MR
BISON - Echoes From The Universe Heavy
Psych Sounds Genere:
Progressive Stoner Supporto: cd 2024
La
band toscana di Cecina Mr Bison ritorna all’attenzione del pubblico dopo
quattro anni da “Seaward”, inanellando il quinto album da studio. La mutazione
sonora cui si stanno prestando oggi è ancor più marcata rispetto il passato,
lasciando maggiore spazio a interventi di stampo Progressivo pur rimanendo
legati all’appendice Stoner Rock. I suoni sono quindi tendenzialmente robusti,
ma le coralità e gli effetti sostenuti fanno di questo sound una caratteristica
davvero personale nell’ambito. Immaginate
per alcuni momenti, con molta fantasia, di vedere impegnati gli Yes nel campo
Stoner, non tanto per la tecnica strumentale che non richiede grandi
elucubrazioni, tanto per le soluzioni vocali. Con “Echoes From The Universe” i
punti sonori sono piuttosto prossimi a band come King Crimson, Pink Floyd, e
Motorpsycho, mentre le tematiche si fondono in un concept riguardante la forte
volontà dell’individuo nel voler andare incontro al proprio destino forzando
gli eventi con il proprio libero arbitrio. La maturazione cui mi riferisco
riguarda soprattutto la capacità odierna di fondere il passato con il presente,
il tutto attraverso uno sguardo verso il futuro. Il quartetto è composto da Matteo
Barsacchi (chitarra, basso, synth), Matteo Sciocchetto (chitarra, basso, voce),
Lorenzo Salvadori (batteria), e Davide Salvadori (chitarra acustica, synth,
Hammond, Mellotron, basso). Sette
i brani che formano il concept per un totale di quaranta minuti di musica. I
cinque minuti di “The Child Of The Night Sky” sono rappresentativi per la
qualità sia sonora sia stilistica della band che sa manifestarsi coesa e
perfettamente oliata in tutti i propri reparti, tramite cambi di tempo e
numerosi effetti eco. La robustezza del suono è avvicendata da una scelta
melodica della composizione efficace tanto da rimanere facilmente impressa
nella memoria. “Collision” mostra a sorpresa un lato quasi
Folk dell’andamento sonoro, un riff massiccio presta il fianco alle buone
capacità vocali dei componenti, ma i giochi diventano seri nei sette minuti di
“Dead In The Eye”, sorniona con un incedere Pinkfloydiano prossimo a “Obscured
By Clouds” (Pink Floyd). Il crescendo sonoro funziona, facendo del pezzo un
alto gradino della scala “Echoes From The Universe”. L’inizio
di “Fragments” sposa la causa King Crimson grazie ad un arpeggio ripetuto di
chitarra elettrica, il pezzo è profondo, quello che posso definire
strumentalmente più impegnato rispetto quanto ascoltato sino ad ora, qui il
lato Prog è evidente. Suono di campana e sornioni movimenti introspettivi rende
“The Promise” un altro bel mix fra passato e presente per poi lanciarsi in un
pachidermico ritmo supportato da un muro sonoro elettrico che a metà del brano
muta in un sostenuto incedere psichedelico. Facile restare irretiti da “The
Veil”, ancora una volta la scelta dei motivi basilari orecchiabili porta a casa
il successo dell’intento. Il disco si conclude con “Staring At The Sun” qui
sono i Porcupine Tree a comparire durante l’inizio, ma l’andazzo muta
sostanzialmente intrecciando ritmiche e riff in una sorta di finale
pirotecnico, proprio come accade nei fuochi d’artificio. “Echoes
From The Universe” dei Mr Bison è un disco decisamente scorrevole, e nel suo
campo oserei dire anche elegante, a testimonianza che anche noi in Italia
possiamo dire onorevolmente la nostra su quest’argomento. Solo i miei complimenti. MS
Versione Inglese:
MR
BISON - Echoes From The Universe Heavy
Psych Sounds Genre:
Progressive Stoner Support:
cd 2024
Cecina's
Tuscan band Mr Bison returns to the public's attention after four years since
"Seaward", ringing out their fifth studio album. The sonic mutation
to which they are lending themselves today is even more pronounced than in the
past, leaving more room for Progressive-sounding interventions while remaining
tied to the Stoner Rock appendage. The sounds thus tend to be robust, but the
chorality and sustained effects make this sound a truly personal feature in the
field. Imagine
for a few moments, very imaginatively, seeing Yes engaged in the Stoner field,
not so much for the instrumental technique, which does not require great
lucubration, as for the vocal solutions. With "Echoes From The Universe",
the sonic points are rather close to bands such as King Crimson, Pink Floyd,
and Motorpsycho, while the themes coalesce into a concept concerning the strong
will of the individual in wanting to go to his own destiny by forcing events
with his own free will. The maturation I am referring to is mainly about
today's ability to merge the past with the present, all through a look toward
the future. The quartet consists of Matteo Barsacchi (guitar, bass, synth),
Matteo Sciocchetto (guitar, bass, vocals), Lorenzo Salvadori (drums), and
Davide Salvadori (acoustic guitar, synth, Hammond, Mellotron, bass). Seven
tracks make up the concept for a total of forty minutes of music. The
five minutes of "The Child Of The Night Sky" are representative for
both sonic and stylistic quality of the band that knows how to manifest itself
cohesive and perfectly oiled in all its departments through tempo changes and
numerous echo effects. The robustness of the sound is approached by a melodic
choice of composition effective enough to easily stick in the memory. "Collision" surprisingly shows an
almost Folk side of the sonic progression, a massive riff lending its side to
the good vocal abilities of the components, but the games get serious in the seven
minutes of "Dead In The Eye", sly with a Pinkfloydian procession
close to "Obscured By Clouds" (Pink Floyd). The sonic crescendo
works, making the piece a high rung on the "Echoes From The Universe"
ladder. The
beginning of "Fragments" espouses the King Crimson cause thanks to a
repeated electric guitar arpeggio, the piece is deep, what I can call
instrumentally more committed than what I have heard so far, here the Prog side
is evident. Bell sounds and sly introspective movements makes "The
Promise" another fine mix of past and present and then launches into a
pachydermic rhythm supported by an electric wall of sound that changes into a
sustained psychedelic procession halfway through the song. Easy
to be ensnared by "The Veil", once again the choice of basic catchy
motifs drives home the success of the intent. The record concludes with
"Staring At The Sun" here it is Porcupine Tree that appears during
the beginning, but the pacing changes substantially intertwining rhythms and
riffs in a kind of pyrotechnic finale, just as happens in fireworks. "Echoes
From The Universe" by Mr. Bison is a decidedly smooth record, and in its
field I dare say even elegant, proving that even we in Italy can honorably say
our piece on this subject. Only my compliments. MS
SEMIRAMIS - La Fine Non Esiste VM / BFT Genere: Rock Progressivo Italiano Supporto: cd / Digital – 2024
E’
proprio vero, la fine non esiste, la considerazione è comprovata dalla storica
band romana Semiramis, che dopo cinquanta anni dall’uscita del loro unico album
“Dedicato A Frazz” (Trident – 1973), prosegue il cammino sonoro da dove l’hanno
lasciato. Un
solo disco ma incastonato nell’albo dei grandi classici del Rock Progressivo
