BUONE FESTE A TUTTI!!!!
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domenica 22 dicembre 2013
SOUNDSICK
SOUNDSICK
– Astonishment
Audioglobe
Genere:
Avantgarde Prog
Supporto:
cd – 2013
Con “Art Is The Mirror Of The Universe”, ep dei
fabrianesi Soundsick, avevo visto giusto! Quando ho ascoltato il trio composto
da Ilario Onibokun (voce, chitarra, percussioni), Alexander Onibokun (batteria,
percussioni, chitarra) e Valentino Teodori (basso) per la prima volta, ho colto
nel loro essere acerbi ma entusiasti, un qualcosa in più rispetto ad altre band
, quel qualcosa che semplicemente si chiama “talento”. Il fatto che i fratelli
Onibokun si scambino gli strumenti è di per se già un segnale di immersione
totale nella musica.
Visti dal vivo, ho avuto la conferma di una crescita
esponenziale di anno in anno, una vera forza della natura, impetuosità e
grinta. Il genere trattato è quantomeno di difficile collocazione tuttavia la
Psichedelia ne esce fuori con prepotenza fra semplicità ed astrusità. Un
impatto sonoro che hanno soltanto le grandi band ed un songwriting accattivante,
fanno di “Astonishment” una crescita evolutiva che non lascia di certo
indifferenti, neppure chi questo genere non lo concepisce.
Undici brani per una durata di un ora di musica a
partire dalla strumentale “Lena”, con una ritmica Pinkfloydiana con echi
annessi. Ma i Soundsick in realtà non si rifanno ad uno stile preciso, loro
suonano e compongono ciò che sentono dentro e questo varia da umore ad umore.
Ancora una volta mi ritrovo a sottolineare il lavoro alla batteria, marchio di
riconoscimento della band.
“CH3 CH2 OH” è di facile memorizzazione e con “Lena”
derivano dall’ep “Art Is The Mirror Of The Universe”.
Con “Disco Rat” escono i Soundsick Post Rock ed i
synth sono ad opera dell’ospite Paolo Messere. Il sound si avvicina di molto a
quello più nervoso e metallico degli ultimi Porcupine Tree, non so se questo
sia un fatto voluto o meno, tuttavia lapalissiano. “Brain In Brine” mette in
evidenza il basso di Teodori, sempre preciso e potente. I scenari cambiano a
favore di una decadenza propria di band anni ’90 come i The Smashing Pumpkins.
Come rappresentato all’interno dell’artwork, questo è un raggio di luce
colorato nel buio, flash sonori e Psichedelici.
Addirittura pianoforte e Synth a fisarmonica in
“Grandparents” che per l’ennesima volta richiama in me la band di Wilson e
precisamente quella periodo “Lightbulb Sun”. Tornano tuonanti ed esplosivi
nell’ottima “Astonishment”, con cambi di ritmo ed umorali, a testimonianza di
una amalgama fenomenale, un movimento unisono ed armonico. Un balzo indietro
nel tempo con una loro hit tratta dall’ep precedente dal titolo “Loneliness”,
qui in nuova veste, più fresca e cristallina.
Gli Onibokun le ritmiche le hanno nel sangue e
provate quindi ad ascoltare “Asphixia” senza restarne colpiti. Una chitarra
Punk apre “Moleskine”, altro movimento ricercato e vicino allo stile
“Loneliness” per quello che ne concerne solamente il ritornello. Scarica di
adrenalina in “Varnelli E Muffa”, cadenze emotive sempre sopra un impatto sonoro
importante. Nei brani spesso traspare comunque un velato senso di nostalgia. Chiude
il capolavoro sempre tratto dal precedente ep “Candies & Cum”.
