differente da quello
adottato per la sinfonica sino al 1900, non a caso questa attitudine è anche
musa per altri musicisti importanti, come ad esempio per il pianista jazz e
compositore di New York, Uri Caine. Possiamo dire che l’artista gioca “sporco”,
alterando certe convenzioni notoriamente irremovibili della struttura musicale
sinfonica. Ed i Sonata Island si gettano in questo percorso alterato e
sconnesso, mettendo del proprio, giocando con l’Avant-Jazz e l’Avant-Rock.
Vengono alla mente immagini all’ascolto di molti
passaggi, come nel secondo movimento “Kind Of Earth”, dovuto anche alla
vicinanza di soluzioni adottate anche dal maestro Ennio Morricone. Sarà per
l’uso della tromba, della fisarmonica, resta il fatto che fra cambi di tempo ed
umorali si viaggia nel Jazz, ma anche in una improvvisazione a tratti
minimalista. Un film di Fellini? Un puzzle assolutamente difficile da
ricomporre. ”Non Mahler” è nervosamente Crimsoniano, salvo poi aprirsi a del
jazz solare, saltando nel pentagramma fra fughe e rallentamenti. Nuovamente si
fa luce l’improvvisazione, un colloquio fra strumenti che danno l’impressione
di non comprendersi, ma che comunque si cercano freneticamente, come in una
sorta di “Acchiapparella” (gioco infantile popolare).
Più affidata ai fiati “Von Der Schonheit”, anche lei
senza una struttura madre apparente, a tratti basata su una ritmica Jazz
marcata, ma è un alternarsi emotivo anche in questo caso.
Tuttavia il lavoro necessita sino al termine di una
attenzione particolare, un ascolto certamente mirato e non approssimativo per
far si di poterlo comprendere al meglio. Il progetto risulta fresco ma allo
stesso tempo monolitico, tanti piccoli componenti che compongono un gigante. Mi
sento di proporre questo album a chi di jazz sperimentale è già avvezzo, perché
prima di addentrarsi dentro questi labirinti sonori serve sicuramente una
preparazione mentale e culturale apposita. A me l’ascolto ha fatto venire in
mente un simpatico quesito: E se gli Area avessero composto nel 1900?
(MS)
mercoledì 4 dicembre 2013
Luca Poletti Trio
LUCA
POLETTI TRIO – Colors
Autoproduzione
Genere:
Jazz
Supporto:
cd – 2013
Luca Poletti è un giovane pianista di Belluno, laureato
allo strumento nel 2009 e nel 2010 diplomato in composizione e strumentazione
per bande. Nel 2012 si laurea con 110 e lode e menzione d’onore in musica Jazz
sotto la guida di Roberto Cipelli e Bob Bonisolo. Detto questo non resta che
attendersi dal musicista un buon esordio, perlomeno con idee interessanti. Ed
ecco “Colors”, una dimostrazione di sicurezza nei propri mezzi per un concept
alquanto intrigante.
La storia
parla di un pianista che in cerca di ispirazione, gira frequenze sulla radio
alla ricerca di spunti musicali. Nello zapping incrocia Monteverdi, Chopin, Petruciani e Leonard Bernstein, fino a raggiungere una composizione che lo
colpisce. Ma ironia della sorte, la frequenza lo abbandona, lasciando in lui
solo dei ricordi alquanto scollati di melodie. Il pianista si mette giù
d’impegno per eseguire almeno quelle che si ricorda. In questo viaggio sonoro
c’è un ospite d’eccezione alla tromba, Paolo Fresu, mentre il trio viene
completato da Stefano Senni al basso e Matteo Giordani alla batteria. Altri
ospiti sono Matteo Cuzzolin (sax tenore), Christian Stanchina (tromba), Annika
Borsetto (voce) e Michele Bazzanella (basso).
Il prodotto si presenta molto curato e
particolareggiato. In custodia cartonata e plastificata, contiene anche un
grazioso libretto di accompagnamento con foto, descrizioni e colori. Questo è
ad opera di DC Grafics – Diego Cossalter. Ottima anche l’incisione sonora
seguita da Stefano Amerio negli Artesuono Recording Studios, sicuramente una
esaltazione in più all’intero concept. Ed i colori stanno anche ad indicare i
differenti stili musicali e gli stati d’animo che essi rappresentano, almeno
personalmente preferisco credere che sia così.
