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domenica 29 gennaio 2023
sabato 28 gennaio 2023
Andrea Vercesi
ANDREA
VERCESI – Mad Fallen Leaf
SBM / Autoproduzione
Genere: Progressive Folk
Supporto: cd – 2009
Quando
si nomina il Progressive Folk non può che venire alla mente la band del geniale
folletto Ian Anderson, i Jethro Tull, la faccenda è pressoché inevitabile. La
musica proposta dal gruppo inglese ha lasciato un segno indelebile nella storia
della musica, decennio dopo decennio, tuttavia il termine ha uno spettro molto
più ampio e anche noi italiani di certo non ce la caviamo proprio male. Ad
esempio nell’esordio discografico “Mad Fallen Leaf” del lombardo/piemontese
Andrea Vercesi ci sono numerosi ottimi spunti sonori, eppure passa nel 2009
leggermente in sordina, probabilmente perché non supportato alle spalle da una
buona campagna di distribuzione o pubblicitaria. Per
entrare a pieno nel mondo sonoro del chitarrista e cantante Vercesi basta
guardare e leggere l’artwork che accompagna il supporto ottico musicale, un
disegno rustico di Daniele Blundo, diretto, un concentrato d’autunno che spinge
la fantasia a volare in ambienti rupestri proprio come è riuscito Anderson in
“Songs From The Wood” (1977) o nel successivo “Heavy Horses” (1978). Il legame
con i Jethro Tull è dunque forte, tanto da invitare a suonare nel disco anche
l’ex batterista Clive Bunker oltre che ricevere una dedica dallo stesso Ian
Anderson trascritta nel libretto del disco, curato e ricco d’informazioni. Le
undici composizioni iniziano con “On The Top Of The Hill” e vedono proprio
Bunker divertirsi dietro alle pelli. La chitarra acustica e la bella voce di
Andrea sono il carburante del brano semplice e diretto. Jonathan Noyce (basso), Marcello Chiaraluce
(chitarra), Mauro Mugiati (tastiere) e Luca Careglio (batteria) accompagnano
Vercesi in “A Bright Summer Sun”, qui tutto assume un ampiezza mozzafiato,
proprio come nella foto nel retro del cd rappresentante Vercesi che medita
avanti ad un vasto panorama. Ma veniamo alla title track, “Mad Fallen Leaf” e
al sodalizio con i Jethro Tull, non solo la voce somiglia ancor più a quella di
Anderson ma il flauto di Franco Taulino chiude il cerchio. L'arrangiamento
orchestrale e'di Andy Giddings, qui ci sono tre ex membri dei Jethro insieme:
Jon Noyce (basso), Andrew Giddings (tastiere) e Clive (percussioni). E poi
arriva il brano ballata che non ti aspetti, ossia dall’approccio differente,
per intenderci maggiormente rivolto al mondo di Cat Stevens, “We Are Staring To
Sing This Tune” è acustico e nel finale vede anche l’aggiunta dell’armonica e
poi chitarra slide e ruffiani na-na-na che si lasciano cantare assieme
all’autore. “Please Stop All Your Tears” alza il ritmo e sembra voler dire, in
questo disco non ci sono solo i Jethro Tull, ma anche tanta personalità che
mette a nudo la tecnica esecutiva di sicuro apprezzabile. Durante l’ascolto di
“This Is Us” aleggiano alcuni dejà vu, tuttavia il discorso è analogo al brano
precedente. Non manca neppure lo strumentale e il ritorno del flauto, il brano
in questione porta il titolo di “In The Forest”, nomen omen. La cadenzata “It’s
Hunting Time… No More” ritorna nel folk Tulliano e comunque in un momento di
musica riflessiva dove la voce di Vercesi si fa bassa ed evocativa. Senza lo
strumento a fiato posso accostare questo pezzo al più noto “The Whistler”. Un
bell’arpeggio apre “The Snow Song”, gradevole canzone che nulla toglie e nulla
aggiunge a quanto da me raccontato sino ad ora, questo vale anche per “Mary
Doesn’t Speak Much” che comunque somiglia un poco a una ballata popolare. Gary
Pickford-Opkins (Rick Wakeman), purtroppo scomparso nel 2013, canta nella
conclusiva “An Italian Love Song” e un mandolino sottolinea la nostra
mediterraneità, bel colpo di coda finale a volerci dire che il folk inglese è
bellissimo, ma noi in fondo siamo sempre italiani. L'autore di "An Italian
Love Song" è proprio Gary. Quest'ultimo pezzo è in realtà un inedito dei
Wild Turkey scritto da Gary nel 1972. In conclusione tengo a sottolineare che
Andrea Vercesi canta molto bene la lingua inglese, spesso pecca dei nostri
cantanti e limite del nostro genere. A parte tutti i paragoni con i Jethro Tull
del caso (non poteva essere altrimenti visto che l’autore ha realizzato in
passato dischi di cover al riguardo) “Mad Fallen Leaf” ha una buona personalità
e anche ottimi arrangiamenti, un disco si acustico ma anche Rock dove la
leggerezza dell’aria sembra sfiorarci la pelle durante l’ascolto per farci
sentire liberi e leggeri. Questo album avrebbe sicuramente meritato di più. MS
Alessio Trapella
ALESSIO TRAPELLA – La Ricerca
Dell’Imperfezione
Autoproduzione
Genere: Cantautore – Progressive
Rock
Supporto: cd – 2022
Ciò
che rende unico un individuo è l’imperfezione. Una caratteristica personale che
ci contraddistingue dalla massa e ci rende esclusivi. Essa può piacere o no,
ciò che attira una persona magari non piace a un'altra, ma mentre la bellezza è
standard, l’unicità del difetto è prerogativa di chi sa valorizzarla per
renderla vera e propria arma a disposizione. Vogliamo ricordare Rita Levi-
Montalcini e il suo libro “Elogio All’Imperfezione” oppure “L’Imperfetta
Bellezza” di Michele Iacono? L’argomento è sempre stato interessante oltre che
approfondito da molti altri letterati o intellettuali, poteva dunque mancare la
musica da questo elenco? Certo che no, e anche il Progressive Rock italiano
vicino al cantautorato si spinge dentro questi confini che affascinano e creano
attese. Qui veniamo all’imperfezione riferita alla composizione e
all’esecuzione di un brano, dove i difetti lo rendono spontaneo e veritiero, in
quest’ambito l’imperfezione rende unico il risultato, non freddo e calcolato
come ad esempio la tecnologia oggi ci ha abituati.
Alessio
Trapella per chi segue il Prog italiano di certo non è un nome nuovo, a ragione,
infatti, si trova nelle file di gruppi come Le Orme, gli UT New Trolls e la
band di Aldo Tagliapietra. Trapella è un polistrumentista oltre che cantante, approccia
alla musica da giovane attraverso la tromba, oggi suona il basso, la chitarra,
il contrabbasso, l’armonica e il flauto dolce, il suo approccio alla musica è
totale. Fa strano parlare di esordio discografico per un musicista che molto ha
già espresso in campo, tuttavia “La Ricerca Dell’Imperfezione” trattasi di
questo, un primo disco da solista, un mettersi in gioco nella maniera più totale.
