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lunedì 26 febbraio 2024

Mr Bison

MR BISON - Echoes From The Universe
Heavy Psych Sounds
Genere: Progressive Stoner
Supporto: cd 2024




La band toscana di Cecina Mr Bison ritorna all’attenzione del pubblico dopo quattro anni da “Seaward”, inanellando il quinto album da studio. La mutazione sonora cui si stanno prestando oggi è ancor più marcata rispetto il passato, lasciando maggiore spazio a interventi di stampo Progressivo pur rimanendo legati all’appendice Stoner Rock. I suoni sono quindi tendenzialmente robusti, ma le coralità e gli effetti sostenuti fanno di questo sound una caratteristica davvero personale nell’ambito.
Immaginate per alcuni momenti, con molta fantasia, di vedere impegnati gli Yes nel campo Stoner, non tanto per la tecnica strumentale che non richiede grandi elucubrazioni, tanto per le soluzioni vocali. Con “Echoes From The Universe” i punti sonori sono piuttosto prossimi a band come King Crimson, Pink Floyd, e Motorpsycho, mentre le tematiche si fondono in un concept riguardante la forte volontà dell’individuo nel voler andare incontro al proprio destino forzando gli eventi con il proprio libero arbitrio. La maturazione cui mi riferisco riguarda soprattutto la capacità odierna di fondere il passato con il presente, il tutto attraverso uno sguardo verso il futuro. Il quartetto è composto da Matteo Barsacchi (chitarra, basso, synth), Matteo Sciocchetto (chitarra, basso, voce), Lorenzo Salvadori (batteria), e Davide Salvadori (chitarra acustica, synth, Hammond, Mellotron, basso).
Sette i brani che formano il concept per un totale di quaranta minuti di musica.
I cinque minuti di “The Child Of The Night Sky” sono rappresentativi per la qualità sia sonora sia stilistica della band che sa manifestarsi coesa e perfettamente oliata in tutti i propri reparti, tramite cambi di tempo e numerosi effetti eco. La robustezza del suono è avvicendata da una scelta melodica della composizione efficace tanto da rimanere facilmente impressa nella memoria.
 “Collision” mostra a sorpresa un lato quasi Folk dell’andamento sonoro, un riff massiccio presta il fianco alle buone capacità vocali dei componenti, ma i giochi diventano seri nei sette minuti di “Dead In The Eye”, sorniona con un incedere Pinkfloydiano prossimo a “Obscured By Clouds” (Pink Floyd). Il crescendo sonoro funziona, facendo del pezzo un alto gradino della scala “Echoes From The Universe”.
L’inizio di “Fragments” sposa la causa King Crimson grazie ad un arpeggio ripetuto di chitarra elettrica, il pezzo è profondo, quello che posso definire strumentalmente più impegnato rispetto quanto ascoltato sino ad ora, qui il lato Prog è evidente. Suono di campana e sornioni movimenti introspettivi rende “The Promise” un altro bel mix fra passato e presente per poi lanciarsi in un pachidermico ritmo supportato da un muro sonoro elettrico che a metà del brano muta in un sostenuto incedere psichedelico. Facile restare irretiti da “The Veil”, ancora una volta la scelta dei motivi basilari orecchiabili porta a casa il successo dell’intento. Il disco si conclude con “Staring At The Sun” qui sono i Porcupine Tree a comparire durante l’inizio, ma l’andazzo muta sostanzialmente intrecciando ritmiche e riff in una sorta di finale pirotecnico, proprio come accade nei fuochi d’artificio.
“Echoes From The Universe” dei Mr Bison è un disco decisamente scorrevole, e nel suo campo oserei dire anche elegante, a testimonianza che anche noi in Italia possiamo dire onorevolmente la nostra su quest’argomento. Solo i miei complimenti. MS





Versione Inglese:


MR BISON - Echoes From The Universe
Heavy Psych Sounds
Genre: Progressive Stoner
Support: cd 2024


Cecina's Tuscan band Mr Bison returns to the public's attention after four years since "Seaward", ringing out their fifth studio album. The sonic mutation to which they are lending themselves today is even more pronounced than in the past, leaving more room for Progressive-sounding interventions while remaining tied to the Stoner Rock appendage. The sounds thus tend to be robust, but the chorality and sustained effects make this sound a truly personal feature in the field.
Imagine for a few moments, very imaginatively, seeing Yes engaged in the Stoner field, not so much for the instrumental technique, which does not require great lucubration, as for the vocal solutions. With "Echoes From The Universe", the sonic points are rather close to bands such as King Crimson, Pink Floyd, and Motorpsycho, while the themes coalesce into a concept concerning the strong will of the individual in wanting to go to his own destiny by forcing events with his own free will. The maturation I am referring to is mainly about today's ability to merge the past with the present, all through a look toward the future. The quartet consists of Matteo Barsacchi (guitar, bass, synth), Matteo Sciocchetto (guitar, bass, vocals), Lorenzo Salvadori (drums), and Davide Salvadori (acoustic guitar, synth, Hammond, Mellotron, bass).
Seven tracks make up the concept for a total of forty minutes of music.
The five minutes of "The Child Of The Night Sky" are representative for both sonic and stylistic quality of the band that knows how to manifest itself cohesive and perfectly oiled in all its departments through tempo changes and numerous echo effects. The robustness of the sound is approached by a melodic choice of composition effective enough to easily stick in the memory.
 "Collision" surprisingly shows an almost Folk side of the sonic progression, a massive riff lending its side to the good vocal abilities of the components, but the games get serious in the seven minutes of "Dead In The Eye", sly with a Pinkfloydian procession close to "Obscured By Clouds" (Pink Floyd). The sonic crescendo works, making the piece a high rung on the "Echoes From The Universe" ladder.
The beginning of "Fragments" espouses the King Crimson cause thanks to a repeated electric guitar arpeggio, the piece is deep, what I can call instrumentally more committed than what I have heard so far, here the Prog side is evident. Bell sounds and sly introspective movements makes "The Promise" another fine mix of past and present and then launches into a pachydermic rhythm supported by an electric wall of sound that changes into a sustained psychedelic procession halfway through the song.
Easy to be ensnared by "The Veil", once again the choice of basic catchy motifs drives home the success of the intent. The record concludes with "Staring At The Sun" here it is Porcupine Tree that appears during the beginning, but the pacing changes substantially intertwining rhythms and riffs in a kind of pyrotechnic finale, just as happens in fireworks.
"Echoes From The Universe" by Mr. Bison is a decidedly smooth record, and in its field I dare say even elegant, proving that even we in Italy can honorably say our piece on this subject. Only my compliments. MS