“Astonishment” è questo, una promessa mantenuta e
soltanto chi pensa che la musica non sia una forma d’arte vera e propria,
ignora la sua esistenza. Tutti gli altri si divertono all’ascolto, perché di
fronte ad una vera e propria barriera sonora! (MS)
Fabio Zuffanti
ZUFFANTI
– La Quarta Vittima
AMS
Records/BTF.it – A Buzz Supreme
Genere:
Progressive Rock
Supporto:
cd – 2014
Fabio Zuffanti, figura esponenziale per il panorama
Progressivo italiano, compie venti anni di attività. Tante ne ha passate di
storie ed altrettante di collaborazioni, a partire dai Finisterre e poi Aries,
Hostsonaten, Lazona, L’Ombra Della Sera, Merlin-The Rock Opera, Quadraphonic,
Rhomer, R.U.G.H.E. , La Maschera Di Cera, che potremmo scriverne un libro! Ed
oggi eccolo a noi con il sesto suggello da studio come solista.
“La Quarta Vittima” è il sunto stilistico di una
carriera, pur sempre realizzato in chiave moderna, dove in esso si intersecano
le influenze passate negli anni e soprattutto si evince una maturazione
professionale come pochi altri interpreti nostrani hanno saputo dimostrare nel
tempo.
Si tratta di
un concept album, basato sul libro di racconti gotico surreali “Lo Specchio
Nello Specchio”. Tuttavia nell’album le canzoni non sono contigue anche se
qualcosa di misterioso sembra tenerle legate, la stessa magia e continuità che
Peter Hammill sapeva dare con i suoi Van Der Graaf Generator. Un insieme d’
influenze e generi che si danno staffetta con grande indifferenza, tanto da
sembrare in effetti una sola creatura, ma così non è, si trovano Psichedelia,
Dark Prog, Hard Rock, Jazz, Elettronica ed altro ancora che lascio a voi
scoprire.
Si comincia con una fuga fra le stanze vuote di un
palazzo labirinto, “Non Posso Parlare Più Forte” è questo, una corsa disperata
sulle ali di un flauto che sospinge il movimento e una maestosità cupa degna
dei Goblin impegnati in altri più terrificanti contesti. Mini suite emozionante
già al primo ascolto, con tutti gli ingredienti per un Prog fans, Mellotron
compreso. Sensazioni e flashback si presentano sopra il solo di chitarra di
Laura Marsano, Psichedelia di Pinkfloydiana memoria. E gli amanti della band di
Waters e soci, hanno di che gioire anche nella successiva “La Certezza
Impossibile”, con un altro assolo di chitarra semplicemente da pelle d’oca!
Molti i musicisti che si alternano all’interno
dell’opera, alcuni anche noti, come il fido Luca Scherani (vibrafono) ed
Alberto Tafuri (tastiere) anche produttore di musica Pop italiana e vocal coach
di Elio nelle ultime edizioni di X Factor. Il brano si svolge anch’esso in una
tematica dalla base oscura e sognante.
Ma ecco a questo punto il Zuffanti che non ti
aspetti, “L’Interno Di Un Volto” sfocia persino in ambito Metal, qui l’artista
mostra i muscoli pur rimanendo dentro i binari umorali in una sorta di mix fra
Orme e Van Der Graaf Generator.
Segue “La Quarta Vittima”, Jazz Rock impreziosito da
fiati e tutto questo fa pensare inevitabilmente ad uno stile Frank Zappa. Così
è, ma soprattutto godibile l’intro del flauto di Gian Marco “Pantera”
Pietrasanta. Canzone più ricercata nel contesto, direi più coraggiosa in ambito
Progressivo.
Con “Sotto Un Cielo Nero”, in una nera città senza
vita, un pianoforte impazzito fa da base ad un movimento sonoro in crescendo
dalla base Jazz Rock. Imponenti gli interventi di tastiere. Ne “Il Circo
Brucia” i riferimenti Van Der Graaf Generator si accumulano, miscelandosi con
soluzioni di Crimsoniana memoria. Si chiude con sofficità grazie a “Una Sera
D’Inverno”, il titolo già fotografa le sensazioni che si hanno all’ascolto e si
vola verso le stelle con il sound tipico dei migliori Pink Floyd. Un album a
cui è quasi impossibile trovare un difetto, dove dentro si trova l’anima
odierna dell’artista Zuffanti, a questo punto vero e proprio patrimonio nazionale.
