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sabato 26 settembre 2020

Massimo Dellanilla

 

MASSIMO DELLANILLA – Sottosopra
Autoproduzione
Genere: Cantautore
Supporto: 2cd – 2020




A tre anni di distanza da “Aqua”, ritorna il cantautore gabianese Massimo Gabanetti in arte Massimo Dellanilla con un doppio cd.
Dellanilla fa parte di quel cantautorato oggi sempre meno rappresentato, uno spaccato culturale dove si possono attingere rimembranze di De Andrè, Guccini e tutto ciò che negli anni ’70 ha rappresentato la musica italiana in senso culturale. La personalità dell’artista è forgiata dalla sua ampia conoscenza in ambito musicale che spazia dal Blues alla Psichedelia, Rock, Folk e molto altro ancora.
L’album proposto si intitola “Sottosopra” ed è suddiviso in due storie comunque concatenate, il primo disco è “Sotto”, il secondo “Sopra”. Il filo conduttore che unisce il concept è dettato da due elementi di cui è composto il nostro pianeta, terra (sotto), aria (sopra). I due sono legati nel mezzo da ciò che la vita ci propone, ad esempio l’amore in tutte le sfumature. L’autore  assieme alla sua chitarra si coadiuva dell’amico e produttore Davide Chiari proprio come nel precedente “Aqua”.
“Sotto” si apre con “Nebbia”, uno spaccato in equilibrio fra il Country e il cantautorato italiano, i testi sono incisivi, descrivono situazioni e immagini nitide malgrado il titolo. Il ritmo è lento, caldo e avvolgente, fornendo anche alcune coralità di fondo. Uno squillo di tromba inserisce “Il Sovrano Del Regno Di Niente”, le atmosfere si offuscano in maniera malinconica, come in alcune ballate di Fabrizio De Andrè primo periodo. Il ritmo sale con “Falena” pur mantenendo un velo riflessivo, più decisa “Birichino” dal profumo prettamente anni ’70 e qui si spalancano le porte della discografia Gucciniana. Di cantautore in cantautore si possono incontrare anche note di un pentagramma scritto da Angelo Branduardi, “Son Troppo Felice (E Ne Son Triste)” ed è il più ricco di strumentazioni, percussioni e tromba annessi. In realtà i nomi che faccio di noti cantanti sono solo per dare un punto di riferimento nella lettura, va sottolineato che Massimo Dellanilla ha un suo carattere ben definito.
“Stazione Do Est” è impreziosita da cori femminili e lo spaccato descritto nei testi mi fa tornare alla memoria un altro cantautore poco considerato ma di elevata caratura, Mauro Pelosi. “Mentre Scivoli Via” fa capolino nel passato dall’ispanica memoria, soprattutto nel tratto con le trombe, questo prosegue anche in “Pensieri Neri”.
Uno dei momenti più interessanti di questo primo cd si intitola “Lucida Follia”, dove l’autore entra in una fase più introspettiva. Chiude “La Crisi”, canzone lunga della durata di sette  minuti.
“Sopra” esordisce con un breve intro “La Verità”, un brano che sembra registrato inizialmente in presa diretta per poi aprirsi con un grande organo e sorpresa…Una chitarra elettrica. Qui in   “Sinfonia Agrodolce” scritta in musica da Davide Chiari il cantato è narrato, ed in cattedra sale l’amore, in tutte le sue sfaccettature. Il finale è decisamente Prog ed improvvisato in stile Area. Si ritorna nei binari con “Prigioniero”, brano analogo a “Nebbia” nell’incedere. Molto bella “Dimmi Cara”, semplice e diretta con quel velo vintage che accompagna un ritornello difficile da dimenticare. “Kalispera” porta l’ascoltatore nelle braccia del vento, “Donna Graziosa” è una coccola onirica, quasi cosmica mentre “Ho Scalato Una Torre” risulta semplice, una narrazione di vita su di un ritmo classico. Fra i brani che ho apprezzato di più c’è “Tutto Cambia”, qui il Dellanilla più introspettivo e riflessivo. Il finale è in crescendo, con due brani davvero interessanti e di lunga durata, “Rimanga Tra Di Noi” e “Minuscola Preghiera” che fa il verso alla “Smisurata Preghiera” di De Andreiana memoria. Il lungo viaggio si conclude e lascia comunque qualche traccia in noi, perché le canzoni sono tutte davvero molto orecchiabili oltre che belle. Una attenzione maggiore alla registrazione tuttavia è consigliata, i suoni non sempre risultano nitidi ed equilibrati.
Confessa l’artista nella sua pagina facebook che questo lavoro è stato sofferto in quanto nel tempo impedito da molte vicissitudini avverse, tuttavia la caparbietà e la voglia di rappresentare la propria anima in musica vince, come sempre. MS
 
