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mercoledì 24 novembre 2021

Anima Mundi

ANIMA MUNDI – Insomnia
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T.Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2018



La discografia dei cubani Anima Mundi comincia a essere nutrita e a parlare una lingua propria. Infatti, la band ha costruito negli anni un particolare incedere, un modus operandi personale, raccogliendo nel tempo influenze sonore da gruppi vari moderni come Porcupine Tree tanto per citare un nome, ma anche dal passato, quegli anni ’70 che hanno dato vita a questo genere che fra mille difficoltà comunque non da segni importanti di cedimento.
“Insomnia” è il sesto album da studio dopo l’ottimo “I Me Myself” del 2016, il primo album con la casa tedesca Progressive Promotion Records, e che prosegue la trilogia appena intrapresa con il precedente. Nei testi si parla ancora di politica, finanza e tecnologia che avanza, analizzando puntigliosamente l’esistenza umana odierna e futura. Nella line up si denota la dipartita del cantante Michel Bermudez a favore di Alvis Prieto. Completano la formazione i soliti Virginia Peraza (tastiere, effetti, voce), Marco Alonso (batteria), Yaroski Coredera (basso) e Robert Diaz (chitarra e voce).
Il supporto al disco è ancora una volta piacevole alla vista e buon rappresentante del contenuto sonoro, classica edizione cartonata con tanto di libretto accurato con testi e info, oltre che contenente belle foto. Ed è subito mini suite, il primo brano “Citadel” di undici minuti è suddiviso in tre atti, amalgamato su una spina dorsale sia sinfonica sia jazz, quest’ultimo evinto nell’approccio vocale. La musica si adopera in differenti stadi umorali, toccando anche vette dark come nel secondo atto del brano intitolato “ActII – Scenary”. Alcuni suoni potrebbero risiedere anche nella discografia Pink Floyd di metà carriera. La terza parte del brano parte in un movimento caro al prog fans più incallito, una fuga strumentale  di matrice Spock’s Beard. Concatenata sopraggiunge “Nine Swans” e le tastiere diventano fondamentali per le atmosfere che riescono a disegnare, per chi li conosce diciamo in stile Arena più intimistici. Con questi punti di riferimento non vorrei che passasse il messaggio che gli Anima Mundi non hanno personalità, tutt’altro, cito nomi di band famose nell’ambito per cercare di far capire meglio l’approccio sonoro proposto dalla band, che spazia da uno stile all’altro con sicurezza e capacità strumentale.
Come in un'unica enorme suite sopraggiunge “Electric Credo”, in effetti elettrico è anche il pezzo qui molto ricercato e per certi versi sperimentale, passa alla mente inevitabilmente quel “On The Run” dei Pink Floyd. Il concept si spezza e subentra “The Hunter”, sensibile e delicato fra voce e arpeggi di chitarra, ancora una volta supportati dall’importanza delle tastiere in un risultato decisamente New Progressive Rock.
La title track è il classico pezzo dall’ampio respiro, bene arrangiato anche nei supporti vocali sussurrati in sottofondo. Il brano, per li conoscesse, richiama alla memoria i Parallels Or 90 Degrees. Un ticchettio apre “Electric Dreams”, una stanza apparentemente vuota dove squilla a vuoto anche un telefono. Un countdown probabilmente uscito da una tv accesa, un suono spettrale, enfasi che lascia l’ascoltatore attento al divenire. Giunge un sax a rendere tutto apparentemente più tranquillo, ma un suono di sirena prolungato fa ritornare la sensazione d’insicurezza, per fortuna ecco sopraggiungere il rumore di chiavi che aprono la porta: si esce.
Una tromba fusion accompagna “The Whell Of Days”, è mezzanotte e ancora si cammina per strada in attesa di domani. Il pezzo è Jazzy anche se coperto da un velo di oscurità. Jazz psichedelico. “New Tribe’s Totem è la seconda mini suite dell’album con i suoi dieci minuti di durata. Il brano mi fa cogliere l’occasione per sottolineare l’importanza del ruolo strumentale del basso in quest’album, ben dosato e possente quanto serve nel momento giusto. Tutto questo rende il lavoro più intrigante, i suoni fra effetti stereo e per quantità variegata di certo non fanno scollare l’ascoltatore dallo stereo. Ed ecco fare capolino i Porcupine Tree, così nella conclusiva “Her Song”, canzone che per il sottoscritto è la più bella dell’intero album, chitarre Pink Floydiane comprese.
In generale, da sottolineare dunque gli ampi momenti passati nella psichedelia, sempre in agguato nel sinfonismo dei suoni.
Un disco che racconta una lunga storia e lo fa più marcatamente possibile, sigillando il connubio fra i suoni e le immagini della nostra fantasia supportate dalle parole dei testi e da quanto narrato sino ad ora. Finalmente un disco registrato nel rispetto non solo della musica ma anche degli effetti e delle sonorità. Attendo ora con impazienza la parte conclusiva di questa trilogia e spero che tutto questo accada abbastanza velocemente.
 
