WALLS
OF BABYLON – Fallen Autoproduzione
/ Wanikiya Record/Promotion Genere: Metal Progressive Supporto: cd – 2022
La
musica Rock cosiddetta “colta” mai si sarebbe pensato che potesse nel tempo
innestarsi con la musica “grezza” del Metal, detta così sembra una frase
scontata e superficiale. In qualche maniera lo è, in quanto il Progressive Rock
ha una sua cultura ma altrettanto ce l’ha l’Heavy Metal, nonostante i puritani del
suono neghino il tutto. I gusti musicali sappiamo bene che sono personali e
quindi indiscutibili, ma è inopportuno e sbagliato dire che l’Heavy Metal non ha
una sua storia, un radicato perché e di conseguenza un contesto sociale ben
definito. Hard Rock più Punk uguale Heavy Metal. Il
fatto accade nel 1978 in Inghilterra con la cosiddetta New Wave Or British
Heavy Metal (NWOBHM), da li il suono distorto delle chitarre elettriche ne ha
fatta di strada, sino a giungere oggi ad una popolarità di buon livello.
Ovviamente la sopravvivenza è avvenuta grazie alla nascita di molti
sottogeneri, dal Death, al Black passando poi per il Gothic, il Folk, il
Grunge, il Nu Metal e moltissimi altri ancora, uno di questi si chiama appunto
Metal Progressive. I Dream Theater hanno sinfonizzato e portato tecnica alla
musica Metal, da li un susseguirsi di situazioni che rendono il genere ancora oggi
interessante. Se andiamo a studiare bene gli eventi i canadesi Rush hanno già
osato sin dagli anni ’70, ma soprattutto gli americani Queensryche guidati
dalla stupefacente voce di Geoff Tate. Questi realizzano il 27 aprile 1988 il
capolavoro “Operation: Mindcrime” (EMI) un concept politico e violento da
ascoltare e vedere particolarmente in sede live. Tutto questo per rilevare che
il Metal Progressive ben si sposa con un lavoro concept e che sovente il
risultato è interessante, non scontato. Il fattore Prog in questo caso risiede
nella scelta dei cambi umorali e di ritmo, oltre che di tastiere e situazioni
incentrate sulla possibilità di far immaginare all’ascoltatore gli scenari
raccontati attraverso i versi e la musica. Anche
in Italia siamo bene rappresentati, ad esempio la regione Marche annovera belle
realtà, una delle quali si chiama Walls Of Babylon. Una volta Death Riders, il
quintetto fabrianese ha saputo crearsi una propria veste e stabilizzarsi su un
genere che si è Prog Metal, ma ha anche radici nel suono dei Blind Guardian e affini.
Si formano alla fine del 2012 da un'idea dei chitarristi Francesco Pellegrini e
Fabiano Pietrini. Rilasciano due dischi di buona fattura intitolati “The Dark
Embrace” (Autoproduzione - 2015) e
l’ottimo “A Portrait Of Memories (Revalve Records - 2018)”. Il terzo album
sappiamo bene che è quello della prova finale, o si vola o si cade, è accaduto
con tutte le band se avete avuto modo di farci caso. Ebbene qui i Walls Of
Babylon si giocano il jolly, ossia la carta del concept album. “Fallen”
racconta una storia dura che allego nella sua totalità per farvi entrare meglio
all’interno del lavoro scritto dal cantante Valerio Gaoni: “L’umanità
sta affrontando un ondata di violenza e di isteria senza precedenti. Quello
che prima, accendendo i telegiornali, era stato considerato una perdita di
valori delle nuove generazioni,
si tramuta sempre più spesso in pazzia generalizzata, con omicidi e rivolte in
tutto il globo. I soggetti affetti da tale frenesia e impossibilità di
contenere le pulsioni umane vengono definiti “Fallen” e la piaga appunto “The Fall”
caratterizzata dal totale annerimento delle iridi dei soggetti
colpiti. Un ricercatore medico, si rifugia nel suo laboratorio con il cadavere
del figlio(ucciso dai genitori di un bambino che lui stesso ha provato a
strangolare per futili motivi). In
questo laboratorio, con tutta la cittadina impazzita che cerca di sfondare la
porta, lo scienziato scopre,
tramite l’autopsia sul figlio, che all’interno dell’amigdala ( parte del
cervello umano) si trova un’altra ghiandola più piccola. Definita dallo stesso
scienziato “L’interruttore di Dio” la ghiandola recepisce un certo livello di
stress emotivo del soggetto derivante dalla repressione della parte “dionisiaca”
e combinato con alti livelli di CO2 nel sangue, rilascia un ormone sconosciuto