 

sabato 24 febbraio 2024

Semiramis

SEMIRAMIS - La Fine Non Esiste
VM / BFT
Genere: Rock Progressivo Italiano
Supporto: cd / Digital – 2024




E’ proprio vero, la fine non esiste, la considerazione è comprovata dalla storica band romana Semiramis, che dopo cinquanta anni dall’uscita del loro unico album “Dedicato A Frazz” (Trident – 1973), prosegue il cammino sonoro da dove l’hanno lasciato.
Un solo disco ma incastonato nell’albo dei grandi classici del Rock Progressivo Italiano. Nonostante l’allora giovane età, la band capitanata da Paolo Faenza (batteria, vibrafono) e dai fratelli Zarrillo, Michele e Maurizio, compone un Rock in bilico fra lo sperimentale, il sound mediterraneo e il classico Prog proveniente dai maestri inglesi. Quest’album è croce e delizia per i collezionisti, poiché la prima stampa ha raggiunto costi davvero proibitivi, per fortuna oggi con internet si ha la possibilità di ascoltare tutto o reperire ristampe a prezzi decisamente abbordabili.
Nel 2013 a sorpresa i Semiramis si ritrovano, e nel 2017 registrano “Frazz Live”, un fulmine a ciel sereno che lascia presagire una ritrovata vena artistica che potrebbe sfociare in voglia di comporre nuovo materiale. La certezza non c’è, tanto è vero che passano ben sei anni dopo la momentanea illusione, ma per nostra fortuna la riunione risulta essere galeotta.
Muta tuttavia la formazione, sempre con Faenza in cattedra supportato da ottimi artisti del circuito Progressivo romano come Ivo Mileto (basso), Emanuele Barco (chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche), Giovanni Barco (voce), e Daniele Sorrenti (tastiere, organi, synth, flauto).
“Dedicato A Frazz” è un concept album, “La Fine Non Esiste” ci va vicino, perché l’argomento è unico riguardante la possibilità di osare, l’andare oltre la normalità, ma nei sei brani che compongono il disco i personaggi e le storie sono differenti fra loro. Un messaggio positivo che ci spinge a dare sempre il meglio di noi stessi e oltre.
L’opera in questione è cantata in italiano e si apre con “In Quel Secondo Regno” dall’incedere Hard Prog solo in apparenza, perché in breve successione si denotano accenni di Gentle Giant e Orme. Buona è la prova vocale di Barco, altresì non si può rimanere indifferenti dinanzi all’assolo della chitarra elettrica. Un pezzo che da solo racconta un decennio di stile sonoro, e lo fa con visione moderna, in un perfetto equilibrio fra passato e presente.
“Cacciatore Di Ansie” attraverso il suono del pianoforte, apre ad arie dall’ampio respiro, la tecnica dei componenti si pone in vetrina grazie a cambi umorali, comunque attenta a non perdersi in inutili elucubrazioni. Narrazione e parti cantate impreziosiscono le melodie. Il finale sfocia nel Neo Prog stile IQ.
Una dolce aria di tastiere inizia “Donna Dalle Ali D’Acciaio” per poi inoltrarsi nella formula canzone semplice e immediata. Tanti anni ’70 e sentieri adiacenti ai Pooh nella memoria di chi ascolta. Segue “Non Chiedere A Un Dio”, un mix sonoro denso di magia, con assolo altisonante di chitarra elettrica e l’immancabile cambio di tempo.
Con “Tenda Rossa” i tempi dispari si susseguono come da copione Prog, un percorso stilistico dalla spiccata personalità da godere obbligatoriamente ad alto volume.
Il pezzo maggiormente articolato giunge nel finale, “Sua Maestà Il Cuore” è semplicemente un fuoco d’artificio.
Questo, signore e signori, è l’immortale Progressive Rock Italiano, la fine non esiste e non ci sarà mai fino a che esisteranno artisti come i Semiramis. Ai giovani intraprendenti di oggi, consiglio di prendere in mano questo testimone: innamoratevi del volersi bene. MS






Versione Inglese:


SEMIRAMIS – La Fine Non Esiste
VM / BFT
Genre: Italian Progressive Rock
Support: cd / Digital - 2024


It's really true, the end does not exist, the consideration is proven by the historic Roman band Semiramis, which after fifty years since the release of their only album "Dedicato A Frazz" (Trident - 1973), continues the sonic journey from where they left off.
A single record but set in the roll of the great classics of Italian Progressive Rock. In spite of their then young age, the band led by Paolo Faenza (drums, vibraphone) and the Zarrillo brothers, Michele and Maurizio, composes Rock poised between experimental, Mediterranean sound and classic Prog coming from the English masters. This album is a cross and delight for collectors, as the first pressing reached really prohibitive costs, luckily today with the Internet you have the possibility to listen to everything or find reissues at definitely affordable prices.
In 2013, surprisingly, Semiramis found themselves again, and in 2017 they recorded "Frazz Live", a bolt from the blue that hinted at a newfound artistic vein that could result in a desire to compose new material. The certainty is not there, so much so that a good six years pass after the momentary illusion, but fortunately for us, the reunion turns out to be galeactic.
However, the lineup changes, still with Faenza in the chair supported by excellent artists from the Roman Progressive circuit such as Ivo Mileto (bass), Emanuele Barco (electric guitars), Marco Palma (acoustic guitars), Giovanni Barco (vocals), and Daniele Sorrenti (keyboards, organs, synth, flute).
"Dedicato A Frazz" is a concept album, "La Fine Non Esiste" comes close, because the topic is unique concerning the possibility of daring, of going beyond normality, but in the six tracks that make up the album the characters and stories are different from each other. A positive message that urges us to always give our best and beyond.
The work in question is sung in Italian and opens with "In Quel Secondo Regno" with a Hard Prog procession only in appearance, because in short succession hints of Gentle Giant and Orme are denoted. Good is Barco's vocal test, likewise one cannot remain indifferent before the electric guitar solo. A piece that alone tells a decade of sonic style, and does so with modern vision, in a perfect balance between past and present.
"Cacciatore Di Ansie" through the sound of the piano, opens to wide-ranging tunes, the technique of the components is showcased through mood changes, however careful not to get lost in unnecessary lucubration. Narration and singing parts embellish the melodies. The finale blurs into IQ-style Neo Prog.
A sweet air of keyboards begins "Donna Dalle Ali D'Acciaio" and then moves forward into the simple and immediate song formula. Lots of 70s and Pooh-adjacent paths in the listener's memory. This is followed by "Non Chiedere A Un Dio”, a sonic mix thick with magic, with soaring electric guitar solo and the ever-present tempo change.
With "Tenda Rossa”, odd times follow one another as per the Prog script, a stylistic journey with a distinct personality to be enjoyed compulsorily at high volume.
The most articulate piece comes in the finale, "Sua Maestà Il Cuore" is simply a firework.
This, ladies and gentlemen, is the immortal Italian Progressive Rock, the end does not exist and never will as long as artists like Semiramis exist. To the enterprising young people of today, I advise them to take up this baton: fall in love with loving each other. MS