“Insomnia” è dedicato al loro amico Heidi Burgs passato a miglior vita. MS






martedì 23 novembre 2021

Visionoir

VISIONOIR – The Second Coming
Revalve Records
Avantgarde - Prog Metal
Supporto: mp3 – 2021




Dietro al nome Visionoir si cela il polistrumentista (tastiere, basso, chitarre e batteria) Alessandro Sicur proveniente da San Daniele del Friuli. Sin da piccolo si avvicina allo studio del  pianoforte per poi passare al basso, ma la folgorazione per la musica Rock e sperimentale gli giunge con l’uso della chitarra elettrica. La formazione culturale di Sicur è ampia, derivativa degli ascolti di generi come il Progressive Rock, il Progressive Metal, la sinfonica e la psichedelia. Tutto questo forma nell’artista un carattere deciso e ricco di forti spunti, i quali lo aiutano a comporre musica di certo mai banale. 
Il progetto Visionoir prende forma nel 1998 e poco dopo vede rilasciare il demo’EP "Through The Inner Gate", ma subisce un lungo stop nel tempo che vede appunto Sicur impegnato in queste numerose altre collaborazioni. Il debutto ufficiale quindi risale al 2017 con il titolo  di “The Waving Flame Of Oblivion" (autoproduzione), nove canzoni che mettono in luce le caratteristiche dell’artista portandolo alla visione/ascolto del grande pubblico grazie soprattutto a canali mediatici come Bandcamp.
Internet si sa, per la musica è croce e delizia.
Accasatosi nell'indipendente etichetta Revalve Records, Sicur ritorna con la sua musica in questo nuovo album intitolato “The Second Coming”. Il disco è composto di nove canzoni che si dilettano a sguazzare di genere in genere, toccando ogni tipo di stile, questo per la gioia di chi crede nella musica totale. Mai banale, sicuramente un prodotto destinato a chi non ha paura di variare e quindi ascoltatori dalla mentalità aperta.
Dieci sono le canzoni che compongono l’album che grazie a “Lost In A Maze” si apre massicciamente, con tutte le caratteristiche del Metal Progressive sul tavolo e molti Blind Guardian. Il cantato è ad opera dell’ospite Fabio Vogrig. “The Snooping Shadow” invece ha alla voce un amico del Metal avanguardistico, Alessandro Seravalle che ha militato nei gloriosi Garden Wall, band che dai primi anni ’90 ai 2.000 inoltrati ha saputo scrivere pagine importanti per la storia del genere, e non solo del suolo italico. Con buoni arrangiamenti il brano è ricercato, mai banale, con la forza della batteria esso si svolge in scale che salgono e cambi di tempo. Per approccio mi ricorda molto il Metal degli svizzeri Celtic Frost.
“The Vulture Eye” è graniticamente caracollante e sembra uscita dalla discografia dei Candlemass ma con un finale alla “Mesmerized” (Celtic Frost). Tutti questi accostamenti che sto facendo non sono perché la musica è una sorta di copia incolla, al contrario, Sicur dimostra di aver assimilato la storia del Metal e quindi la ripropone attraverso sfumature intelligenti, gli accostamenti servono solamente per farvi focalizzare al meglio lo stile proposto.
“Breathless” batte violentemente il ritmo e in una staffetta di dai e vai propone stati d’animo altalenanti, l’elettronica completa il tutto. Nella strumentale “Horror Vacui” esce il lato progressivo dell’artista, le tastiere sono protagoniste ma anche il sax di Clarissa Durizzotto in un ruolo importante per l’economia del brano. Le atmosfere sono scure e rilassate, un bel modo di spezzare l’album a questo punto dell’ascolto. Il piano apre “They Speak by Silences” altra vetrina strumentale delle capacità di Sicur, qui siamo nel Metal Prog classico. Torna Seravalle in “No More”, la voce dona all’ascolto dolore e rabbia, e il Metal fuoriesce in tutto il suo fragore. “Born Like This” prosegue nella fase più progressiva del Metal, così “Silent Sea” racconta un'altra storia elettrica. In conclusione torna il sax nella ricercata “The Second Coming”.
Visionoir è un progetto davvero intrigante e adatto ai gusti di chi ama sia il Metal sia il Metal Progressive anche quello più ricercato e il fatto che sia un disco italiano ci riempiono d’orgoglio. Tante sensazioni, tante atmosfere. Consigliato. MS