Il disco si apre con il citato zapping, nel quale si
può scorgere anche una scheggia di Pink Floyd e poi via verso un Jazz elegante,
se vogliamo in vecchio stile, come sapeva ben fare il buon Sante Palumbo. Ed il
colore di questo “Strollin’ Around” è il giallo. I brani sono collegati da
brevi “preludi” sonori. La tromba di Fresu ci accoglie nella dolcissima
“Raining Grey”, caratterizzata da un cambiamento vigoroso a metà del percorso,
quando Poletti sale magistralmente in cattedra. Il suono caldo ed avvolgente
della tromba è un qualcosa che non si può descrivere con le parole.
Il “Preludio#2” ci accompagna a “Sirene”, verso una
melodia tranquillizzante, immersa nei suoni del contrabbasso di Stefano Senni.
Una musica di classe, non invasiva, da ascoltare a luce soffusa in assoluto
silenzio.
“Colors” è un disco che ha un pregio, la semplicità
con cui fa sembrare un movimento complesso a qualcosa di facilmente fruibile e
memorizzabile. Bello anche il momento di sax in “Bastian Oirartnoc”
(giustamente “contrario” al contrario). Ammaliante la voce di Annika in “This
Is For You”, unico brano cantato del disco, movimento piano e voce. Il resto…
sta a voi scoprirlo perché le sorprese non finiscono qui e quindi vanno
scartate come un regalo.
Un album che consiglio vivamente a coloro che
vogliono incominciare ad avvicinarsi al Jazz, ricco di buone melodie e passaggi
differenti, proprio come i colori della copertina. Debutto superbo! (MS)
lunedì 2 dicembre 2013
R-Evolution Band
R-EVOLUTION BAND– The Dark Side Of The Wall
Wide Production
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd – 2013
Dietro al nome R-Evolution Band c’è Vittorio
Sabelli, fiatista ed arrangiatore e con lui Marcello Malatesta (tastiere),
Gabriele Tardiolo “Svedonio” (chitarra, Bouzuki), Graziano Brufani (basso e
contrabbasso) ed Oreste Sbarra (batteria). Dopo due album Jazz, la R-Evolution
Band opta per un idea quantomeno bizzarra, la rivisitazione del capolavoro “The
Wall” dei Pink Floyd. Coraggiosi o scellerati? A chi viene in mente di andare a
confrontarsi con tale capolavoro? Sappiamo bene che i Pink Floyd sono una band
di culto e come tale ha molti fans che l’adora e la protegge da eventuali
attacchi esterni, siano loro di critica che di plagio. “The Dark Side Of The
Wall” per molti di loro andrebbe criticato in maniera negativa, magari
scambiandolo anche per una manovra prettamente commerciale……sbagliato, perché
il contesto non è proprio questo.
E’ come guardare un nuovo film, nuovi suoni che si
riallacciano ai temi classici del disco, un vetro rotto del quale i pezzi si
vanno a confondere con quelli di altri vetri rotti. Nel risultato finale ci
sono coraggiosi passaggi ed interessanti interventi bizzarri, come nella scelta
di unire il sax con il cantato in growling. Ma la cosa più strana è che più il
disco va avanti e più ci si concentra sull’ascolto, sintomo che il progetto è
quantomeno interessante. Si ha la voglia di sentirsi stupiti, ma con la
tranquillizzazione di melodie note e care, un approccio questo che potrebbe
interessare a chi si vuole avvicinare al Prog senza il timore di ascoltare
astruse ed incomprensibili cavalcate sonore.
Il termine “scorrevole” è limitato, il disco vola
via fra Psichedelia, Rock, Jazz, Fusion, Prog, Avant Jazz….davvero un lampo, a
testimonianza di un arrangiamento valido e spettacolare. Viene spesso da
chiedersi, “ma è The Wall?”, perché ci si dimentica di lui.
“The Wall” è la realtà, “The Dark Side Of The Wall”
è la cronaca del sogno di “The Wall”, fra sensazioni, voli a bassa quota ed
immersioni in posti apparentemente incongruenti. Non esistono altri termini per
questa sorta di genialata che spero non venga a mancare nella vostra discografia,
magari proprio nello scaffale dei Pink Floyd, fra mattoni, vacche, prismi ed
orecchi immersi.
Statene certi che non sfigura. (MS)
sabato 30 novembre 2013
Il Fauno Di Marmo
IL
FAUNO DI MARMO - Canti, Racconti E Battaglie
Andromeda
Relix/GT Music Distribution
Genere:
Progressive Rock
Supporto:
cd – 2013
Basta un semplice nome suggestivo per far sobbalzare
il fans del Progressive Rock, anche senza ascoltare la musica. Basta
leggere il nome e guardare la copertina
di questo cd per capire che qui c’è molta carne al fuoco per le sue orecchie.