Nel disco con l’opera realizzata a mano da Giulia Alessio che lo rappresenta,
suonano assieme a lui Ares Savioli (Tastiere, chitarra), Luca Chiari (chitarre)
e Gianluca Raisi (batteria). L’artwork all’interno è di colore rosso vivo,
contenente oltre che ai rituali testi, anche foto rappresentanti lo studio
d’incisione, gli strumenti e i musicisti in causa. Dieci le canzoni in cui
Trapella gioca la carta della semplicità, schiettezza artistica relegata al
gusto del bello ma che non cerca mai di fare il passo più lungo della gamba.
Musica da ricordare senza troppi fronzoli con all’interno testi importanti e
passaggi tecnici comunque non da sottovalutare, e non potrebbe essere
altrimenti visto il bagaglio dell’autore alle spalle.
Ottima
la prova vocale del musicista veneto, si apprezza sin dall’iniziale “Sonata
461” che palesa l’intrinseca anima delle Orme. Ed è già qui che l’imperfezione
appare a chi sa riconoscerla, così in “Freeda” dove le tastiere sono
protagoniste di un inno a una donna musa ispiratrice. Il Rock gentile prosegue con
“Al Fratello Mai Nato”, un bilanciato mix fra canzone e Prog, qui Trapella osa
di più nella ricerca, almeno negli effetti vocali. Forte in me ritorna il
ricordo di un capolavoro assoluto nominato “Terra In Bocca” degli indimenticati
I Giganti, anni ’70 annessi. “Bando” è più canzone ma con un intermezzo molto
Genesiano. Il ritmo sale attraverso “Euridice A Milano”, l’attesa di Orfeo si
confonde fra le sonorità dal profumo Premiata Forneria Marconi, bellissimo
brano con cambi umorali. Introspettiva “Silenzio Azzurro”, canzone più lunga
dell’album con i sei minuti abbondanti di durata. La successiva “Un Amaro” è
storia quotidiana e contiene un bell’assolo di chitarra elettrica che sfocia
nel territorio Jazz. “L’Uomo Col Cuore In Mano” mostra il lato più sensibile
del musicista fra arpeggi e un incedere che ricorda passaggi dell’album “Passpartù”
della già nominata Premiata. Un piano apre lo scioglilingua milanese “Ti Cat
Tachi I Tachi”, l’andamento jazz si mescola con il Rock e ad alcune sorprese in
modalità Area. La malinconica “.Regredendo” mette fine all’ascolto ed è una
vetrina per le capacità balistiche del polistrumentista in esame.
In
questo disco d’esordio Alessio Trapella mette in campo tutte le carte a
disposizione conquistate negli anni fra palco e studi, per un risultato
gradevolissimo oltre che bene inciso. Tanta melodia e tanta storia, il connubio
aleggia nell’imperfezione che resta comunque ben celata. Ha ragione da vendere,
non dobbiamo avere paura di sbagliare, sentiamoci sinceramente liberi perché si
vive sicuramente meglio. MS
sabato 21 gennaio 2023
TNNE
TNNE – Life 3.0
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T. Music
Genere: Neo Prog
Supporto: cd – 2023
La
storia della band lussemburghese TNNE è annosa e inizia nel 1988 a Dudelange
con il nome No Name. Si sciolgono nel 2010 per poi riformarsi due anni dopo con
il nuovo nome TNNE (The No Name Experience) sempre capitanati dal tastierista
Alex Rukavina e dal cantante Patrick Kiefer. Oggi a completare la formazione ci
sono anche Cédric Gilis (chitarra), Stephane Rosset (basso) e Gilles Wagner (batteria).
Escludendo
singoli e antologie, i TNNE realizzano nella carriera sei album, tutti dediti a
un sound Neo Prog ispirato ai Marillion dell’era Fish. “Life 3.0” è quindi il
settimo sigillo in studio, realizzato per la Progressive Promotion Records e
come tradizione della casa edito in una confezione cartonata contenente il
classico libretto con tanto di testi e foto.
Il
disco si può considerare un concept album in quanto basato sul romanzo
"Otherland" di Tad Williams.
La
voce narrante di Roby Rinaldetti come in un trailer di un film introduce all’ascolto
in “The Net”, composizione basata sulle tastiere sopra un ritmo cadenzato oltre
che supportato da un’ottima chitarra elettrica. Subito i TNNE si presentano in
grande forma e non fanno ostaggi con la suite di tredici minuti “Dreaming Awake”.
All’interno tutta l’esperienza musicale dei componenti che mettono a
disposizione del brano il jazz, suoni anni '80 che ricordano le scorribande
sonore di Mark Kelly (Marillion), e non mancano neppure riff vigorosi. Buona la
prova vocale di Kiefer che come sempre ha una voce pulita senza mai strafare e
tantomeno non fa il verso a quella del buon Fish. Da solo il brano vale il
prezzo del disco. E a proposito di Neo Prog dalle belle melodie di facile
digestione ci pensa il singolo dell’album “No Man’s Land” a spiegare come va
suonato il genere. Buona la sezione ritmica, ma è tutta la squadra che lavora
in modo elegante e fluido. Ci sono
canzoni che vorresti non finissero mai, come nel caso di “Behind The Mirror”,
trascinante e dal refrains contagioso. Spesso la semplicità paga, ma questa è
semplicità camuffata in quanto all’interno, si annida tanta esperienza. Con “Heavenly
Visions” c’è la sorpresa, un brano di certo non convenzionale per la
discografia della band, un grande lavoro ritmico spezzato, una ricerca
strutturale differente che esula dal Neo Prog basico, ma tranquilli, siamo
sempre nell’ambito Progressive Rock.
La
chiusura è affidata a “Harvest”, breve canzone strumentale maggiormente
riflessiva e dall’ampio respiro, la chitarra elettrica riesce a coccolare l’ascoltatore
con un incedere che sembra voler parlare. Alla fine di tutto resta una bella
sensazione di completezza.
Perché
si dovrebbe acquistare “Life3.0” è presto detto, a parte gli Arena, i
Pendragon, gli IQ, i Marillion e pochi altri ancora, il genere è ancora oggi
ben rappresentato e questi intrepidi sostenitori di certo vanno supportati per
non far spegnere la fiaccola del Neo Prog. Non è un disco per nostalgici
intendiamoci, all’interno come ho avuto modo di spiegare ci sono molte altre
soluzioni, motivo in più per avvicinarsi al mondo degli storici TNNE. MS
Luigi Milanese
LUIGI
MILANESE – Closer To Heaven
Autoproduzione
Distribuzione:
Black Widow Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2016
La
chitarra, quante volte abbiamo pensato di imbracciarla e provare a fare due
accordi, quanti eroi musicali abbiamo amato e seguito nei decenni e poi sogni,
ispirazioni, esercizi… Uno strumento annoso che non ha eguali, la chitarra
evolve, ma non passa mai di moda. Ci sono anche artisti che sono cresciuti in
maniera autodidatta e che hanno raggiunto risultati eccellenti, vedi il
precursore dell’Hard Rock, Jimi Hendrix, ma quando la passione, l’estro, Il
talento, il gusto della melodia e la manualità sono supportati dalla tecnica,
allora i risultati sono davvero sorprendenti. Lo studio è importante e il
chitarrista genovese Luigi Milanese lo sa bene, avendo conseguito il diploma al
conservatorio di Alessandria. Amante del Rock & Blues nel 1979 Milanese inizia
la carriera con la Big Fat Mama Blues Band, tuttavia non disdegna neppure
l’Hard Rock, tanto da militare anche nel gruppo Blue Dawn. Da solista rilascia
nel 2013 il disco "Equinox" e collabora con musicisti come Pino
Daniele e i Los Lobos, insomma un musicista dalle solide basi e tanto talento.