 

sabato 20 novembre 2021

Starsabout

STARSABOUT – Halflights
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T. Music
Genere: Progressive/Post Rock
Supporto: cd - 2017


Nuova band dalla Polonia di Post Rock dalle contaminazioni Progressive Rock. Dico nuova in quanto questa nazione ultimamente sotto certi aspetti ci sta invadendo con decine e decine di band dedite a sonorità nostalgiche ed oniriche, per la gioia del sottoscritto ovviamente. Non nascondo che le chitarre scintillanti, sostenute e Psichedeliche in me rovistano l’anima, proprio come hanno saputo fare certi Pink Floyd, Anathema, Airbag e Porcupine Tree. Quindi in teoria sono di parte, ma la mia recensione viene comunque scritta con orecchio attento e corretto, badando esclusivamente alla sincera sostanza.
I Starsabout si formano nel 2012 a Bialystok e i membri che li compongono sono Piotr Trypus (chitarra, voce), Tomasz Kryjan (chitarra), Piotr Ignatowicz (basso) e Sergiusz Pruszyriski (batteria). Esordiscono discograficamente nel 2014 grazie all’EP “Black Rain Love”, ma il vero full-lenght inizia la registrazione nel 2016 e la Progressive Promotion Records lo relega fra le proprie file nel 2017 con il titolo “Halflight”. Otto canzoni ben registrate e calde, ad iniziare dalla title track “Halflight”. Il cantato è in lingua inglese e le atmosfere che scaturiscono sin dalle prime note sono un equilibrio stilistico fra Airbag e Anathema, così nell’impostazione vocale.
Malinconia che stratifica a mezz’aria, echi dall’ampio respiro, un movimento che può far tornare alla memoria materiale dei Pink Floyd, e ben ci si incastona. L’uso delle percussioni è presente in “Every Single Minute”, più canzone sotto molteplici aspetti. Tutto molto semplice e curato. Personalmente sento la mancanza di un efficace assolo di chitarra che ben si inserirebbe nel contesto, quei assolo che ti entrano dentro e ti fanno chiudere gli occhi, perché le atmosfere in fin dei conti sono quelle.
Un arpeggio di chitarra apre “The Night” e la notte arriva nella  mente, una notte però non totalmente oscura, lievemente illuminata dalla luna. Il suono dei Starsabout è semplice, mai alla ricerca di strade impervie, si gioca sul sicuro e si punta più allo spirito che al corpo, i sette minuti di “Black Rain Love” ne sono testimoni. Con una ritmica insistente “Escaped” penetra e perdura nel suo incedere, ancora una volta sottile ed eterea. Qui finalmente un breve assolo di chitarra ma non di Pinkfloydiana memoria come ci si sarebbe potuto aspettare. Suoni Porcupine Tree con tanto di voce filtrata nell’inizio di “Sway”, ancora una volta intrisa di sonorità pacate ed ipnotiche. Gradevole nella melodia la strumentale “20.000 Miles”, canzone più Progressive Rock rispetto il materiale ascoltato sino ad ora. Il disco si conclude con “Bluebird”, otto minuti che esprimono il carattere della band e molto di quanto descritto  nella recensione.
“Halflights” gode di luce tenue, quasi uno spiraglio, non ama sonorità solari, anche se i voli pindarici di tanto in tanto fanno salire di quota. Questo, già lo so, farà la gioia degli estimatori del genere. Una sorpresa. MS