Italiano. Nonostante l’allora giovane età, la band capitanata da Paolo Faenza (batteria,
vibrafono) e dai fratelli Zarrillo, Michele e Maurizio, compone un Rock in
bilico fra lo sperimentale, il sound mediterraneo e il classico Prog
proveniente dai maestri inglesi. Quest’album è croce e delizia per i
collezionisti, poiché la prima stampa ha raggiunto costi davvero proibitivi,
per fortuna oggi con internet si ha la possibilità di ascoltare tutto o
reperire ristampe a prezzi decisamente abbordabili. Nel
2013 a sorpresa i Semiramis si ritrovano, e nel 2017 registrano “Frazz Live”,
un fulmine a ciel sereno che lascia presagire una ritrovata vena artistica che
potrebbe sfociare in voglia di comporre nuovo materiale. La certezza non c’è,
tanto è vero che passano ben sei anni dopo la momentanea illusione, ma per
nostra fortuna la riunione risulta essere galeotta. Muta
tuttavia la formazione, sempre con Faenza in cattedra supportato da ottimi
artisti del circuito Progressivo romano come Ivo Mileto (basso), Emanuele Barco
(chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche), Giovanni Barco (voce),
e Daniele Sorrenti (tastiere, organi, synth, flauto). “Dedicato
A Frazz” è un concept album, “La Fine Non Esiste” ci va vicino, perché
l’argomento è unico riguardante la possibilità di osare, l’andare oltre la
normalità, ma nei sei brani che compongono il disco i personaggi e le storie
sono differenti fra loro. Un messaggio positivo che ci spinge a dare sempre il
meglio di noi stessi e oltre. L’opera
in questione è cantata in italiano e si apre con “In Quel Secondo Regno”
dall’incedere Hard Prog solo in apparenza, perché in breve successione si
denotano accenni di Gentle Giant e Orme. Buona è la prova vocale di Barco,
altresì non si può rimanere indifferenti dinanzi all’assolo della chitarra
elettrica. Un pezzo che da solo racconta un decennio di stile sonoro, e lo fa
con visione moderna, in un perfetto equilibrio fra passato e presente. “Cacciatore
Di Ansie” attraverso il suono del pianoforte, apre ad arie dall’ampio respiro,
la tecnica dei componenti si pone in vetrina grazie a cambi umorali, comunque
attenta a non perdersi in inutili elucubrazioni. Narrazione e parti cantate
impreziosiscono le melodie. Il finale sfocia nel Neo Prog stile IQ. Una
dolce aria di tastiere inizia “Donna Dalle Ali D’Acciaio” per poi inoltrarsi
nella formula canzone semplice e immediata. Tanti anni ’70 e sentieri adiacenti
ai Pooh nella memoria di chi ascolta. Segue “Non Chiedere A Un Dio”, un mix
sonoro denso di magia, con assolo altisonante di chitarra elettrica e
l’immancabile cambio di tempo. Con
“Tenda Rossa” i tempi dispari si susseguono come da copione Prog, un percorso
stilistico dalla spiccata personalità da godere obbligatoriamente ad alto
volume. Il
pezzo maggiormente articolato giunge nel finale, “Sua Maestà Il Cuore” è semplicemente
un fuoco d’artificio. Questo,
signore e signori, è l’immortale Progressive Rock Italiano, la fine non esiste
e non ci sarà mai fino a che esisteranno artisti come i Semiramis. Ai giovani
intraprendenti di oggi, consiglio di prendere in mano questo testimone:
innamoratevi del volersi bene. MS
Versione Inglese:
SEMIRAMIS – La Fine Non Esiste VM / BFT Genre: Italian Progressive Rock Support: cd / Digital - 2024
It's really true, the end does not exist, the
consideration is proven by the historic Roman band Semiramis, which after fifty
years since the release of their only album "Dedicato A Frazz"
(Trident - 1973), continues the sonic journey from where they left off. A single record but set in the roll of the great
classics of Italian Progressive Rock. In spite of their then young age, the
band led by Paolo Faenza (drums, vibraphone) and the Zarrillo brothers, Michele
and Maurizio, composes Rock poised between experimental, Mediterranean sound
and classic Prog coming from the English masters. This album is a cross and
delight for collectors, as the first pressing reached really prohibitive costs,
luckily today with the Internet you have the possibility to listen to
everything or find reissues at definitely affordable prices. In 2013, surprisingly, Semiramis found themselves
again, and in 2017 they recorded "Frazz Live", a bolt from the blue
that hinted at a newfound artistic vein that could result in a desire to compose
new material. The certainty is not there, so much so that a good six years pass
after the momentary illusion, but fortunately for us, the reunion turns out to
be galeactic. However, the lineup changes, still with Faenza in the
chair supported by excellent artists from the Roman Progressive circuit such as
Ivo Mileto (bass), Emanuele Barco (electric guitars), Marco Palma (acoustic
guitars), Giovanni Barco (vocals), and Daniele Sorrenti (keyboards, organs,
synth, flute). "Dedicato A Frazz" is a concept album,
"La Fine Non Esiste" comes close, because the topic is unique
concerning the possibility of daring, of going beyond normality, but in the six
tracks that make up the album the characters and stories are different from
each other. A positive message that urges us to always give our best and
beyond. The work in question is sung in Italian and opens with
"In Quel Secondo Regno" with a Hard Prog procession only in appearance,
because in short succession hints of Gentle Giant and Orme are denoted. Good is
Barco's vocal test, likewise one cannot remain indifferent before the electric
guitar solo. A piece that alone tells a decade of sonic style, and does so with
modern vision, in a perfect balance between past and present. "Cacciatore Di Ansie" through the sound of
the piano, opens to wide-ranging tunes, the technique of the components is
showcased through mood changes, however careful not to get lost in unnecessary
lucubration. Narration and singing parts embellish the melodies. The finale
blurs into IQ-style Neo Prog. A sweet air of keyboards begins "Donna Dalle Ali
D'Acciaio" and then moves forward into the simple and immediate song
formula. Lots of 70s and Pooh-adjacent paths in the listener's memory. This is
followed by "Non Chiedere A Un Dio”, a sonic mix thick with magic, with
soaring electric guitar solo and the ever-present tempo change. With "Tenda Rossa”, odd times follow one another
as per the Prog script, a stylistic journey with a distinct personality to be
enjoyed compulsorily at high volume. The most articulate piece comes in the finale, "Sua
Maestà Il Cuore" is simply a firework. This, ladies and gentlemen, is the immortal Italian
Progressive Rock, the end does not exist and never will as long as artists like
Semiramis exist. To the enterprising young people of today, I advise them to
take up this baton: fall in love with loving each other. MS
K.A.B. - Pause Reflect Autoproduzione Genere: Post Prog Moderno Supporto: cd /digital – 2023
Probabilmente
certa musica non prende campo come dovrebbe perché va a toccare corde
dell’animo in cui ci sentiamo fragili. Non c’è nulla che spaventa di più che guardarsi
dentro e scoprire veramente chi siamo. L’egoismo fa parte del genere umano e
questo riesce a tamponare molte delle pecche del nostro carattere che non
vogliamo vedere, mascherando il nostro vero io. Anche l’essere aggressivo è un’arma
di distrazione dell’animo, attaccare per primo per paura di essere attaccati.
