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venerdì 31 gennaio 2020

Invertigo

INVERTIGO - Veritas
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: GT Music Distribution
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 2012



La Germania in ambito Rock si è sempre saputa far valere, non solo per il Kraut Rock, ma anche nel Progressive Rock. Non parlo dei tempi che furono, la storia parla da se, ma di quelli odierni con realtà importanti quali Sylvan, RPWL, Martigan, Apogee e molte altre.
Con "Next Stop Vertigo" debuttano nel 2010, palesando uno spiccato amore per il Prog più sinfonico. Infatti all'ascolto non si possono non notare richiami ad artisti quali Spock's Beard , Genesis, The Flower Kings oppure i Marillion. Eppure il quintetto non si limita a scimmiottare le band nominate, bensì le ha nel proprio DNA, così per questo il suono risulta fresco e di personalità.
"Veritas" è un concept suddiviso in sette tracce, fra cui due sono suite e ci si barcamena fra illusioni, realtà e memorie di gioventù. Davvero ci sono tutti gli ingredienti che interessano ad un Progster e l'inizio di "Darkness" presenta una band coesa e dalle idee chiare.
Il piano di Sebastian Brennert (anche voce) accompagna con stile un refrain di chitarra importante e si alterna con momenti di quiete melodica. Brano strutturato in maniera strategica e diretta. Pulita la ritmica del basso di Matthias Hommel e della batteria di Carsten Dannert. Al centro del brano esce persino la voce di Papa Benedetto XIV.
Il fatto che gli otto minuti e mezzo sono volati via è di per se una conferma della freschezza della proposta. Importante anche il lavoro delle tastiere da parte di Michael Kuchenbecker.
Ancora Prog energico con "Lullaby" e le tastiere soavi di supporto, gli arrangiamenti ricoprono un ruolo importante nel sound della band. Con "Waves" c'è una sterzata stilistica a favore di band come Marillion e Pink Floyd, specie nel solo di chitarra da parte di Jacques Moch. Emozioni che a stento si riescono a trattenere.
Segue la ricca "Dr.HO", vetrina dove gli Invertigo mettono in esposizione tutti i loro gioielli strumentali. "Suspicion" è invece la prima suite ed in essa sono immersi tutti i fattori che ho citato sino ad ora, tanto da raggiungere un Neo Prog convincente e rotondo, senza spigolature di sorta. Ovviamente cambi umorali e di ritmo a profusione.
"Truth" è il movimento più breve dell'album con i suoi quattro minuti e mezzo ed è anche l'unico strumentale, a parte il breve narrato conclusivo. Tutto questo conduce alla suite finale di 22 minuti dal titolo "The Memoirs Of A Mayfly".
Ascoltarla è come stare a guardare immagini velocizzate di situazioni atmosferiche, vedere passare nubi e velocemente lasciare spazio al sole, per poi venire alla pioggia e poi ancora sole e a finire la neve. La musica è questo, come dicevano i nostrani Arti & Mestieri, "Immagini Per Un Orecchio".
"Veritas" è un disco onesto che merita il nostro rispetto e soprattutto un attento ascolto, perchè ogni volta si può godere di una nuova sfumatura.
I tedeschi la sanno lunga: "In vino veritas"? Certamente, ma anche "Invertigo Veritas"! (MS)





domenica 19 gennaio 2020

Aleco


ALECO – L’Ultima Generazione Felice
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Cantautore
Supporto: cd – 2020