STARSABOUT – Longing For Home
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T.Music
Genere: Progressive/Post Rock
Supporto: cd – 2017


La band polacca Starsabout prosegue il proprio cammino nel Post Rock con il successivo “Longing For Home” dopo il buon debutto “Halflights”. Ritornano pressoché immediatamente (neppure ad un anno di distanza) con otto nuovi brani e un ottica leggermente focalizzata verso un genere che ha saputo rapire con sonorità semplici. Ebbene rispetto al debutto qui ci sono dei raggi di luce più evidenti, la malinconia la fa sempre da padrona, quella raccontata da Airbag o Anathema per intenderci, ma in maniera meno marcata. La personalità accresce e la si evince sin dal brano di apertura dal titolo “Blue Caress”. Ancora più attenzione per il motivo di facile presa nella successiva “Longing For Home”, semplice da memorizzare e da cantare assieme a loro. Potenziale singolo. Come nel precedente album però mancano certi assolo, ed è un peccato perché renderebbero tutto molto più fruibile, lo spezzare l’ascolto è fondamentale per non ricadere in loop ridondanti di riff più o meno noti. Malgrado tutto i Starsabout la sanno raccontare giusta, “Cry Me No Tears” per credere.
Apprezzo di più la pacatezza e la gentilezza di “Hourglass”, dove la chitarra acustica accompagna la voce soave di Piotr Trypus nell’inizio del brano il quale lascia campo ad un brano in perfetto stile Anathema, e qui chi ama il gruppo dei fratelli Cavanagh mi capisce molto bene. Dolce sognare, eppure il raggio di luce a cui mi riferivo in precedenza è sempre presente.
“Stay”, calcisticamente parlando, gioca un ruolo nella discografia Starsabout da mediano, ossia colui che si trova in ogni dove e si sacrifica per la squadra. Qui in definitiva un sunto dello stile e delle capacità tecniche, sempre senza strafare ovviamente, come oramai avrete ben capito. I volumi si alzano e quindi anche nuove sensazioni.
 “I Will Never” è una altro potenziale singolo, sia per motivi di durata (quattro minuti e mezzo) che per linea melodica. Più pacata “Thief”, delicata e sognante. Senza strafare si raggiungono traguardi interessanti, almeno a livello emotivo, perché la musica dei Starsabout è proprio li che va a parare.
Chiude l’album in bellezza il brano più lungo con i suoi otto minuti eabbondanti dal titolo “Million Light Years” e i giochi sono fatti.

Non ho molto da aggiungere in quanto questa essendo musica minimale e diretta all'obbiettivo, non necessita di inutili orpelli. Chi ama il genere sa cosa intendo e chi invece  non lo conosce, magari proprio con questo “Longing For Home” potrebbe avere una bella occasione per addentrarcisi. MS

giovedì 18 novembre 2021

Alusa Fallax

ALUSA FALLAX
Intorno Alla Mia Cattiva Educazione

Fonit / Mellow
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog
Support: Lp 1974 - CD 1994




