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sabato 26 settembre 2020
domenica 20 settembre 2020
Bridgend
BRIDGEND – Rajas
Autoproduzione
Genere:
Psychedelic, Post Rock, Progressive
Supporto: cd- 2020
I
Bridgend si formano nel 2015 da un idea del chitarrista Andrea Zacchia.
Provengono dal centro Italia, una spola fra Bologna e Roma e si completano con Leonardo
Rivola (tastiere), Massimo Bambi (batteria) e Matteo Esposito (basso).
Propongono
Prog Rock prettamente strumentale e con esso tuttavia raccontano concept fra di
loro concatenati. Questo ultimo “Rajas” non è altro che il prequel del
precedente album “Rebis”. Importanti nell’economia del sound gli innesti
psichedelici che danno quel tocco di modernità al sound altrimenti rivolto
verso il Prog anni ’70 e precisamente verso quello di band storiche come
Genesis.
“Rajas”
è composto da sei brani di medio-lunga durata e l’artwork che accompagna il
disco è ad opera di Paolo Di Orazio.
Il
disco si apre con un pianoforte ed una melodia atavica e toccante che lascia
spazio all’ingresso della strumentazione elettrica. La chitarra sin da subito è
protagonista, dotata di buona tecnica mentre le tastiere sono fondamentali sia
per ciò che concerne il tappeto sonoro che per gli arrangiamenti ed i solo sono
il loro forte. Le atmosfere diventano grevi per passare a rilassate con “Appena
Un Respiro”, di base il tutto si regge su di una musicalità orecchiabile e
facile da memorizzare. Non si corre a mille all’ora, bensì si pondera, si
ragiona e si dipinge con le note un quadro che sembra fatto con la tecnica acquerello.
“La
Quiete Generale” rincorre stilemi tracciati da Steven Wilson ma anche dalla
storia del genere che sicuramente rilascia una coda vintage davvero lunga. Non
ci sono cambi repentini di tempo o di umore, bensì si percorre il cammino in
maniera costante senza grandi sobbalzi. Una parola in più per il solo di piano
davvero meritevole per leggiadria. “La Fatica Del Singolo” sembra uscire da un
album delle prime Orme fra ricerca sonora e note sgocciolate. A metà di esso lo
scenario cambia, lasciando spazio ad un godibilissimo solo di basso e ad un
armonia indovinata. “Nocturnale” è uno dei brani più complessi dell’album con
ritmiche spezzate e molte avventure nel pentagramma, una sorta di vetrina per
le capacità balistiche della band.
La
chiusura è nelle mani di “La Luce Ci Divide”, il lato più psichedelico del
gruppo il quale con questo “Rajas” ci ha fatto dono di uno spaccato musicale
davvero piacevole e il ringraziamento da parte mia non è affatto scontato. Di
questi tempi…. MS
Per
i collezionisti dico che esiste anche la versione in vinile acquistabile qui: https://wall.cdclick-europe.com/projects/rajas
sabato 19 settembre 2020
Soul Secret
SOUL
SECRET – Blue Light Cage
Layered
Reality Productions
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2020
La
band napoletana Soul Secret è una realtà nostrana già affermata e rodata.
Quattro album in studio alle spalle tutti in un crescendo qualitativo costante.
“Blue Light Cage” è il quinto tassello della loro discografia, e ancora una
volta con esso dimostrano di essere capaci di ulteriore maturazione. I testi
assumono una valenza sempre più rilevante, trattando temi globali come la vita
lavorativa e le lotte interiori, ma anche argomenti più contemporanei come le
fake news e l'influenza dei mass media sulle persone. Intelligente l’approccio
che ruota attorno alle storie comuni che possono accadere a chiunque, così che
l'ascoltatore può trovare elementi con cui relazionarsi.
Ma
la protagonista indiscussa è la musica, il Metal Progressive, questa volta più vicino alla formula canzone. Ogni
strumento ha una sua personalità ben definita, che nell’insieme apporta ad un
concepimento strutturale conscio dei propri mezzi, la band sa dove andare a
parare ed il risultato è di gradevole fattura.