La musica è contagiosa come una risata, ma per esserlo deve prima di tutto essere spontanea. Se si diverte chi la compone ed interpreta, il piacere ed il divertimento vengono immediatamente recepiti da chi l’ascolta. Questo discorso è valido per tutti i generi musicali.
Ci sono molti artisti oggi che hanno voglia di comunicare al mondo il proprio stato, il pensiero, manifestare il proprio essere ed uno di questi giovani emergenti ha il nome di Aleco. Non nascondo che per me scoprirlo è stata una sorpresa, in quanto non informato su questa sua passione, vedo che dietro al nome Aleco si cela Alessandro Carletti Orsini, produttore della Music Force. Il giovane cantautore e produttore cresce ascoltando Venditti e tanta musica degli anni ’80, così con i film dello stesso periodo, soprattutto quelli comici che riguardano il mare e le belle donne, non a caso il titolo dell’album “L’Ultima Generazione Felice” è proprio estrapolato da una frase di “Giochi D’Estate” del 1984 con l’immancabile Massimo Ciavarro. Questa spensieratezza, la voglia di star bene e condividere i bei momenti, vengono fotografati nella musica di Aleco.
Un disco che ben si presenta con un libretto di sedici pagine contenete foto, i testi e l’ispirazione descritta dall’autore stesso del concept dedicato a Sabina e all’amore. Dieci le canzoni per un totale di circa trentatré minuti di musica.
Si comincia subito con un tormentone, la title track “L’Ultima Generazione Felice” del quale viene girato anche un simpaticissimo video al mare, fra spiaggia e belle donne. Il contesto è perfetto per fare un salto nel tempo, gli anni ’80 sono qui. Difficile togliersi dalla testa il famigerato “Na, Na, Na, Na”, la canzone funziona per la sua semplicità e questo paga. Paradossalmente una delle cose più “difficili” da realizzare in senso generale nella vita sono quelle “semplici”, coloro che portano ad un risultato certo. Diretti all’obbiettivo senza fare troppe curve, in questo brano Aleco ci riesce perfettamente e si coadiuva della voce di Sofia Dessi.
L’amore per Venditti e per quel certo tipo di cantautorato fuoriesce dalla delicata “Arrivo Per Cena”, canzone prettamente incastonata nel dna italico.
Nel disco ci sono anche tre brevi intervalli musicali, “Quel Pizzico (Intervallo)” voce e chitarra che  ricorda Francesco De Gregori, Alessandro Smettila (Mezzovallo)” e “Tutto Finisce Così (Finevallo)”, dal sapore anni ‘70.
Sembra di sentire il caldo cocente sotto i piedi in spiaggia mentre si raggiunge il Jukebox che sta mandando “Ma Che Bella L’Estate”, canzone ancora una volta semplice, allegra ed orecchiabile. L’intervento vocale di Chiara Falasca sia di accompagnamento che in fase Rap, esalta il brano.
“Almost Jazz” ci mostra un Aleco più “dotto” in una sorta di vetrina in cui palesa altre influenze musicali, un mix fra Sergio Caputo e Francesco De Gregori.
“E Così Nacque Roma” cantata in dialetto è l’ennesima dedica a questa stupenda capitale che tanto ha dato al genere umano e a Sabina, l’amore ben si evidenzia fra le righe. Compare anche un assolo finale di chitarra. “Tutti I Tuoi Sbagli” prosegue sul binario, fra il malinconico e il sentimento profondo.
Il disco si conclude con “Una Panchina Di Montagna”, uno dei brani che più mi hanno colpito per semplicità ed eleganza, quasi una ballata alla Supertramp.
L’impeto ruspante del piacere sonoro, la voglia di fare e di esternare tutto l’amore per la musica può anche portare a qualche pecca dettata dall’inesperienza, ma con il tempo l’impeto può venire domato, mentre il talento ha spazio di crescita. Una cosa è certa, Orsini ci ha fatto una bellissima sorpresa e non si può che applaudire alla vena compositiva. Non è semplice trovare quelle poche note messe in croce per avere un tormentone di successo, anche perché se tutti i musicisti avessero questa chiave di volta, sarebbero tutti ricchi e famosi, ma così non è. Un motivo ci sarà pure.
“L’Ultima Generazione Felice” lascia adito anche a diverse interpretazioni, può avere un significato negativo, una sorta di constatazione rassegnata per l’accaduto in Italia, oppure positivo, ossia di sprono per le future generazioni a rialzare la testa.
Aleco nel fare questo disco si è divertito, anche noi ad ascoltarlo e poi diciamola tutta, “Ma Che Bella L’Estate”! MS

Come reperirlo: Il disco è ordinabile su Amazon.

sabato 11 gennaio 2020

Airportman


AIRPORTMAN – Il Paese Non Dorme Mai
Lizard Records / Moving Records
Distribuzione: BTF – Pick Up – G.T.Music – Ma.Ra.Cash
Genere: Alternative Ambient
Supporto: cd – 2019