 

domenica 20 settembre 2020

Bridgend

 

BRIDGEND – Rajas
Autoproduzione
Genere: Psychedelic, Post Rock, Progressive
Supporto: cd- 2020




I Bridgend si formano nel 2015 da un idea del chitarrista Andrea Zacchia. Provengono dal centro Italia, una spola fra Bologna e Roma e si completano con Leonardo Rivola (tastiere), Massimo Bambi (batteria) e Matteo Esposito (basso).
Propongono Prog Rock prettamente strumentale e con esso tuttavia raccontano concept fra di loro concatenati. Questo ultimo “Rajas” non è altro che il prequel del precedente album “Rebis”. Importanti nell’economia del sound gli innesti psichedelici che danno quel tocco di modernità al sound altrimenti rivolto verso il Prog anni ’70 e precisamente verso quello di band storiche come Genesis.
“Rajas” è composto da sei brani di medio-lunga durata e l’artwork che accompagna il disco è ad opera di Paolo Di Orazio.
Il disco si apre con un pianoforte ed una melodia atavica e toccante che lascia spazio all’ingresso della strumentazione elettrica. La chitarra sin da subito è protagonista, dotata di buona tecnica mentre le tastiere sono fondamentali sia per ciò che concerne il tappeto sonoro che per gli arrangiamenti ed i solo sono il loro forte. Le atmosfere diventano grevi per passare a rilassate con “Appena Un Respiro”, di base il tutto si regge su di una musicalità orecchiabile e facile da memorizzare. Non si corre a mille all’ora, bensì si pondera, si ragiona e si dipinge con le note un quadro che sembra fatto con la tecnica acquerello.
“La Quiete Generale” rincorre stilemi tracciati da Steven Wilson ma anche dalla storia del genere che sicuramente rilascia una coda vintage davvero lunga. Non ci sono cambi repentini di tempo o di umore, bensì si percorre il cammino in maniera costante senza grandi sobbalzi. Una parola in più per il solo di piano davvero meritevole per leggiadria. “La Fatica Del Singolo” sembra uscire da un album delle prime Orme fra ricerca sonora e note sgocciolate. A metà di esso lo scenario cambia, lasciando spazio ad un godibilissimo solo di basso e ad un armonia indovinata. “Nocturnale” è uno dei brani più complessi dell’album con ritmiche spezzate e molte avventure nel pentagramma, una sorta di vetrina per le capacità balistiche della band.
La chiusura è nelle mani di “La Luce Ci Divide”, il lato più psichedelico del gruppo il quale con questo “Rajas” ci ha fatto dono di uno spaccato musicale davvero piacevole e il ringraziamento da parte mia non è affatto scontato. Di questi tempi…. MS
 
Per i collezionisti dico che esiste anche la versione in vinile acquistabile qui: https://wall.cdclick-europe.com/projects/rajas




sabato 19 settembre 2020

Soul Secret

 

SOUL SECRET – Blue Light Cage
Layered Reality Productions
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2020