Se poi a tutto questo andiamo a nominare l’attenta Andromeda Relix, il cerchio
si chiude.
Il Fauno Di Marmo è formato da musicisti del Friuli
Venezia Giulia, con esperienza alle spalle e si compone nel 2001 a nome The
Rebus. Realizzano due dischi in studio ed uno live, “Il Fauno Di Marmo” (2002 –
Autoproduzione) e “Acroterius” (2005 – Autoproduzione), mentre il live è del
2009. Il gruppo formato da Luca Sterle (voce, flauto, sax), Valerio Colella
(chitarra), Francesco Bonavita (tastiere), Alberto Ballarè (basso) e Luca Carboni
(batteria), non può che proporre un Progressive Rock legato ai nostrani anni
’70 con interventi Jazz, atmosfere dark e vista la presenza del flauto,
l’immancabile paragone con i Jethro Tull.
Il prodotto si presenta elegantemente, in cartonato
plastificato con all’interno il libretto con foto e testi. L’Artwok grafico è a
cura del chitarrista Valerio Colella, mentre i disegni colorati che
infarciscono il tutto sono di Francesca Capone, con la collaborazione di Antonio Zuberti.
Le nove tracce che si possono ascoltare in “Canti,
Racconti E Battaglie” presentano una maturazione artistica ed una
consapevolezza dei propri mezzi invidiabile. “Benvenuti Al Circo” gronda anni
’70 da ogni nota. Nel brano ci sono special guest come Simone D’Eusanio al
violino e Federica Sterle come seconda voce ad impreziosire il tutto.
Successivamente incontreremo anche Andrea Tomasin alle percussioni ed
Alessandro Serravalle (leader dei Garden Wall) alla chitarra.
“Madre Natura” è un Rock’n Blues datato in stile
Jethro Tull periodo “Benefit”, sia per l’approccio del flauto che come articolazione
di composizione. Allegro e giocoso,
colorato proprio come la copertina dell’album, dal patos incontenibile.
Con “Hop Frog”, la vendetta del buffone ranocchio si
realizza nei confronti del vil sovrano. Qui si va incontro ad una mini suite di
undici minuti che ha tutti gli ingredienti al posto giusto per essere un
classico del genere. Tastiere presenti
sia come tappeto che come effetti, chitarre Hard, flauto aggressivo, cariche
sonore in stile Trip o primi Osanna, quelli di “Uomo”, fanno del pezzo uno dei
frangenti più alti di tutto il disco. Non mancano richiami ai Gentle Giant.
“Magic Kazoo” gode di un bel assolo di chitarra centrale, così di tastiera.
“Nova Res” è un gradevolissimo brano strumentale (l’unico dell’album)
spudoratamente anni ’70. Qui c’è tutto quello che abbiamo ascoltato in un
intero decennio, a dimostrazione di una cultura degli elementi alquanto
preparata.
Hard Prog in “Non Mollare Mai”, Biglietto Per L’Inferno?
Trip? Jumbo? Questo è il sunto.
Ma ci imbattiamo in una cover davvero bella, quella
di “Un Villaggio, Un Illusione” di Quella Vecchia Locanda tratto dall’album
omonimo del 1972. Chiude “Dorian Gray” senza togliere o mettere nulla di nuovo
a quanto detto.
“Canti, Racconti E Battaglie” è un disco che piacerà
sicuramente ai vecchi nostalgici del genere in analisi e a me piace chiudere
questa recensione con le loro parole tratte dal cd: “E’ il prodotto di una
inestinguibile passione e dedizione alla musica che inizia da bambini, prosegue
da ragazzi e continua da adulti, evolvendo e facendo da colonna sonora alle
mille difficoltà dell’esistenza terrena”. A chi lo dite…mai ho letto in un cd
parole più vere! (MS)
giovedì 28 novembre 2013
Gianni Pieri E Mauro Di Rienzo
GIANNI
PIERI E MAURO DI RIENZO – Drum’ n Cello
Autoproduzione
Genere:
Minimalismo - Etno-Jazz
Supporto:
cd – 2011
Nella musica c’è da fare un distinguo, perché c’è
chi la fa e chi la vive. Quest’ultima categoria è la più rara, in genere è
quella che affonda le radici nel passato, soprattutto nel periodo anni ’70.
