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sabato 11 maggio 2019

Giant The Vine


GIANT THE VINE – Music For Empty Places
Lizard Records
Distribuzione: BTF Distribuzioni / GT Music
Genere: Rock Progressive / Post Prog
Supporto: cd – 2019



In Italia nascono continuamente gruppi musicali legati a quel filone del Rock che molto spesso abbiamo dato per spacciato, il Progressive Rock. Gli amanti dello stesso, leggendo il nome della band qui in recensione già troveranno indizi sulla direzione musicale intrapresa dal quartetto ligure in analisi, fra Gentle Giant e Genesis. Tutto ciò sta a dimostrare che la qualità nel tempo paga sempre. La musica quando è fatta con la mente e con il cuore non conosce confini e neppure cessazioni d’esistenza.
I Giant The Vine sono un gruppo che si forma nel 2014 su iniziativa di Fabio Vrenna che attraverso un sito di annunci per musicisti incontra Fulvio Solari, anche lui chitarrista e Daniele Riotti, batterista. Al trio si aggiunge virtualmente Marco Fabricci, bassista di Torino che partecipa al progetto senza comunque incontrarsi fisicamente con gli altri componenti. Alle tastiere Chico Schoen e Ilaria Vrenna, figlia di Fabio. Antonio Lo Piparo, bassista ventottenne, si unisce alla band con la quale si appresta ad affrontare i prossimi eventi live.
Vista la differenza d’età fra i singoli musicisti, si denotano nelle influenze sonore diverse tipologie di band, a partire ovviamente dalle già citate per poi aggiungerci Tool, e Porcupine Tree.
Il disco che si presenta in confezione cartonata,  è composto da otto brani tutti strumentali ed inizia con “67 Ruins”, un Rock apparentemente freddo che in realtà sa sfuggire alla routine del Prog in maniera dignitosa, e come non pensare alle band nordiche ascoltando quel mellotron e quelle chitarre? Landberk, Anekdoten ed Anglagard sono inevitabilmente da nominare. Ma i Giant The Vine hanno una loro personalità ben marcata, essa fuoriesce anche dall’ascolto di “Ahimsa”, cadenzata ed ipnotica sotto certi movimenti. Ricercate le armonie, la band da più spazio all’emozione che alla tecnica, anche se le qualità dei singoli componenti sono elevate. La musica è sempre enfatica, ampia e avvolta da un velo di malinconia. Buona la qualità sonora. “The Kisser” con le chitarre elettriche sposta le coordinate verso un Metal Prog fra Tool e certi Porcupine Tree. Il crescendo sonoro è un arma sempre vincente, così la semplicità con cui viene eseguito.
Un piano apre “The Rose”, brano dalle note inizialmente centellinate che si evolvono e si stoppano a metà del brano per poi ripartire in quelle atmosfere che molto fanno sognare ad occhi chiusi. Inizialmente più vigorosa “Gregorius” che potrebbe benissimo uscire da “From Within” degli Anekdoten, tuttavia la mediterraneità nostrana non si cela dietro ad un dito, certe atmosfere e sonorità le abbiamo intrinseche in noi e scolpite con il fuoco. Per chi vi scrive questo è il migliore brano dell’album, o perlomeno quello che più mi ha emozionato.
“Lost People” entra in punta di piedi, alza la voce e se ne va come è entrata, mentre “ A Little Something” si apre con un semplice arpeggio di chitarra e qui il richiamo alla vecchia band di Steven Wilson è inevitabile. Altro fluire sonoro dal grande impatto emotivo. L’album si chiude con “Past Is Over”, perfetto sunto di quanto dimostrato sino ad ora dai musicisti.
Un lavoro degno di nota, consigliato soprattutto a coloro che nella musica cercano qualcosa di emozionante e non scontato. MS

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