Consigliatissimo, soprattutto ai fans delle band citate nella recensione. (MS)
giovedì 19 dicembre 2013
Nashville Pussy
NASHVILLE PUSSY - From Hell to Texas
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock - Heavy Blues
Support: CD - 2009
Il quartetto di Atlanta oramai ci ha abituati a standard qualitativi elevati. Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo album da studio e li ritroviamo oggi più in forma che mai. Il loro Hard Rock derivante dal Blues è sempre sporco e rozzo, pregno di sudore e narratore di storie di strada. Il suono è grezzo e minimale, tuttavia tremendamente trascinante e le chitarre di Blaine Cartwright e di Ruyter Suys la fanno da padrona.
Questa volta si vola in Texas, l’argomento è “From Hell To Texas”, titolo tratto da un film Western del 1958. La ritmica composta da Karen Cuda al basso e da Jeremy Thompson alla batteria è grezza e minimale, ma questo è il mondo dei Nashville Pussy, dove l’essere è prioritario rispetto l’apparire. Riff vincenti, ma a sorpresa di tanto in tanto fuoriescono anche schegge di Punk Rock, come in “Late Great USA”, quasi stile Clash. Se vogliamo in questo disco di riferimenti ne troviamo a decine, dai Lynard Skynard ai Motorhead, Ramones e band stile Hanoi Rocks.
Ci sono dei frangenti altamente coinvolgenti fra i dodici pezzi che compongono il cd, come ad esempio “Why Why Why”. Coinvolgente sotto molti aspetti “From Hell To Texas” è ben strutturato, scorrevole, davvero semplice e diretto. La voce roca di Blaine è perfetta narratrice di losche storie, per il resto questo tipo di musica non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni, in quanto gode di uno stile unico e solo chi vive il Rock può capire pienamente questo concetto.
Una cosa è certa, l’ascolto fa venire la voglia di bere una bella birra fresca, magari con una bella pupa al fianco ed ovviamente la musica a palla. Ma a parte questi luoghi comuni, il disco è davvero consigliato ad un pubblico vasto, che varia dal Metal all’Hard & Blues. Non titubate avanti a “From Hell To Texas”, lasciatevi trascinare e sporcare anche voi dal vento e dalla polvere del vecchio West. Quaranta minuti di svago assicurati. Rock On! MS
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock - Heavy Blues
Support: CD - 2009
Il quartetto di Atlanta oramai ci ha abituati a standard qualitativi elevati. Sono passati tre anni dall’uscita dell’ultimo album da studio e li ritroviamo oggi più in forma che mai. Il loro Hard Rock derivante dal Blues è sempre sporco e rozzo, pregno di sudore e narratore di storie di strada. Il suono è grezzo e minimale, tuttavia tremendamente trascinante e le chitarre di Blaine Cartwright e di Ruyter Suys la fanno da padrona.
Questa volta si vola in Texas, l’argomento è “From Hell To Texas”, titolo tratto da un film Western del 1958. La ritmica composta da Karen Cuda al basso e da Jeremy Thompson alla batteria è grezza e minimale, ma questo è il mondo dei Nashville Pussy, dove l’essere è prioritario rispetto l’apparire. Riff vincenti, ma a sorpresa di tanto in tanto fuoriescono anche schegge di Punk Rock, come in “Late Great USA”, quasi stile Clash. Se vogliamo in questo disco di riferimenti ne troviamo a decine, dai Lynard Skynard ai Motorhead, Ramones e band stile Hanoi Rocks.
Ci sono dei frangenti altamente coinvolgenti fra i dodici pezzi che compongono il cd, come ad esempio “Why Why Why”. Coinvolgente sotto molti aspetti “From Hell To Texas” è ben strutturato, scorrevole, davvero semplice e diretto. La voce roca di Blaine è perfetta narratrice di losche storie, per il resto questo tipo di musica non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni, in quanto gode di uno stile unico e solo chi vive il Rock può capire pienamente questo concetto.