Incuranti delle mode, delle tendenze, degli atteggiamenti da palco, di tutto
quello che fa parte del carrozzone music industry, gli artisti “veri”, o se
vogliamo “ruspanti”, sembrano inattaccabili ed immortali. Ma attenzione, con
questo non che la categoria sia indifferente a ciò che la circonda, questi sono
anche presi nel sociale e sempre attenti a quello che accade attorno a loro
nella quotidianità. Questo preambolo semplicemente per esternare che la musica è
fonte di vita, intesa come sensazioni, esperienze, idee e personalità messe in
note, quindi non solo canzoncine o motivo assoluto di vendita (per carità,
rispettabili anche queste, altrimenti la musica non sarebbe anche un lavoro).
La propria terra ricopre un altro ruolo importante
di questa tendenza, il Folk si può innestare nel Jazz, nel Rock ed in qualsiasi
altro genere ed espressione musicale, impreziosendone l’ascolto.
Nel mio girovagare indipendente e “progressivo”,
alla ricerca sempre di nuove sensazioni, mi imbatto in questo progetto proposto
da Gianni Pieri (violoncello, Basscello e Loop Station) e Mauro Di Rienzo
(batteria). I due artisti si conoscono e collaborano assieme da oltre venti
anni ed hanno militato nella formazione romana di Etno Folk, A Sud Di Nogales
sin dai primi anni ’90.
Suoni minimali si mettono a disposizione della
musica ed anche alla formula canzone, a testimonianza di un vagare strutturale
e sonoro di certo non scontato. Con un violoncello ed una batteria si possono
fare molte cose, non sembra ma questo lo si evince già dall’iniziale “Fermate
Gli Orologi” e si denota uno spiccato senso per l’armonia. “Vento Caldo E
Pioggia A Busso” rappresenta il lato più mediterraneo del disco, mentre “Tacchi
A Spillo E Sberleffi”, da come preannuncia il titolo, è giocosa, spensierata e
goliardica. “Sulle Ali Di Un Sogno” presenta un violoncello che si sostituisce
propriamente ad una teorica voce, canzone molto bella sulla quale si potrebbero
benissimo adattare immagini o danze. Si evincono giri che militano nel classicismo
in una sorta di Rondò Veneziano e ben si accostano alla formula canzone.
L’intesa fra i due è pressoché perfetta, i dettagli e le virgole che Di Rienzo
disegna sotto al tappeto di corde è importante e ricolmo di sensibilità,
ascoltate “Melodica” e cosa racconta sotto al basscello di Pieri. “La Canzone
Sociale” è uno stato d’animo sentito e profondo, mentre il lato più ricercato e
sperimentale del duo fuoriesce nel brano “Passeggiando Controcorrente”, grazie
anche ai loop percussionistici.
Non esula la musica popolare che di quanto in quanto
fa capolino fra le composizioni variegate, come in “Tarancellopoli Bis”. Ariosa
e solare “Volteggiando Nell’Aria”, titolo più appropriato non può avere. Sale
il ritmo nella “Tribal Song”, così la voglia di ricercare sonorità e nuove
strutture musicali. Come nella poesia ermetica di Ungaretti , in “Sulle Corde
Del Vento” si riesce a rappresentare il concetto con poche note e si ha proprio
la sensazione di essere liberi e trasportati dal vento. Torna la formula canzone
ne “Il Serpente Che Ride”, questa potrebbe benissimo risiedere nella colonna
sonora del telefilm “Pinocchio” di Luigi Comencini, tanto per rendere l’idea
del contesto sonoro. Libera metrica ancora una volta per “ABC – Prima O Poi”,
sfogo umorale e stilistico di Pieri che accompagna alla conclusiva “Potere Fare
Tutto”, orecchiabile e degna di sottolineatura.
“Drum ‘n Cello” è un disco che ci mette in pace con
il mondo e con noi stessi, il vibrato dei suoni caldi è un lasciarsi coccolare
che non sempre accade oggi, in questo mondo sonoro fatto di nervi e di
elettricità. Se volete ascoltare buona musica vi consiglio di contattare questi
artisti, come ho fatto io all’indirizzo giannipieri@alice.it
perché a volte nella vita, non volendo, ci si imbatte in piacevoli sorprese.
