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martedì 30 dicembre 2014
PROG ZONE 2015
“PROG ZONE – Il prog in Concerto”, una rassegna live di musica progressive/alternative rock nata da un’idea di Daniele Giovannoni, batterista dei Karmamoi ( www.karmamoi.it ), band progressive rock italo-inglese con all’attivo due album (“Karmamoi” del 2011 e “Odd Trip” del 2013) e un terzo” Solitary Binary System” in uscita a Giugno 2015, anticipato dal singolo “Sirio”. I Karmamoi, già protagonisti dell’Eurosonic Showcase Festival di Groningen (Olanda, 2011) e di numerosi live, tra i quali l’opening act al Borderline di Londra per gli storici Curved Air, condivideranno il palco con due band della scena prog emergente: Jade Vine e Old Rock City Orchestra.
I greco-londinesi Jade Vine (www.jadevineuk.com), attualmente impegnati nelle registrazioni del loro secondo album, hanno intrapreso nel 2013 un tour in Inghilterra e in Grecia come opening act degli Anathema, nota prog band di fama internazionale. Nello stesso anno Daniel Cavanagh, chitarrista degli Anathema, ha co-prodotto il loro primo lavoro dal titolo “Nothing Can Hide From Light”.
Gli Old Rock City Orchestra (www.oldrockcityorchestra.com), anch’essi impegnati nell’uscita del loro secondo album, sono stati protagonisti nel 2013 di un tour europeo che ha toccato Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda e Bulgaria. Il disco d’esordio “Once Upon A Time” è uscito nel 2012 per l’etichetta indipendente M.P. & Records, già in collaborazione con artisti nazionali e internazionali come Rick Wakeman (YES), Sonja Kristina (Curved Air) e, tra gli altri, Bernardo Lanzetti (PFM), voce storica del progressive rock italiano, con il quale la band umbra ha condiviso il palco lo scorso luglio 2014.
PROG ZONE gode del supporto mediatico di distribuzioni, radio, webradio e magazine del settore e sarà replicato nel corso del 2015 anche in Gran Bretagna.
sabato 27 dicembre 2014
Daal
DAAL – Dances Of The
Drastic Navels
Agla Records
Genere: Progressive
Rock/Avantgarde
Supporto: cd – 2014
Il Progressive Rock Italiano si sta basando su nomi oramai
importanti, ci sono artisti che con il duro lavoro e la perseveranza, hanno
dato uno stile ben riconoscibile al nostrano genere d’avanguardia. Alfio Costa
lo troviamo alle tastiere in numerosi progetti, Prowlers, Tilion, Colossus
Project, ha collaborato con Malaavia, Ars Nova, The Samurai Of Prog solo per
fare alcuni nomi e con Davide Guidoni alle percussioni (oltre che ottimo
grafico) ha creato questo fortunato progetto dal nome Daal. “Dances Of The
Drastic Navels” è la quinta realizzazione da studio dopo il successo di
“Dodecahedron” del 2012. L’album è composto da cinque tracce ed è edito in una
confezione cartonata come sempre curata da Davide Guidoni. I suoni registrati sono
contaminati da aloni di oscurità per le atmosfere, sempre intriganti e
sorprendenti.
Le composizioni prendono vita in una casa isolata e buia nei
pressi di un bosco, la casa di Mr. Sandro, questa è l’ideale per la
concentrazione tanto che Costa in due giornate riesce a comporre le cinque canzoni.
Nel disco si avvalgono del supporto di amici come Ettore
Salati alle chitarre, noto in ambito Prog in quanto presente in numerosissimi
progetti al riguardo (The Watch, Alex Carpani, Archangel, The Redzen,
Soulengine etc. etc.), Bobo Aiolfi basso anche con i Prowlers, Letizia Riccardi
al violino, Tirill Monh voce in “Inside Out” e Guglielmo Mariotti(voce).
Il titolo del primo brano “Malleus Maleficarum” lascia già
presagire l’ascolto a cui si va incontro. Le musiche sono composte da Costa, ma
qui una mano importante la da Guidoni nell’intro e le sonorità si fanno
grevi in stile Goblin o Antonius Rex.