Nell'intrigato mondo del Rock Progressivo italiano degli anni '70, abbiamo assistito a numerosi fenomeni mordi e fuggi, spesso dalle realizzazioni a dir poco discutibili. Eppure un certo fascino c'è sempre, non solo per i collezionisti disposti a tirare fuori centinaia di euro per una copia di questi dischi stampati generalmente in poche unità (in questo caso 5.000), ma soprattutto per gli stranieri che a differenza nostra, apprezzano molto di più quest’operato (vedi Giappone). Il Progressive italiano gode dunque di un certo seguito, specialmente oggi più che allora in diretta, grazie ad internet (altrimenti questi lp non sarebbero mai stati ascoltati, solo che da pochi appassionati) e alla meticolosa Mellow Records, sempre in prima linea quando c'è da scommettere su piccoli gioielli passati al tempo in sordina.
I milanesi Alusa Fallax hanno la classica formazione Prog, con giunta di flauto tanto in voga in quegli anni nel Rock, ma diciamo di fiati in generale. Sono così composti da Augusto "Duty" Cirla (voce, batteria, flauto dolce), Guido Gabet (chitarra, voce), Massimo Parretti (tastiere), Mario Cirla (flauto, sax, corno, voce) e Guido Cirla (basso, voce).
Nel 1969 si formano e propongono due singoli, ma è nel 1974 che realizzano questo bellissimo lp dal lungo titolo "Intorno Alla Mia Cattiva Educazione", purtroppo passato inosservato dalla quasi totalità degli estimatori del genere. Eppure un certo interesse attorno a loro ha girato, non avrebbe fatto da gruppo spalla nel 1974 stesso ai Curved Air a Novara e neppure avrebbero partecipato a svariati festival, come ad esempio quelli Pop di Roma e Napoli. Eppure anche nel loro caso, come in moltissimi altri analoghi del periodo, qualcosa non ha funzionato. La scena cui s’ispirano in base ai loro gusti musicali è quella classica Progressiva dettata da artisti come Emerson Lake e Palmer, Jethro Tull, Genesis, Pink Floyd, King Crimson e poi anche Beatles, Deep Purple e molti altri. Se poi in riassunto andiamo a sentire cosa scaturisce dalla loro musica non è altro che un risultato molto vicino a quello del Banco Del Mutuo Soccorso.
Il disco scorre come un concept, una sceneggiatura più che tasselli a se stanti, la voce di Augusto è roca e graffiante, non molto distante da quella di Alvaro Fella dei Jumbo. Tengo a sottolineare la bellezza del brano title track "Intorno Alla Mia Cattiva Educazione", dove il flauto sale dolcemente in cattedra per poi dare spazio ad una vigorosa fuga strumentale fra tastiere e cambi di tempo anche vicini al Jazz. Solo di flauto richiamano inevitabilmente anche i Jethro Tull. Tuttavia non è un momento che eccelle, è l'insieme che cammina inanellato senza sosta e con saggia ponderatezza fra vigore e dolcezza.
In realtà gli Alusa Fallax hanno pure preparato altro materiale successivo a quegli anni, ma l'avvento della Discomusic e del Punk ha fatto sì che la decisione fu di eclissare il progetto e la band. Un vero peccato, perché a differenza di molti altri "mordi e fuggi", qui di materia prima ce n'è tanta!
In conclusione consiglio vivamente l'ascolto di quest’album per godere a pieno del profumo dei nostrani anni '70, un momento magico che non tornerà più, neppure se vogliamo imitarlo, i contesti sociali sono improponibilmente distanti. Oggi manca l'aggregazione, scansata da una tecnologia social network che ci fa sembrare apparentemente vicini, ma che non ci consente neppure di toccarci ed abbracciarci. Il freddo futuro è qui, con i suoi pro e i suoi contro, basta soltanto saperne cogliere il meglio. MS



domenica 7 novembre 2021

John Dallas

JOHN DALLAS – Love & Glory
Sneakout records/Burning Mind
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2021