Una cosa è certa, l’ascolto fa venire la voglia di bere una bella birra fresca, magari con una bella pupa al fianco ed ovviamente la musica a palla. Ma a parte questi luoghi comuni, il disco è davvero consigliato ad un pubblico vasto, che varia dal Metal all’Hard & Blues. Non titubate avanti a “From Hell To Texas”, lasciatevi trascinare e sporcare anche voi dal vento e dalla polvere del vecchio West. Quaranta minuti di svago assicurati. Rock On! MS
lunedì 16 dicembre 2013
Fabriano pro Musica e il "Compleanno Di Peppe"
e da Gabriele Chiappa, sul palco si sono esibite le realtà musicali: CONCORDIA, DETERIORS, QUINTETTO PETROV, CONFUSIONI INTENSE, LORENZO MEGNI E BIAGIO FERRERI, EXHUMIND, DIEGO TRIVELLINI, LAMBERTO DI PIERO INTERPLAY JAZZ GROUP, WORD FUNK, NYA, MOTOZAPPA, LEVANA, LAIKA SENZA RITORNO, SOUNDSICK, MARIA GRAZIA TODI, SUPERPUSHER, JUICE BLUES, FRANCESCO ASCANI AAAC GROUP, RENATO GASPARINI (AGORA'), MOTHERSIDE, JAIL UNDERDOG, HARD FOR WIND, SIMONE FRANCHINI, SPARE PARTS, HERESY OF THE DEADGOD, BLACK MIRRORS, BEATOMATO e GABRIELE BRENCIO . In conclusione sul palco una jam finale con gli artisti.
Grande partecipazione del pubblico che ha saputo
ascoltare ed apprezzare le nostre realtà, venendo così anche a conoscenza di
nuovi gruppi. Fra gag amichevoli ed aneddoti di volta in volta raccontati sul
palco dagli artisti stessi in ricordo di Peppe, la serata è scorsa con grande
partecipazione, sentimento e rispetto. Da sottolineare la maturità di tutti i
partecipanti che si sono esibiti in un unico abbraccio, come fossero una realtà
unica, pur non essendo mai convissuti assieme. Toccante l’esibizione di Maria
Grazia Todi.
L’evento ha fatto anche nascere una nuova
associazione dal nome FABRIANO PRO MUSICA, fondata da MARCO AGOSTINELLI
(presidente), FRANCESCO BELLOCCHI (vice presidente), FABIO BIANCHI (segretario)
LAMBERTO DI PIERO (tesoriere), RENATO GASPARINI (socio fondatore), SALARI
MASSIMO (socio fondatore) e SARA PALPACELLI (socia fondatrice). L'Associazione vuole diffondere la cultura
musicale nel mondo giovanile e non ed ampliare la conoscenza della cultura
musicale. Chi volesse aderire alla neonata associazione, tutti i dettagli ed il
modulo in PDF lo potete trovare alla pagina https://www.facebook.com/fabrianopromusica
. Durante lo spettacolo si sono raccolte offerte a donazione libera in
beneficenza all’Istituto MAGNIFICAT DI GERUSALEMME, scuola dove bambini ebrei e
palestinesi studiano musica insieme.
L’associazione Fabriano Pro Musica intende
ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’evento, con la promessa di
tornare l’anno prossimo con altrettanto entusiasmo e voglia di stare con Peppe.
Nell'attesa l'Associazione FPM farà sentire la sua voce con la promozione di
altri eventi.
sabato 14 dicembre 2013
Toxic Smile
TOXIC
SMILE – 7
Progressive
Promotion Records
Genere:
Metal Prog
Supporto:
cd – 2013
Quando nel Metal Prog la tecnica non soffoca la
melodia, nascono proposte davvero affascinanti e gradevoli. Equilibri di suoni
fra controtempi e fughe strumentali ma soprattutto buoni ritornelli, sono gli
ingredienti che adoperano i tedeschi Toxic Smile.
Nella band milita una vecchia conoscenza del
circuito, Marek Arnold, sassofonista anche con Cyril, Seven Step To The Green
Door e Flaming Row. Assieme al batterista Daniel Zehe nel 1996 forma la band
Toxic Smile, con loro si uniscono Uwe Reinholz alla chitarra, Robert Brenner al
basso e Larry B. alla voce. Oggi alla batteria troviamo Robert Eisfeldt.