Certe argomentazioni non hanno mai fine, diverse volte approfondite da saggi,
oppure dalla musica stessa, quella per la mente. L’introspezione porta spesso a
sonorità eteree ma anche rudi, secondo il concetto che si vuole esprimere,
resta il fatto che alcuni passaggi si fissano nella storia della musica, così
come hanno fatto certe band come ad esempio i Pink Floyd o i più recenti
Porcupine Tree. Il
viaggio dentro di noi è dunque un argomento molto trattato dai musicisti ma
allo stesso tempo arma a doppio taglio in quanto oggi il pubblico quando
ascolta musica non vuole pensare troppo, piuttosto distrarsi. Ma
quando si ha l’intenzione di affrontare questo percorso sonoro, possono
scaturire piacevolissime sorprese, com’è capitato a me con il debutto di Kevin
Button proveniente da Coventry. Ho scoperto un artista malinconico, visionario,
ma soprattutto anticonformista grazie al progetto K.A.B. in cui suona tutti gli
strumenti. Assieme a lui partecipano anche Tibz Adeniyi (cori), Rowan Aldridge
(basso), Cherise Cheney (cori), James Cheney (chitarre, cori), Ellie Gibson
(cori), John Griffiths (batteria), Joel Julian (cori, chitarra), Joshua
*Falconer* Manley (cori, voce narrante), Nicola Nicholson (tastiere, archi), Rich
Taylor (cori, voce narrante) e Sheridan White (cori). In
questo debutto formato da otto canzoni, Button incanala i suoi pensieri e le
contemplazioni attraverso una fusione d’influenze che variano da artisti del
calibro di Biffy Clyro, Steven Wilson, ai Metallica, creando un bellissimo mix che
offre una riflessione esteticamente gradevole sulle complessità della vita. “Pause
/ Reflect / Transform” parte in un imbuto di suoni penetranti quanto sospesi,
per addentrare l’ascoltatore in uno stato d’animo adeguato al contesto. Voce,
echi, note sostenute, arpeggi alla Porcupine Tree lasciano anche il campo a una
chitarra elettrica dal sound tipicamente Gilmouriano (Pink Floyd) anni ’70.
Coralità e suoni Hard seguono per un crescendo emotivo a condurre in quel limbo
mentale costruito sulla suddetta fragilità. “Break
These Chains” è più canzone, quasi un sospiro di sollievo per aver intravisto
uno spiraglio di sole, ma le nuvole sono sempre nei dintorni. Rock alternativo
di grande impatto in "Hypocrites", movimento che sfida i giudizi
sociali, una ribellione al sistema oppressivo che ci rende mentalmente
castrati. In
“The Prisoners Voyage” ci si addentra nel mondo psichedelico, dieci minuti che
fanno del brano uno dei passaggi più interessanti dell’intero album. L’ascolto
prosegue fluido e senza punti di stanca. “Pause
Reflect” è un disco coraggioso ma soprattutto solido che farà sicuramente la
gioia degli appassionati di questo nuovo genere denominato Post Prog Moderno.
MS
Versione Inglese:
K.A.B. - Pause Reflect Self-production Genre: Modern Post Prog Support: cd /digital - 2023
Probably some music does not take the field as it
should because it goes to touch soul strings where we feel fragile. There is
nothing more frightening than looking inside and truly discovering who we are.
Selfishness is part of humankind, and this manages to buffer many of the flaws
in our character that we don't want to see, masking our true selves. Being
aggressive is also a weapon of distraction of the soul, attacking first for
fear of being attacked. Certain arguments never end, several times deepened by
essays, or by music itself, that for the mind. Introspection often leads to
ethereal but also rough sounds, depending on the concept one wants to express,
the fact remains that some passages become fixed in the history of music, as
did certain bands such as Pink Floyd or the more recent Porcupine Tree. Thus, the journey within ourselves is a subject much
dealt with by musicians but at the same time a double-edged sword in that today
the audience when listening to music does not want to think too much, rather to
be distracted. But when one has the intention to tackle this sonic
path, very pleasant surprises can result, as happened to me with the debut of
Kevin Button from Coventry. I discovered a melancholic, visionary, but above
all nonconformist artist thanks to the K.A.B. project in which he plays all the
instruments. Also participating with him are Tibz Adeniyi (backing vocals),
Rowan Aldridge (bass), Cherise Cheney (backing vocals), James Cheney (guitars,
backing vocals), Ellie Gibson (backing vocals), John Griffiths (drums), Joel
Julian (backing vocals, guitar), Joshua *Falconer* Manley (backing vocals,
narrator), Nicola Nicholson (keyboards, strings), Rich Taylor (backing vocals,
narrator) and Sheridan White (backing vocals). In this eight-song debut, Button channels his thoughts
and contemplations through a fusion of influences ranging from the likes of
Biffy Clyro, Steven Wilson, to Metallica, creating a beautiful mix that offers
an aesthetically pleasing reflection on the complexities of life. "Pause / Reflect / Transform" starts off in
a funnel of sounds that are as piercing as they are suspenseful, to ease the
listener into a mood appropriate to the context. Vocals, echoes, sustained
notes, and Porcupine Tree-esque arpeggios also give way to a typically
Gilmourian (Pink Floyd) 1970s-sounding electric guitar. Chorality and Hard
sounds follow for an emotional crescendo to lead into that mental limbo built on
the aforementioned fragility. "Break These Chains" is more song, almost a
sigh of relief at a glimmer of sunshine, but the clouds are always around.