Passano gli anni e Milanese sente di voler ritornare in studio per mettere in
pratica tutta l’esperienza accumulata nel tempo con materiale proprio, il
risultato è “Closer To Heaven”.
Dieci
brani autoprodotti assieme a Francesco Sparla e distribuiti dall’attenta Black
Widow Records suonati assieme a John Hackett (flauto), Bob Callero (basso),
Marila Zingarelli (violoncello), Luca Lanari (tastiere), Claudia Sanguineti
(voce), Federico Lagomarsino (batteria) e Adriano Mondini (oboe). I testi sono
di Tommaso Milanese.
Che
sia un artista a tutto tondo si evince soprattutto dalla varietà di stili cui
si va incontro durante l’ascolto, nel disco ci sono l’Hard Rock, il Pop e la
classica mentre la chitarra è sempre l’indiscussa protagonista.
La
bellissima voce di Claudia Sanguineti si sovrappone agli arpeggi di chitarra in
“I Never Did” e quando subentrano piano e violoncello sono brividi di piacere.
Musica per la mente che rilassa e allo stesso tempo si avvicina in maniera
acustica al Pop, vetrina per le capacità compositive dell’artista. Ed ecco
l’Hard Rock con “Riot House”, polveroso, stradaiolo, deciso nella sua
semplicità a far battere i piedi a ritmo del brano all’ascoltatore. Ça va sans
dire che la chitarra elettrica riesce a fare la sua bella figura. “All The
Thing I Never Said” sfiora il classicismo, mentre il flauto del fratello minore
di Steve Hackett (Genesis) John, riesce a impreziosire il brano, accompagnando
la fantasia verso paesaggi bucolici. I vocalizzi tendono a ipnotizzare, è fuori
dubbio che questa sia musica per stare bene. Ma attenzione, bastone e carota, a
un certo punto, verso il finale, Milanese ritorna all’elettrica e fa sfoggio
delle qualità tecniche.
“As
A Chill In The Golden Night” gioca anche con coralità, una composizione matura,
appassionata e sentita, nei particolari ricca di sorprese. Fra le mie preferite
del disco c’è l’appassionata “Aurora” dove nuovamente ritornano violoncello e
flauto. Ecco la chitarra che ammalia, la potenza di questo strumento immortale
che in un attimo ci rovescia addosso tutta la sua storia. Altra vetrina di
tecnica è “Acustic Rules”, con tanto di fingerpicking. C’è un brano diviso in
due parti, “Vision From The Well” intermezzato da “Internal Dynamics”, altro
picco qualitativo del disco, mentre la breve “Epilogue” chiude il percorso
sonoro.
Luigi
Milanese è questo, un artista che si mette a nudo attraverso la chitarra che
esprime la sua anima, ma con la consapevolezza di avere armi adeguate che non
consentono critiche. “Closer To Heaven” è semplicemente un gran bel disco, solo
complimenti per il gusto. MS
Marco Ragni
MARCO RAGNI – Into The Heart Of The Sun
Mind Dazed Records
Genere: Psichedelico / Progressive Rock
Supporto:
Cd, Bandcamp, Spotify – 2022
“Un pianeta sull'orlo del
collasso.
L'uomo intraprende un viaggio
alla ricerca di libertà, memoria e identità. Un excursus attraverso le
idiosincrasie di questa società. Un mondo popolato da improbabili eroi,
sognatori, figure malvagie, prostitute e spacciatori.
A tutti coloro che vorranno
cogliere le mille sfaccettature di questo nuovo disco, buon viaggio tra gli orizzonti
infiniti della speranza e i tunnel oscuri della paura. Perché non è la meta che
conta, ma tutto il percorso fatto per arrivarci.
Dove passeremo la nostra prossima
vita?”
Questo è quanto si legge nell’info
di Bandcamp riguardo all’ultimo disco di Marco Ragni “Into The Heart Of The Sun”,
chitarrista e polistrumentista di Rovigo. Non è la meta che conta, ma il
viaggio, l’ha detto anche la Premiata Forneria Marconi nell’album réunion del
1997 “Ulisse” in “Ieri” e “Andare Per Andare”, e in effetti è così. La musica
di Ragni è un viaggio e lo sappiamo già, la Psichedelia sale in cattedra tanto
da centellinare indizi anche nei titoli di Pinkfloydiana memoria, “Into The
Heart Of The Sun” e “Set The Controls For The Heart Of The Sun”, chiaro no? E
il brano titletrack è il leitmotiv di questo trip, suddiviso in quattro parti e
poi ci sono tre brani che spezzano il viaggio, l’iniziale “Where Will We Spend
Our Next Life?”, la centrale “Dark Matter” e la penultima “Child Of The
Universe” per un totale di sette brani.
La band è composta da Marco Ragni
(voce, basso, chitarra elettrica e acustica, tastiere), John Simms (chitarra
solista), Giovanni Ciarallo (chitarra elettrica, chitarra solista su 1-5) e
Jack Simmons (batteria e percussioni). John Simms, è il fondatore dei Clear
Blue Sky, Band londinese di Heavy Rock Psichedelico di fine anni sessanta. L’edizione
cd è in forma cartonata con la cover dello stesso Marco Ragni, mentre le
registrazioni sono state effettuate ai Tiny House Studios di Pontecchio
Polesine.
L’inizio di “Where Will We Spend
Our Next Life?” proietta l’ascoltatore direttamente nello spazio, in assenza di
gravità, il suono della chitarra intinge anche negli anni ’60 oltre che nei ‘70
e dona al brano un velo vintage che ben si sposa al contesto.
“Into The Heart Of The Sun Part 1”
vede la chitarra ruggire sopra una ritmica che ricorda di molto lo stile di
Nick Mason (Pink Floyd) . La voce di Ragni interpreta il brano scandendo le
liriche in maniera vigorosa. Adiacente giunge subito la seconda parte, echi e note
sospese rendono questo strumentale di sei minuti abbondanti un vero e proprio gioiellino
sonoro in un crescendo sonoro da brivido. Le qualità tecniche fuoriescono allo
scoperto, così la passione dell’artista per la psichedelia anche di parte
Krautrock. “Dark Matter” è il secondo e ultimo strumentale dell’album, il riff
è trascinante oltre che ipnotico. Un suono distorto di matrice Stoner Rock
introduce all’ascolto di “Into The Heart Of The Sun Part 3”, oramai le carte
sono tutte sul tavolo. Ci si perde nello spazio infinito del cosmo con “Child
Of The Universe”, altro graffiante andamento ricco di buone ritmiche.