La band napoletana Soul Secret è una realtà nostrana già affermata e rodata. Quattro album in studio alle spalle tutti in un crescendo qualitativo costante. “Blue Light Cage” è il quinto tassello della loro discografia, e ancora una volta con esso dimostrano di essere capaci di ulteriore maturazione. I testi assumono una valenza sempre più rilevante, trattando temi globali come la vita lavorativa e le lotte interiori, ma anche argomenti più contemporanei come le fake news e l'influenza dei mass media sulle persone. Intelligente l’approccio che ruota attorno alle storie comuni che possono accadere a chiunque, così che l'ascoltatore può trovare elementi con cui relazionarsi.
Ma la protagonista indiscussa è la musica, il Metal Progressive, questa volta  più vicino alla formula canzone. Ogni strumento ha una sua personalità ben definita, che nell’insieme apporta ad un concepimento strutturale conscio dei propri mezzi, la band sa dove andare a parare ed il risultato è di gradevole fattura.
E a proposito di strumenti, nella line up si può annotare l’avvicendamento alla chitarra elettrica da Antonio Vittozzi a Francesco Cavezza, mentre la band è completata da Claudio Casaburi (basso), Antonio Mocerino (batteria), Luca Di Gennaro (tastiere) e Lino Di Pietrantonio (voce). Importante per la riuscita finale del prodotto anche l’ausilio del manager Davide Guidone, il quale prende parte al processo come supervisore, fornendo alla band alcuni buoni spunti.
“Blue Light Cage” è composto da nove brani e si presenta in edizione cartonata con tanto di libretto contenente foto dei musicisti e testi.
Il viaggio inizia con un brano strumentale dal titolo “Opening Sequence” con il quale si palesano immediatamente le qualità tecniche in dotazione ai singoli componenti. Esso è un intro dall’apertura sonora spaziosa, specie durante il solo di chitarra, mentre la ritmica risulta essere precisa e rodata. Le tastiere assumono un ruolo importante, il suono si riempie e l’insieme ne trae vantaggio. Impossibile non trovare punti di congiunzione con i maestri Dream Theater, così nel brano successivo dal titolo “The Ghost Syndacate” soprattutto durante l’approccio vocale che nelle coralità a supporto. Qui suona le tastiere come ospite anche l’ex Dream Theater, Derek Sherinian. Quando il Metal Progressive si lancia in aperture strumentali diventa un genere impossibile da non amare e questo vale anche per chi non mastica molto le note distorte. Ascoltare “ A President’s Speech “ è un piacere, punto d’incontro fra melodia e tecnica, divertente anche nello spunto jazz. Il suono è pulito, lineare, così gli arrangiamenti risultano sufficientemente curati, grazie ancora una volta al lavoro delle tastiere di Luca Di Gennaro. Una piccola giostra di emozioni che dura sei minuti. Un breve break acustico di due minuti toccanti dal titolo “Switch On” per ripartire con “la title track “Blue Light Cage”. Il brano è di classe con il sax affidato a Marek Arnold (Cyril, Flaming Row, Seven Steps To The Green Door, etc.). Di stampo classico è “We’ll Become Dust”, piccolo vademecum sul genere.
I Soul Secret sanno dosare alla perfezione la tecnica con la melodia orecchiabile, una prerogativa non da tutti. “Going Home” mostra i muscoli, Così “Jump Right In” che ostenta una band molto  attenta ai particolari. E come spesso accade, dulcis in fundo, “Breath And  Recover” è una suite che sugella un disco con un carnevale di suoni e di colori, elettronica compresa.
La qualità è alta, in tutti i settori, un disco che mostra le capacità delle band italiane nel sapere calarsi in ruoli da protagonisti, questo prodotto è sicuramente sopra la media di quanto ho potuto ascoltare all’estero riguardo al genere. Se amate il Metal Progressive non potete ignorare questa piccola perla sonora, così è consigliato anche a tutti coloro che vogliono approcciarsi per la prima volta al genere in questione. MS




domenica 13 settembre 2020

E' morto KLAUS BYRON

Addio ad un maestro del giornalismo musicale: KLAUS BYRON



Ci ha lasciati incredibilmente un amico che è sempre stato vicino a tutti noi, grazie al  lavoro e alla musica proposta. Klaus Byron nelle sue riviste "metalliche" come il mitico FLASH con cui ho avuto la fortuna di collaborare, ha contribuito culturalmente ad accrescere il gusto musicale degli italiani, il tutto sempre con modestia e professionalità. Ora mi resta davvero difficile trovare parole per ricordare Klaus e quello che per me ha significato, tuttavia in Facebook mi sono imbattuto nel ricordo fatto da un altro grande maestro del giornalismo musicale, Gianni Della Cioppa ed è qui che mi associo con tutto il cuore, parola per parola. R.I.P. master!