Hard-hitting alternative rock in "Hypocrites", a movement that
challenges social judgments, a rebellion against the oppressive system that
makes us mentally castrated. In "The Prisoners Voyage" we enter the
psychedelic world, ten minutes that make the track one of the most interesting
passages on the entire album. The listening continues smoothly and without any
tired points. "Pause Reflect" is a brave but above all
solid record that will surely delight fans of this new genre called Modern Post
Prog. MS
La
Storia dell'Heavy Metal non può fare a meno di menzionare fra i propri
capisaldi i Queensryche. Cinque
ragazzi di Seattle, che rispondono al nome di Geoff Tate (voce), Eddie Jackson
(basso), Chris De Garmo (chitarra), Michael Witton (chitarra) e Scott
Rockenfield (batteria), danno vita a questo ambizioso progetto che andrà a
sfidare le dure leggi dell'Heavy Metal. Amanti della sperimentazione, hanno
saputo evolversi anno dopo anno sfidando la pazienza stessa dei propri fans.
Sempre attenti ai problemi sociali e politici i nostri si avvicinano ad un
certo Metal che non esiteremo definire celebrale. “Operation: Mindcrime”
rispecchia in pieno questo concetto con forti riferimenti alla società moderna
e posizioni polemiche nei confronti di chi gestisce il potere, CIA, media e
quant'altro.
Ma
facciamo un passo indietro e cominciamo dagli esordi datati 1983, con un look
improbabile i Queensryche esordiscono producendo il mini-lp “Queensryche”
uscito su etichetta EMI, esso deve molto al suono dei maestri Iron Maiden che,
mai come in questo periodo, spopolano fra i fans del genere. Questo piccolo
capolavoro contiene perle quali “Queen Of The Reich”, loro cavallo di battaglia
e brano di punta per lungo tempo, e la dolce “The Lady Wore Black”. Da questo
mini LP si estraggono due video, “Queen Of The Reich” e “Prophecy”. Il brano è
molto bello, Heavy Metal al 100% con i sostenuti acuti di Geoff in evidenza, ma
il video con il look pacchiano del gruppo ancora oggi lascia molto a
desiderare, si denota molta inesperienza. “Queen Of The Reich” gira in diverse
compilation come ad esempio in “Metal Power” (EMI-1985) e persino nella video
compilation “Kerrang”. Questo mini LP li promuove a "Band dell'anno"
e il successivo Lp “The Warning” (EMI),
disco dal grande contenuto compositivo,
li conferma. La produzione è buona, sopra i livelli medi del periodo, e canzoni
come “Take Hold Of The Flame” fanno scorrere più di un brivido sulla pelle.
Merito sia dell’immensa ugola del cantante ma pure del songwriting decisamente
superlativo. Giusto dosaggio fra melodie intrise di arpeggi chitarristici e
pezzi Metal tecnicamente perfetti. Incominciano nello stesso periodo le tournée
importanti come in Giappone nel quale i nostri girano il video “Live In Tokyo”
(1985), edito dalla EMI.
Nel
1986 avviene la prima svolta stilistica, è l'anno di “Rage For Order” (EMI).
Coraggiosamente i Queensryche mettono a dura prova l'amore dei fans nei propri
confronti avvicinandosi ad un sound molto più ricercato, in molti brani si
palesa anche l’elettronica. In questo disco quindi apprezziamo con piacere il
mutamento stilistico con sprazzi di campionature e tanto di tastiere. Anche il
look si modifica, lasciando i soliti indumenti in pelle per qualcosa di più
stravagante e una ricerca di acconciatura molto più intrigante. Siamo al
limite del Glamour. I testi parlano di un futuro prossimo con tonalità
pessimistiche. Malgrado il cambiamento, lo stile Queensryche resta comunque
riconoscibile, basta ascoltare “Walk In The Shadows” e la dolcissima “I Will
Remember”, una canzone ruffiana, ma non abbastanza da permettere ai nostri di
andare in qualche classifica importante come accade ad esempio agli Scorpions. La
parte più sperimentale è rappresentata dai brani “Gonna Get Close To You” e
“Neue Regel”. La critica di allora accoglie questo disco più che positivamente,
ma le vendite non sono immediatamente buone, sarà con il tempo che “Rage For
Order” conquisterà il successo che giustamente si merita. Nessun disco metal,
nemmeno di oggi, gode della sua freschezza tanto da renderlo attuale
all’ascolto ancora per parecchio tempo a venire.
Una
nuova sterzata stilistica arriva immediatamente l'anno successivo, nel 1988 con
il "The Wall" dell'Heavy Metal ossia il già citato “Operation:
Mindcrime” (EMI).
Certamente questo è il disco più importante della loro
carriera, quello della consacrazione definitiva. Il look ritorna in pelle ed i
Queensryche mettono in chiaro il fatto che loro non prendono consigli da
nessuno, né dai fans, tantomeno dalle case discografiche, fanno ciò che
sentono al momento, contro ogni moda e basta. Di questo lavoro uscirà pure una
versione live con tanto di VHS e cofanetto con foto, il tutto sotto il nome di
“Operation: Livecrime”. I testi si schierano contro tutto ciò che è regime e
controllo mentale (droghe, media ,alcool ed altro), sono forti e mirati.
Immediatamente canzoni come “Revolution Calling”, “Operation: Mindcrime” ed
“Eyes Of A Stranger” diventano dei veri e propri inni. Ma questo concept in se
nasconde un vero e proprio gioiello dal titolo “Suite Sister Mary”, struggente
canzone cantata in coppia con la brava Pamela Moore. Nella versione live in VHS
possiamo godere pure delle interpretazioni al limite del recitato del bravo
Geoff ma soprattutto delle immagini di sfondo che impreziosiscono tutto il
concerto. Questo resta il punto massimo mai più raggiunto della creatività dei
cinque ragazzi di Seattle.