E
a proposito di strumenti, nella line up si può annotare l’avvicendamento alla
chitarra elettrica da Antonio Vittozzi a Francesco Cavezza, mentre la band è
completata da Claudio Casaburi (basso), Antonio Mocerino (batteria), Luca Di
Gennaro (tastiere) e Lino Di Pietrantonio (voce). Importante per la riuscita
finale del prodotto anche l’ausilio del manager Davide Guidone, il quale prende
parte al processo come supervisore, fornendo alla band alcuni buoni spunti.
“Blue
Light Cage” è composto da nove brani e si presenta in edizione cartonata con
tanto di libretto contenente foto dei musicisti e testi.
Il
viaggio inizia con un brano strumentale dal titolo “Opening Sequence” con il
quale si palesano immediatamente le qualità tecniche in dotazione ai singoli
componenti. Esso è un intro dall’apertura sonora spaziosa, specie durante il
solo di chitarra, mentre la ritmica risulta essere precisa e rodata. Le
tastiere assumono un ruolo importante, il suono si riempie e l’insieme ne trae
vantaggio. Impossibile non trovare punti di congiunzione con i maestri Dream
Theater, così nel brano successivo dal titolo “The Ghost Syndacate” soprattutto
durante l’approccio vocale che nelle coralità a supporto. Qui suona le tastiere
come ospite anche l’ex Dream Theater, Derek Sherinian. Quando il Metal
Progressive si lancia in aperture strumentali diventa un genere impossibile da
non amare e questo vale anche per chi non mastica molto le note distorte.
Ascoltare “ A President’s Speech “ è un piacere, punto d’incontro fra melodia e
tecnica, divertente anche nello spunto jazz. Il suono è pulito, lineare, così
gli arrangiamenti risultano sufficientemente curati, grazie ancora una volta al
lavoro delle tastiere di Luca Di Gennaro. Una piccola giostra di emozioni che
dura sei minuti. Un breve break acustico di due minuti toccanti dal titolo
“Switch On” per ripartire con “la title track “Blue Light Cage”. Il brano è di
classe con il sax affidato a Marek Arnold (Cyril, Flaming Row, Seven Steps To
The Green Door, etc.). Di stampo classico è “We’ll Become Dust”, piccolo
vademecum sul genere.
I
Soul Secret sanno dosare alla perfezione la tecnica con la melodia
orecchiabile, una prerogativa non da tutti. “Going Home” mostra i muscoli, Così
“Jump Right In” che ostenta una band molto
attenta ai particolari. E come spesso accade, dulcis in fundo, “Breath
And Recover” è una suite che sugella un
disco con un carnevale di suoni e di colori, elettronica compresa.
La
qualità è alta, in tutti i settori, un disco che mostra le capacità delle band
italiane nel sapere calarsi in ruoli da protagonisti, questo prodotto è
sicuramente sopra la media di quanto ho potuto ascoltare all’estero riguardo al
genere. Se amate il Metal Progressive non potete ignorare questa piccola perla
sonora, così è consigliato anche a tutti coloro che vogliono approcciarsi per
la prima volta al genere in questione. MS
domenica 13 settembre 2020
E' morto KLAUS BYRON
Addio ad un maestro del giornalismo musicale: KLAUS BYRON
Ci ha lasciati incredibilmente un amico
che è sempre stato vicino a tutti noi, grazie al lavoro e alla musica
proposta. Klaus
Byron nelle sue riviste "metalliche" come il mitico FLASH con cui
ho avuto la fortuna di collaborare, ha contribuito culturalmente ad
accrescere il gusto musicale degli italiani, il tutto sempre con modestia e
professionalità. Ora mi resta davvero difficile trovare parole per ricordare
Klaus e quello che per me ha significato, tuttavia in Facebook mi sono
imbattuto nel ricordo fatto da un altro grande maestro del giornalismo
musicale, Gianni
Della Cioppa ed è qui che mi associo con tutto il cuore, parola per parola. R.I.P.
master!
Di GIANNI DELLA CIOPPA:
venerdì 4 settembre 2020
Marquette
MARQUETTE
– Into The Wild
Progressive
Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Crossover Prog
Support: cd – 2020
La
Germania si dimostra nel tempo una nazione molto attenta al fenomeno Rock, sia
esso spaziale, che elettronico oltre che Progressivo. Una
dedizione ed una cura che ha portato nel tempo a risultati importanti, tanto da
renderla una delle nazioni più influenti in ambito Rock Progressivo. Famoso il
genere Krautrock, punto di riferimento per moltissime altre band al mondo.