Un arpeggio di chitarra acustica
apre la quarta e ultima parte di “Into The Heart Of The Sun” come uno squarcio
di sole arriva a concludere quest’ascolto che molto ha saputo emozionare,
specialmente agli amanti dei Pink Floyd oltre che dello Stoner Rock e
Krautrock.
Ascoltare “Into The Heart Of The
Sun” fa bene a noi e anche agli altri perché i proventi dell'album saranno
devoluti a I Bambini Dharma un'associazione che si occupa di dare una casa ai
bambini abbandonati. Grande Marco Ragni e bravi voi se lo acquistate. MS
mercoledì 18 gennaio 2023
Intervista Brave New Worlds
Intervista BRAVE NEW WORLDS
Risponde Fabio Armani
1 - Sotto il nome Brave New World c’è il pianista e
compositore Fabio Armani, un saluto da Nonsolo Progrock Fabio! Vuoi raccontarci come è nata l’idea di questo
progetto di musica Rock Progressiva e chi è l’artista Fabio Armani?
R: Ciao, ti ringrazio per la domanda. Innanzi tutto, mi presento. Mi sono laureato in Astrofisica nel 1987 ed ho studiato piano e composizione jazz sin dal 1975.
Compongo musica vocale e strumentale sia
acustica sia elettronica (Computer Music),
al momento sono direttore artistico degli ensemble musicali Terre Differenti e Brave New Worlds.
Suono il piano, i sintetizzatori, le tastiere, i campionatori e svariate
percussioni. Compongo ed arrangio gran parte del repertorio delle formazioni di
cui sono leader.
Nel 1999 ho
fondato l'etichetta indipendente Different
Lands (www.differentlands.com) allo scopo di produrre e promuovere artisti ed opere di
World Fusion, Electronic Music e Progressive Rock. L'etichetta è specializzata
in musica elettronica, jazz, progressive rock, world e classica contemporanea.
Nel 2000 ho
realizzato il mio primo CD interamente dedicato a composizioni ed esecuzioni
per pianoforte solista, intitolato “Nostalgie
di futuro”. Il CD, prodotto dall'etichetta Different Lands, è una collezione di composizioni per pianoforte,
basate su differenti stili musicali, che spaziano dal jazz alla classica, con
forti influenze medio-orientali.
L’idea di creare un progetto di musica rock progressiva mi girava in testa da un po’ di tempo (diciamo 50 anni ;-)). Ad oggi ho dato vita e guidato circa una quindicina di formazioni musicali (band, combo jazz, ensemble, anche orchestre jazz/fusion …), tra le quali vorrei menzionare gli Advena Avis (un progetto di musica antica e new-age), i Terre Differenti (un ensemble multietnico di musica world-fusion), gli EartHeart (musica sperimentale improvvisata), i NightWings (fusion) più un paio di quartetti jazz. Parecchie volte sono stato vicino a dare una svolta ‘progressive’ a molti di questi gruppi, realizzando alcuni brani in questo genere (es: “Splinters of Reality” con i Terre Differenti), ma poi, per evitare di uscire troppo dal seminato ho sempre rimandato. Nel frattempo, si andavano accumulando demo e brani quasi completi di rock progressivo che aspettavano solo di essere realizzati. Finché, circa quattro anni fa – per motivi esulanti la musica – ho conosciuto Luciano Masala (uno dei due chitarristi dei Brave New Worlds) e subito dopo anche Andrea Fenili (cantante dell’ensemble).
Non c’è voluto molto per scoprire le affinità e l’enorme eredità musicale che ognuno di noi avrebbe potuto portare in ‘dote’ nel caso avessimo ipotizzato un progetto comune. Siamo quindi partiti a realizzare qualche primo provino utilizzando alcune mie idee più o meno complete – tutto questo sotto il nome di “TangraMinds” (titolo di uno dei brani in questione). Siamo rimasti molto soddisfatti di quanto stava uscendo fuori e abbiamo quindi cominciato a pensare concretamente a dar vita ad un progetto comune e ad un possibile album che si sarebbe chiamato appunto “TangraMinds”. Poi, per ragioni varie – diciamo indipendenti dalla nostra volontà – questo progetto ha avuto uno stop, ma questo non ha bloccato la collaborazione tra me e Luciano. Presi da un ‘sacro’ fuoco creativo, dalla passione e dalla voglia di dar luce a quanto stava venendo fuori abbiamo lavorato alacremente al primo album del progetto realizzando l’album “Brave New Worlds” appunto. Questo è un disco di musica progressive, psichedelica ed elettronica interamente strumentale. Album che abbiamo pubblicato e distribuito nel 2020 dando così di fatto vita al progetto Brave New Worlds. Per realizzare il disco ci siamo avvalsi di una sezione ritmica costituita da Lenina Crowne e John (the Savage) [due ragazzi dell’Europa dell’Est che abbiamo conosciuto in alcuni festival ‘prog’ e che preferiscono il loro soprannomi] e da una serie di ospiti. Durante l’anno successivo è salito a bordo dei BNW Andrea e con lui abbiamo realizzato nel 2021 il nostro secondo album “.Net Of Illusions”, questa volta cantato con qualche brano strumentale, estendendo la collaborazione artistica ad ancora più musicisti.
Dopo qualche mese, BNW è divenuto di fatto un sestetto:
-
Fabio Armani: piano,
tastiere, campionatori, composizione e arrangiamento
-
Andrea Fenili: voce e
chitarre
-
Lenina Crowne: basso e
stick
-
Luciano Masala:
chitarre acustiche ed elettriche
-
Piergiorgio Lucidi:
chitarre acustiche ed elettriche
-
John
(the Savage): batteria e percussioni
Questa è l’attuale formazione a cui si aggiungono un buon numero di ospiti.
2 – Di cosa parla l’album?
Esempi eclatanti di questa tematica sono: “Melancholia” che parla della ‘melancolia’ presente in misura diversa in ciascuno di noi e che si trova esattamente al centro dell’album con una chiara dichiarazione d’intenti e “Touched with Fire” che ha un chiaro riferimento al libro della Kay Redfield Jamison mettendo in correlazione il disturbo bipolare con il temperamento artistico.
Inoltre la mini-suite “Naked Soylent” attinge (come era già successo in molti brani di “.Net Of Illusion”) al patrimonio della fantascienza – specie quella ‘colta’ – cara in particolar modo a me e a Luciano - con citazioni dal film “Soylent Green” e alla letteratura contemporanea come “il pasto nudo” dello scrittore statunitense William S. Burroughs. La cifra particolare di questo testo è comprensibile se chiamiamo in causa il famoso “io narrante” e quindi proviamo a dare una chiave di lettura allucinatoria, ovvero l’immedesimazione con il protagonista del film e del romanzo di fantascienza e con il protagonista de “il pasto nudo” (anche in questo caso: romanzo di Burroughs e film di Cronenberg).
Per chiudere questa rapida carrellata di tematiche non possiamo dimenticare la suite “239Pu” divisa in tre movimenti che parla del terrore dell’olocausto atomico e che purtroppo nostro malgrado (in quanto era stata composta prima dello scoppio della guerra di Ucraina) sembra essere drammaticamente attuale.