Difficile
bissare l'ispirazione che riempie “Operation: Mindcrime” ma la cosa riesce
parzialmente con l'ottimo ”Empire” (EMI - 1990).
Il suono si addolcisce ed i
brani diventano più commerciali, malgrado tutto il doppio lp straborda di gemme
emotive come le dolcissime “Silent Lucidity” e “Anybody Listening? “. Il tutto
gode di una ottima produzione che eleva alla massima potenza l'energia
trasmessa dai nostri. Bella pure ”Best I Can”. Le date dal vivo confermano la
buona riuscita di “Empire” con un ottimo riscontro di pubblico, ma la verità è
che i nostri sono costretti a suonare sempre dei pezzi da “Operation:
Mindcrime”, il che la dice lunga.
Dopo
una meritato periodo di riposo è la volta di “Promised Land” (Emi),
che esce
nel 1994. Questo, secondo il sottoscritto, rappresenta purtroppo il capolinea
del gruppo. Le atmosfere si intristiscono, brani più lenti e la meravigliosa
“Someone Else?” (piano e voce) conclude non solo il CD, ma pure la loro fervida
ispirazione futura. I difficili rapporti del chitarrista Chris DeGarmo con il
padre si ripercuotono nel bel brano “Bridge”. Il disco è godibile nell’interezza,
“Damaged”, “Out Of Mind”, “Lady Jane” e “One More Time” lo dimostrano. In
alcuni tratti si cerca di ripercorrere quei sentieri futuristici e sperimentali
di “Rage For Order”, come nei pezzi “I Am I” e “Dis Con Nec Ted” e, devo
ammettere, pure con buoni risultati. La copertina del cd è molto bella, si apre
e diventa un grande poster rappresentante un gigantesco Totem di legno che si
staglia in uno squallido acquitrino, dallo sfondo apocalittico, con a monte il
logo del gruppo. Al suo interno invece, oltre che ad un volto calvo di un uomo
con un chiodo infilzato in fronte, troviamo i testi di tutti i brani. E’
evidente che la frivolezza non è di casa Queensryche.
E’
il 1997 e sotto la supervisione del produttore Peter Collins esce “Hear In The
Now Frontier”.
Disco che lascia allibiti tutti, dalla critica ai fans. C’è poi
da dire che questi ultimi sono i più disposti alle nuove soluzioni, visto
l’evolversi sonoro dei nostri, ma quando è troppo…. Influenze Grunge possiedono
i Queensryche.
Il
discorso cambia invece per chi li ascolta per la prima volta, il prodotto è ben
curato ed i brani sono accattivanti, ma dove sono finiti i meravigliosi acuti
di Tate? Per il vecchio ascoltatore è una vera e propria tortura. Ma che
tristezza, loro che hanno fatto da musa ai futuri gruppi Metal e non, si sono
fatti influenzare a loro volta da un genere che in fin dei conti non ha nulla
di nuovo da elargire. Le composizioni sono firmate soprattutto dal chitarrista
DeGarmo, il quale dopo questa ultima esperienza decide di lasciare il gruppo
per dare spazio a Kally Gray. Il motivo dello split è dovuto, secondo lui,
dall’evolversi del nuovo solo-project e dalla volontà di restare più vicino
alla famiglia. Ritorna poi nei ranghi nel 2003 per l’uscita di “Tribe”. Questa
volta serve un vero e proprio periodo di riflessione, nel frattempo esce il
“Greatest Hits” (1999 - EMI), con i brani veramente più belli della loro lunga
carriera, assolutamente da avere! Dopo la meditazione giungono alla conclusione
che il loro tracciato stilistico non è mai stato influenzato da nessuno che sia
esterno al gruppo (dicono loro) e così è la volta del successivo “Q2k” (EMI
1999). A nulla sembra servita la dipartita di DeGarmo, malgrado questo disco
sia stato prodotto benissimo e sia colmo di buona musica, viene sempre più
influenzato dal ciclone Grunge, che sembra assoggettare tutta Seattle. Con
rammarico notiamo che la voce meravigliosa di Tate è letteralmente affievolita! La
carriera prosegue fra alti e bassi, compresa l’edizione di una seconda parte di
“Operation: Mindcrime” intitolata “Operation: Mindcrime II” (2006 - Rhino Records) e a seguire : “Take Cover” (2007 - Rhino Records) “Mindcrime At The Moore” (2007 – Rhino Records) “American Soldier” (2009 – Rhino Records) “Dedicated To Chaos” (2011 - Roadrunner Records) “Queensrÿche” (2013 – Century Media) “Condition Hüman” (2015 – Century Media) “The
Verdict” (2019 – Century Media) Ma
il Metal Progressive elargito nella prima fase della loro carriera resta il più
importante. Punto di riferimento per band a venire, compresi i Dream Theater che
sono nominati da molti critici i cosiddetti padri del genere, quando invece i Queensryche
hanno insegnato molto ed ancor prima di loro i canadesi Rush. Ascoltare per credere.
JAMES NETTERWALD – Decade Decoded Autoproduzione Genere: Indie Rock – Folk Supporto: cd / Tunecore.com - 2023
Questa
volta Nonsolo Progrock si occupa di una recensione particolare, dove la musica
(qualunque essa sia) diventa una valvola di sfogo per il corpo e per l’anima.