C’è della musica che non si focalizza in un definito filone sonoro, ma che aleggia in un limbo tutto personale, quando è così l’ascoltare diventa ancora più interessante. La personalità oggi come oggi è dote sempre più rara, in una società dove tutti dobbiamo essere necessariamente uguali o catalogati, averla è un privilegio per pochi. Coraggiosi? Forse, ma in verità la musica è un linguaggio e travalica dove le parole non giungono più. Essa fuoriesce dunque quando si ha qualcosa di forte da dire, questa è l’arte.
La premessa per introdurre il progetto Airportman è dovuta, in quanto gli artisti in questione ci hanno negli anni abituati a un connubio testo-canzone davvero importante, le tematiche trattate non sono mai state banali, così la musica che spazia dall’Ambient al Post Rock.
Si formano nell’estate del 2003 grazie ad un idea di Giovanni Risso (chitarra) e Marco Lamberti (chitarra, tastiere, basso). Nel tempo si vedono alternare all’interno diversi artisti, sino a giungere oggi con Mansueta Cinzia Mureddu (violoncello) e Fabio Angeli (voce) a completare la line up.
“Il Paese Non Dorme Mai” è il sedicesimo lavoro in studio della band, a testimonianza di una fervida vena compositiva.
La tematica trattata è ben spiegata nel libretto che accompagna il disco all’interno, il paese non dorme mai per mille motivi e Marco Lamberti ne fa poesia. Il vivere con poco, il sapersi inventare, serve sacrificio e lavoro, oggi i tempi sono cambiati per tecnologia e società, lo spaccato narrato è per questo interessante e allo stesso tempo nostalgico. Sono i padri i protagonisti, il papà di Loris Furlan (direttore della Lizard Records) fa parlare di se e del suddetto paesello. Un tributo a Aurelio (per gli amici Lello) e soprattutto al suo amico Carlo Vedovato detto Moinea, persona di spirito ma che nella vita ha avuto situazioni avverse che lo hanno spento piano piano. Poi la foto di copertina ritrae i genitori di Marco Lamberti nel giorno del loro matrimonio, mentre nel cd stesso è raffigurato un uomo in biciletta, esso è il padre di Giovanni Risso, Luigi. Il paese vive.
Il disco è suddiviso in otto tracce e ha un inizio struggente in stile Anathema. La traccia numero due è una toccata nel cuore da parte di una chitarra acustica semplicemente accarezzata e sintetica, così la terza. L’atmosfera è rilassata e malinconica, essa scende come un velo sull’ascolto lasciando spazio alla nostra fantasia. L’ascolto ad occhi chiusi viene spontaneo, il suono pulito della registrazione ne è complice.
La quarta e la quinta traccia proseguono in arpeggi, ma questa volta subentra brevemente anche la parte ritmica e uno spiraglio di sole sembra colpire il paese. Un vociare di persone apre la sesta parte recitata da parte di Fabio Angeli. In lontananza il violoncello di Mureddu. Synth fanno ambient nel brano successivo, così un lento suono di piano medita sul testo per poi giungere al finale ancora una volta strutturato su arpeggi di chitarra e giri armonici rilassanti. Questa volta il cantato è in lingua inglese.
“Il Paese Non Dorme Mai” è una fotografia di uno spaccato di vita passata e vissuta. Dovremmo ascoltare di più la voce dei nostri vecchi, dei nostri genitori, la saggezza nata in questi luoghi di lavoro e sacrifici, ma allo stesso tempo di serenità, data da una vita non caotica e fatta di piccoli piaceri. Questi si lasciano apprezzare, proprio come questo disco dei Airtportman. MS


venerdì 10 gennaio 2020

Daniele Mammarella


DANIELE MAMMARELLA – Past, Present And Let’s Hope
Music Force
Distribuzione: Egea Music
Genere: Virtuoso - Chitarra
Supporto: cd – 2019