La title track “iSignals” è invece ispirata al magnifico romanzo di Stanislav Lem (autore, tra l’altro, di Solaris) e parla dell’impossibilità di comprendere possibili messaggi alieni. E’ ovviamente una chiara metafora dell’incomunicabilità e delle profonde divisioni che separano sempre più l’umanità interconnessa tecnicamente ma sempre più distante a livello profondo di cultura e valori.
In sintesi, possiamo dire che in quest’album spesso mi avvalgo (ci avvaliamo) della fantascienza per veicolare messaggi profondi e universali che riverberano nella nostra realtà.
3 - Quanto tempo è necessitato per la realizzazione dell’album dal concepimento alla registrazione?
4- Sei laureato in astrofisica, che valenza hanno avuto i tuoi studi nella musica che hai composto?
R: Qui e forse ancor di più nelle mie produzioni di musica elettronica e sperimentale, la risposta non può che essere: i miei studi in fisica e astrofisica hanno avuto una notevole valenza. Prima di tutto per quanto riguarda la realizzazione dei suoni e di sintetizzatori ed effetti virtuali. Non uso quasi mai preset, ma preferisco realizzare i miei suoni e spesso i miei ‘strumenti’. Per dieci anni ho avuto la fortuna di lavorare presso il centro di ricerca della Bontempi Farfisa.
Inoltre, essere laureato in fisica plasma in te un peculiare modo di pensare che ritengo sia alla base di tutte le composizioni di BNW e quindi di “iSignals”. Cosa intendo? Una capacità di identificare le ragioni profonde, una inesauribile curiosità, un metodo ‘scientifico’ che in musica trova una sua perfetta applicazione.
5- Quando hai iniziato a comporre questo concept, hai
pensato ad un pubblico ben specifico a cui rivolgerti oppure sei andato a ruota
libera senza restrizioni mentali di sorta?
R: Sinceramente, al centro della VISION di BNW c’è l’idea di evitare confini, di trascenderli. Quindi, cerchiamo di rivolgerci a tutti, senza preclusioni consci che il nostro messaggio – sia in termini musicali, sia contenutistici - è ben lontano dal facile messaggio “usa e getta”, omologante e frettoloso che viene fatto veicolare su radio e mass-media. Per dirla in modo diretto: è un messaggio complesso che già solo con l’uso di tempi dilatati (vedere l’utilizzo delle lunghe suite) non è facilmente recepibile. Richiede volontà e impegno. Sono certo - senza falsa modestia – che la nostra è una musica ‘stratificata’ in cui ad ogni ascolto possono essere percepiti nuovi livelli. Un po’ come nella pittura impressionista: a distanza percepisci un’immagine che poi a distanza ravvicinata mostra tantissimi particolari, magari anche tracce di un colore che non ti saresti aspettato.
6 – Non si chiede mai ad un genitore a quale “figlio” si
vuole più bene, lo so perché anche a me lo chiedono per il miei libri, ma in
questo album quale è il pezzo che secondo te lo rappresenta meglio e perché? (a
me per esempio è piaciuto molto “Trapped”).
R: Se fossimo in diretta, vedresti un sorrisino in cui si intravedono dei piccoli, ma pericolosi lampi di ‘ira’… comunque accetto la sfida. ;-) La mia traccia preferita è probabilmente “Melancholia” per la sua carica emotiva e per il suo essere originale nel far convivere sonorità ambient, downtempo e progressive. In ogni caso è per me molto difficile scegliere, in quanto il disco è sfaccettato e quindi almeno dovrei scegliere una traccia per ciascuno dei suoi ‘filoni’ stilistici. Indicherei quindi “Mirror Shades” e “Trapped” per quanto riguarda quello prog elettronico e “Indoors II” per il jazz contemporaneo ibridizzato con la musica classica da camera e infine “239Pu Fallout” come rappresentante del filone sperimentale. Ritengo che questo brano di non facile ascolto abbia un crescendo musicale ed emotivo molto interessante e potente.
R: Ascolto musica sin da quando avevo otto anni. Agli inizi ero innamorato (amore che in realtà non ho mai perso) della musica classica e in particolar modo di quella pianistica e orchestrale. Per questo motivo ho iniziato a studiare pianoforte classico sin da piccolo. Poi nel 1972 (avevo quattordici anni) il mio amico Gianluca portò a casa un quadrupletta di Lp che per me è stata folgorante. Si trattava dei seguenti dischi: “In the Court of the Crimson King” (dei King Crimson), “Close to the Edge” (degli Yes), “Octopus” (dei Gentle Giant) e “Dear Mr. Fantasy” (dei Traffic). Che dire, tale ‘regalo’ non poteva passare senza avere un effetto profondo!
Da quel momento in poi si sono generati una serie di cambiamenti:
- Ho fatto la corte a
mio padre per farmi regalare un organo elettrico (presto ricevetti un
bellissimo Vox Super Continental con i suoi tasti neri e bianchi e il
frontalino rosso fiammante. Si, è la versione a due manuali dell’organo dei
Doors).
- Pochissimi mesi dopo
fondai con alcuni amici il mio primo gruppo chiamato pomposamente “Direttiva
Primaria”. Cercavamo allora di fare una nostra versione di progressive rock
unendo musica classica e rock. Mi vergogno un po’ a distanza di tanti anni
della nostra velleità di cui mi resta qualche nastro, spartito e foto di me con
un mantellone alla Rick Wakeman ;-).
- Ho iniziato a
investire ogni mio risparmio nell’acquisto di dischi e strumenti musicali. Nota
da ridere: la mia stanza che era stata dichiarata, alla faccia dei miei
genitori, la sala prove del gruppo divenne presto un covo di strumenti più
disparati: chitarre, basso, amplificatori, pezzi di batteria … tutto stipato
nel mio armadio assieme ai vestiti. Guai a cercare una giacca in modo distratto:
ti sarebbero piombati addosso come minimo i piatti della batteria.
Tre anni dopo, nel 1975 – durante i miei ultimi anni del liceo - fu fondata la Scuola di Musica di Testaccio e io partecipai - con puro spirito di quegli anni - all’occupazione della sede al Mattatoio e alle prime riunioni del Collettivo. In quell’occasione ho iniziato a studiare e appassionarmi in modo serio alla musica jazz. In questo modo la ‘palette’ dei generi musicali si stava ampliando: la musica classica, il rock e il jazz.
Tra gli artisti che più mi hanno ispirato ci sono sicuramente compositori come Ravel o Stravinsky, inoltre gruppi come il Banco, la Premiata, gli Area e le band prog (Yes, VDGG, Genesis, Pink Floyd, Gentle Giant, ELP, …), la Canterbury, Frank Zappa e i Magma, oppure i grandi del jazz (Parker, Coltrane, Davis, Herbie Hancock, Chick Corea, Jan Garbarek …) o della fusion (Wheater Report…). Senza dimenticare Klaus Schulze, Tangerine Dreams, Can, Popul Vuh o il primo Battiato … insomma la lista è interminabile.