che rende i soggetti totalmente liberi di esprimere le pulsioni represse dalla
società, dando sfogo a fenomeni di crudeltà senza pari. Lo scienziato è
atterrito dalla sua scoperta e ritiene tale ghiandola una specie di switch
collettivo che si attiva nel momento in cui una società offuscata dal raggiungimento
di obbiettivi e risorse, rischia di danneggiare l’intero ecosistema naturale.”. La
cover art è realizzata da Carlos Fides (Evergrey, Shaman e altri ancora) mentre
le foto e la grafica sono per opera di Romina Pantinetti. L’album
contiene dieci tracce a iniziare dall’immancabile intro qui intitolato “Claim
(Overture) ”. Il
ticchettio del tempo ci addentra in un ambiente oscuro, le tastiere fanno da
colonna portante alla melodia scandita quasi sgocciolata. Una delle caratteristiche
sonore dei Walls Of Babylon è l’epicità che esplode immediatamente con “The
Great Collapse” supportata da una ritmica impeccabile sostenuta dai due motori
viventi di nome Marco Barbarossa (batteria) e Matteo Carovana (basso). Si
capisce immediatamente che la band è rodata, l’intesa e quindi l’omogeneità dei
suoni impattano a dovere nella musica proposta. Gli arrangiamenti sono buoni
grazie anche all’apporto delle coralità che rendono al brano una maggiore ampiezza.
“F.R.E.E.D.O.M.” è un'altra finestra per le capacità vocali di Gaoni, sempre
impeccabile in tutte le tonalità, sia alte sia medio basse. Questa canzone si
affaccia molto nel mondo del Metal Progressive. Fra
i brani più lunghi c’è “Amigdala” con sette minuti abbondanti d’energia.Di questo granitico anthem è girato anche un
video con la presenza di un bravissimo attore sempre fabrianese, Mauro
Allegrini che attraverso la mimica del viso riesce a raccontare adeguatamente
la storia assieme ai testi di Gaoni. “Wispering
Wind” all’inizio mi ricorda qualche passaggio in stile Soen, per poi rientrare
nei canoni Walls Of Babylon. Sale il ritmo con la title track “Fallen”,
uno spaccato di Metal italiano contaminato da Blind Guardian e Prog, il tutto filtrato
attraverso la personalità e la cultura in merito dei ragazzi. Un arpeggio di
chitarra sopra le tastiere introduce “Anger And Lust” e qualcosa dei suddetti
Queensryche mi sovviene alla memoria. “Wrath Upward” si passa la staffetta con
il precedente regalando in più un ritornello efficace e ruffiano. In “Certain
Twice” coesistono tutti gli ingredienti che fanno il DNA dei Walls Of Babylon e
il concept si conclude con “Too Late For Regrets” a mio gusto personale il
piatto forte del disco. Se
devo ricercare una pecca, ma che probabilmente potrebbe anche non essere,
dipende dai gusti, a me il concept sarebbe piaciuto maggiormente se i brani
fossero stati legati nella continuità, ossia senza la pausa silenziosa fra un
pezzo e l’altro, per il resto ho solo che goduto. Un
disco che nonostante il forte argomento mette la carica e ti viene subito
voglia di riascoltarlo. Vediamo questa regola del terzo album se funziona,
spero che i Walls Of Babylon nel tempo vengano supportati adeguatamente come
meritano, io dico semplicemente che la loro passione e professionalità è
contagiosa. MS
THEICON
- Beyond The Universe - Act 1 Autoproduzione Genere:
Alternative/Progressive Metal Supporto: mp3 Bandcamp
Il
Metal Progressive è un limbo in cui transitano solamente gli appassionati del
genere, ne ho avute prove concrete con le vendite del mio secondo libro METAL
PROGRESSIVE ITALIANO (Arcana). Un pubblico di nicchia al quale non si
aggiungono di certo gli amanti del Progressive Rock. E fanno male, perché come
dice il noto detto, non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio. Comunque
etichette a parte, la musica si sviluppa nel tempo anche grazie alla tecnologia
che muta i suoni, mentre le esperienze degli ascolti passati consentono innesti
che a volte portano a risultati gradevoli. E’ il caso dei romani Theicon che
con “Beyond The Universe - Act 1” esordiscono miscelando Metal in stile
Evanescence grazie anche alle voci di Daria Simonetti e Margherita Palladino,
al Progressive Rock supportato da tappeti di tastiere. Il
gruppo è composto da Daria Simonetti (voce), Margherita Palladino (voce),