 




sabato 17 febbraio 2024

K.A.B.

K.A.B. - Pause Reflect
Autoproduzione
Genere: Post Prog Moderno
Supporto: cd /digital – 2023




Probabilmente certa musica non prende campo come dovrebbe perché va a toccare corde dell’animo in cui ci sentiamo fragili. Non c’è nulla che spaventa di più che guardarsi dentro e scoprire veramente chi siamo. L’egoismo fa parte del genere umano e questo riesce a tamponare molte delle pecche del nostro carattere che non vogliamo vedere, mascherando il nostro vero io. Anche l’essere aggressivo è un’arma di distrazione dell’animo, attaccare per primo per paura di essere attaccati. Certe argomentazioni non hanno mai fine, diverse volte approfondite da saggi, oppure dalla musica stessa, quella per la mente. L’introspezione porta spesso a sonorità eteree ma anche rudi, secondo il concetto che si vuole esprimere, resta il fatto che alcuni passaggi si fissano nella storia della musica, così come hanno fatto certe band come ad esempio i Pink Floyd o i più recenti Porcupine Tree.
Il viaggio dentro di noi è dunque un argomento molto trattato dai musicisti ma allo stesso tempo arma a doppio taglio in quanto oggi il pubblico quando ascolta musica non vuole pensare troppo, piuttosto distrarsi.
Ma quando si ha l’intenzione di affrontare questo percorso sonoro, possono scaturire piacevolissime sorprese, com’è capitato a me con il debutto di Kevin Button proveniente da Coventry. Ho scoperto un artista malinconico, visionario, ma soprattutto anticonformista grazie al progetto K.A.B. in cui suona tutti gli strumenti. Assieme a lui partecipano anche Tibz Adeniyi (cori), Rowan Aldridge (basso), Cherise Cheney (cori), James Cheney (chitarre, cori), Ellie Gibson (cori), John Griffiths (batteria), Joel Julian (cori, chitarra), Joshua *Falconer* Manley (cori, voce narrante), Nicola Nicholson (tastiere, archi), Rich Taylor (cori, voce narrante) e Sheridan White (cori).
In questo debutto formato da otto canzoni, Button incanala i suoi pensieri e le contemplazioni attraverso una fusione d’influenze che variano da artisti del calibro di Biffy Clyro, Steven Wilson, ai Metallica, creando un bellissimo mix che offre una riflessione esteticamente gradevole sulle complessità della vita.
“Pause / Reflect / Transform” parte in un imbuto di suoni penetranti quanto sospesi, per addentrare l’ascoltatore in uno stato d’animo adeguato al contesto. Voce, echi, note sostenute, arpeggi alla Porcupine Tree lasciano anche il campo a una chitarra elettrica dal sound tipicamente Gilmouriano (Pink Floyd) anni ’70. Coralità e suoni Hard seguono per un crescendo emotivo a condurre in quel limbo mentale costruito sulla suddetta fragilità.
“Break These Chains” è più canzone, quasi un sospiro di sollievo per aver intravisto uno spiraglio di sole, ma le nuvole sono sempre nei dintorni. Rock alternativo di grande impatto in "Hypocrites", movimento che sfida i giudizi sociali, una ribellione al sistema oppressivo che ci rende mentalmente castrati.
In “The Prisoners Voyage” ci si addentra nel mondo psichedelico, dieci minuti che fanno del brano uno dei passaggi più interessanti dell’intero album. L’ascolto prosegue fluido e senza punti di stanca.
“Pause Reflect” è un disco coraggioso ma soprattutto solido che farà sicuramente la gioia degli appassionati di questo nuovo genere denominato Post Prog Moderno. MS






Versione Inglese:



K.A.B. - Pause Reflect
Self-production
Genre: Modern Post Prog
Support: cd /digital - 2023


Probably some music does not take the field as it should because it goes to touch soul strings where we feel fragile. There is nothing more frightening than looking inside and truly discovering who we are. Selfishness is part of humankind, and this manages to buffer many of the flaws in our character that we don't want to see, masking our true selves. Being aggressive is also a weapon of distraction of the soul, attacking first for fear of being attacked. Certain arguments never end, several times deepened by essays, or by music itself, that for the mind. Introspection often leads to ethereal but also rough sounds, depending on the concept one wants to express, the fact remains that some passages become fixed in the history of music, as did certain bands such as Pink Floyd or the more recent Porcupine Tree.
Thus, the journey within ourselves is a subject much dealt with by musicians but at the same time a double-edged sword in that today the audience when listening to music does not want to think too much, rather to be distracted.
But when one has the intention to tackle this sonic path, very pleasant surprises can result, as happened to me with the debut of Kevin Button from Coventry. I discovered a melancholic, visionary, but above all nonconformist artist thanks to the K.A.B. project in which he plays all the instruments. Also participating with him are Tibz Adeniyi (backing vocals), Rowan Aldridge (bass), Cherise Cheney (backing vocals), James Cheney (guitars, backing vocals), Ellie Gibson (backing vocals), John Griffiths (drums), Joel Julian (backing vocals, guitar), Joshua *Falconer* Manley (backing vocals, narrator), Nicola Nicholson (keyboards, strings), Rich Taylor (backing vocals, narrator) and Sheridan White (backing vocals).
In this eight-song debut, Button channels his thoughts and contemplations through a fusion of influences ranging from the likes of Biffy Clyro, Steven Wilson, to Metallica, creating a beautiful mix that offers an aesthetically pleasing reflection on the complexities of life.
"Pause / Reflect / Transform" starts off in a funnel of sounds that are as piercing as they are suspenseful, to ease the listener into a mood appropriate to the context. Vocals, echoes, sustained notes, and Porcupine Tree-esque arpeggios also give way to a typically Gilmourian (Pink Floyd) 1970s-sounding electric guitar. Chorality and Hard sounds follow for an emotional crescendo to lead into that mental limbo built on the aforementioned fragility.
"Break These Chains" is more song, almost a sigh of relief at a glimmer of sunshine, but the clouds are always around. Hard-hitting alternative rock in "Hypocrites", a movement that challenges social judgments, a rebellion against the oppressive system that makes us mentally castrated.
In "The Prisoners Voyage" we enter the psychedelic world, ten minutes that make the track one of the most interesting passages on the entire album. The listening continues smoothly and without any tired points.
"Pause Reflect" is a brave but above all solid record that will surely delight fans of this new genre called Modern Post Prog. MS