Chiaramente questo è un fattore comune per tutti gli artisti, ma ci sono casi
in cui la passione diventa un vero scopo di vita. Il
caso di James Netterwald è emblematico. L’artista autodidatta è di Hazlet, NJ
negli Stati Uniti. Da più di trent’anni scrive canzoni in modo davvero
personale e le registra a casa, il tutto autofinanziandosi. Il Rock trattato
spazia dagli anni ’60 ai ’90, sino a sfiorare il Grunge. James
nei testi tratta le problematiche che ha dovuto affrontare nella vita,
soprattutto il bipolarismo che l’ha colpito, oltre citare hobby e interessi
vari. Ecco
la musica come forma di terapia, la volontà di mettersi in gioco per le idee,
la voglia di essere vivi, capiti e apprezzati. “Decade
Decoded” è il debutto ufficiale in cd ed è composto di otto canzoni. “I
Don't Even Wanna Know” è il singolo che apre il disco, molto orecchiabile per
melodie. Essendo autodidatta, James si avvale del pc e quindi la ritmica
risulta minimale, senza molti fronzoli. La chitarra elettrica è robusta e
scarica energia al brano. Il suono non è curato per i limiti sopra citati, ma
quello che conta è la sostanza, la voglia di uscire con un proprio concetto. D’idee
ce ne sono, come nella solare “1999 (defenseless)”, dove la voce viene filtrata
da un vocoder. Di base si possono sentire i Beatles come riferimento, ma anche
il sound più moderno di artisti come i Blackfield, “Another Gloomy Bayonne Day”
ne è prova. Netterwald
mette se stesso nei brani e mostra anche una buona cultura sugli ascolti, un
bagaglio storico messo in pratica nelle composizioni. Semplice e diretta “It
Started Off With This Car”, peccato solo per il cantato non sempre all’altezza,
ma nel complesso gradevole. Un velo di nostalgia aleggia nella dolce “Invisible
To You”, canzone fra le più riuscite del disco con suoni di tastiera a simulare
i fiati di una tromba, qui il Folk è più presente. “Confusion”
si apre con un suono di piano e una ritmica più impegnata, questa volta sono
gli anni ’90 a fare capolino, quando gli Oasis hanno intrapreso sentieri
calpestati dai Fab Four. Giocosa “Dear Therapist”, arricchita da coralità
aggiunte oltre che dall’effetto voice decoded. Di
altra materia è composta “Seeds Of Self Doubt”, canzone decisamente matura e
introspettiva, anche nel cantato, questa volta bene effettuato. In
chiusura un’armonica fa respirare atmosfere fra Folk e Southern Rock in “Voluntary
Hostage”. James
Netterwald si è messo in gioco, senza se e senza ma, una passione che spero
possa a lui portare benessere e soddisfazioni. L’artista
promuove la propria musica in modo indipendente presentando le sue canzoni alle
stazioni radio universitarie di tutto il mondo e alle stazioni indipendenti
come radiodowntown.ca. MS
Versione Inglese:
JAMES NETTERWALD - Decade Decoded Self-publishing Genre: Indie Rock - Folk Support: cd / Tunecore.com - 2023
This time Nonsolo Progrock deals with a particular
review, where music (whatever it is) becomes an outlet for body and soul.
Clearly this is a common factor for all artists, but there are cases where
passion becomes a real life purpose. The case of James Netterwald is emblematic. The
self-taught artist is from Hazlet, NJ in the United States. For more than 30
years he has been writing songs in a truly personal way and recording them at
home, all self-financed. The Rock covered ranges from the 60s to the 90s, even
touching on Grunge. James in the lyrics deals with the issues he has had
to face in life, especially the bipolarism that affected him, as well as
mentioning hobbies and various interests. Here is music as a form of therapy, a willingness to
put oneself out there for ideas, a desire to be alive, understood and
appreciated. "Decade Decoded" is the official CD debut
and consists of eight songs. "I Don't Even Wanna Know" is the single that
opens the record, very catchy in melodies. Being self-taught, James makes use
of the pc and so the rhythmic arrangement comes across as minimal, without many
frills. The electric guitar is robust and drains energy to the track. The sound
is not polished because of the limitations mentioned above, but what matters is
the substance, the desire to come out with a concept of one's own. Of ideas there are, as in the sunny "1999
(defenseless)", where the vocals are filtered by a vocoder. Basically one
can hear the Beatles as a reference, but also the more modern sound of artists
such as Blackfield, "Another Gloomy Bayonne Day" is proof. Netterwald puts himself into the songs and also shows
a good culture about listening, a historical background put into practice in
the compositions. Simple and straightforward "It Started Off With This Car",
a pity only for the singing that is not always up to par, but overall
enjoyable. A veil of nostalgia hovers in the sweet "Invisible To
You", one of the most successful songs on the disc with keyboard sounds
simulating the horns of a trumpet, here the Folk is more present. "Confusion" opens with a more committed
piano sound and rhythm, this time it is the 1990s that peeps out, when Oasis
took paths trodden by the Fab Four. Playful "Dear Therapist",
enhanced by added chorality as well as the decoded voice effect. Of a different matter is "Seeds Of Self Doubt",
a decidedly mature and introspective song, even in the singing, this time well
effected. In closing a harmonica makes atmospheres between Folk
and Southern Rock breathe in "Voluntary Hostage". James Netterwald has put himself out there, no ifs or
buts, a passion that I hope will bring him prosperity and satisfaction. The artist promotes his music independently by
submitting his songs to college radio stations around the world and independent
stations such as radiodowntown.ca. MS
CALIGULA’S
HORSE - Charcoal Grace Inside
Out Genere: Metal Progressive Supporto: CD / Vinile – 2024
L’Australia
è un paese davvero particolare per ciò che concerne la natura, il distaccamento
dalla Pangea primordiale l’ha portata a essere ricca di varietà animale con
vegetazioni del tutto esclusive. Bene sa chi prende l’aereo per raggiungere il
continente cosa accade all’aeroporto nel controllo dei bagagli, nulla deve
contaminare questa terra, l’ecosistema è salvaguardato al massimo. La
popolazione di conseguenza ha una personalità ben definita, tuttavia stranamente
nella musica e precisamente quella Rock, l’Australia è generalmente un mix
d’influenze che proviene da tutto il pianeta, e questo è un fatto che cozza con
la loro natura or ora descritta. Il fatto mi resta sconosciuto, anche se
esistono realtà importanti come AC/DC o Wolfmother per fare solo due nomi, ma
se andiamo ad analizzare sono dedite a influenze sonore sia anglosassoni che
americane. Se
entriamo in un settore ancor più di nicchia, come per esempio il Metal
Progressive, il discorso è analogo, un nome importante è quello dei Caligula’s
Horse, anche se famoso più in patria che all’estero. Anche in questo caso la
musica è ottima, ma ritorno a dire che è un insieme di contaminazioni, alcuni
suoni che potrete estrapolare dall’ascolto derivano da gruppi come Devin
Townsend, Pain Of Salvation, Opeth, Meshuggah, Porcupine Tree, Steve Vai,
Frost, Periphery, Karnivool, Muse, Steely Dan, The Beatles, e Frank Zappa. Questo
mix incredibile comunque sia porta a un risultato davvero personale, anche
perché i quattro ragazzi che compongono la band, ossia Jim Grey (voce), Sam
Vallen (chitarra, voce), Dale Prinsse (basso, voce), e Josh Griffin (batteria),
sono in possesso di una buona tecnica strumentale. La
band si forma a Brisbane nel 2011, e “Charcoal Grace” è il sesto lavoro in studio
senza considerare gli EP. Il nome che si sono dati, tradotto in italiano è Il
Cavallo Di Caligola, e sappiamo bene che l’antico imperatore romano fece senatore
il proprio equino. Lui sicuramente un pazzo, ma il cavallo in realtà non
c’entra nulla, e ciò rispecchia un poco quello che propongono nelle
composizioni, ossia un velo di follia ma tenuta sotto controllo dalla
razionalità delle cose. I
dieci minuti di “The World Breathes With Me” sono esplicativi su quanto detto,
il brano è davvero ben strutturato, curato negli arrangiamenti, cantato a
dovere e soprattutto suonato alla perfezione. Il fans del genere sicuramente
apprezzerà oltremodo, ma anche chi ascolta i Porcupine Tree troverà analogie
con la band di Wilson. L’incisione sonora è pulita, tanto da distinguere
perfettamente le strumentazioni e dona loro anche differenti profondità. A chi
non ama le distorsioni eccessive, qui posso assicurargli di buttarci un
orecchio, non sono troppo invasive, viceversa numerosi sono i cambi di tempo e
d’umore, in parole povere più Prog che Metal. Soen
style risulta “Golem”, maggiormente diretta di chi l’ha preceduta, ma mai
scontata. Segue una suite suddivisa in quattro parti, “Charcoal Grace”, da fare
ascoltare a chi non conosce minimamente il significato di Metal Progressive.