Inizierei questa recensione proprio dalla copertina del disco “Love & Glory”, secondo lavoro in studio del cantante italiano John Dallas, essa trasmette immediatamente un senso di appartenenza, quello agli anni ’80, sia per il look che  per il genere musicale trattato.
Non a caso all’ascolto sembra di trovarsi al cospetto di gruppi validi come Mötley Crüe & company. L’Hard Rock non gradisce noie, vogliamo poi parlare di contaminazioni? Il meno possibile. Questo genere nato negli anni ’60 dalla chitarra elettrica portata al massimo della distorsione da Jimmy Hendrix è lineare, anche nell’essere ruvido costantemente nel tempo. L’Hard Rock non delude mai. Ha avuto alti e bassi questo si, come tutti i generi musicali che conosciamo, ciò risiede nella natura dell’evoluzione sonora abbinata ai tempi, tuttavia ancora oggi respira a buoni polmoni, grazie ai vecchi saggi come ad esempio gli AC/DC.  La buona musica e soprattutto la genuinità portano sempre a onesti frutti, così a nuovi proseliti, uno si chiama John Dallas (After Life e Red Burn).
 “Love & Glory” è formato da undici canzoni, e con lui alla voce e chitarra suonano Tom Angeles (chitarra), Black Sam Carbo (basso) e Andy Palermo (batteria, tastiere), quest’ultimo ((Speed Stroke) è anche produttore. Bello il libretto all’interno del disco, molto dettagliato di fotografie e testi, narrazioni e quant’altro, anche questo è amore per la musica e per chi la compera.
C’è brillantezza nelle composizioni, ossia vivono di luce propria grazie al carattere forte e personale di John. La riuscita di questa musica è anche esaltata da brevi ma efficaci assolo di chitarra, tanta energia pulita che fa bene all’anima.
Certe canzoni come  ad esempio “Bad Sister” oppure “Drive Me Tonight” riportano gli anni ’80 nello stereo ma con una pulizia sonora decisamente migliore, così avrebbe suonato quel periodo se avesse avuto la tecnologia di oggi. Sono quelle canzoni da ascoltare in macchina con un buon impianto stereo,  libertà e spensieratezza per andare nella strada dove ci porta il cuore. Fanno capolino anche i Kiss di tanto in tanto, ma sicuramente avete già ben inquadrato lo stile proposto.
Molto bene la voce di John sulle scale alte. Non mancano neppure i momenti maggiormente pacati, “Glory” si presenta bene e si lascia ascoltare con piacere, così “Shine On”. Tanta America in queste canzoni, musica anche radiofonica se vogliamo, soprattutto da cantare o seguire con i cori.
Altro momento di spicco si intitola “Love Never Dies” e richiamano i Saxon di “Destiny”.
Un disco fresco, allegro, spensierato, concedetevi un momento di piacere per scaricare lo stress di una giornata pesante o monotona, “Love & Glory” è un buon medicinale, credetemi. MS





 

5ive Years Gone

5IVE YEARS GONE – Rock’n’Roll Rebirth
Sneakout Records & Burning Minds Music Group
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2021




I 5ive Years Gone sono italiani di Trieste e si formano all’inizio del 2017 grazie ad un idea del chitarrista Davide Falconetti e dal cantante Paolo Cernic. Il genere trattato è l’Hard Rock più orecchiabile ma sempre impreziosito da riff taglienti e sanguinanti a differenza dell’AOR più elegante. La band è completata da Andrea Imbergamo (chitarra, piano), Andrea Cok (basso) e Michael Bonanno (batteria). Proprio la ritmica è importante per la riuscita dei brani, da qui sorge l’energia adatta per il sostegno agli altri strumenti, vigore e precisione.
In questo debutto formato da undici canzoni tuttavia si presentano anche dei momenti di buon AOR, anche se di base è appunto l’Hard Rock ad avere la meglio.
I ragazzi dimostrano di vivere il Rock e di conoscere bene la storia del genere e lo fanno subito attraverso “Mary Jane”, pochi fronzoli e tanta sostanza. Il cantato nel disco è in lingua inglese.
Buono l’uso delle chitarre che si alternano fra ritmica ed assolo. Il fatto che i 5ive Years Gone badino al sodo lo si evince anche dalla durata delle canzoni che si aggirano tutte attorno ai quattro minuti o poco più, tutti potenziali singoli da passare in radio.
Fresca e divertente “The Way You’re Pleased” mentre con “All I Know” si fa un salto in sud America. “Never Be The Same” mi intriga nella parte finale, dove le chitarre partono sopra una bella ritmica sostenuta, ma anche il ritornello è appagante. Profumo di aria pura, spazi, e corsa automobilistica con tanto di vento in faccia su una lunghissima strada rettilinea in aperta campagna in America, questo è quello che riesce a far provare l’ascolto di “Outta My Head”. Inizialmente quasi un Reggae “Scars Of Love” e i ragazzi si divertono a giocare con la musica così l’ambiente diventa contagioso. Tornano i riff più vigorosi in “Don’t Shoot Me” con tanto di voice telephone e nella granitica “Promise”. Più ricercata “Get Us Right” altra canzone ben strutturata e ponderata soprattutto nella fase del ritornello, attorno dei cori accompagnano il tutto. La band mostra il cuore in “In The Heat Of The Night” e conclude il debutto con “Song 4 You”, sussurrata e gentile.
“Rock’n’Roll Rebirth” è consigliato soprattutto a chi ascolta Bon Jovi, Tom Petty (per l’uso della voce) e Bryan Adams oltre che l’Hard Rock melodico in senso generale. Intanto io vado a premere nuovamente Play perché questo lavoro fa veramente buona compagnia. MS