mercoledì 14 febbraio 2024

Queensryche: La storia del Metal Prog

 QUEENSRYCHE

Di Massimo Salari




La Storia dell'Heavy Metal non può fare a meno di menzionare fra i propri capisaldi i Queensryche.
 
Cinque ragazzi di Seattle, che rispondono al nome di Geoff Tate (voce), Eddie Jackson (basso), Chris De Garmo (chitarra), Michael Witton (chitarra) e Scott Rockenfield (batteria), danno vita a questo ambizioso progetto che andrà a sfidare le dure leggi dell'Heavy Metal. Amanti della sperimentazione, hanno saputo evolversi anno dopo anno sfidando la pazienza stessa dei propri fans. Sempre attenti ai problemi sociali e politici i nostri si avvicinano ad un certo Metal che non esiteremo definire celebrale. “Operation: Mindcrime” rispecchia in pieno questo concetto con forti riferimenti alla società moderna e posizioni polemiche nei confronti di chi gestisce il potere, CIA, media e quant'altro.




 Ma facciamo un passo indietro e cominciamo dagli esordi datati 1983, con un look improbabile i Queensryche esordiscono producendo il mini-lp “Queensryche” uscito su etichetta EMI, esso deve molto al suono dei maestri Iron Maiden che, mai come in questo periodo, spopolano fra i fans del genere. Questo piccolo capolavoro contiene perle quali “Queen Of The Reich”, loro cavallo di battaglia e brano di punta per lungo tempo, e la dolce “The Lady Wore Black”. Da questo mini LP si estraggono due video, “Queen Of The Reich” e “Prophecy”. Il brano è molto bello, Heavy Metal al 100% con i sostenuti acuti di Geoff in evidenza, ma il video con il look pacchiano del gruppo ancora oggi lascia molto a desiderare, si denota molta inesperienza. “Queen Of The Reich” gira in diverse compilation come ad esempio in “Metal Power” (EMI-1985) e persino nella video compilation “Kerrang”. Questo mini LP li promuove a "Band dell'anno" e il successivo Lp “The Warning” (EMI),


 

disco dal grande contenuto compositivo, li conferma. La produzione è buona, sopra i livelli medi del periodo, e canzoni come “Take Hold Of The Flame” fanno scorrere più di un brivido sulla pelle. Merito sia dell’immensa ugola del cantante ma pure del songwriting decisamente superlativo. Giusto dosaggio fra melodie intrise di arpeggi chitarristici e pezzi Metal tecnicamente perfetti. Incominciano nello stesso periodo le tournée importanti come in Giappone nel quale i nostri girano il video “Live In Tokyo” (1985), edito dalla EMI.  




 
Nel 1986 avviene la prima svolta stilistica, è l'anno di “Rage For Order” (EMI). 




Coraggiosamente i Queensryche mettono a dura prova l'amore dei fans nei propri confronti avvicinandosi ad un sound molto più ricercato, in molti brani si palesa anche l’elettronica. In questo disco quindi apprezziamo con piacere il mutamento stilistico con sprazzi di campionature e tanto di tastiere. Anche il look si modifica, lasciando i soliti indumenti in pelle per qualcosa di più stravagante e una ricerca di acconciatura molto più intrigante. Siamo al limite del Glamour. I testi parlano di un futuro prossimo con tonalità pessimistiche. Malgrado il cambiamento, lo stile Queensryche resta comunque riconoscibile, basta ascoltare “Walk In The Shadows” e la dolcissima “I Will Remember”, una canzone ruffiana, ma non abbastanza da permettere ai nostri di andare in qualche classifica importante come accade ad esempio agli Scorpions.
La parte più sperimentale è rappresentata dai brani “Gonna Get Close To You” e “Neue Regel”. La critica di allora accoglie questo disco più che positivamente, ma le vendite non sono immediatamente buone, sarà con il tempo che “Rage For Order” conquisterà il successo che giustamente si merita. Nessun disco metal, nemmeno di oggi, gode della sua freschezza tanto da renderlo attuale all’ascolto ancora per parecchio tempo a venire.




Una nuova sterzata stilistica arriva immediatamente l'anno successivo, nel 1988 con il "The Wall" dell'Heavy Metal ossia il già citato “Operation: Mindcrime” (EMI). 




Certamente questo è il disco più importante della loro carriera, quello della consacrazione definitiva. Il look ritorna in pelle ed i Queensryche mettono in chiaro il fatto che loro non prendono consigli da nessuno, né dai fans, tantomeno dalle case discografiche, fanno ciò che sentono al momento, contro ogni moda e basta. Di questo lavoro uscirà pure una versione live con tanto di VHS e cofanetto con foto, il tutto sotto il nome di “Operation: Livecrime”. I testi si schierano contro tutto ciò che è regime e controllo mentale (droghe, media ,alcool ed altro), sono forti e mirati. Immediatamente canzoni come “Revolution Calling”, “Operation: Mindcrime” ed “Eyes Of A Stranger” diventano dei veri e propri inni. Ma questo concept in se nasconde un vero e proprio gioiello dal titolo “Suite Sister Mary”, struggente canzone cantata in coppia con la brava Pamela Moore. Nella versione live in VHS possiamo godere pure delle interpretazioni al limite del recitato del bravo Geoff ma soprattutto delle immagini di sfondo che impreziosiscono tutto il concerto. Questo resta il punto massimo mai più raggiunto della creatività dei cinque ragazzi di Seattle.