Come lascia presagire il titolo dell’album, questo è
il settimo sigillo da studio. Qui ci sono ingredienti che fanno del Metal e del
Prog la punta di diamante della ricerca nel Rock. Dove c’è “evoluzione”
esistono questi album che possono anche non essere considerati dei capolavori,
perché per esserlo devono avere forte personalità, ma dentro le composizioni
hanno comunque un puzzle formato da differenti ed interessanti soluzioni. Come
ci raccontano i ritornelli di “From Inside Out” e “Barefooted Man”, la melodia
è un punto imprescindibile ed inamovibile. Paragonate questi due brani con il
successivo “Needless” e capirete la differenza fra essere Metal Prog e sperimentalmente
Metal Prog. Quest’ultimo sembra uscire da “Rage For Order” dei Queensryche.
Il sax ci accoglie
in “Love Without Creation”, composizione più abbordabile, quasi in stile
Toto. Ebbene il fascino e la classe dei Toxic Smile qui fuoriescono in tutto il
loro splendore. Riff taglienti in modalità “on” nella successiva “Rayless Sun”,
una mini suite di otto minuti che lascia campo anche ad ampie schiarite sonore.
“King Of Nowhere” è una sorta di mix fra New Prog e
Metal, un tentativo alquanto bizzarro ma non sgradevole, specie nella fase
ritmica, sicuramente messa a dura prova. L’album si chiude con “Afterglow” (no,
non è “Wind And Wuthering” dei Genesis), altra palestra per la sezione ritmica
con tappeti di tastiere e molto dei Dream Theater.
“7” è un album schietto, ma indeciso fra “schiaffo o
bacio”, avesse avuto un poco più di coraggio, o dal lato Metal, o dal lato
Prog, forse avrebbe convinto di più. Così si rischia una via di mezzo nella
terra di nessuno. Ma è davvero ben fatto, ben registrato e con ottimi momenti
musicali. Sicuramente nel complesso un disco sufficiente e da ascoltare. (MS)
martedì 10 dicembre 2013
The Black Noodle Project
THE BLACK NOODLE
PROJECT – Ghosts & Memories
Progressive
Promotion Records
Genere:
Progressive Rock – Psichedelia
Supporto:
cd – 2013
Dopo quasi tre anni di attesa, ritornano i francesi
The Black Noodle Project per farci ascoltare il settimo lavoro da studio.
Questo periodo di assenza non è passato incolume, si è assistito alla defezione
del bassista Anthony Lètèvè e del tastierista Matthiew Jaubert e quindi come si
disse per i Genesis, sperando che sia di buon auspicio di vendite….e rimasero
in tre. La formazione è composta da Jeremie Grima (chitarra, basso, voce,
tastiere), Sebastian Bourdeix (chitarra) e Fabrice Berger (batteria).
“Ghosts & Memories” prosegue il percorso
intrapreso con il buon “Ready To Go” (2010), ma quello che risalta
principalmente all’ascolto è una maggiore cura per gli arrangiamenti. Le
atmosfere Dark presenti anche nei capolavori dei Pink Floyd come in “Whis You
Were Here” ed “Animal” sono ancora una volta presenti, così lo stile musicale
somiglia nuovamente a quello della band di Gilmour e Waters. Gli interventi
sonori indirizzati verso il Metal fanno di tanto in tanto capolino, rendendo
ancora più grevi le atmosfere.
L’album si apre con “The Wanderer Of Lost Moments”,
canzone che potrebbe benissimo trovare spazio nella discografia degli Anathema,
periodo centrale della loro carriera. Ascoltando questo modo di comporre, viene
naturale anche un paragone con la band Porcupine Tree di Steven Wilson, oramai
vero e proprio faro illuminante per molte delle band odierne che intraprendono
il percorso Progressive Psichedelico.