I tempi cambiano, l’evoluzione delle mode, gli stili, i supporti musicali, tutto si evolve, questo piaccia o meno ai vecchi nostalgici. Non sempre i risultati sono piacevoli, ma questo si sa, c’è sempre stato, fa parte del gioco. Ora tutto a prescindere dai nostri gusti musicali, da ciò che ha influito sulla nostra vita di ascoltatori, è inopinabile il fatto che di base ci devono sempre essere gli ingredienti per fare un buon risultato. Quali sono questi ingredienti è presto detto, lo studio e la conoscenza non soltanto dello strumento e delle note, bensì anche della storia passata. Nel Rock la base è il Blues, questo per farvi un esempio di cosa intendo.
Fa un grandissimo piacere nel 2020 vedere che i giovani sono comunque ancora coinvolti da questa musa che pur avendo subito negli ultimi anni gravi incidenti evolutivi, prosegue imperterrita la propria esistenza. Grazie ad artisti come Daniele Mammarella che ancora questo sapere è custodito in buone e giovani mani.
Daniele Mammarella è un chitarrista di Pescara nato nel 1997 che presto si affeziona allo strumento, riuscendo già alla giovane età di tredici anni a comporre brani propri con la sua chitarra Fingerstyle. A sedici apre un concerto al maestro Franco Morone. Si diploma al Guitar College of London in Plectrum Guitar nel 2016, mentre in quello successivo in Guitar Pop&Rock. Queste sono le basi a cui mi riferivo precedentemente.
“Past, Present And Let’s Hope” è il debutto ufficiale su disco grazie all’attenzione della Music Force, casa discografica sempre molto vicina ai nuovi talenti italiani. Il prodotto è composto da dieci brani, e l’incisione risulta pulita ed efficace per lo stile sonoro proposto. Mammarella nella copertina del disco con una foto riesce a sintetizzare il sunto di questo genere, in essa tutti gli ingredienti giusti, il Blues, la strada rigorosamente polverosa, scarpe da tennis, la chitarra abbracciata e la sua custodia in primo piano decisamente vissuta, a testimonianza di una vita fatta di sacrifici per tirare avanti la giornata. Il sentiero da percorrere avanti a lui è lungo e desolato, sul fianco della strada solo erba ingiallita.  A me tutto ciò fa venire in mente proprio la situazione musicale odierna, terra bruciata tutto attorno e desolazione per chi tenta di portare avanti questo tipo di discorso sonoro. I brani proposti sono tutti di breve durata, poco più di due minuti l’uno, ma non serve essere necessariamente prolissi per poter dire qualcosa di veramente forte e sensato.
“Danny’s Blues” ha un andamento sia Blues che Country, le dita volano sulle corde, mentre il ritmo dato dalla tecnica acustico percussiva (battere la mano sul legno della chitarra) è irresistibile. Tanta storia in queste poche note, quasi una scorpacciata.
Le tecniche sfoderate durante le esecuzioni variano dallo Slide (collo di bottiglia) al Fingerpicking, pennata alternata, Sweep Picking al tocco volante e l’immancabile Tapping, questo per gli addetti ai lavori. Si resta colpiti da "Donkey’s Life” ed ancor di più dalla leggiadria di “Brisk Up”, vera e propria vetrina delle capacità tecnico-esecutive di Mammarella.
Il ritmo si placa fra le dolci note di “Destiny”, il suono che fuoriesce è evidente modello dell’anima del chitarrista. Non manca neppure la cover, qui rappresentata dalla simpaticissima “Dune Buggy/Grau Grau” dei fratelli Guido e Maurizio De Angelis, in questo caso non è Bud Spencer a “suonarle” ma le leste dita di Mammarella. Si torna al materiale proprio con “Crazy Mind”, qui la tecnica espressa è davvero elevata. Lisergica “Beyond”, ipnotica nel suo incedere psichedelico, a mio gusto personale uno dei tasselli più belli dell’album, a ricordarmi involontariamente (e forse vale anche per l’artista stesso) che i Beatles sono stati fondamentali per la musica.
“Wild” ha una giovialità Folk, l’autore sa davvero spaziare in ogni tipo di genere, alcuni suoni mi portano con la fantasia in Scozia. Più americana la title track “Past, Present And Let’s Hope”, vero fuoco d’artificio di tecniche varie. Il disco si conclude con “Dry Road”, altra fuga nel pentagramma.
Daniele Mammarella è questo, il sunto è rappresentato visivamente nella foto dell’album, ma il vero godimento risiede nell’ascolto, breve ma intenso. MS

domenica 5 gennaio 2020

SubLunar

IL METAL PROG DEI POLACCHI 

SubLunar - A Welcome Memory Loss





1. Debris (0:00) 2. Invisible (6:26) 3. The Longest Minute (12:25) 4. Square One (13:34) 5. Grains of Sand (20:32) 6. Paperstrips (26:37) 7. 43% (32:48) 8. A Welcome Memory Loss (39:27) 9. Suspension of Disbelief (44:06)

SubLunar: Łukasz Dumara - vocals Michał Jabłoński - guitars Marcin Pęczkowski - guitars Jacek Książek - bass Łukasz Wszołek - drums

I polacchi SubLunar debuttano nel Metal Progressive con questo album dalle atmosfere malinconiche e ricercate. Nella loro nazione il genere sta andando più che bene, specialmente dopo il successo dei Riverside.