Godibile. (MS)
martedì 26 novembre 2013
Black Mirrors
BLACK MIRRORS – La Vita Sul Serio
Autoproduzione/Fabio
“Dandy Bestia” Testoni
Genere:
Punk/Rock
Supporto:
cd – 2013
C’è differenza fra un pollo d’allevamento ed uno
ruspante? C’è differenza fra il vino industriale ed il casareccio? Se avete
dubbi in riguardo, oppure preferite i primi, per voi la recensione può
terminare anche qui perché neppure i Black Mirrors fanno per voi.
Vi starete chiedendo se questa è una recensione
musicale o culinaria, vi rispondo musicale, anche se non crediate che ci sia
molta differenza. La musica in effetti ha un gusto, qualunque il genere sia, ha
anche un modo di essere…ha una storia, quella preconfezionata invece non ce
l’ha. E se faccio il nome di Fabio “Dandy Bestia” Testoni? Ecco che a molti di
voi torna in mente il gruppo demenziale Punk, Rock e molto altro ancora, degli
Skiantos e non solo (Dalla, Berti, Stadio). Negli anni ‘70/80 gli Skiantos
hanno raccontato tante storie divertenti e di anticonformismo di rottura
sociale tutte vere, cioè spinte dalla voglia di essere e di fare musica per il
corpo. Testoni è il chitarrista co-fondatore con Freak Antoni degli Skiantos e
viene a conoscenza di questo gruppo prettamente marchigiano, soprattutto della
zona Fabrianese, cogliendo in loro l’essere ruspanti e li produce!
La storia che i Black Mirrors hanno alle spalle è
annosa, si va a pescare alla fine degli anni ’70 fra amici e cantine, solo
voglia di strimpellare e di stare assieme con l’amore per una band che da
questi solchi esce sbrodolante in ogni dove, i mitici Clash. Oggi alla
reunion i Black Mirrors si ritrovano con
Andrea Morbi alla batteria, Francois Belocq al basso, Gabriele “Cats” Gatti
alla chitarra e cori e Giorgio “Camel” Tinelli alla voce per lasciare un segno,
un ricordo, una sorta di riassunto delle puntate precedenti. In “La Vita Sul
Serio” esiste la loro storia, l’ironia e la sagacia che li rende liberi e solari.
Ed è proprio il brano “La Vita Sul Serio” ad aprire
il disco, la storia di Leonel Rugama, da venditore di tortillas a Sandinista.
Non arrendersi al nemico dittatore Somoza, ma fronteggiarlo spavaldamente al
grido “Che si arrenda tua madre”. Argomento Sandinista caro appunto ai già
citati Clash, anche se le sonorità qui sono più riconducibili ad altri maestri
di questo genere, i Ramones. Invece richiamando un inno del Punk “Anarchy In
The UK”, i Black Mirrors si adattano nei testi al Vaticano con “Anarchy In VK”.
Di questo brano, possiamo godere anche della versione in DUB, nella traccia
conclusiva come bonus track, davvero una hit!
L’arma vincente di questo sound è l’immediatezza e
la semplicità in cui tutto si svolge. Non esistono particolari tecnicismi, ma
tanta compattezza e quei brevi solo strumentali di chitarra spezzano l’ascolto.
Venendo all’attualità, ci facciamo due risate con la bella scappata dell’ex
ministro Elsa Fornero nel brano “Choosy”, qui analizzata a dovere. Ritornello
indovinato e facile da memorizzare sin dal primo ascolto. Polvere, bombe e
sangue su “Gaza”, terra rubata, canzone più Rock che Punk rispetto quanto
ascoltato sino ad ora.
In “Stalingrado” nel solo di chitarra c’è come
ospite Dandy Bestia, canzone rivisitata del gruppo Stormy Six datato 1975, mentre
“Il Treno”…corre, con una ottima interpretazione da parte di Tinelli.
Ascoltiamo anche cantata in lingua argentina “Jodanse”, perché la nazione qui
viene trattata parlando della crisi economica del 2001 e della sua restrizione.
La musica ancora una volta è vicina allo stile Ramones. Venendo alle bonus
track, ascoltiamo brani scritti nei primi anni ’80 dalla band, quando nella
formazione risiede anche Paolo “Rox” Rossi, si può dire che la breve ”Keep On
To The Left” ha un groove che trascina. “God Save Rock And Roll” vede
nuovamente Dandy Bestia come ospite alla chitarra, mentre il pezzo potrebbe
benissimo uscire dalla discografia dei Rolling Stones. Una citazione anche per
il buon artwork a cura di Orazio Metello Orsini ed una chicca, la stella che
risiede nel logo della band è stata disegnata a Bologna nel 1999 da Joe
Strummer (Clash)!