Per farla breve negli anni seguenti – mentre frequentavo la facoltà di Fisica - ho iniziato ad appassionarmi di musica elettronica[2] acquistando con i miei risparmi (ottenuti con lezioni private di matematica e fisica e con un lavoro come ‘operaio’ presso il laboratorio di pianoforti di un mio amico) il mio primo sintetizzatore: un Crumar DS2 che scherzosamente chiamai Crumiro. Ne sono seguiti moltissimi altri di sintetizzatori e tastiere… Tanti altri! A quel tempo mai avrei sospettato che questo mi avrebbe poi portato – dopo la laurea – a lavorare in uno dei centri più prestigiosi di musica elettronica in Italia e quindi a conoscere ‘mostri sacri’ come Sciarrino, Berio … In seguito, mi sono appassionato anche di musica ‘world’ suonando con musicisti di tutto il mondo (medio orientale, orientale, indiana) e di jazz-rock e fusion. L’unione di questi elementi ha portato alla creazione dell’ensemble multietnico di world-fusion Terre Differenti con cui ho realizzato tre album. Mi piace ricordarmi che questo ensemble non l’ho mai sciolto e che potrebbe realizzare un quarto album in un non lontano futuro.
Oggi ascolto tantissima musica (essendo di una generazione non più di ‘primo pelo’) adoro il vinile (di cui ho una vasta collezione), ascolto ancora i CD (circa 2000 unità). Ovviamente non mancano le piattaforme liquide. I generi che ascolto sono i più disparati e sinceramente faccio fatica ad ascoltare poche cose (es: la ‘trap’ tra queste …). Credo che quest’ascolto a volte ‘distratto’ e quasi randomico e a volte ‘analitico’ sia un elemento importante nel sound dei BNW.
Infine, confesso che mi piace moltissimo ascoltare la musica contemporanea e sperimentale, ma non disdegno una bella canzone pop se non è banale.
8 – Parlaci della copertina e dell’artwork di “ISignals”
R: La copertina di “iSignals” è stata una delle prima cose ad essere state realizzate. Anche in essa si vede la mia passione per l’astronomia e in questo caso la radioastronomia. Ovviamente è direttamente connessa con il testo della title track e quindi con il romanzo di S. Lem.
“A message of hope?
We are unable to tell after over a year
An alien message of death?”
Ritornano gli elementi filosofici e
speculative dell’autore ben rappresentati dall’oceano senziente di Solaris.
Esiste uno iato di conoscenza insuperabile tra il pensiero (semplice) umano e
il cosmo. Questo intende rappresentare la misteriosa e inquietante copertina.
Gli appassionati di fantascienza potrebbero anche leggerci echi di altre opere
affini (tra cui “A come Andromeda”, “Arrival” o “Contact”). Con l’occasione di
quest’album abbiamo anche fatto un restiling del nostro logo.
Nell’interno della copertina, nel retro e negli ‘inlay’ dei dischi (a breve
uscirà la versione fisica su due CD) abbiamo messo in modo esplicito una
rappresentazione dell’ipotetico segnale.
9 – Tantissimi i partecipanti in veste di special guest in questo tuo monumentale lavoro, in base a che hai fatto le scelte, puoi parlarcene?
Come precedentemente esposto “iSignals” si apre a più filoni / generi musicali. Per poter realizzare al meglio l’appartenenza di un brano ad uno di questi era necessario lavorare non solo a livello di composizione e arrangiamento ma anche a livello di orchestrazione. Ecco, quindi la collaborazione con Gergo Bille alla tromba e al flicorno in brani che sono di frontiera e comunque ascrivibili al jazz contemporaneo (le due “Lunaire”, “Imp3rfection” …) o con Isadora Novacovic’ al violoncello per dare una connotazione classica e contemporanea (es: in “Mistfall”). In questo modo l’organico si è allargato e mi ha consentito di scrivere appositamente per loro (una sorta di piccola orchestra da camera) o di lasciar loro spazio alla creatività e alle doti improvvisative. I diversi musicisti sono quindi da una parte legati all’orchestrazione e dall’altra all’aderenza concettuale e tematica dei diversi brani. Ecco quindi, che il sassofono di Manuel a volte diviene lirico e altre volte si lancia in assoli jazz al limite del furioso “free”, così come violino e viola passano da tessiture oniriche, a quelle orchestrali, a vortici sonori (es: l’assolo in “Touched with Fire”). I diversi chitarrismi espressi da Luciano e Piergiorgio (dei BNW) e da Alberto Gatti (ospite) sono stati discussi con loro e volti a massimizzare da una parte le loro attitudini, peculiarità e virtuosismo e dall’altra a rispondere ad esigenze timbriche e di orchestrazione. Le mie esperienze precedenti mi hanno portato ad avere un atteggiamento versatile con i musicisti: da una parte una direzione molto ‘centrata’ e precisa (fornendo loro le partiture) e dall’altra molto libera, lasciando a loro il compito di realizzare una parte con mie indicazioni più aperte.
Ciò detto, questa ricchezza timbrica e interpretativa colloca “iSignals” in una dimensione particolare che ritengo molto interessante e promettente anche per il futuro.
Infine, non possono essere dimenticati i molti cantanti che hanno contribuito al lavoro. A partire dalla nostra cantante Greta Moroni (voce principale nell’ultima “Lunaire” e controcanto in parecchie altre tracce), per poi arrivare a Ileana Baldassi (splendida vocalist jazz su “Mistfall”) o Davide Straccioni su ben sei tracce tra cui tutta la suite “239Pu”.
10 – Come vedi il Progressive Rock in questo momento e nell’imminente
futuro? Hai un’idea?
Mi conforta ricordare che il grande Vittorio Nocenzi del Banco (uno dei miei gruppi preferiti) ha un’identica visione. Inoltre, assistiamo alla nascita di molte formazioni prog in giro per il mondo che realizzano musica eccezionale – anche fondendo il prog con altri generi. Con alcuni di loro siamo in contatto e forse potremmo collaborare in un non troppo lontano futuro. Vedremo …
Da non dimenticare le molte ‘community’ sui social che creano un tessuto di interscambio fattivo e positivo mantenendo alto l’interesse.
11 – Molti i cambi d’umore durante l’ascolto, come Prog insegna,
tu a quali parti ti senti maggiormente legato, a quelle orchestrate o a quelle
più riflessive ed oniriche?
R: Mi piace molto questa domanda perché da una parte mette in luce proprio i diversi colori e tessiture che sono presenti nell’album e dall’altra mi consente di spiegare perché esistono questi diversi elementi. Le parti riflessive ed oniriche servono proprio da contraltare a quelle più ‘orchestrali’ un po’ come le pause in musica. Nel mio stile compositivo questi elementi sono stati sempre presenti e creano una dialettica a vari livelli.
Sono quindi legato ad entrambe le due diverse parti/atmosfere, così come alla complessità e stratificazione dei brani. Inoltre, questi elementi ritornano in momenti diversi dell’album (es: il tema di “Melancholia” diviene un intervento melodico in “239Pu Fallout”). Nel disco molti temi vengono ripresi, magari cambiandone la strumentazione o la cifra ritmica e tonale. Mi sono divertito a congegnare questi ‘ganci’ tra i pezzi. Collegamenti che sono presenti anche a livello dei testi.