Per contatti: http://www.sublunar.pl
https://www.facebook.com/sublunarband/

venerdì 3 gennaio 2020

InVertigo

INVERTIGO – InMotion
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T.Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2019


La Germania in ambito Rock si è sempre saputa far valere, non solo per il Kraut Rock, ma anche nel Progressive Rock, per non dire poi dell’elettronica e dell’Heavy Metal. Non parlo dei tempi che furono, la storia si esprime da se, ma di quelli odierni con realtà importanti quali Sylvan, RPWL, Martigan, Apogee e molte altre ancora.
Con "Next Stop Vertigo" debuttano nel 2010, palesando uno spiccato amore per il Prog più sinfonico. Infatti all'ascolto non si possono non notare richiami ad artisti quali Spock's Beard , Genesis, The Flower Kings oppure i Marillion. Eppure il quintetto non si limita a scimmiottare le band nominate, bensì le ha nel proprio DNA, così per questo il suono risulta fresco e di personalità.
Sono passati ben sette anni dall’ottimo secondo disco “Veritas” (Progressive Promotion Records), ma il tempo non scalfisce l’ispirazione compositiva del gruppo oggi formato da Sebastian Brennert (voce, piano), Carsten Dannert (batteria), Michael Kuchenbecker (tastiere) e Kolja Maletzki (chitarra).
“InMotion” è composto da sei brani di media e lunga durata, con una buona qualità sonora masterizzata e mixata da Martin Schnella, vecchia conoscenza del Prog tedesco fra progetti solisti, Flaming Row e Seven To The Green Door. Pratica e ben curata la parte del packaging, cartonata e ben curata nei particolari, così il libretto interno comprensivo di foto e testi.
Molte le sensazioni che scaturiscono all’ascolto delle prime note di “Interrompu”, questo magari capita a me che sono un vecchio ascoltatore navigato, ma mi auspico che accada anche a tutti voi. C’è specialmente nel suono della chitarra un concentrato di esperienza annosa, rivolta al passato ma allo stesso tempo leggera e curata. Le melodie sono anche di carattere Neo Prog a dimostrazione di una cultura aperta a 360 gradi.
Bella la prova vocale che mai tenta di strafare ma che bada solo a mantenere il patos con l’andamento suonato. La parte finale del brano è affidata alla chitarra elettrica che si getta in un breve assolo Hard davvero bene eseguito ed efficace.
“Listen To The Smell Of The Pretty Picture” con i suoi dieci minuti e mezzo è il brano più lungo dell’album. Si apre con un suono anni ’70 sia sul lato Rock che Hard Rock, quasi al confine con l’AOR. Tanta materia all’interno, tutta espressa con dinamicità e classe. I deja vu ce ne sono  ed anche parecchi, ma questo è lo scotto da pagare per avere assimilato la lezione del passato. In molti passaggi mi ricordano i norvegesi Fruitcake, lo dico per i più ferrati di voi, specialmente nell’uso di certe tastiere. Ancora una volta gli assolo strumentali sono da brivido.
Ritmica elettronica apre “Severn Speaking”, un altro brano a cavallo fra l’Hard Rock melodico ed il Prog, con la voce narrante di una bambina, Severn Cullis-Suzuk, attivista, conduttrice televisiva e scrittrice canadese, che zittì il mondo per 6 minuti grazie al suo discorso al Vertice della Terra delle Nazioni Unite nel 1992 a Rio De Janeiro. I testi in senso generale raccontano storie dell’umanità nel tempo, anche di proclami famosi come “I Have A Dream”, “Yes We Can”, “How Dare You!”, preoccupazione per il futuro dei nostri giovani, bombardati da parole e da fatti avversi.
“Wasting Time” procede il lavoro intrapreso con ottimi arrangiamenti di tastiere e sintetizzatori, anche il cantato è più incisivo e coraggioso in un ambiente più scuro.
“Life Part I: Random” è un brano che mette in vetrina tutte le doti tecnico – compositive del gruppo. Chiude “Life Part II: Metaphors”, quasi uno strumentale completo ed alcuni richiami ai Spock’s Beard emergono fra le note.
“InMotion” è un disco fatto bene sotto ogni aspetto, con cura delle melodie e questo fatto tendo sempre a sottolinearlo, perché oggi è sempre più difficile trovare  quelle che rimangono nella mente, specialmente nel Progressive Rock. Ancora una volta gli InVertigo ce la raccontano giusta. MS