In definitiva questo album è frutto di voglia di
divertimento, sincerità e di pensiero. Richiedetelo anche su https://www.facebook.com/BlackMirrors
e vedrete che passerete una buona mezz’ora in allegria con della simpatica
musica. (MS)
domenica 17 novembre 2013
Alla memoria di PEPPE COSTARELLI
PEPPE COSTARELLI, UNA VITA PER LA MUSICA
Chi vive nell'entroterra marchigiano e che almeno per una volta nella vita ha avuto a che fare con la musica, non può che aver conosciuto Peppe...si, Peppe, così veniva chiamato a Fabriano (AN) e famoso il suo caotico negozio di strumenti. Esso mostra in ogni angolo sommerso di materiale la sua passione e bontà. Presente per tutti, disponibile, vero... Non ci sono parole per ricordarlo, per questo si è pensato di organizzare un MEGACONCERTO TRIBUTO proprio a Fabriano, dove non arrivano le parole , arrivano i SUOI strumenti. Da un idea di MARCO AGOSTINELLI (strumentista fabrianese) supportato dal duo ROCK & WORDS (Fabio Bianchi e Max Salari), da FRANCESCO BELLOCCHI e da una moltitudine di musicisti e tecnici volontari, si sta organizzando per il 7 Dicembre (il 5 è il giorno del suo compleanno) un concerto gratuito aperto a tutte le band locali e dei dintorni delle Marche. Chi avesse piacere di ricordarlo con noi e volesse suonare per lui, in questo Blog troverete tutti i chiarimenti :
COMPLEANNO DI PEPPE
http://agomusic.jimdo.com/5-6-7-dicembre/
COMPLEANNO DI PEPPE
http://agomusic.jimdo.com/5-6-7-dicembre/
GRAZIE A TUTTI I PARTECIPANTI E CIAO PEPPE!
Roccaforte
ROCCAFORTE
– Sintesi
Keep
Hold
Genere:
Pop/ New prog
Supporto:
cd – 2013
Ricordo negli anni ’80 ad Alessandria, la band
Arcansiel che ai “smarriti” fruitori del Prog italico, regalavano nuove boccate
di ossigeno per le orecchie. Era il periodo del New Prog, sulla scia delle band
inglesi come Marillion, IQ, Pendragon e Pallas, il risorgere di un genere che
in teoria è stato dato per morto alla fine degli anni ’70. Questa è una vecchia
storia, una come poche altre, si perché grazie a band come Arcansiel che in
Italia sotto la cenere la brace è restata calda.
Sempre ad Alessandria dunque sorgono altre realtà, a
testimonianza che agli inizi degli anni ’90 la materia è ancora trattata. Si
formano i Roccaforte, certamente non derivativi degli Arcansiel, intendiamoci,
ma che comunque nutre la passione in comune per il New Prog. Il gruppo composto
da Daniele Malfatto (tastiere), Bruno Borello (basso), William Lucino (voce),
Roberto Raselli (batteria) e Fabio Serra (chitarra), dimostra una predilezione
per la formula canzone e Pop, piuttosto che avventurarsi in astrusi movimenti
articolati o logorroici che siano.
Dopo la pubblicazione di tre ep come “Origine”
(2012), “Metamorfosi” (2012) e del recente “Evoluzione”, tornano all’attenzione
del pubblico con un disco che rivisita molto del materiale edito in passato,
salvo ascoltare l’inedito “Avatar” proprio in apertura del cd. Quindi, i
Roccaforte partono dal Pop per poi addentrarsi in questo nuovo percorso sonoro
relegato a schegge di New Prog, in uno stile personale forgiato da numerose
esibizioni live catturate negli anni.
Ebbene questa “Avatar” ci mostra una band fresca,
rodata, con buone idee in fatto melodico e con adeguati arrangiamenti. Resta
facilmente in memoria la canzone, come se fosse sempre stata nel nostro
background mentale (Renga docet). Ma siamo ancora lontani dal New Prog, esso
arriva con “20mq di libertà” grazie al giro di tastiere alla Marillion, pur
restando sempre con i piedi nel Pop. I testi cercano di raccontare storie
personali e situazioni psichiche, il tutto senza turbare troppo l’ascoltatore.