 
Difficile bissare l'ispirazione che riempie “Operation: Mindcrime” ma la cosa riesce parzialmente con l'ottimo ”Empire” (EMI - 1990).



Il suono si addolcisce ed i brani diventano più commerciali, malgrado tutto il doppio lp straborda di gemme emotive come le dolcissime “Silent Lucidity” e “Anybody Listening? “. Il tutto gode di una ottima produzione che eleva alla massima potenza l'energia trasmessa dai nostri. Bella pure ”Best I Can”. Le date dal vivo confermano la buona riuscita di “Empire” con un ottimo riscontro di pubblico, ma la verità è che i nostri sono costretti a suonare sempre dei pezzi da “Operation: Mindcrime”, il che la dice lunga.





 
Dopo una meritato periodo di riposo è la volta di “Promised Land” (Emi), 



che esce nel 1994. Questo, secondo il sottoscritto, rappresenta purtroppo il capolinea del gruppo. Le atmosfere si intristiscono, brani più lenti e la meravigliosa “Someone Else?” (piano e voce) conclude non solo il CD, ma pure la loro fervida ispirazione futura. I difficili rapporti del chitarrista Chris DeGarmo con il padre si ripercuotono nel bel brano “Bridge”. Il disco è godibile nell’interezza, “Damaged”, “Out Of Mind”, “Lady Jane” e “One More Time” lo dimostrano. In alcuni tratti si cerca di ripercorrere quei sentieri futuristici e sperimentali di “Rage For Order”, come nei pezzi “I Am I” e “Dis Con Nec Ted” e, devo ammettere, pure con buoni risultati. La copertina del cd è molto bella, si apre e diventa un grande poster rappresentante un gigantesco Totem di legno che si staglia in uno squallido acquitrino, dallo sfondo apocalittico, con a monte il logo del gruppo. Al suo interno invece, oltre che ad un volto calvo di un uomo con un chiodo infilzato in fronte, troviamo i testi di tutti i brani. E’ evidente che la frivolezza non è di casa Queensryche.




 
E’ il 1997 e sotto la supervisione del produttore Peter Collins esce “Hear In The Now Frontier”.



 Disco che lascia allibiti tutti, dalla critica ai fans. C’è poi da dire che questi ultimi sono i più disposti alle nuove soluzioni, visto l’evolversi sonoro dei nostri, ma quando è troppo…. Influenze Grunge possiedono i Queensryche.




 
Il discorso cambia invece per chi li ascolta per la prima volta, il prodotto è ben curato ed i brani sono accattivanti, ma dove sono finiti i meravigliosi acuti di Tate? Per il vecchio ascoltatore è una vera e propria tortura. Ma che tristezza, loro che hanno fatto da musa ai futuri gruppi Metal e non, si sono fatti influenzare a loro volta da un genere che in fin dei conti non ha nulla di nuovo da elargire. Le composizioni sono firmate soprattutto dal chitarrista DeGarmo, il quale dopo questa ultima esperienza decide di lasciare il gruppo per dare spazio a Kally Gray. Il motivo dello split è dovuto, secondo lui, dall’evolversi del nuovo solo-project e dalla volontà di restare più vicino alla famiglia. Ritorna poi nei ranghi nel 2003 per l’uscita di “Tribe”.
 
Questa volta serve un vero e proprio periodo di riflessione, nel frattempo esce il “Greatest Hits” (1999 - EMI), con i brani veramente più belli della loro lunga carriera, assolutamente da avere! Dopo la meditazione giungono alla conclusione che il loro tracciato stilistico non è mai stato influenzato da nessuno che sia esterno al gruppo (dicono loro) e così è la volta del successivo “Q2k” (EMI 1999). A nulla sembra servita la dipartita di DeGarmo, malgrado questo disco sia stato prodotto benissimo e sia colmo di buona musica, viene sempre più influenzato dal ciclone Grunge, che sembra assoggettare tutta Seattle. Con rammarico notiamo che la voce meravigliosa di Tate è letteralmente affievolita!
 
La carriera prosegue fra alti e bassi, compresa l’edizione di una seconda parte di “Operation: Mindcrime” intitolata “Operation: Mindcrime II” (2006 - Rhino Records) e a seguire :
 
“Take Cover” (2007 - Rhino Records)
“Mindcrime At The Moore” (2007 – Rhino Records)
“American Soldier” (2009 – Rhino Records)
“Dedicated To Chaos” (2011 - Roadrunner Records)
“Queensrÿche” (2013 – Century Media)
“Condition Hüman” (2015 – Century Media)
“The Verdict” (2019 – Century Media)
 
Ma il Metal Progressive elargito nella prima fase della loro carriera resta il più importante. Punto di riferimento per band a venire, compresi i Dream Theater che sono nominati da molti critici i cosiddetti padri del genere, quando invece i Queensryche hanno insegnato molto ed ancor prima di loro i canadesi Rush. Ascoltare per credere.





lunedì 12 febbraio 2024

James Netterwald

JAMES NETTERWALD – Decade Decoded
Autoproduzione
Genere: Indie Rock – Folk
Supporto: cd / Tunecore.com - 2023