Tiziano Bernardini (voce), Massimiliano Liburdi (chitarre), Adriano Taccoli
(tastiere) e Luca Fareri (batteria). Il
disco è un concept che si divide in due atti, questo è il primo, narrante la
storia di Emily e Abe, una coppia di Montauk (NY) che deve fare i conti con un
illogico scherzo del destino che porta Emily in un altro universo, il nostro. Suddiviso
in otto tracce non può che iniziare con l’immancabile intro qui dal titolo “13
North End Avenue”. Tastiere (piano) e voci rendono immediatamente gli scenari
intriganti e d’atmosfera. La staffetta passa a “A Different Sky”, dove le
associazioni con i suddetti Evanescence non sono a caso. Si stagliano avanti a noi gli anni ’80 con
suoni di batteria elettronica ed effetti attraverso “Anthem”, cantato da
Tiziano Bernardini. I riff restano sempre massicci e il pezzo si conclude con
breve assolo di chitarra. Il gioco corale a più voci, maschili e femminili è
inutile rimarcarlo, ha un fascino del tutto funzionale. “No Unicorns” è uno dei
momenti migliori dell’album, un crescendo sonoro che inizia con piano e voce
per poi sfociare nell'insieme delle strumentazioni. Questo modus operandi è
caro alla band Anathema per intenderci. E proprio l’inizio di “She Is The One” riconduce ancora al mondo
dei fratelli Cavanagh, altro movimento melodioso e d’effetto. Entrare nell’universo
Theicon è quindi semplice grazie a queste scelte compositive. Parlando
di Metal Progressive vi starete chiedendo come mai ancora non abbia nominato i
Dream Theater, questo sta a significare l’evoluzione a cui il genere si sta
sottoponendo, anche se qualche fuga tastieristica non si discosta di molto dalla
band americana. Ancora piano e delicatezza all'inizio di “Plastic Sunsets”,
esempio di come il genere può aprire le porte ad un altro tipo di ascoltatore.
Altro frangente eccellente a me preferito, ricco di sonorità coinvolgenti è “Reset
Day”, uno spaccato che ha impregnato il sapore del passato. “End Of The Line”
lascia nel termine la staffetta per l’atto secondo. I
Theicon esordiscono molto bene, a dimostrazione che l’Italia sa benissimo come
muoversi nell'ambito musicale Metal Progressive, apportando di tanto in tanto
qualche idea in più, non di certo si vive nell'immobilismo e quindi onore al merito.
MS
GAZZARA – Progression Irma Records Genere: Progressive Rock Supporto: cd – 2022
Francesco
Gazzara è un musicista polistrumentista a tutto tondo, in attività dagli anni ’90
quando esordisce con “One” (1995 - Irma CasaDiPrimordine, Irma Molto Jazz). La
sua musica negli anni dimostra un grande amore per il Progressive Rock,
specialmente quello rivolto ai Genesis, anche se puntate nel Jazz spesso si
evincono. Undici i lavori ufficiali in studio, e questo nuovo “Progression” è
il dodicesimo suggello. Gazzara
è principalmente un tastierista, infatti, nell’album suona l’Hammond B3, il Fender
Rhodes, Mellotron M4000D, Korg M520 e altre ancora, oltre che il basso, e la
chitarra. Narrava
la nostrana PFM nell’album “Ulisse”, “Andare per andare via io non cerco una
città ma
il confronto di un'anima con la sua libertà. Andare per andare via dove non ti
perdi mai e si ostinano a vivere i grandi sogni miei”. Il viaggio, l’importante
non è la nascita o la morte, la vita è il viaggio, e per affrontarlo si richiedono
strade, percorsi, direzioni e Gazzarra ci trasporta in una ricerca di
progressione al riguardo, ispirata da un’antica mappa stradale britannica del
1360. Un viaggio da affrontare assieme attraverso dodici canzoni aventi il
titolo delle località che s’incontrano percorrendo proprio quest’antica strada
che attraversa il sud dell’Inghilterra tra Southampton e Canterbury. Con lui
suonano Giuliano Ferrari (batteria), Dario Cecchini (flauto, sax, basso,
clarinetto, Carmine Capozucco (oboe), Giulia Nuti (viola), Giorgia Pancaldi (violoncello)
e il The Old Choir che attraverso le coralità evocative apre con “Misericordiae”. Il
disco è strumentale, la seconda traccia s’intitola “Southampton”, dove le dolci
note lasciano spazio alla fantasia dell’ascoltatore. Il flauto accarezza, le
tastiere sono presenti e fanno da tappeto ad un motivo orecchiabile dal sapore
antico. Si