Parlando di cambi di umore, mi piace ricordare ciò che succede in “Storm’s Eye”, pezzo che parla della paura di un pericolo imminente (guerra, cataclisma, epidemia …). La traccia inizia come una ballad acustica in ritmo ternario con tanto di chitarre acustiche e flauto di Donata Greco. Ma poi con il ‘pre-chorus’ e ‘chorus’ si trasforma in pezzo di rock dark. Per ottenere l’effetto ho giocato non solo sull’armonia e altri elementi compositivi, ma principalmente sulla strumentazione. Da notare che in questo brano è presente un coro con molto voci a sottolineare la drammaticità del ‘chorus’.
12- Nella canzone title track “ISignals” ci sento molto i Van Der Graaf Generator, mi sbaglio o è solo una mia sensazione?
R: Direi che ci hai preso in pieno! I VDGG sono uno dei miei grandi amori nel panorama del rock progressivo; non mi stanco mai di ri-ascoltarli e apprezzarli. Detto questo, ascoltando ed analizzando la title track si evidenziano alcuni elementi che vorrei porre alla vostra attenzione. L’inizio del brano (fino a 1’ circa) è decisamente un lavoro di musica elettronica che potrei inserire nell’ambito della musica colta (ci sono rimandi a Ligeti) o della tradizione della musica elettronica della scuola di Berlino (Klaus Schulze, Tangerine Dreams …)
2. I riff sono in diversi tempi dispari ed hanno una forte connotazione che li pone nella sfera dei King Crimson (altro mio amore). L’uso del violino in unisono con chitarra elettrica e sintetizzatore genera un sound peculiare. Eppure, c’è un movimento di bassi e accordi sotto al riff in 11/16 che sicuramente crea una tensione drammatica e oscura che ci porta direttamente nel mondo dei VDGG.
4. Tutte le parti cantate respirano di VDGG. Oserei dire – senza plagio – ma con un omaggio esplicito. (Da notare che la nostra passione per questa band si è concretizzata circa due anni fa nella realizzazione di una cover di “Refugees” dall’album “The least we can do is wave to each other”). Infine, gli assoli di chitarra possono tranquillamente ascriversi al genere jazz-rock, fusion.
13 – Questo è il terzo album che registri a nome Brave New Worlds, in cosa si discosta dai due precedenti? Se vuoi presentaceli.
R: BNW ha realizzato – come accennato all’inizio – un album strumentale omonimo nel 2020. Le nostre intenzioni erano quelle di unire progressive rock ad elettronica con elementi di musica psichedelica e world. Il sound è riconducibile ad un ipotetico prog suonato da Klaus Schulze o dai Tangerine Dreams con un tocco di Pink Floyd. Nel caso di questo primo album la traccia preferita mia e di Luciano si chiama: “Interstellar Lockdown”. Una nota particolare che vorrei segnalare è quella che per ogni brano di BNW è stato concepito un breve racconto (in genere di fantascienza) contenuto nel booklet del disco.
.NET OF ILLUSIONS è il secondo album concettuale che abbiamo realizzato ed è ispirato alle opere degli scrittori di fantascienza della così detta “new wave” (Philip K. Dick, William Gibson, Roger Silverberg, Roger Zelazny…), agli scritti dello storico Yuval Noah Harari (da cui è preso il concetto di rete di illusioni o rete dei miti) e di altri futurologi. In questo lavoro abbiamo cercato di inviare le nostre sonde concettuali nel futuro e immaginare diversi scenari per l’umanità. Abbiamo parlato quindi di intelligenza artificiale, distopie, realtà virtuale, cyberspazio, clonazione, pan-epidemie, Homo Deus …
In tutti i pezzi abbiamo voluto tenere al centro l’essere umano, ovvero la persona comune (uomo o donna) con le sue paure, psicosi, speranze … di fronte ad una realtà che muta con una velocità esponenziale. Potrete quindi ascoltare storie d’amore in scenari distopici (“Across her.side” e “Across his.side”), fughe in realtà virtuali (“Sliding Reality”) o battaglie apocalittiche per la sopravvivenza (“Twilighht Skylies”). Inoltre, alcuni dei pezzi hanno un riferimento esplicito alle opere degli autori di fantascienza (es: “A Scanner Darkly” di P.K. Dick – “Dying Inside” di R. Silverberg – “Neuromancer” di W. Gibson). “iSignals” (l’attuale e terzo album) è invece un’opera centrata sul tema della follia individuale e collettiva e quindi maggiormente oscura. Mi permetto a questo proposito di utilizzare le parole tratte da un feedback che abbiamo ricevuto da uno dei nostri fan:
“Credo che questo oscuro monolite abbia molto da dire a chi non si lasci scoraggiare dal suo aspetto impenetrabile. La coesione di questo lavoro rende difficile parlare di una traccia anziché di un'altra. Più in generale direi che l'uso dei fiati, più presenti che in passato, ha contribuito a donare sfumature più chiare alle predominanti tonalità scure del lavoro. Aggiungo infine che lo strumentale “Indoors II” si fa notare e apprezzare per la sua peculiarità orchestrale … “Laddove, un altro recensore ha scritto: “Un album disperato e per tale motivo bellissimo.” Da un punto di vista musicale ci sono i seguenti elementi che lo differenziano dai lavori precedenti:
In “iSignals” convivono almeno tre generi musicali principali: rock progressivo con contributi di musica elettronica (es: “Mirror Shades” dedicata al cyber punk, “Naked Soylent”, “Trapped” …), jazz contemporaneo (es: “Mistfall”, “Imp3rfection”, “Indoors II”…), musica sperimentale (“Naked Soylent” e la suite “239Pu”) (3). Un ensemble ancora più esteso, con l’entrata in scena di nuovi strumenti (violoncello, tromba, flauto …) e di molti più cantanti (Greta Moroni, Ileana Baldassi, Kria McKenzie, Davide Straccione …)
3.
Un’aumentata palette
timbrica e l’allargamento dei confini compositivi. Ad esempio, nella suite
“239Pu” abbiamo sperimentato fino al punto di dividere la band in due gruppi
ognuno dei quali ha suonato attorno ad una cellula ritmica indipendente creando
un forte contrasto e drammaticità. Ci sono assoli incrociati e sovrapposti
utilizzando una formula cara al free jazz su un impianto ritmico rock e quasi
metal.
4.
Maggiore
sperimentazione (es: l’incipit di “Lunaire – postlude” è affidato ad una frase
dodecafonica affidata al violoncello oppure l’uso di un parlato ‘processato
elettronicamente’ che declama gli effetti di un’esplosione nucleare su vasta
scala in “239Pu Nuclear Burn”).
14 – Tornando a quest’ultimo concept, hai aneddoti particolari o episodi da raccontarci a riguardo di fatti accaduti sia in fase di registrazione che di concepimento musicale?