Scorrevoli e gradevoli, così come la bella voce di William. “Vetrina” potrebbe nuovamente
piacere ad un fans di Francesco Renga. Ottima “Vai” , grazie si alla ritmica
perfetta e vigorosa, ma soprattutto per i solo centrali di tastiere e chitarra,
oltre che ad un ritornello a dir poco ruffiano. “L’Aquilone” si apre narrato, per
poi volare nella melodia che potrebbe essere stata composta anche da Lucio
Dalla, uno dei momenti più importanti di “Sintesi”.
La forza dei Roccaforte risiede nel gusto arioso dei
ritornelli, ma anche negli arrangiamenti, come ho detto in precedenza ed il
risultato potrebbe interessare anche agli amanti di band come Negramaro.
Per potere ascoltare i Roccaforte più vigorosi, bisogna giungere a “Giubbotto
In Pelle Nera”. Altro brano degno di nota è il conclusivo strumentale
“Metamorfosi”, sulle ali della chitarra elettrica di Serra, qui la band mostra
il lato più Progressivo di se.
In conclusione “Sintesi” è la muta della pelle dei
Roccaforte, un cambiamento che non stravolge troppo il loro modo di essere, ma
che lo migliora, lo presenta più professionale ed adeguato ai tempi. Un disco
consigliato a tutti coloro che amano sonorità di artisti qui citati e che
comunque si lasciano coccolare da brani tranquillizzanti, a volte nel Rock c’è
bisogno anche di questo. (MS)
Death Riders
DEATH RIDERS – New Captivity
Autoproduzione
Genere: Metal Prog / Power Thrash
Supporto: mp3 – 2013
Ritornano dopo
due anni dal buon debutto “Through Centuries Of Dust” i fabrianesi Death
Raiders con “New Captivity”. Intanto quello che salta all’occhio
è il passaggio di testimone al basso da parte di Cristiano Coppa a favore di
Federico Mori, per il resto formazione invariata con Marco Monacelli alla
chitarra, Valerio Gaoni alla voce, Francesco Pellegrini alla chitarra ed
Alessio Monacelli alla batteria.
Il Metal Prog proposto risulta più fresco rispetto
il buon esordio del 2011, sempre epico e ben curato, soprattutto nei suoni.
L’acustica intro, “Lacerated Skies” presagisce quello che potrebbe accadere,
ossia un massiccio attacco sonoro supportato da una ritmica chirurgica e secca.
L’epicità in stile Blind Guardian è sempre presente nel sound dei Death Riders,
ma questa volta il lato melodico è più marcato, aiutato da coralità importanti.
Infatti la prerogativa di “New Captivity” è proprio questa, l’attenzione per le
giuste melodie.
La prova di Gaoni al microfono è buona e di
personalità, mentre le chitarre si ritrovano alla perfezione, sincronizzate da anni
di convivenza. Un altro lato che tengo a sottolineare è quello della presenza
di buoni assolo di chitarra, seppur di breve durata. E’ sempre difficile
trovare nuove idee in un genere epico come questo, ecco dunque l’importanza
delle giuste melodie che si intersecano con le sciabolate elettriche delle
chitarre, in un connubio dolce-salato che in qualsiasi maniera accalappia
l’attenzione di chi ascolta. Fin troppo eloquente “Side Effect”, qui il
concetto espresso è ben capitalizzato ed eseguito.
Non esulano macigni sonori, pericolo caduta massi in
“Bleeding Formy Pain” ed avanti tutta con “Frail Cages”. “Introspection” morde
e sale di pathos, arioso nel ritornello, un vero inno.
I Death Riders amano le fughe, scorribande nelle
scale ed anche stop and go. In “New Captivity” non fanno sconti ad emozioni,
godendo di suoni fragorosi e appunto di epicità. Il gruppo cresce di
personalità ed ha trovato a mio avviso il proprio sound, quello che li
differenzia da altri gruppi del genere, ma sono serviti anni per giungere a
questo risultato. Un uso aggiuntivo di synth e quindi di effetti elettronici
(seppur rari), è a mio avviso indovinato in quanto impreziosisce l’insieme.
Se devo cercare un neo, posso lamentare la mancanza
di un brano davvero più lento (a parte il breve intro) che magari a metà
percorso avrebbe fatto rifiatare l’ascolto, tuttavia “New Captivity” scorre via
che è un piacere.
Amanti del Metal e degli inni, io non mi perderei
l’ascolto di questo secondo sigillo da studio dei marchigiani, questo è Metal
D.O.C.