arriva a “Havant” e le atmosfere si fanno più cupe, l’oboe, i fiati e tutto l’ambiente
circostante si adoperano come in un’opera classica. Tuttavia i Genesis spesso
emergono e nel contesto non stonano sicuramente. Quando si giunge a “Chichester”,
il percorso è ancora molto lungo ma la musica che ci accompagna ha il potere di
rendere tutto piacevole e mai pesante. “Arundel” propone scenari differenti, a
tratti grevi e in altri momenti più solari. Le tastiere salgono in cattedra e
duettano con il flauto di Dario Cecchini, essendo questa musica comunque
Progressiva, non mancano di certo i classici cambi di ritmo e di situazioni. La
colonna sonora di un film rappresenta a dovere le scene, così arrivati a “Bramber”
la musica sembra accostarsi al Neo Prog degli anni ’80 mostrando così un altro
lato del percorso. Un palese ritorno al mondo di Gabriel e soci giunge dagli
arpeggi di “Winchelsea”, un attimo di riflessione infarcito di dolcezza che non
soltanto spezza l’ascolto, ma fa sempre bene all’anima. E poiché ho nominato la
PFM non posso esimermi dal citare anche il Banco Del Mutuo Soccorso che nel suo
storico “…Messere da quassù si domina la valle, ciò che si vede è…” mostra un
panorama ampio, proprio come accade nell’ascolto di “Lewes”, almeno così la mia
fantasia interpreta le note della canzone. Più cittadina “Boreham Street”,
allegra e comunque sempre di colore seppia a ricordare un passato poi non
troppo lontano. “Applendore” è quasi alla fine del percorso e il trittico di
citazioni si conclude quando mi accorgo che il pezzo potrebbe benissimo
risiedere nella discografia delle Orme. “Rye” è ricercata, a tratti condita da
rumoristica e di arrangiamenti onirici. Ed eccoci giunti a “Canterbury”. Il viaggio
sonoro dopo più di un’ora si conclude, anche se in realtà a me sono sembrati
pochi minuti a testimonianza di un rapimento psichico riuscito da parte di quest’artista
che merita sicuramente tutta la vostra attenzione. MS
SIMON LUCA & L’ENORME MARIA –
Mastico Asfalto G.T. Music / M.P. Edizioni Musicali Genere: Rock Supporto: cd – 2022
Gli
anni ’70 è inutile ricordarlo, hanno elargito alla musica italiana grandi
rivelazioni più o meno note. Un fiorire immenso di artisti e soluzioni davvero
personali di carattere, non lo scopro di certo io. Eppure c’è una lacuna nella
memoria che va debellata, o se preferite con un altro termine potrei dire che
la memoria va rispolverata. Proveniente dal gruppo musicale anni ’60 I Semplici,
il piacentino Alberto S. Favata in arte Simon Luca collabora negli anni con
artisti del calibro di Mina, Milva, Ornella Vanoni, Iva Zanicchi, Bruno Lauzi,
Dik Dik, Marco Ferradini, Rosanna Fratello, Alberto Camerini, Marco Ferradini,
Eugenio Finardi, Lucio Fabbri, Paolo Mengoli, Mal, Anna Identici e ancora tanti
altri. Il curriculum avrete notato è davvero importante, da solista esordisce
nel 1970 con “Da Tremila Anni” (Victory Records) e raggiunge la vetta
compositiva nel 1972 con “Per Proteggere L'Enorme Maria” (Ariston). Doppi sensi
si, probabilmente, resta il fatto che l’album è accattivante e oggi compie
cinquant’anni. Simon Luca & L’Enorme Maria dunque è ancora un «open group» che nasce per essere una sorta di
laboratorio creativo di esperienze musicali differenti, dal quale maturano successivamente
artisti che intraprendono con successo un percorso personale. La
copertina che ha accompagnato il vinile nel 1972 rappresenta una grossa signora
sdraiata con un costume americano di fianco ad un giradischi, oggi la stessa è
ovviamente invecchiata, pur sempre supina ma con un look adeguato ai tempi,
tatuaggi nel corpo, cellulare da una mano e fumo dall’altra, mentre al posto
dello stereo ora risiede un computer. Anche il forte trucco della signora testimonia
un adeguamento feroce ai tempi. Il
laboratorioSimon Luca & L’Enorme Maria per questo nuovo
“Mastico Asfalto” è composto daSimonluca
(voce), Marco Leo (chitarra), Edoardo Maggioni (piano, tastiere), Cesare
Pizzetti (contrabbasso), Peppe Burrafato (batteria), Lalla Francia (cori), Simona
'Jammin' Bovino (cori), Veronica Canestrari (cori), Ivan Padul (cori), Jordan
Brown (cori), Fabio Treves (armonica a bocca), Claudio Bazzarri(chitarra elettrica) e Amedeo Bianchi (sax).