L’inizio alla Neal Morse Band lascia campo a un insieme di sonorità a tratti
anche distanti fra di loro, per un insieme mai noioso tanto da far sembrare
venti minuti abbondanti di musica quasi cinque. Non
manca neppure un lento dalla facile presa, costruito su un buon gioco di voci,
questo s’intitola “Sails”. Sofisticata “The Stormchaser”, mentre la conclusiva
“Mute” mette in chiaro chi comanda oggi il Progressive Metal in Australia. “Charcoal
Grace” è un disco eccellente, un esempio di cultura totale nel settore musicale
riversato in note. Da avere. MS
Versione Inglese:
CALIGULA'S HORSE - Charcoal Grace Inside Out Genre: Progressive Metal Support: CD / Vinyl - 2024
Australia is a very peculiar country as far as nature
is concerned, the detachment from the primordial Pangaea has led it to be rich
in animal variety with completely unique vegetations. Well knows who takes the
plane to reach the continent what happens at the airport in baggage control,
nothing must contaminate this land, the ecosystem is safeguarded to the
maximum. The population as a result has a well-defined personality, however
strangely in music and precisely Rock music, Australia is generally a mix of
influences that comes from all over the planet, and this is a fact that clashes
with their nature now described. The fact remains unknown to me, although there
are important realities such as AC/DC or Wolfmother to name just two, but if we
go to analyze they are devoted to both Anglo-Saxon and American sound
influences. If we go into an even more niche area, such as
Progressive Metal for example, the discourse is similar, an important name
being Caligula's Horse, although famous more at home than abroad. Again, the
music is excellent, but I return to say that it is a mixture of contaminations,
some of the sounds you can extrapolate from listening to it are derived from
bands such as Devin Townsend, Pain Of Salvation, Opeth, Meshuggah, Porcupine
Tree, Steve Vai, Frost, Periphery, Karnivool, Muse, Steely Dan, The Beatles,
and Frank Zappa. This incredible mix however it may be leads to a truly
personal result, not least because the four guys who make up the band, namely
Jim Grey (vocals), Sam Vallen (guitar, vocals), Dale Prinsse (bass, vocals),
and Josh Griffin (drums), possess good instrumental technique. The band formed in Brisbane in 2011, and
"Charcoal Grace" is their sixth studio work not including EPs. The
name they have given themselves, translated into Italian is Il Cavallo Di
Caligola, and we know well that the ancient Roman emperor made his own equine
senator. He certainly a madman, but the horse actually has nothing to do with
it, and this reflects a little of what they propose in the compositions, which
is a veil of madness but kept in check by the rationality of things. The ten minutes of "The World Breathes With Me" are
explanatory on what has been said, the song is really well structured, cared
for in the arrangements, sung properly and above all played to perfection. Fans
of the genre will surely appreciate it beyond measure, but even those who
listen to Porcupine Tree will find similarities with Wilson's band. The sound
recording is clean enough to distinguish the instrumentations perfectly and
also gives them different depths. To those who do not like excessive
distortion, here I can assure them to throw an ear to it, they are not too
invasive, conversely numerous are the tempo and mood changes, in simple words
more Prog than Metal. Soen style turns out "Golem", more direct
than its predecessors, but never predictable. This is followed by a four-part
suite, "Charcoal Grace," which should be given a listen by those who
are completely unfamiliar with the meaning of Progressive Metal. The Neal Morse
Band-esque beginning gives way to a set of sounds that are at times even
distant from each other, making for an ensemble that is never boring enough to
make twenty-plus minutes of music seem almost five. There is also no shortage of an easy-grip slow song
built on good vocal playing, this one titled "Sails". Sophisticated
"The Stormchaser", while the concluding "Mute" makes it
clear who is in charge of Progressive Metal in Australia today. "Charcoal Grace" is an excellent record, an
example of total culture in the music industry poured into notes. Must have. MS
VIIMA - Väistyy Mielen Yö Autoproduzione Genere: Prog Folk Supporto: cd – digital – 2024
Ho
sempre nutrito stima nei confronti del Rock Progressivo proveniente dai paesi
nordici, anche della Finlandia, questo perché lo stile è ben definito,
generalmente supportato da numerose tastiere e tanti anni ’70, il tutto
amalgamato dall’inconfondibile suono velato di malinconia prettamente relegato
alla loro cultura. Facile innamorarsi dei numerosissimi cambi di tempo e
d’umore che trapelano da ogni brano, L’ho apprezzato in band come Tasavallan
Presidentti, Kalevala, Pharaoh Overlord, Wigwam, Orne, Overhead, solo per fare
alcuni nomi importanti e fra loro ci metto anche i Viima. La
band di Helsinki, poi trasferitasi a Turku nel 1997, ha nel proprio DNA il
Folk, e iniziano a suonare brani di band come Pentangle, Curved Air, ma
soprattutto Jethro Tull, tanto da prendere il nome iniziale di Lost Spectacles,
estrapolato dalla famosa canzone "The Hare Who Los His Spectacles"
dall'album “A Passion Play”. Come moltissimi artisti, iniziano a provare negli
scantinati e altresì vanno incontro a numerosi cambi di formazione. Rilasciano nel
tempo due album apprezzati dalla critica di settore, “Ajatuksia Maailman
Laidalta” (Viima Records – 2006) e “Kahden Kuun Sirpit” (Viima Records – 2009),
a seguire un gran numero di date live. Passano moltissimi anni prima di poterli
riascoltare in un lavoro da studio con nuovi elementi, finalmente questo accade
oggi grazie a “Väistyy Mielen Yö”. Ora la band è formata da Hannu Hiltula (flauto,