Lo potete trovare su tutte le piattaforme come
ITunes, Soundcloud e ReverbNation. (MS)
martedì 12 novembre 2013
Psicosuono
PSICOSUONO
– Eta Carinae
Autoproduzione
Genere:
Rock Progressive
Supporto:
cd – 2013
Ho ascoltato nel 2008 con vero piacere (e non
nascondo che ancora lo faccio) l’album d’esordio dei Psicosuono “Aut Aut”, un
piccolo atollo nel mare della banalità Rock di oggi. Come dissi allora, non è
semplice fare giuste melodie senza cadere nella trappola delle banalità, questo
è un territorio che comunque può risultare minato, tuttavia non è questa la
sede per approfondire l’argomento. Lo è invece per andare a trattare il nuovo lavoro della band di Stefano De
Marchi (chitarra) ed Elisabetta Giglioli (voce), “Eta Carinae”. Nella
costellazione della Carena c’è una stella blu ipergigante, questa ha il nome di
Eta Carinae, tuttavia invisibile ad occhio nudo. Essa è uno spettacolo
dell’universo, l’infinito che ci circonda e che ci ispira sensazioni di immane
bellezza. Le stelle ispirano l’arte, spesso e volentieri, perché fanno parte
della nostra esistenza, siamo legati indissolubilmente a tutto questo
equilibrio, così la musica.
In otto canzoni, ecco come intendono oggi il Rock i
Psicosuono, un mutamento stilistico che porta non solo ad ascoltare, ma anche a
pensare. Infatti le buone melodie ancora si aggirano, ma accresce la ricerca
sonora, le influenze stilistiche si susseguono così come i cambi di tempo.
Subentrano soluzioni care al Prog, già dall’iniziale “Il Conte Orlok”, grazie
alle tastiere di Andrea Illuminati ed al sax di Betty Accorsi. I solo
strumentali sottolineano il concetto, buono specialmente quello di chitarra,
divertente quando duetta con le tastiere. Durante il percorso sonoro si
aggiunge l’ascolto della voce di Morena Cappai ai cori. Pulita e precisa la
sezione ritmica formata da Fabrizio Carriero alla batteria e da Luca Pissavini
al basso.
In direzione
canzone “ Uomo Di Latta”, con le coralità gentili e la farcitura di un sax
accattivante e caldo. Una valenza aggiuntiva è quella dei testi scritti da De
Marchi e Giglioli, mai scontati ed espressi in una metrica composta di
personalità, applicata al brano. “La Scena” è ariosa e decisa, trascinata da un
solo di tastiere finale esplosivo, qui si sprigiona nell’aria il profumo degli
anni ’70, così nella successiva “I Just Know That Wind Has Set” cantata da
Betty Accorsi. Una semi ballata che attinge nella cultura Folk per quello che
concerne le sonorità, tanto per riallacciarmi al discorso precedente
dell’evoluzione stilistica dei Psicosuono, del concetto di arricchimento
rispetto al precedente “Aut Aut”. Ritengo questa canzone uno dei momenti più
belli dell’intero lavoro, la band viaggia amalgamata a dovere, resta
impossibile tenere a bada il piede , deve battere il ritmo. Alessandro Mornati collabora
alla stesura dei brani e nelle liriche, come in “Perché Il Futuro”, semplice,
diretto curato negli arrangiamenti, così come lo è tutto l’album, perché gli
arrangiamenti risultano essere il vero punto di forza di “Eta Carinae”. Questo
accade anche con “L’Indiano” e nella conclusiva “Vedo”. Più Psichedelica ed
intimistica “Mare profondo”. L’album si chiude con un buon ensemble sonoro,
grintoso e di personalità, la band è matura.
Ora però vorrei che voi lettori ed usufruitori di
musica per una volta tanto non pensaste
che questa recensione riguardi una band italiana…fate finta che è straniera,
perché noi siamo fatti così, abbiamo in casa buoni artisti, ma non li
supportiamo a dovere, salvo poi dare soddisfazioni immeritate a prodotti
largamente ridicoli stranieri. Per questo i Psicosuono ci vengono incontro anche
con “Eta Carinae” in versione inglese, interamente cantato in inglese,
operazione commerciale? Certamente ed ascoltate come ne esce fuori….
Impossibile ignorarli. Potete anche reperire gli album su ITunes, Amazon,
Emusic, Goggle Play e Nokia Music per la versione in digitale. Ora però un
appello ai Psicosuono, ma che dobbiamo attendere altri cinque anni per avere un
vostro nuovo album? Egoisticamente parlando spero di no. Consigliato. (MS)