Michael Kratz

MICHAEL KRATZ – Tafkatno
Art Of Melody Music & Burning Minds Music Group
Genere: AOR
Supporto: cd – 2021




Il genere AOR è raffinato, un Hard Rock con giacca e cravatta di stile che ci porta spesso a cantare assieme all’artista che si sta esibendo. E’ trascinante, coinvolgente ma soprattutto orecchiabile. AOR  è l’acronimo di Album Oriented Rock, questo per far capire al meglio il senso di questa musica che vede luce la prima volta negli anni ’60 in America. I brani superavano la lunghezza dei canonici 45 giri, diventando veri e propri concept, fra i primi ad aprire questa strada ci furono Bob Dylan ed i Beatles. Ma sono gli anni ’70 a mutare il genere AOR in maniera importante con gruppi come Toto, Journey, Rush, Boston etc, mutando così il nome del genere a Album Oriented Radio.
Il cantante, chitarrista e batterista danese Michael Kratz è ad oggi uno degli esponenti di spicco, sempre attento alle melodie importanti e al buongusto. Dopo quattro album interessanti ad iniziare dal debutto del 2012 intitolato “Cross That Line” (Sony Music) ritorna oggi con il nuovo “Tafkatno”.
Il disco è composto da dieci canzoni ed una bonus track intitolata “Broken Souls” mentre il libretto che accompagna il cd è ad opera di Aeglos Art, contenente foto e testi oltre che delle riflessioni dell’artista stesso. La band formalmente è un duo, Michael Kratz (voce, chitarra, batteria) e Kasper Viinberg (cori, chitarre, basso, tastiere, percussioni, batteria) ma è la nutrita serie di ospiti ad impreziosire maggiormente il lavoro, ad iniziare da Christian Warburg (Paul Young), Bruce Gaitsch (Peter Cetera-Chicago-Elton John), e Janey Clewer (Michael Bolton-Michael Sembello). Ma sono ancora di più, Davide Gilardino (cori), Torben Lysholm (cori, chitarre, tastiere, basso), Luca Carlomagno (chitarra), Mikkel Risum (basso) e Kenneth Bremer.
Il disco inizia con “Too Close To The Edge, canzone immediatamente ruffiana che trova il jolly in quel ritornello davvero intrigante. La classe di Kratz la si evince anche da “The Highway”, di certo i deja vu ce ne sono moltissimi, ma questo è l’AOR e l’assolo di chitarra fa guadagnare ampiamente la sufficienza al pezzo.
Di questo genere musicale non si butta via niente, proprio come il maiale in cucina, perfetta unione di stili e sapori ecco quindi il mid tempo Hard Rock ricercato con un altro assolo importante intitolato “A Way To The Future”. Sappiamo anche che per l’AOR la ballata è un momento importante, ed infatti non viene a mancare grazie a “Without Your Love” e alla sua chitarra acustica arpeggiata. “You're The One” mostra il lato più artistico e tecnico di Michael Kratz con buoni arrangiamenti ed un gusto per la melodia non indifferente. Altra carezza sonora ci giunge da “Let's Do Something Good”, ma a questo punto lascio a voi e alla vostra curiosità scoprire il resto dell’album che si mantiene comunque sempre su buoni livelli, dico solamente che se la musica AOR avesse una forma umana, questa avrebbe le sembianze di un sorriso. MS





sabato 6 novembre 2021

Tony Pagliuca

TONY PAGLIUCA - Rosa Mystica
M.P. & Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Elettronica - Progressive
Supporto: cd – 2021