tastiere, voce), Mikko Uusi-Oukari (chitarre, Mellotron), Mikko Väärälä
(batteria, voce, tastiere, carillon), Aapo Honkanen (basso) e Risto Pahlama
(voce, tastiere Mellotron) e vede la collaborazione dell’ospite ex del gruppo
Kimmo Lähteenmäki (tastiere, fiati). Chi
ama il Mellotron qui ha di che ascoltare, ma anche Hammond e molto altro
ancora. L’inizio affidato a “Tyttö Trapetsilla”, ha molto dello stile Landberk,
la differenza tuttavia deriva dal flauto. Il Folk è già presente ma anche
sonorità maggiormente Rock alternate a fasi stranamente allegre oltre ad un
vigoroso assolo di chitarra elettrica. Con quasi cinque minuti di musica questo
è il brano più breve dell’album, così a seguire giunge la mini suite di
diciannove minuti “Äiti Maan Lapset”, suntuoso esempio di Progressive Rock
totale, dove ogni ingrediente tocca sia la storia del tempo che fu, sia idee
più moderne. Una vera e propria gemma sonora da apprezzare come un buon
bicchiere di vino invecchiato. L’Hammond ruggisce, l’energia sprigionata è
coinvolgente, così ammalianti i passaggi più pacati, specialmente quelli
descritti con linee di basso calorose. Quello che vado a sottolineare è il
cantato in lingua madre, probabilmente non congeniale a molti dei nostri
ascoltatori, eppure tutto si sposa alla perfezione, per me così deve essere, il
fascino è dunque elevato all’ennesima potenza. Basta
poco per restare conquistati dalle dolci arie di “Pitkät Jäähyväiset”, gli anni
’70 si palesano durante l’ascolto per una sensazione di appagamento totale,
anche durante l’intervento della chitarra elettrica che tenta di dare maggiore
mordente al brano grazie a un riff al limite dell’Hard Prog, le tastiere completano
il concetto. “Perhonen” a sua volta richiama altrettante vicissitudini, i Viima
cavalcano sopra arie ben definite e collaudate. La chiusura spetta a “Vuoren
Rauha”, sette minuti abbondanti di storia del genere aperte da un soffio di
vento che immerge l’ascoltatore in ambienti gelidi in cui solo il suono di un
pianoforte riesce a scaldare l’anima. “Väistyy
Mielen Yö” a mio avviso è un ritorno maturo che riporta la band nel giusto
collocamento che gli spetta, quello delle band nordiche più importanti del
settore. MS
Versione Inglese:
VIIMA - Väistyy Mielen Yö Self-production Genre: Prog Folk Support: cd - digital - 2024
I have always held Progressive Rock from the Nordic
countries, even Finland, in high esteem, this is because the style is
well-defined, generally supported by numerous keyboards and lots of 70s, all
amalgamated by the unmistakable sound veiled in melancholy purely relegated to
their culture. Easy to fall in love with the numerous tempo and mood shifts
that seep out of each song, I have appreciated it in bands like Tasavallan
Presidentti, Kalevala, Pharaoh Overlord, Wigwam, Orne, Overhead, just to name a
few important names, and among them I put Viima. The band from Helsinki, which later moved to Turku in
1997, has Folk in its DNA, and they start playing songs from bands like
Pentangle, Curved Air, but especially Jethro Tull, so much so that they take
the initial name Lost Spectacles, extrapolated from the famous song "The
Hare Who Los His Spectacles" from the album "A Passion Play".
Like so many artists, they begin rehearsing in basements and likewise go
through numerous lineup changes. They release in time two critically acclaimed
albums, "Ajatuksia Maailman Laidalta" (Viima Records - 2006) and
"Kahden Kuun Sirpit" (Viima Records - 2009), followed by a large
number of live dates. Many, many years pass before we get to hear them again
in a studio work with new elements, finally this happens today thanks to
"Väistyy Mielen Yö". Now the band is made up of Hannu Hiltula (flute,
keyboards, vocals), Mikko Uusi-Oukari (guitars, Mellotron), Mikko Väärälä
(drums, vocals, keyboards, music box), Aapo Honkanen (bass) and Risto Pahlama
(vocals, Mellotron keyboards) and features former band guest Kimmo Lähteenmäki
(keyboards, woodwinds). Those who like Mellotron here have plenty to listen
to, but also Hammond and more. The beginning entrusted to "Tyttö
Trapetsilla", has much of the Landberk style, the difference however comes
from the flute. Folk is already present but also more Rock sounds alternating
with strangely upbeat phases as well as a vigorous electric guitar solo. With
almost five minutes of music this is the shortest track on the album, so next
comes the nineteen-minute mini-suite "Äiti Maan Lapset", a sumptuous
example of total Progressive Rock, where every ingredient touches on both the
history of the time that was and more modern ideas. A true sonic gem to be
enjoyed like a fine glass of aged wine. The Hammond roars, the energy released is engaging, so
bewitching are the quieter passages, especially those described with warm bass
lines. What I am going to emphasize is the singing in the native language, probably
not congenial to many of our listeners, yet it all fits together perfectly, for
me this is how it should be, the charm is thus elevated to the nth degree. It takes only a little to be won over by the sweet
tunes of "Pitkät Jäähyväiset", the 70s come through during the
listening for a feeling of total fulfillment, even during the intervention of
the electric guitar that tries to give more bite to the song thanks to a riff
bordering on Hard Prog, the keyboards complete the concept. "Perhonen"
in turn recalls as many vicissitudes, Viima riding over well-defined and proven
tunes. Closure falls to "Vuoren Rauha", seven full minutes of genre
history opened by a breeze that plunges the listener into icy environments
where only the sound of a piano can warm the soul. "Väistyy Mielen Yö" in my opinion is a
mature comeback that brings the band back to its rightful place, that of the
top Nordic bands in the sector. MS