Questa volta Nonsolo Progrock si occupa di una recensione particolare, dove la musica (qualunque essa sia) diventa una valvola di sfogo per il corpo e per l’anima. Chiaramente questo è un fattore comune per tutti gli artisti, ma ci sono casi in cui la passione diventa un vero scopo di vita.
Il caso di James Netterwald è emblematico. L’artista autodidatta è di Hazlet, NJ negli Stati Uniti. Da più di trent’anni scrive canzoni in modo davvero personale e le registra a casa, il tutto autofinanziandosi. Il Rock trattato spazia dagli anni ’60 ai ’90, sino a sfiorare il Grunge.
James nei testi tratta le problematiche che ha dovuto affrontare nella vita, soprattutto il bipolarismo che l’ha colpito, oltre citare hobby e interessi vari.
Ecco la musica come forma di terapia, la volontà di mettersi in gioco per le idee, la voglia di essere vivi, capiti e apprezzati.
“Decade Decoded” è il debutto ufficiale in cd ed è composto di otto canzoni.
“I Don't Even Wanna Know” è il singolo che apre il disco, molto orecchiabile per melodie. Essendo autodidatta, James si avvale del pc e quindi la ritmica risulta minimale, senza molti fronzoli. La chitarra elettrica è robusta e scarica energia al brano. Il suono non è curato per i limiti sopra citati, ma quello che conta è la sostanza, la voglia di uscire con un proprio concetto.
D’idee ce ne sono, come nella solare “1999 (defenseless)”, dove la voce viene filtrata da un vocoder. Di base si possono sentire i Beatles come riferimento, ma anche il sound più moderno di artisti come i Blackfield, “Another Gloomy Bayonne Day” ne è prova.
Netterwald mette se stesso nei brani e mostra anche una buona cultura sugli ascolti, un bagaglio storico messo in pratica nelle composizioni. Semplice e diretta “It Started Off With This Car”, peccato solo per il cantato non sempre all’altezza, ma nel complesso gradevole. Un velo di nostalgia aleggia nella dolce “Invisible To You”, canzone fra le più riuscite del disco con suoni di tastiera a simulare i fiati di una tromba, qui il Folk è più presente.
“Confusion” si apre con un suono di piano e una ritmica più impegnata, questa volta sono gli anni ’90 a fare capolino, quando gli Oasis hanno intrapreso sentieri calpestati dai Fab Four. Giocosa “Dear Therapist”, arricchita da coralità aggiunte oltre che dall’effetto voice decoded.
Di altra materia è composta “Seeds Of Self Doubt”, canzone decisamente matura e introspettiva, anche nel cantato, questa volta bene effettuato.
In chiusura un’armonica fa respirare atmosfere fra Folk e Southern Rock in “Voluntary Hostage”.
James Netterwald si è messo in gioco, senza se e senza ma, una passione che spero possa a lui portare benessere e soddisfazioni.
L’artista promuove la propria musica in modo indipendente presentando le sue canzoni alle stazioni radio universitarie di tutto il mondo e alle stazioni indipendenti come radiodowntown.ca. MS




Versione Inglese:



JAMES NETTERWALD - Decade Decoded
Self-publishing
Genre: Indie Rock - Folk
Support: cd / Tunecore.com - 2023


This time Nonsolo Progrock deals with a particular review, where music (whatever it is) becomes an outlet for body and soul. Clearly this is a common factor for all artists, but there are cases where passion becomes a real life purpose.
The case of James Netterwald is emblematic. The self-taught artist is from Hazlet, NJ in the United States. For more than 30 years he has been writing songs in a truly personal way and recording them at home, all self-financed. The Rock covered ranges from the 60s to the 90s, even touching on Grunge.
James in the lyrics deals with the issues he has had to face in life, especially the bipolarism that affected him, as well as mentioning hobbies and various interests.
Here is music as a form of therapy, a willingness to put oneself out there for ideas, a desire to be alive, understood and appreciated.
"Decade Decoded" is the official CD debut and consists of eight songs.
"I Don't Even Wanna Know" is the single that opens the record, very catchy in melodies. Being self-taught, James makes use of the pc and so the rhythmic arrangement comes across as minimal, without many frills. The electric guitar is robust and drains energy to the track. The sound is not polished because of the limitations mentioned above, but what matters is the substance, the desire to come out with a concept of one's own.
Of ideas there are, as in the sunny "1999 (defenseless)", where the vocals are filtered by a vocoder. Basically one can hear the Beatles as a reference, but also the more modern sound of artists such as Blackfield, "Another Gloomy Bayonne Day" is proof.
Netterwald puts himself into the songs and also shows a good culture about listening, a historical background put into practice in the compositions. Simple and straightforward "It Started Off With This Car", a pity only for the singing that is not always up to par, but overall enjoyable. A veil of nostalgia hovers in the sweet "Invisible To You", one of the most successful songs on the disc with keyboard sounds simulating the horns of a trumpet, here the Folk is more present.
"Confusion" opens with a more committed piano sound and rhythm, this time it is the 1990s that peeps out, when Oasis took paths trodden by the Fab Four. Playful "Dear Therapist", enhanced by added chorality as well as the decoded voice effect.
Of a different matter is "Seeds Of Self Doubt", a decidedly mature and introspective song, even in the singing, this time well effected.
In closing a harmonica makes atmospheres between Folk and Southern Rock breathe in "Voluntary Hostage".
James Netterwald has put himself out there, no ifs or buts, a passion that I hope will bring him prosperity and satisfaction.
The artist promotes his music independently by submitting his songs to college radio stations around the world and independent stations such as radiodowntown.ca. MS






sabato 10 febbraio 2024

Caligula's Horse

CALIGULA’S HORSE - Charcoal Grace
Inside Out
Genere: Metal Progressive
Supporto: CD / Vinile – 2024