“They Live, We Sleep” è una bordata vera e propria
di suoni dedicati al Pink Floyd fans, brano strumentale che alterna acustica
con chitarre elettriche trascinate in stile Gilmour. Sembra di tornare negli
anni ’70 e nell’album “Obscured By Clouds” con la successiva “The Owis (Are Not
What Thy Seem)”, questa tuttavia resta la prerogativa di tutto l’album.
Musica da ascoltare con attenzione, che deve essere
affrontata con una preparazione psichica adeguata, per poter meglio affrontare
il viaggio proposto ed apprezzarne al meglio i passaggi. Fatelo con “Voices
From Yesterday” e ne trarrete vantaggio anche fisico oltre che mentale.
Profondità di carattere, la band nulla lascia al
caso, curando ogni aspetto delle composizioni, dagli effetti sonori alla
registrazione stessa, davvero ben effettuata. “Ghosts” è uno dei frangenti più
alti del disco che a questo punto chiamerei anche opera.
Si chiude con “A Purple Memory”, puro Porcupine Tree
style era “Up The Downstair”, nervoso e cadenzato, aperto ad ampie schiarite.
Un disco nella sua integrità oscuro, ma composto
d’aria, aperto, sottile e delicato e chi segue il genere in analisi sa bene
dove vado a parare, tutti gli altri non devono esimersi dall’affrontare questo
nuovo percorso sonoro, sicuramente alcuni di voi ne resteranno folgorati. La
Francia non è nuova a belle sorprese in ambito e faccio anche i complimenti ad
Oliver Wenzler, per aver assunto nella propria scuderia, la Progressive
Promotion Records, questa band che sicuramente negli anni farà parlare di se.
Noi italiani arriveremo a capirlo solo fra qualche anno, è inesorabile. (MS)
domenica 8 dicembre 2013
Sonata Islands
SONATA
ISLANDS – Meets Mahler
Zone
Di Musica
Genere:
Avant-Jazz
Supporto:
cd – 2013
Esistono progetti per chi vuole ascoltare qualcosa
di più che semplice musica. Esistono progetti dove l’arte e la cultura si
uniscono per una ricerca armonica e strutturale di nuova sostanza, in cui si
può restare sorpresi da un risultato d’impatto sicuramente non convenzionale.
Esistono progetti dunque per intenditori e per coloro che ancora oggi hanno
voglia di stupirsi. I Sonata Islands sono un progetto cameristico nel quale
sound si evince dell’Avant-Jazz e dell’Avant-Rock, quindi con un dna
strutturalmente complesso. Realizzano nella loro storia quattro cd e con “Meets
Mahler” raggiungono il quinto sigillo, mentre per conoscere la realizzazione di
altri numerosi progetti, teatrali e cinematografici per cortometraggi, vi
rimando al loro sito http://www.sonataislands.com/sonata_islands/index.html .
Mi sento di affermare che “Meets Mahler” è il loro
progetto più ambizioso, qui si va a riproporre una sinfonia per voce soliste ed
orchestra composta fra il 1908 ed il 1909 di un artista che è già nel suo campo
uno sperimentatore, il compositore e maestro d’orchestra austriaco Gustav
Mahler. L’opera sinfonica porta il titolo di “Das Lied Von Der Erde” (in
italiano “Il Canto della Terra”).
La composizione si suddivide in sei movimenti, qui
eseguiti da jazzisti del calibro di Giovanni Falzone (tromba), Emilio Galante
(flauto), Achille Succi (Clarinetto e sax alto), Simone Zanchini (fisarmonica),
Stefano Senni (contrabbasso) e Tommaso Lonardi (voce).
L’operato di Mahler si nutre di musica popolare e
quindi si avvicina ad un approccio significativamente differente da quello
adottato per la sinfonica sino al 1900, non a caso questa attitudine è anche
musa per altri musicisti importanti, come ad esempio per il pianista jazz e
compositore di New York, Uri Caine. Possiamo dire che l’artista gioca “sporco”,
alterando certe convenzioni notoriamente irremovibili della struttura musicale
sinfonica. Ed i Sonata Island si gettano in questo percorso alterato e
sconnesso, mettendo del proprio, giocando con l’Avant-Jazz e l’Avant-Rock.