R: Il concepimento di molti pezzi è avvenuto improvvisando al pianoforte. Questo è un retaggio del mio essere un pianista jazz… La cosa peculiare è che negli anni ho da una parte perso capacità tecnica che negli anni passati rendeva queste sessioni difficilmente utilizzabili come punto di partenza per futuri pezzi, dall’altra ho acquisito la capacità di buttar giù rapidamente lo scheletro di canzoni od altro. Una volta che io, Lenina (la bassista) e John (alla batteria) abbiamo realizzato la demo dei pezzi, un momento per me molto particolare e colma di attesa è sempre stato l’arrivo della demo vocale da parte di Andrea che in genere accompagnava l’invio con il messaggio “ready?”. La stessa magia si è sempre ripetuta con la ricezione delle tracce di chitarra e degli altri strumenti e voci.
Un altro aneddoto particolare è legato al pezzo “Storm’s Eye” in cui sul ritornello volevamo un coro diciamo un po’ ‘corposo’. Bene, questo coro è composto da ben trenta tracce vocali le cui armonizzazioni sono realizzate da ben dodici cantanti ognuno dei quali ha cantato più linee.
Ci sono stati momenti di stanchezza (specialmente mia in fase di mixing e mastering di questo ciclopico e tentacolare materiale). Ringrazio gli altri membri della band che mi hanno dato supporto incoraggiandomi. Così come ci sono stati tanti momenti di euforia man mano che ascoltavamo le versioni finali dei pezzi e che sentivamo che la meta si faceva sempre più vicina.
15 – Solitamente si concludono le interviste con le solite
domande tipo “Progetti per il futuro?”, bene, te la faccio anche io, ma poi ti propongo
un gioco, se la tua musica fosse una pietanza, che piatto sarebbe? E come
bevanda?
R: Prima di tutto accetto il gioco e ti rispondo dicendo che “iSignals” sarebbe un “carry” o un “poké” in quanto contiene molti ingredienti che assieme generano il gusto finale nell’ascoltatore e come bevanda direi che potrebbe essere un cocktail con una componente aspra ed amara diluito in un minimo di dolce.
In effetti abbiamo molti progetti per il futuro, alcuni dei quali anche in fase avanzata. Sembrerà strano, ma uno di questi è proprio quello da cui tutto è partito: “TangraMinds” che possiamo dire è completo circa al 70%. Questo lavoro ha forti affinità con il secondo album e quindi a volte lo chiamiamo “.Net Of Illusions II”; In termini tecnici potremmo affermare che “.Net Of Illusions” è stato uno spin-off di quest’album. Personalmente non vedo l’ora di sentire complete - ovvero nella versione finale - parecchie delle sue tracce.
Poi, prima di iniziare la realizzazione dell’ultimo album, anzi durante le fasi finali del primo disco, abbiamo lavorato su un EP costituito da un’unica suite in cinque movimenti chiamata “Emerald Worlds”. Questa suite doveva essere parte dell’album BNW, ma poi è stata esclusa in cui volevamo contenere la durata della nostra prima uscita. In questo caso la musica si muove tra progressive rock, musica elettronica e qualche spruzzata di fusion e ‘djent’ metal-prog. Questa suite è un vero e proprio concept, anzi affermerei quasi un racconto di fantascienza in musica. Tre dei suoi movimenti sono praticamente completi e per gli altri ho molte idee che ho già condiviso con gli altri del gruppo. Sento che il 2023 sarà un anno propizio per portare questa suite fantascientifica (si tratta di “hard SciFi” ;-) ) a degno compimento.
Infine, in pentola a ‘bollire’ si può trovare un’altra strana creatura che si chiama “Ubik”. Si, proprio come il romanzo di P.K. Dick a cui è ispirato e dedicato. A questo lavoro – a cui abbiamo iniziato già a lavorare a tempo perso durante la realizzazione di “iSignals” - siamo particolarmente legati per le sue caratteristiche. In pratica abbiamo dichiarato “carta bianca” praticamente su tutti i fronti consentendoci di spaziare al massimo su diversi generi, strumentazione e sonorità. Anche i testi saranno diversi… Dopo la ‘cupezza’ insita in “iSignals” con il prossimo lavoro "Ubik” esploreremo altre dimensioni: ci sarà un po' di benevola follia, ironia ma anche divertimento. Per ora l'idea è "chiunque di noi può proporre idee e demo senza limiti di genere o altro. Tanto poi tutto verrà ‘smucinato’ a dovere in fase di completamento."
16 – Grazie di tutto Fabio, soprattutto per la tua
disponibilità. Prima di lasciarci un’ultima cosa, quale domanda ti saresti
atteso che non ti ho fatto? Se c’è puoi concludere facendotela e
rispondendo. Sent from my iPhone
R: Ecco la domanda ‘mancante’ che mi farei: “So che da circa vent’anni sei un esperto di metodologie Lean Agile, questo ha avuto un impatto nel vostro modo di realizzare i vari album?” La mia riposta sarebbe la seguente:
Certamente, sin dalla nascita del progetto BNW le metodologie – o meglio il loro ‘mindset’ - hanno avuto un ruolo importante se non determinante per la concezione, collaborazione di tutti noi e riuscita finale. Non sto qui a spiegare cosa siano Lean e Agile (per questo rimando ai miei molti articoli e interventi in conferenze internazionali). La cosa interessante è che l’approccio sperimentale, iterativo e incrementale proprio del Lean Agile si è sposato perfettamente con la Vision di BNW. Interessante ricordare che io e Luciano ci siamo conosciuti proprio in un ambito lavorativo in cui io ho operato in qualità di coach di una transizione Lean Agile a livello della società in cui lavora Luciano.
Cercando di semplificare e andare sul pratico, posso affermare che tutto il lavoro (dalle fai iniziali al master finale) di ciascuna traccia o di un album è riconducibile a quella che a livello internazionale chiamiamo Lean Agile Music: ovvero l’impiego di valori, principi e pratiche proprie delle metodologie in ambito di ideazione e produzione musicale.
Usiamo pochi, ma pratici ‘tool’ e un processo particolarmente snello in modo di tenere tutto sotto controllo evitando sprechi. Questa in qualche modo è un retaggio positivo di essere un fisico. ;-) Per ogni pezzo abbiamo una kanban board dedicata con i vari stati di lavorazione e tante card quanti sono gli elementi, task necessari a completarla (da demo, registrazioni, testo … fino a missaggio e mastering).
Nota: anche la realizzazione di queste risposte è stata fatta iterando e quindi utilizzando un approccio di Lean Agile Music. L’uso di questo ‘mindset’ ci rende fiduciosi che anche il 2023 sarà fruttuoso e qualcuno – se non tutti i progetti futuri – sarà completato. Quale? Non abbiamo la sfera di cristallo, ma questo non è un problema per noi, facendo nostro il primo principio del Manifesto Agile possiamo dire:
“La nostra massima
priorità è soddisfare l’ascoltatore
rilasciando musica di valore, fin da subito
e in maniera continua.”
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"Un album disperato e per tale motivo bellissimo"
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[1] Vedere
ultima domanda per una spiegazione a tal proposito.
[2] In
realtà l’amore per la musica elettronica risale a molti anni prima.
[3] 239Pu è
l’isotopo del Plutonio e viene impiegato nelle testate termo nucleari.