Di GIANNI DELLA CIOPPA:

 KLAUS BYRON TRIBUTE. Una volta i giornali si facevano per telefono. Ore e ore al telefono ad impostare, decidere, togliere, aggiungere, si, no, voto 8, voto 7, voto 10. Ed è così che ho imparato a conoscere Klaus Byron, con telefonate fiume, dove ci conosce davvero, dalla musica si passa allo sport, poi alla famiglia, la vita e tutto il resto. Posso dire che per qualche anno, primi '90, eravamo davvero amici intimi, sapevamo tutto uno dell'altro, pur se lontani. Klaus mi aveva voluto nella squadra di Flash, sorta di costola di Metal Shock, che lui ha poi saputo trasformare in una splendida rivista autonoma, dirigendola da toscano vero, tra sorrisi ed incazzature. Ricordo la riunione a casa sua per dare vita a Flash, c'era un entusiasmo che ci fece capire che il progetto avrebbe avuto successo. E cavolo se funzionò... Poi ci siamo persi, la vita va così, ma grazie a questo social ci siamo ritrovati e qualche chiacchierata ce la siamo fatta ancora, ma senza nostalgia, solo con la soddisfazione di aver fatto al meglio quello che sapevamo fare, ovvero raccontare la musica. Ieri Klaus a 58 anni è morto. La notizia mi è arrivata mentre andavo ad un concerto... E subito sono partiti mille pensieri... Quello che ha fatto Klaus per il metal è un fatto, una certezza che resterà, ci sono migliaia di pagine a testimoniarlo. Ciao Klaus, vai subito a salutare Fabio e Roberto della tua amata Strana Officina, gli amici che tanto hai pianto. Oggi siamo noi a piangere te amico mio e come dicevi tu per sfottermi... "Ciao Gianni e Forza Milan". Si Klaus, oggi un'interista malato come me ti dice "Ciao Klaus e Forza Milan con tutto il cuore". #klausbyron #flashmagazine #HeavyMetal #rivistemusicali

 


venerdì 4 settembre 2020

Marquette

 

MARQUETTE – Into The Wild
Progressive Promotion Records
Distribuzione: G.T. Music
Genere: Crossover Prog
Support: cd – 2020