Vengono alla mente immagini all’ascolto di molti
passaggi, come nel secondo movimento “Kind Of Earth”, dovuto anche alla
vicinanza di soluzioni adottate anche dal maestro Ennio Morricone. Sarà per
l’uso della tromba, della fisarmonica, resta il fatto che fra cambi di tempo ed
umorali si viaggia nel Jazz, ma anche in una improvvisazione a tratti
minimalista. Un film di Fellini? Un puzzle assolutamente difficile da
ricomporre. ”Non Mahler” è nervosamente Crimsoniano, salvo poi aprirsi a del
jazz solare, saltando nel pentagramma fra fughe e rallentamenti. Nuovamente si
fa luce l’improvvisazione, un colloquio fra strumenti che danno l’impressione
di non comprendersi, ma che comunque si cercano freneticamente, come in una
sorta di “Acchiapparella” (gioco infantile popolare).
Più affidata ai fiati “Von Der Schonheit”, anche lei
senza una struttura madre apparente, a tratti basata su una ritmica Jazz
marcata, ma è un alternarsi emotivo anche in questo caso.
Tuttavia il lavoro necessita sino al termine di una
attenzione particolare, un ascolto certamente mirato e non approssimativo per
far si di poterlo comprendere al meglio. Il progetto risulta fresco ma allo
stesso tempo monolitico, tanti piccoli componenti che compongono un gigante. Mi
sento di proporre questo album a chi di jazz sperimentale è già avvezzo, perché
prima di addentrarsi dentro questi labirinti sonori serve sicuramente una
preparazione mentale e culturale apposita. A me l’ascolto ha fatto venire in
mente un simpatico quesito: E se gli Area avessero composto nel 1900?
(MS)
mercoledì 4 dicembre 2013
Luca Poletti Trio
LUCA
POLETTI TRIO – Colors
Autoproduzione
Genere:
Jazz
Supporto:
cd – 2013
Luca Poletti è un giovane pianista di Belluno, laureato
allo strumento nel 2009 e nel 2010 diplomato in composizione e strumentazione
per bande. Nel 2012 si laurea con 110 e lode e menzione d’onore in musica Jazz
sotto la guida di Roberto Cipelli e Bob Bonisolo. Detto questo non resta che
attendersi dal musicista un buon esordio, perlomeno con idee interessanti. Ed
ecco “Colors”, una dimostrazione di sicurezza nei propri mezzi per un concept
alquanto intrigante.
La storia
parla di un pianista che in cerca di ispirazione, gira frequenze sulla radio
alla ricerca di spunti musicali. Nello zapping incrocia Monteverdi, Chopin, Petruciani e Leonard Bernstein, fino a raggiungere una composizione che lo
colpisce. Ma ironia della sorte, la frequenza lo abbandona, lasciando in lui
solo dei ricordi alquanto scollati di melodie. Il pianista si mette giù
d’impegno per eseguire almeno quelle che si ricorda. In questo viaggio sonoro
c’è un ospite d’eccezione alla tromba, Paolo Fresu, mentre il trio viene
completato da Stefano Senni al basso e Matteo Giordani alla batteria. Altri
ospiti sono Matteo Cuzzolin (sax tenore), Christian Stanchina (tromba), Annika
Borsetto (voce) e Michele Bazzanella (basso).
Il prodotto si presenta molto curato e
particolareggiato. In custodia cartonata e plastificata, contiene anche un
grazioso libretto di accompagnamento con foto, descrizioni e colori. Questo è
ad opera di DC Grafics – Diego Cossalter. Ottima anche l’incisione sonora
seguita da Stefano Amerio negli Artesuono Recording Studios, sicuramente una
esaltazione in più all’intero concept. Ed i colori stanno anche ad indicare i
differenti stili musicali e gli stati d’animo che essi rappresentano, almeno
personalmente preferisco credere che sia così.