Il disco contiene sette canzoni graffianti, colme di saggezza avvolte da un
alone colorato di anni ’70. “Credo”
mette subito in luce le caratteristiche del sound Simon Luca, un Rock a tratti
polveroso, con un’armonica a bocca che fa da binario conduttore verso
rettilinei interminabili. La voceè
valore aggiunto per tali emozioni e suggeriscono di non credere nel paradiso.
Il mondo è da cambiare, il denaro lo fa girare a modo suo, la globalizzazione
ci rende privi di personalità, ma sarà la musica a salvarci l’anima, questo concetto
è espresso fra le note di “Mastico Asfalto” fra schitarrate elettriche e
coralità eccellenti. La musica di Simon Luca bada alla sostanza senza troppi
fronzoli. Un
frangente maggiormente riflessivo deriva da “Confini”, umanità defraudata del
proprio essere, espresso attraverso una calda voce che per alcuni versi mi
ricorda quella di Ivano Fossati, se non altro per la cadenza. Il ritornello è
efficace, sicuramente il punto di forza di un brano che potrebbe essere un bel
tormentone. La suddetta esperienza dell’autore straborda da ogni singolo brano,
la cura per gli arrangiamenti vocali sono un’altra nota a favore. “Fuori
Dal Fango” esibisce attraverso il sax il lato più Jazz/Blues, appartenente
anche a quel Pino Daniele degli anni ‘70/’80 ma con un’altra personalità ben
definita. Musica che scalda il cuore. “Numeri
Prigionieri” è canzone da cantare, moderata e ruffiana al punto giusto, altro
potenziale singolo dell’album, fra i tanti papabili di “Mastico Asfalto”. Il ritmo sale con il funk di “Sopra I Raggi
Della Luna”, canzone che benissimo potrebbe risiedere nella discografia di
Zucchero. A concludere c’è “Verso L’Infinito”, ponderata e docile la bellezza
di certe scene quotidiane passate a pescare in barca nel fiumea guardare l’orizzonte, pensando su cosa può
esserci più in la. La chitarra finalestimola ulteriormente la fantasia e trasporta la nostra immaginazione
verso l’infinto. “Mastico
Asfalto” non è solo un semplice disco Rock, ma un concentrato di considerazioni
e situazioni di vita, il tutto confezionato con grande sapienza, quella dettata
dall’esperienza che non tutti possono avere, ma solo i grandi che hanno
masticato e vissuto sia la musica che la vita in maniera consapevole e totale,
Simon Luca è uno di questi. MS
CORAL
CAVES PROJECT – Journey To The End Of The Light G.T.