Anche oggi sorgono di tanto in tanto nuovi progetti, a volte con componenti
storici di altre band, questo è il caso del progetto Marquette, con il
tastierista, chitarrista e compositore Markus Roth. Esso ha militato in gruppi
come Horizontal Ascension, Force Of Progress, Flaming Bless e Mindmovie. Con
loro ha toccato stili musicali come il Prog melodico, il Metal, il Jazz e la
Fusion, e dal risultato di queste esperienze nasce proprio il gruppo Marquette.
“Into The Wild” è il secondo album dopo l’esordio datato 2015 dal titolo “Human Reparation”. Il nuovo
lavoro composto da otto brani, è ispirato alla vita di Christopher McCandless,
che viaggia attraverso gli Stati Uniti con attrezzature minime e senza soldi,
nel tentativo di diventare un tutt'uno con la natura, ma che invece trova una
tragica morte nel deserto dell'Alaska. Storia e musica si pongono come un
esempio della costante ricerca di se stessi, e della propria identità.
Con
Roth suonano Sebastian Schleicher (chitarra, basso), Reiner Wendland
(chitarra), Dennis Degen (batteria), Maurizio Menendez (voce), Robin Mock (sax)
e Art Lip (tromba).
Atmosfere
oscure accolgono l’ascoltatore in “No Answer”, inizio strumentale del viaggio
basato su un lieve tappeto Metal Prog, un intro deciso e comunque ricco di
cambi di tempo e buoni momenti di chitarra. Esso porta alla prima mini suite
dell’album intitolata “Seven Doors”. Qui si può cogliere molta storia di Prog e
Neo Prog, l’artista mette sul tavolo tutte le carte a sua disposizione, creando
con stile e saggezza frangenti sonori gradevoli oltre che ricercati. Quasi un
quarto d’ora di musica variegata concepita come fosse una colonna di un film.
Nell’economia sonora, ancora le chitarre sono coloro che rendono di più, mentre
le tastiere si accontentano spesso di fare da base su una ritmica buona senza
sbavature. I tasti d’avorio si lanciano solo a tratti in brevi assolo che
lasciano spazio anche al sax di Mock.
Più
allegra “Criminal Kind”, prima canzone cantata rivolta verso il Jazz Prog, qui
il basso disegna buone melodie, un momento funzionale e diretto. Tuttavia la
musica dei Marquette è di certo ricercata, il mix di stili ne è la causa, in
“Alexander Supertramp” ne abbiamo un altro tangibile esempio. Scale di note
vengono sciolinate con veemenza lasciando improvvisamente spazio ad assolo più
pacati e riflessivi, anche se in controtempo. Magia del Prog e chi lo segue mi
ha di certo capito.
Una
voce apre “Sensuality”, altra composizione impregnata sempre di quella nota
malinconica che fa da canovaccio a tutto l’album. La tecnica sale, così la
difficoltà esecutiva a dimostrazione anche di una preparazione ragguardevole
dei singoli musicisti coinvolti. Il brano è in bilico fra Prog e Metal Prog.
“Portait Of Men” si adagia nel pentagramma con leggiadria, altro brano cantato
e comunque più riflessivo del contesto. Il Mellotron fa scorrere sulla pelle
qualche brivido.
Il
monolite delle tastiere resta, ma si aggiungono le chitarre distorte in
“Poisoned Homeland”, altro momento ricercato, mentre l’album si conclude con la
seconda mini suite, la title track di
quasi 20 minuti intitolata appunto “Into The Wild”.
In
effetti il detto dulcis in fundo è proprio indovinato, ben si sposa in questo
contesto mai banale e ricco di sorprese. Musica acustica si alterna a quella
elettrica lasciando nella mente di chi ascolta più di un segno.
I
Marquette sono ritornati con le idee ben chiare, ossia quelle di unire il Metal
Prog al Neo Prog, un innesto che potrebbe sembrare al primo momento
incongruente, ma che invece riesce a dare buoni frutti. Il Crossover Prog è
proprio questo, di certo non digeribile per tutti i puritani del Prog, tuttavia
anche qui risiedono buone idee e melodie. Un album da ascoltare più volte prima
di essere metabolizzato a dovere, e che riesce a dare comunque sincere
soddisfazioni. MS
Melanie Mau & Martin Schnella