Notevole la parte centrale del brano, quando le atmosfere si placano per una
Psichedelia a tratti di Pinkfloydiana memoria.
“Elektra (An Evening With…)” è una variante elettronica e
strumentale, impreziosita dalle percussioni di Guidoni. Il pezzo comunque
Rock, è dedicato ad un loro amico
scomparso in una tragica notte.
“Lilith” è una sorta di ninna nanna ispirata da un disegno
trovato inciso in un albero presso la suddetta casa dell’amico Sandro. Ipnotico
ed ammaliante, basa molta enfasi sulle note sgocciolate dal piano di Costa.
Composizione emozionante e profonda come pochi sanno concepire.
Con la title track “The Dance Of The Drastic Navels”
ritroviamo i classici Daal, quelli che hanno saputo colpire l’attenzione
dell’ascoltatore progressivo sin dal 2009. I pochi testi che si ascoltano nel
lavoro sono comunque il proseguo dell’argomento dei primi album, si narra della
storia di un uomo del futuro che si innamora di una strega metà donna e per
metà robot, dove riesce a far diventare l’individuo un proprio giocattolo. Il
brano gode di atmosfere nordiche, molto vicine al Prog svedese e a certi King
Crimson, queste date dall’oscurità dei passaggi, soprattutto caratterizzati dal
suono mellotron. A metà ascolto subentra
l’elettronica, carta molto spesso vincente dei Daal.
Il disco si chiude con “Inside You”, in origine destinata a
diventare la conclusione della suite appena ascoltata, invece lasciata definitivamente
godere di vita propria. La canzone (perché di questo si tratta) è cantata dalla
bella voce della norvegese Tirill Mohn ed è esaltata dal nostalgico violino di Letizia
Riccardi. Il pezzo da solo vale il prezzo del cd, come si dice spesso in questi
casi, degno suggello del lavoro.
I Daal fanno ciò che sentono, non badano a stili o mode,
mutano pur sempre reggendo il sound su di una personalità che il buon 80% delle
band mondiali di Prog Rock si sognano! Qui c’è da ascoltare, “Dances Of The
Drastic Navels” è un viaggio da fare senza freni inibitori, senza paura, basta
lasciarsi andare per scoprire nelle oscurità dei raggi di sole che sembrano
indicare una nuova strada. Io come sempre, in casi come questi non giudico ma
ascolto e cerco di lasciarmi trasportare, perché questa musica esula dalla
banalità, non va ascoltata assolutamente in macchina o comunque sia
distrattamente, ma va goduta a pieno, in tutte le sue sfumature.
Daal, oramai un nome ed una garanzia. (MS)
domenica 21 dicembre 2014
Fabio Zuffanti
FABIO ZUFFANTI &
ZBAND – Il Mondo Che Era Mio
AMS / BTF
Genere: Progressive
Rock
Supporto: cd - 2014
Molto spesso mi sono lamentato di situazioni musicali qui in
Italia che hanno fatto sì che il mio giudizio fosse rassegnatamente negativo al
riguardo. Non è per partito preso nei confronti di un genere musicale a me
caro, e neppure per chiusura mentale relegata a nostalgia dei tempi che furono,
bensì vera e propria constatazione dell’evoluzione culturale del popolo
italiano. Ma per fortuna anche oggi c’è
chi si batte per se stesso e la musica, per poter semplicemente vivere di lei e
di esprimere il proprio essere attraverso le sue corde. In un calderone immenso
questi artisti vanno scovati e supportati perchè è da loro che spesso nascono
emozioni.
Fabio Zuffanti di certo non è l’ultimo arrivato, lo sapete
bene anche voi che seguite le mie recensioni, ha formato numerosi gruppi come
Finisterre, La Maschera Di
Cera ed Höstsonaten tanto per nominare
i più famosi ed è un artista che si batte da venti anni per la sua causa,
quella di esprimere un concetto musicale a cavallo fra semplicità, armonie e
Prog Rock. Probabilmente il connubio di questi elementi non è digeribile a
tutti gli usufruitori, i quali spesso si legano al significato di Prog Rock
distante dal cosiddetto termine “commerciale”. Non che Zuffanti nella sua
carriera abbia fatto dischi prettamente commerciali, anzi, tuttavia ha
ricercato la giusta melodia anche di facile memorizzazione, magari a discapito
di lunghe cavalcate tecniche. Venti anni di realizzazioni che hanno fatto in
ogni caso parlare, emozionare e cantare.