Posso dire con sincerità che non vedevo l’ora di poter ascoltare un nuovo lavoro dell’ex tastierista delle Orme Tony Pagliuca. Troppo tempo è passato da un disco con materiale proprio, la sua carriera solista inizia nel 1990 con l’uscita di “Io Chiedo” (Philips) per poi passare all’anno 1993 con “Immagin-Arie” (Freeland). Seguono una serie di dischi che in realtà sono rifacimenti di alcuni brani delle Orme, questo assieme a importanti special guest, come David Jackson & Massimo Dona Quintet oppure  David Cross per giungere all’ultima uscita compilation del 2018 intitolata “Canzone D’Amore” (Playaudio). Tuttavia materiale di Tony lo si attende davvero da troppo tempo. Ci pensa l’attivissima M.P. & Records che in questo periodo sembra essere illuminata da scelte fortunate, a tappare questa falla.
Il ritorno di Tony Pagliuca è coraggioso e segue un filo conduttore impegnativo, “Rosa Mystica”, è la  trasposizione in musica, grazie alla collaborazione del compianto Maestro Vittore Ussardi, dei Misteri Gaudiosi del Rosario. Trentatré minuti di musica concentrati in un solo brano, per la realizzazione del quale si avvale dell’ausilio di Giuseppe Vio (chitarre), Alberto Pagliuca (ukulele) e Paolo Vianello (Batteria) oltre che delle voci di  Elisabetta Montino (ex Quanah Parker) e di Andrea Saccoman.
Sappiamo bene cosa è il Rosario, questo susseguirsi di preghiere devozionali e contemplative derivanti dal  latino rosārium, "rosaio". Sono preghiere rivolte alla Madonna che in un'usanza medioevale consisteva nel mettere una corona di rose sulle statue della Vergine.
Pagliuca come sua usanza adopera  le tastiere in modo ricercato, ecco che il tutto applicato al cantato in latino di Montino e Saccoman acquista un valore affascinante che accoppia l’antico passato al presente. Una scelta attraente a nascondere la nenia delle preghiere che nelle composizioni fanno scala crescente e discendente delle armonie. Nello sciogliere il canovaccio sonoro incontriamo brevi frangenti allegri così come contemplativi, il tutto sempre nel rispetto della spiritualità concentrata su melodie ecclesiastiche. Le tastiere sono quindi le protagoniste al compendio delle voci che alla lunga diventano ipnotiche.
Anche ascoltando alcuni brani delle Orme degli anni ’70 si può cogliere un filo di spiritualità, questo per dire che Tony non è nuovo ad immersioni tali riguardanti un certo tipo di sonorità. Vorrei anche soffermarmi sull’artwork e la confezione che accompagna l’opera, realizzata da OndemediE, con un libretto impreziosito dalle opere realizzate a matita dall’artista romana Beatrice Cignitti.
Con il passare degli anni si acquisisce consapevolezza delle proprie capacità, ci si affina smussando la veemenza della gioventù che spesso porta, seppur con tanto entusiasmo, ad aggiungere cose superflue ai brani. Qui c’è tutta la maturazione di un artista, soprattutto quella di un uomo che non ha problemi a dare in pasto al pubblico la propria anima più riservata.
La rosa in copertina sintetizza superbamente il tutto, il rosario di Pagliuca è etereo e sublime. In un mondo sempre più freddo e distaccato c’è la possibilità di regalarsi un momento di calma spirituale, grazie Tony, questo ci fa soltanto che bene. MS