Music / M.P. & Records Genere: Rock Progressivo Italiano Supporto: cd – 2022
Il
Rock Progressivo Italiano prosegue imperterrito il proprio cammino. In barba
alle mode omologate dai soliti media, il genere si ritaglia uno spazio nel
cuore dei simpatizzanti dei tempi che furono tuttavia aperto anche a nuovi
innesti. Il mondo delle band italiane post anni ’80 sembra piccolo, ma come ho
dimostrato nel mio libro “Rock Progressivo Italiano 1980 – 2013 (Arcana), così
non è. Fra le band trattate ho nominato anche i palermitani Coral Caves. Si
formano nel 2001 e dopo il primo ep intitolato “Coral Caves promo 2006”
esordiscono ufficialmente con “Mitopoiesi” nel 2008 (Mellow Records)
raccogliendo consensi sia di pubblico che di critica. Le influenze musicali
vanno ricercate nei classici gruppi di punta come i Genesis, la nostrana
Premiata Forneria Marconi, i Pink Floyd e i Camel su tutti. Pietro Saviano
(voce, basso) è l’artefice principale della musica dei Coral Caves e nel 2016
si coadiuva dell’artista oltre che amico Luca Di Salvo (batteria), anche per
rispolverare alcune vecchie registrazioni. Nel tempo è aggiunto al logo della
band l’aggettivo Project perché si circondano di musicisti come Dario Gallotta (chitarra),
Lucio Gallotta (chitarra), Francesco "Pippo" Ribaudo (chitarra dodici
corde, mandolino), Andrea Montalbano (chitarra), Simone Campione (chitarra),
Massimiliano Vacca (batteria), Salvadores Arcoleo (piano, organo), Gianni
Varrica: Rhodes (organo, mellotron, sintetizzatori), Alessio Romeo (piano,
sintetizzatori), Alessandro Fiore Bettina (piano), Vincenzo Cosenza (sassofono)
e Federico "Chicco" Mordino (percussioni). Sotto
l’ala protettrice di Vannuccio Zanella realizzano oggi “Journey To The End Of
The Light”, disco suddiviso in tre parti, la prima con una suite ispirata al
romanzo "Viaggio Al Termine Della Notte" di L.F. Celine, la seconda è
formata da brani scritti nel passato e rivisitati, mentre la terza è composta di
due cover, "Here Comes The Flood" di Peter Gabriel e
"Lavender" dei Marillion, per un totale di dieci canzoni. Le
atmosfere che si desumono durante l’ascolto spartiscono l’attenzione
dell’ascoltatore attraverso sonorità cupe, psichedeliche, Funky, latine e
appunto Progressive. Buona anche l’incisione realizzata ai Pentagramma Studio e
W-Rec Studio di Palermo. La
musica è altresì accompagnata da un artwork efficiente, personale e di chiara
lettura, grazie alle scritte bianche su sfondo nero (finalmente) realizzata da
Ondemedie e le immagini di Alessia Bennardo. La
suite “Part1” ha la durata di ventiquattro minuti circa ed è aperta da “Place
De Cuchy”, un intro con il sax e il flauto su di un arpeggio che assieme alla
chitarra slide ci riporta negli anni ’70 in un mondo prettamente appartenente
alla psichedelia Pinkfloydiana. “Molly” si accosta alla formula canzone,
semplice e diretta con ottimi arrangiamenti e quando parte l’assolo di chitarra
sopra l’hammond e successivamente quello del sax, c’è di che godere. Percussioni
annunciano la calda “Africa” dove le note del brano si sostituiscono ai raggi
del sole. “Ballad Of Modern Man” si ritaglia uno spazio anche nel Neo
Progressive mentre il sound vintage avvolge la stanza in un finale superlativo.
La suite si conclude con “Ballet Dancers” e non nascondo qualche reminiscenza
proveniente dalla Premiata Forneria Marconi periodo Bernardo Lanzetti. La
seconda parte del disco s’intitola “Lost And Found” ed è composta di due brani,
“Semiotica” e “In The Arms Of Morpheus”. Piano e voce inizia il primo pezzo
interpretato ottimamente da Pietro Saviano con enfasi, dove la cadenza e la
tonalità avvicinano il sound dei Coral Caves Project a quello dei Genesis più
delicati periodo Peter Gabriel, e il flauto come un evidenziatore sottolinea
questa mia sensazione. Il tempo di un giro di frequenze su una radio e poi via
verso “In The Arms Of Morpheus”, canzone libera da regole prestabilite ma orecchiabile,
molto Marillioniana specie in certi arpeggi. La
terza parte inizia con la cover di “Here Comes The Flood” e dimostra il
perfetto agio in cui si trova la voce di Saviano. Lo stesso accade per la
splendida “Lavender” dei Marillion. Si finisce con “End Of The Night” questa
passeggiata emotiva fra le note rassicuranti dove mi sembra di camminare in un
viale durante un periodo autunnale dove le foglie gialle rappresentano
l’esperienza e la meditazione. Il
mondo musicale dei Coral Caves Project è concreto, rispettoso del passato,
sapiente al punto giusto dove la cultura degli elementi è sfoggiata nel
pentagramma, e non c’è vanità ma solamente tanto amore per le belle melodie.
Una delle migliori uscite di Progressive Rock Italiano di questo 2022
sicuramente. MS