La Germania si dimostra nel tempo una nazione molto attenta al fenomeno Rock, sia esso spaziale, che elettronico oltre che Progressivo. Una dedizione ed una cura che ha portato nel tempo a risultati importanti, tanto da renderla una delle nazioni più influenti in ambito Rock Progressivo. Famoso il genere Krautrock, punto di riferimento per moltissime altre band al mondo. Anche oggi sorgono di tanto in tanto nuovi progetti, a volte con componenti storici di altre band, questo è il caso del progetto Marquette, con il tastierista, chitarrista e compositore Markus Roth. Esso ha militato in gruppi come Horizontal Ascension, Force Of Progress, Flaming Bless e Mindmovie. Con loro ha toccato stili musicali come il Prog melodico, il Metal, il Jazz e la Fusion, e dal risultato di queste esperienze nasce proprio il gruppo Marquette. “Into The Wild” è il secondo album dopo l’esordio datato 2015  dal titolo “Human Reparation”. Il nuovo lavoro composto da otto brani, è ispirato alla vita di Christopher McCandless, che viaggia attraverso gli Stati Uniti con attrezzature minime e senza soldi, nel tentativo di diventare un tutt'uno con la natura, ma che invece trova una tragica morte nel deserto dell'Alaska. Storia e musica si pongono come un esempio della costante ricerca di se stessi, e della propria identità.
Con Roth suonano Sebastian Schleicher (chitarra, basso), Reiner Wendland (chitarra), Dennis Degen (batteria), Maurizio Menendez (voce), Robin Mock (sax) e Art Lip (tromba).
Atmosfere oscure accolgono l’ascoltatore in “No Answer”, inizio strumentale del viaggio basato su un lieve tappeto Metal Prog, un intro deciso e comunque ricco di cambi di tempo e buoni momenti di chitarra. Esso porta alla prima mini suite dell’album intitolata “Seven Doors”. Qui si può cogliere molta storia di Prog e Neo Prog, l’artista mette sul tavolo tutte le carte a sua disposizione, creando con stile e saggezza frangenti sonori gradevoli oltre che ricercati. Quasi un quarto d’ora di musica variegata concepita come fosse una colonna di un film. Nell’economia sonora, ancora le chitarre sono coloro che rendono di più, mentre le tastiere si accontentano spesso di fare da base su una ritmica buona senza sbavature. I tasti d’avorio si lanciano solo a tratti in brevi assolo che lasciano spazio anche al sax di Mock.
Più allegra “Criminal Kind”, prima canzone cantata rivolta verso il Jazz Prog, qui il basso disegna buone melodie, un momento funzionale e diretto. Tuttavia la musica dei Marquette è di certo ricercata, il mix di stili ne è la causa, in “Alexander Supertramp” ne abbiamo un altro tangibile esempio. Scale di note vengono sciolinate con veemenza lasciando improvvisamente spazio ad assolo più pacati e riflessivi, anche se in controtempo. Magia del Prog e chi lo segue mi ha di certo capito.
Una voce apre “Sensuality”, altra composizione impregnata sempre di quella nota malinconica che fa da canovaccio a tutto l’album. La tecnica sale, così la difficoltà esecutiva a dimostrazione anche di una preparazione ragguardevole dei singoli musicisti coinvolti. Il brano è in bilico fra Prog e Metal Prog. “Portait Of Men” si adagia nel pentagramma con leggiadria, altro brano cantato e comunque più riflessivo del contesto. Il Mellotron fa scorrere sulla pelle qualche brivido.
Il monolite delle tastiere resta, ma si aggiungono le chitarre distorte in “Poisoned Homeland”, altro momento ricercato, mentre l’album si conclude con la seconda mini suite, la title track  di quasi 20 minuti intitolata appunto “Into The Wild”.
In effetti il detto dulcis in fundo è proprio indovinato, ben si sposa in questo contesto mai banale e ricco di sorprese. Musica acustica si alterna a quella elettrica lasciando nella mente di chi ascolta più di un segno.
I Marquette sono ritornati con le idee ben chiare, ossia quelle di unire il Metal Prog al Neo Prog, un innesto che potrebbe sembrare al primo momento incongruente, ma che invece riesce a dare buoni frutti. Il Crossover Prog è proprio questo, di certo non digeribile per tutti i puritani del Prog, tuttavia anche qui risiedono buone idee e melodie. Un album da ascoltare più volte prima di essere metabolizzato a dovere, e che riesce a dare comunque sincere soddisfazioni. MS
 
 

Melanie Mau & Martin Schnella

 

MELANIE MAU & MARTIN SCHNELLA – Through The Decades
Autoproduzione
Genere: Acustic Folk – Prog
Supporto: cd – 2020