L’Australia è un paese davvero particolare per ciò che concerne la natura, il distaccamento dalla Pangea primordiale l’ha portata a essere ricca di varietà animale con vegetazioni del tutto esclusive. Bene sa chi prende l’aereo per raggiungere il continente cosa accade all’aeroporto nel controllo dei bagagli, nulla deve contaminare questa terra, l’ecosistema è salvaguardato al massimo. La popolazione di conseguenza ha una personalità ben definita, tuttavia stranamente nella musica e precisamente quella Rock, l’Australia è generalmente un mix d’influenze che proviene da tutto il pianeta, e questo è un fatto che cozza con la loro natura or ora descritta. Il fatto mi resta sconosciuto, anche se esistono realtà importanti come AC/DC o Wolfmother per fare solo due nomi, ma se andiamo ad analizzare sono dedite a influenze sonore sia anglosassoni che americane.
Se entriamo in un settore ancor più di nicchia, come per esempio il Metal Progressive, il discorso è analogo, un nome importante è quello dei Caligula’s Horse, anche se famoso più in patria che all’estero. Anche in questo caso la musica è ottima, ma ritorno a dire che è un insieme di contaminazioni, alcuni suoni che potrete estrapolare dall’ascolto derivano da gruppi come Devin Townsend, Pain Of Salvation, Opeth, Meshuggah, Porcupine Tree, Steve Vai, Frost, Periphery, Karnivool, Muse, Steely Dan, The Beatles, e Frank Zappa. Questo mix incredibile comunque sia porta a un risultato davvero personale, anche perché i quattro ragazzi che compongono la band, ossia Jim Grey (voce), Sam Vallen (chitarra, voce), Dale Prinsse (basso, voce), e Josh Griffin (batteria), sono in possesso di una buona tecnica strumentale.
La band si forma a Brisbane nel 2011, e “Charcoal Grace” è il sesto lavoro in studio senza considerare gli EP. Il nome che si sono dati, tradotto in italiano è Il Cavallo Di Caligola, e sappiamo bene che l’antico imperatore romano fece senatore il proprio equino. Lui sicuramente un pazzo, ma il cavallo in realtà non c’entra nulla, e ciò rispecchia un poco quello che propongono nelle composizioni, ossia un velo di follia ma tenuta sotto controllo dalla razionalità delle cose.
I dieci minuti di “The World Breathes With Me” sono esplicativi su quanto detto, il brano è davvero ben strutturato, curato negli arrangiamenti, cantato a dovere e soprattutto suonato alla perfezione. Il fans del genere sicuramente apprezzerà oltremodo, ma anche chi ascolta i Porcupine Tree troverà analogie con la band di Wilson. L’incisione sonora è pulita, tanto da distinguere perfettamente le strumentazioni e dona loro anche differenti profondità. A chi non ama le distorsioni eccessive, qui posso assicurargli di buttarci un orecchio, non sono troppo invasive, viceversa numerosi sono i cambi di tempo e d’umore, in parole povere più Prog che Metal.
Soen style risulta “Golem”, maggiormente diretta di chi l’ha preceduta, ma mai scontata. Segue una suite suddivisa in quattro parti, “Charcoal Grace”, da fare ascoltare a chi non conosce minimamente il significato di Metal Progressive. L’inizio alla Neal Morse Band lascia campo a un insieme di sonorità a tratti anche distanti fra di loro, per un insieme mai noioso tanto da far sembrare venti minuti abbondanti di musica quasi cinque.
Non manca neppure un lento dalla facile presa, costruito su un buon gioco di voci, questo s’intitola “Sails”. Sofisticata “The Stormchaser”, mentre la conclusiva “Mute” mette in chiaro chi comanda oggi il Progressive Metal in Australia.
“Charcoal Grace” è un disco eccellente, un esempio di cultura totale nel settore musicale riversato in note. Da avere. MS





Versione Inglese: 


CALIGULA'S HORSE - Charcoal Grace
Inside Out
Genre: Progressive Metal
Support: CD / Vinyl - 2024


Australia is a very peculiar country as far as nature is concerned, the detachment from the primordial Pangaea has led it to be rich in animal variety with completely unique vegetations. Well knows who takes the plane to reach the continent what happens at the airport in baggage control, nothing must contaminate this land, the ecosystem is safeguarded to the maximum. The population as a result has a well-defined personality, however strangely in music and precisely Rock music, Australia is generally a mix of influences that comes from all over the planet, and this is a fact that clashes with their nature now described. The fact remains unknown to me, although there are important realities such as AC/DC or Wolfmother to name just two, but if we go to analyze they are devoted to both Anglo-Saxon and American sound influences.
If we go into an even more niche area, such as Progressive Metal for example, the discourse is similar, an important name being Caligula's Horse, although famous more at home than abroad. Again, the music is excellent, but I return to say that it is a mixture of contaminations, some of the sounds you can extrapolate from listening to it are derived from bands such as Devin Townsend, Pain Of Salvation, Opeth, Meshuggah, Porcupine Tree, Steve Vai, Frost, Periphery, Karnivool, Muse, Steely Dan, The Beatles, and Frank Zappa.
This incredible mix however it may be leads to a truly personal result, not least because the four guys who make up the band, namely Jim Grey (vocals), Sam Vallen (guitar, vocals), Dale Prinsse (bass, vocals), and Josh Griffin (drums), possess good instrumental technique.
The band formed in Brisbane in 2011, and "Charcoal Grace" is their sixth studio work not including EPs. The name they have given themselves, translated into Italian is Il Cavallo Di Caligola, and we know well that the ancient Roman emperor made his own equine senator. He certainly a madman, but the horse actually has nothing to do with it, and this reflects a little of what they propose in the compositions, which is a veil of madness but kept in check by the rationality of things.
The ten minutes of  "The World Breathes With Me" are explanatory on what has been said, the song is really well structured, cared for in the arrangements, sung properly and above all played to perfection. Fans of the genre will surely appreciate it beyond measure, but even those who listen to Porcupine Tree will find similarities with Wilson's band. The sound recording is clean enough to distinguish the instrumentations perfectly and also gives them different depths. To those who do not like excessive distortion, here I can assure them to throw an ear to it, they are not too invasive, conversely numerous are the tempo and mood changes, in simple words more Prog than Metal.
Soen style turns out "Golem", more direct than its predecessors, but never predictable. This is followed by a four-part suite, "Charcoal Grace," which should be given a listen by those who are completely unfamiliar with the meaning of Progressive Metal. The Neal Morse Band-esque beginning gives way to a set of sounds that are at times even distant from each other, making for an ensemble that is never boring enough to make twenty-plus minutes of music seem almost five.
There is also no shortage of an easy-grip slow song built on good vocal playing, this one titled "Sails". Sophisticated "The Stormchaser", while the concluding "Mute" makes it clear who is in charge of Progressive Metal in Australia today.
"Charcoal Grace" is an excellent record, an example of total culture in the music industry poured into notes. Must have. MS

 



 

mercoledì 7 febbraio 2024

Viima

VIIMA - Väistyy Mielen Yö
Autoproduzione
Genere: Prog Folk
Supporto: cd – digital – 2024