Il disco si apre con il citato zapping, nel quale si
può scorgere anche una scheggia di Pink Floyd e poi via verso un Jazz elegante,
se vogliamo in vecchio stile, come sapeva ben fare il buon Sante Palumbo. Ed il
colore di questo “Strollin’ Around” è il giallo. I brani sono collegati da
brevi “preludi” sonori. La tromba di Fresu ci accoglie nella dolcissima
“Raining Grey”, caratterizzata da un cambiamento vigoroso a metà del percorso,
quando Poletti sale magistralmente in cattedra. Il suono caldo ed avvolgente
della tromba è un qualcosa che non si può descrivere con le parole.
Il “Preludio#2” ci accompagna a “Sirene”, verso una
melodia tranquillizzante, immersa nei suoni del contrabbasso di Stefano Senni.
Una musica di classe, non invasiva, da ascoltare a luce soffusa in assoluto
silenzio.
“Colors” è un disco che ha un pregio, la semplicità
con cui fa sembrare un movimento complesso a qualcosa di facilmente fruibile e
memorizzabile. Bello anche il momento di sax in “Bastian Oirartnoc”
(giustamente “contrario” al contrario). Ammaliante la voce di Annika in “This
Is For You”, unico brano cantato del disco, movimento piano e voce. Il resto…
sta a voi scoprirlo perché le sorprese non finiscono qui e quindi vanno
scartate come un regalo.
Un album che consiglio vivamente a coloro che
vogliono incominciare ad avvicinarsi al Jazz, ricco di buone melodie e passaggi
differenti, proprio come i colori della copertina. Debutto superbo! (MS)
lunedì 2 dicembre 2013
R-Evolution Band
R-EVOLUTION BAND– The Dark Side Of The Wall
Wide Production
Genere: Rock Progressive
Supporto: cd – 2013
Dietro al nome R-Evolution Band c’è Vittorio
Sabelli, fiatista ed arrangiatore e con lui Marcello Malatesta (tastiere),
Gabriele Tardiolo “Svedonio” (chitarra, Bouzuki), Graziano Brufani (basso e
contrabbasso) ed Oreste Sbarra (batteria). Dopo due album Jazz, la R-Evolution
Band opta per un idea quantomeno bizzarra, la rivisitazione del capolavoro “The
Wall” dei Pink Floyd. Coraggiosi o scellerati? A chi viene in mente di andare a
confrontarsi con tale capolavoro? Sappiamo bene che i Pink Floyd sono una band
di culto e come tale ha molti fans che l’adora e la protegge da eventuali
attacchi esterni, siano loro di critica che di plagio. “The Dark Side Of The
Wall” per molti di loro andrebbe criticato in maniera negativa, magari
scambiandolo anche per una manovra prettamente commerciale……sbagliato, perché
il contesto non è proprio questo.
E’ come guardare un nuovo film, nuovi suoni che si
riallacciano ai temi classici del disco, un vetro rotto del quale i pezzi si
vanno a confondere con quelli di altri vetri rotti. Nel risultato finale ci
sono coraggiosi passaggi ed interessanti interventi bizzarri, come nella scelta
di unire il sax con il cantato in growling. Ma la cosa più strana è che più il
disco va avanti e più ci si concentra sull’ascolto, sintomo che il progetto è
quantomeno interessante. Si ha la voglia di sentirsi stupiti, ma con la
tranquillizzazione di melodie note e care, un approccio questo che potrebbe
interessare a chi si vuole avvicinare al Prog senza il timore di ascoltare
astruse ed incomprensibili cavalcate sonore.
Il termine “scorrevole” è limitato, il disco vola
via fra Psichedelia, Rock, Jazz, Fusion, Prog, Avant Jazz….davvero un lampo, a
testimonianza di un arrangiamento valido e spettacolare. Viene spesso da
chiedersi, “ma è The Wall?”, perché ci si dimentica di lui.
“The Wall” è la realtà, “The Dark Side Of The Wall”
è la cronaca del sogno di “The Wall”, fra sensazioni, voli a bassa quota ed
immersioni in posti apparentemente incongruenti. Non esistono altri termini per
questa sorta di genialata che spero non venga a mancare nella vostra discografia,
magari proprio nello scaffale dei Pink Floyd, fra mattoni, vacche, prismi ed
orecchi immersi.
Statene certi che non sfigura. (MS)