Il periodo di reclusione forzata dovuto al Covid-19 nel lockdown, musicalmente ha dato comunque alcuni frutti. Molti artisti si sono cimentati in prove casalinghe più o meno impegnative. Melanie Mau e Martin Schnella sono oramai conosciuti in ambito Progressive Rock, specialmente grazie al progetto Flaming Row ed anche loro ne approfittano per registrare il terzo album di cover dopo “Gray Matters” (2015) e “Pieces To Remember” (2018).
Pure in questo caso trattasi di un disco acustico, con Melanie alla voce e Martin Schnella alla chitarra e voce, con loro Mathias Ruck ancora alla voce, Simon Schroder alle percussioni e Lars Lehmann al basso. Nel disco compaiono anche special guest, Jens Kommnick (whistle, violoncello), Marek Arnold (sax, clarinetto) e Jelena Dobric (voce).
L’edizione è curata, con un libretto contenente spiegazioni, foto e credits dell’ascolto, il tutto dentro un formato di cartone. L’artwork ed il design è ad opera di Martin Huch. La durata del disco è estesa, ben settantaquattro minuti di musica suddivisi in quattordici tracce dove gli artisti in questione vanno a toccare differenti generi della musica Rock e Metal, rielaborandoli in veste acustica. Davvero molti i classici che ci aspettano in questo lungo percorso sonoro, ad iniziare da “Dancing Whit The Moonlit Knight” dei Genesis. Toccare un mostro sacro del Progressive Rock è davvero da coraggiosi, specie se lo si vuole interpretare in maniera personale, questo perché il fans del genere è notoriamente geloso dei suoi credo. Ne scaturisce un brano polifonico, Folk, quasi celtico e questo mostra una grande personalità del gruppo. Per chi vi scrive, il bello risiede proprio qui, il coraggio di rendere un brano proprio è encomiabile, specie se il risultato è gradevole e sorprendente. Dopo questo inizio coraggioso è la volta di “Running Up That Hill” di Kate Bush, canzone delicata già del suo grazie soprattutto alla classe immensa dell’artista e qui brava è Melanie a scegliere di non farle il verso, bensì di interpretarla con ben altra personalità. Vigorosa nel ritornello e nell’incedere centrale, la canzone trasporta l’ascoltatore con enfasi.
Il Folk si sposa alla perfezione con il brano “Poesie Im Sand” della band islandese  Árstíðir, brano che potrebbe benissimo risiedere nella discografia dei Capercallie. Viene preso in considerazione anche l’Heavy Metal, ovviamente non nelle sonorità delle chitarre elettriche distorte, bensì nei suoi lati più tenui e folcloristici, i Blind Guardian hanno lasciato piccole perle acustiche al riguardo, qui viene presa in analisi “Harvest Of Sorrow”. La voce di Melanie ben si adatta a tutti gli stili con efficacia.
Bene eseguito il brano “Miracles Out Of Nowhere” dei Kansas, con Martn Schnella in grande spolvero alla chitarra e ancora una volta funziona il gioco polifonico delle voci. Un altro classico del Rock è “Don’t Stop Me Now” dei Queen, brano gioioso, aperto, ricco di voci qui ottimamente interpretato nell’insieme e sottolineo anche  la difficoltà del pezzo solo apparentemente adagiato nel mondo della “canzoncina”. Solido e importante.
Esiste un nuovo supergruppo nel mondo del Progressive Rock moderno, esso si chiama Flying Colors, con un Neal Morse (ex Spock’s Beard) molto ispirato, Melanie & Martin ne omaggiano una delle canzoni più interessanti ed orecchiabili, “Kayla”. Un altro artista importante per la causa Rock è Peter Gabriel (ex Genesis), qui trattato con il brano “In Your Eyes”, impreziosito dal sax, in un momento molto pacato e riflessivo. Musica per la mente.
Restando nel mondo magico e dotto del Progressive Rock, ci si imbatte anche con i maestri del “complicato” i grandi Yes che molto hanno dato alla causa specialmente negli anni ’70. Non a caso il gruppo interpreta un loro classico, quel “And You And I” che va a ripetere quanto da me detto inizialmente nei confronti di “Dancing Whit The Moonlit Knight”. A seguire “Dark Water” (Agent Fresco), “Reason” (Pain Of Salvation), “Creeping Death” (Metallica), “I Am Above” (In Flames) e “Als Ich Fortging” (Karussel). Una parola in più per il brano dei Metallica, davvero arrangiato in maniera impeccabile, specialmente nella ritmica, stravolto ma rispettato nell’essenza. Spero che gli artisti originali abbiano ascoltato questo risultato.
Anche in questo caso “Through The Decades” è una prova di rispetto e di personalità, cover si ma con classe, perché qui gli artisti in questione ne hanno da vendere. Questo disco è consigliato non soltanto agli amanti dei gruppi trattati, ma anche a tutti coloro che amano le melodie semplici. MS 
 
 
http://gray-matters.de/produkte/melanie-mau-martin-schnella-through-the-decades