Ho sempre nutrito stima nei confronti del Rock Progressivo proveniente dai paesi nordici, anche della Finlandia, questo perché lo stile è ben definito, generalmente supportato da numerose tastiere e tanti anni ’70, il tutto amalgamato dall’inconfondibile suono velato di malinconia prettamente relegato alla loro cultura. Facile innamorarsi dei numerosissimi cambi di tempo e d’umore che trapelano da ogni brano, L’ho apprezzato in band come Tasavallan Presidentti, Kalevala, Pharaoh Overlord, Wigwam, Orne, Overhead, solo per fare alcuni nomi importanti e fra loro ci metto anche i Viima.
La band di Helsinki, poi trasferitasi a Turku nel 1997, ha nel proprio DNA il Folk, e iniziano a suonare brani di band come Pentangle, Curved Air, ma soprattutto Jethro Tull, tanto da prendere il nome iniziale di Lost Spectacles, estrapolato dalla famosa canzone "The Hare Who Los His Spectacles" dall'album “A Passion Play”. Come moltissimi artisti, iniziano a provare negli scantinati e altresì vanno incontro a numerosi cambi di formazione. Rilasciano nel tempo due album apprezzati dalla critica di settore, “Ajatuksia Maailman Laidalta” (Viima Records – 2006) e “Kahden Kuun Sirpit” (Viima Records – 2009), a seguire un gran numero di date live. Passano moltissimi anni prima di poterli riascoltare in un lavoro da studio con nuovi elementi, finalmente questo accade oggi grazie a “Väistyy Mielen Yö”. Ora la band è formata da Hannu Hiltula (flauto, tastiere, voce), Mikko Uusi-Oukari (chitarre, Mellotron), Mikko Väärälä (batteria, voce, tastiere, carillon), Aapo Honkanen (basso) e Risto Pahlama (voce, tastiere Mellotron) e vede la collaborazione dell’ospite ex del gruppo Kimmo Lähteenmäki (tastiere, fiati).
Chi ama il Mellotron qui ha di che ascoltare, ma anche Hammond e molto altro ancora. L’inizio affidato a “Tyttö Trapetsilla”, ha molto dello stile Landberk, la differenza tuttavia deriva dal flauto. Il Folk è già presente ma anche sonorità maggiormente Rock alternate a fasi stranamente allegre oltre ad un vigoroso assolo di chitarra elettrica. Con quasi cinque minuti di musica questo è il brano più breve dell’album, così a seguire giunge la mini suite di diciannove minuti “Äiti Maan Lapset”, suntuoso esempio di Progressive Rock totale, dove ogni ingrediente tocca sia la storia del tempo che fu, sia idee più moderne. Una vera e propria gemma sonora da apprezzare come un buon bicchiere di vino invecchiato. L’Hammond ruggisce, l’energia sprigionata è coinvolgente, così ammalianti i passaggi più pacati, specialmente quelli descritti con linee di basso calorose. Quello che vado a sottolineare è il cantato in lingua madre, probabilmente non congeniale a molti dei nostri ascoltatori, eppure tutto si sposa alla perfezione, per me così deve essere, il fascino è dunque elevato all’ennesima potenza.
Basta poco per restare conquistati dalle dolci arie di “Pitkät Jäähyväiset”, gli anni ’70 si palesano durante l’ascolto per una sensazione di appagamento totale, anche durante l’intervento della chitarra elettrica che tenta di dare maggiore mordente al brano grazie a un riff al limite dell’Hard Prog, le tastiere completano il concetto. “Perhonen” a sua volta richiama altrettante vicissitudini, i Viima cavalcano sopra arie ben definite e collaudate. La chiusura spetta a “Vuoren Rauha”, sette minuti abbondanti di storia del genere aperte da un soffio di vento che immerge l’ascoltatore in ambienti gelidi in cui solo il suono di un pianoforte riesce a scaldare l’anima.
“Väistyy Mielen Yö” a mio avviso è un ritorno maturo che riporta la band nel giusto collocamento che gli spetta, quello delle band nordiche più importanti del settore. MS





Versione Inglese:


VIIMA - Väistyy Mielen Yö
Self-production
Genre: Prog Folk
Support: cd - digital - 2024


I have always held Progressive Rock from the Nordic countries, even Finland, in high esteem, this is because the style is well-defined, generally supported by numerous keyboards and lots of 70s, all amalgamated by the unmistakable sound veiled in melancholy purely relegated to their culture. Easy to fall in love with the numerous tempo and mood shifts that seep out of each song, I have appreciated it in bands like Tasavallan Presidentti, Kalevala, Pharaoh Overlord, Wigwam, Orne, Overhead, just to name a few important names, and among them I put Viima.
The band from Helsinki, which later moved to Turku in 1997, has Folk in its DNA, and they start playing songs from bands like Pentangle, Curved Air, but especially Jethro Tull, so much so that they take the initial name Lost Spectacles, extrapolated from the famous song "The Hare Who Los His Spectacles" from the album "A Passion Play". Like so many artists, they begin rehearsing in basements and likewise go through numerous lineup changes. They release in time two critically acclaimed albums, "Ajatuksia Maailman Laidalta" (Viima Records - 2006) and "Kahden Kuun Sirpit" (Viima Records - 2009), followed by a large number of live dates.
Many, many years pass before we get to hear them again in a studio work with new elements, finally this happens today thanks to "Väistyy Mielen Yö". Now the band is made up of Hannu Hiltula (flute, keyboards, vocals), Mikko Uusi-Oukari (guitars, Mellotron), Mikko Väärälä (drums, vocals, keyboards, music box), Aapo Honkanen (bass) and Risto Pahlama (vocals, Mellotron keyboards) and features former band guest Kimmo Lähteenmäki (keyboards, woodwinds).
Those who like Mellotron here have plenty to listen to, but also Hammond and more. The beginning entrusted to "Tyttö Trapetsilla", has much of the Landberk style, the difference however comes from the flute. Folk is already present but also more Rock sounds alternating with strangely upbeat phases as well as a vigorous electric guitar solo. With almost five minutes of music this is the shortest track on the album, so next comes the nineteen-minute mini-suite "Äiti Maan Lapset", a sumptuous example of total Progressive Rock, where every ingredient touches on both the history of the time that was and more modern ideas. A true sonic gem to be enjoyed like a fine glass of aged wine.
The Hammond roars, the energy released is engaging, so bewitching are the quieter passages, especially those described with warm bass lines. What I am going to emphasize is the singing in the native language, probably not congenial to many of our listeners, yet it all fits together perfectly, for me this is how it should be, the charm is thus elevated to the nth degree.
It takes only a little to be won over by the sweet tunes of "Pitkät Jäähyväiset", the 70s come through during the listening for a feeling of total fulfillment, even during the intervention of the electric guitar that tries to give more bite to the song thanks to a riff bordering on Hard Prog, the keyboards complete the concept. "Perhonen" in turn recalls as many vicissitudes, Viima riding over well-defined and proven tunes. Closure falls to "Vuoren Rauha", seven full minutes of genre history opened by a breeze that plunges the listener into icy environments where only the sound of a piano can warm the soul.
"Väistyy Mielen Yö" in my opinion is a mature comeback that brings the band back to its rightful place, that of the top Nordic bands in the sector. MS