Sabrina Schiralli


SABRINA SCHIRALLI – Innamorata
Music Force
Genere: Melodico Italiano
Supporto: cd – 2019



La musica italiana è apprezzata in tutto il mondo, la storia mette le radici nel melodico napoletano per evolversi fino alla famigerata formula “sole, cuore, amore”, per non parlare poi dell’argomento “mamma”. Si, la musica italiana ha melodie ed affetti importanti, quelli che restano avvinghiati al cuore sia di chi le esprime sia di chi l’ascolta. Noi vogliamo questo! La semplicità paga sempre, così le argomentazioni d’affetto. Il melodico italiano ha fatto storia e scuola in ogni dove, anche supportato dagli italiani stessi emigrati all’estero.
Ancora oggi per fortuna abbiamo chi costudisce gelosamente questo dna, chi è megafono della nostra melodia, chi dell’arte ne fa propria vita. La pianista, oboista e pittrice barese Sabrina Schiralli ne è portavoce, e che voce.
Schiralli vive di arte e ha già alle spalle, malgrado la sua giovane età di poco più che trentenne, esperienze in campo come docente (Accademia di formazione artistica La Dimora Dell’Arte di Modugno da lei fondata), turnista in RAI e Mediaset oltre che oboista di Albano Carrisi. Oggi si presenta con questo album raccolta di capolavori italiani intitolato “Innamorata”, titolo più che giusto su quello che trapela dall’ascolto. Sabrina è innamorata dell’arte in senso generale e lo trasmette oltre che nelle opere di pittura, anche attraverso la sua musica.
Nell’album nove classici e un brano inedito personale, composto dalla stessa artista intitolato “Torno Qui”. Il disco si apre con un macigno, quel “Mi Sono Innamorato Di Te” che un artista come Tenco ha portato sulle vette della musica italiana. Il piano sgocciola note malinconiche come il brano suggerisce, Sabrina la rende molto femminile. Questo è anche il pregio di questa artista, rendere tutto molto femminile nel vero termine della parola, non perché è donna, ma semplicemente perché contamina di femminilità ogni brano, con raffinatezza, dolcezza e sensualità. Schiralli rende i brani propri.
Durante le registrazioni si avvale di Gennaro Di Gennaro alla chitarra e Claudio Gala alla batteria.
“Besame Mucho” è un esempio di cotanta sensualità, ma per capire al meglio la personalità dell’artista bisogna giungere ai brani più “vigorosi” come ad esempio il Rock/Reagge di Loredana Bertè con “E La Luna Bussò”, oppure Va Bene, Va Bene così” di Vasco Rossi. Qui si evince al meglio il concetto prima espresso della raffinatezza, dolcezza e sensualità. Mi piace molto anche il fatto che non si tenti in nessuna maniera di fare il verso all’originale, bensì di elaborare il tutto con la propria personalità, dote oggi quasi sconosciuta a molti.
Cimentarsi in enormi classici come “Imagine” di John Lennon esige davvero di grande capacità per non rischiare di cadere in figure poco gratificanti, e Sabrina ben si sa tuffare nell’anima del brano. Questo è l’unico pezzo non italiano dell’intero album.
Si ritorna alla grande musica italiana con Bruno Martino e “Estate” una fotografia nella malinconia. Sale il ritmo del pianoforte nell’intramontabile “Via Con Me” del maestro Paolo Conte, qui l’artista sembra di trovarsi perfettamente ad agio, evidente tassello del suo dna.
Verso la fine degli anni ’70 c’è un cantautore che a mio avviso non ha raccolto tanto quanto ha seminato (come anche molti altri), ci pensa Sabrina a rispolverarlo nel suo più grande classico, “Respiro”, lui si chiama Franco Simone. Struggente “Guarda Che Luna”, mentre il disco si conclude con l’inedito di Schiralli “Torno Qui”, in esso il sunto di questa recensione, ossia l’anima dell’artista.
Una bella sorpresa, un elegante rosa da custodire. Quando un artista si mette a nudo va rispettato il coraggio di non aver paura nel far vedere la propria anima, specialmente oggi dove il mondo è violento, cannibale nei confronti del suo simile più delicato e che corre verso un “chissà dove”. Lei invece si ferma e palesa la caratteristica più semplice della musica, la melodia. Se volete fermatevi con lei, ne potrete trarre solo che beneficio. MS