Quest’anno è uscito anche il disco solista “La Quarta Vittima ” che ha
riscosso interesse di pubblico in senso
generale e che ha portato Zuffanti a formare una band per partire in un tour
mondiale che ha toccato nazioni come Belgio, Olanda e Canada. Un concerto in
cui si suonano le diverse tappe della carriera che hanno contribuito a formare
l’artista genovese, un insieme di canzoni estrapolate dai diversi suoi progetti.
Ogni canzone è un tassello importante che l’artista sente vicino a se. Ma non
tutto è filato liscio a livello tecnico e le registrazioni live purtroppo non
si sono potute realizzare. Zuffanti tuttavia ha ritenuto di immortalare
ugualmente questa Zband ed una scaletta importante che lo ha accompagnato nel
corso del tour, per questo si reca agli Hilary
Audio Recording Studio e ripete il concerto live in studio.
Quello che ne
scaturisce all’ascolto, oltre alla bellezza delle composizioni, è una forte
sensazione di agio, ossia i musicisti godono di questa situazione e danno il
meglio di loro stessi. Ecco allora classici come “In Limine” (Finisterre con
Boris Valle),”Rainsuite” (Höstsonaten), “La Notte Trasparente ” (La Maschera Di Cera) ed altri
ancora, riprendere vita, una nuova veste comunque elegante e moderna. Del nuovo
album solista ci sono “Una Sera D’Inverno”, “La Quarta Vittima ” e “Non Posso
Parlare Più Forte”.La Zband è formata da Matteo Nahum (chitarra), Paolo “Paolo”
Tixi (batteria), Giovanni Pastorino (tastiere) e Martin Grice (fiati), oltre
che da Fabio Zuffanti al basso e voce.
Sette tasselli
importanti per la carriera, ma anche per il Prog Italiano in generale, troppo
spesso relegato al confine dei tempi che furono, invece con “Il Mondo Che Era
Mio” si ha nuovamente l’ennesima prova che il genere è vivo e vegeto. Ben
confezionato in edizione cartonata, registrato con la consapevolezza di rendere
il concerto più tangibile ed un bel poster de “La Quarta Vittima Tour”all’interno
dell’artwork stesso, questo è il sunto del cd.
Sicuramente Fabio
ora è già all’opera in un nuovo progetto, la sua “vulcanicità” non è
sicuramente nuova a nessuno, perchè lui è artista vero, vive della sua musica,
o almeno tenta di farlo con tutte le difficoltà del caso e se ci riesce è solo
grazie a se stesso, alla gavetta, alla bella musica che solo un ascoltatore
disattento può lasciarsi sfuggire.
Da avere e godere!
(MS) lunedì 8 dicembre 2014
The Lunatics: Pink Floyd - Il Fiume Infinito
LIBRO
THE LUNATICS – Pink
Floyd / Il Fiume Infinito
Giunti – 2014
Direte voi: Un altro libro sui Pink Floyd!! Ebbene si, ma
questa volta (come la precedente per i The Lunatics con “Storie E Segreti”), è
gioia per i fans collezionisti più accaniti della band di Cambridge. Gioia
perché gli autori vanno a spulciare minuziosamente la storia della band
passando brano per brano, con la competenza e la passione che solo i più grandi
fans planetari della band hanno.
Chi sono i The Lunatics? Chi meglio di loro possono
descriversi e quindi estrapoliamo dal loro sito la biografia: “ "The Lunatics" è un club virtuale
che raggruppa alcuni tra i più famosi collezionisti italiani dei Pink Floyd.
Il club, ideato nel
2001 da Mr. Pinky, alias Stefano Tarquini, per un continuo scambio di
informazioni dettagliate e approfondite sulla discografia (che poi confluiscono
nel suo sito), è stato potenziato nel 2007 con l'ingresso di amici
collezionisti, i "Lunatics" (Riccardo Verani, Stefano Girolami,
Enrico Nardin), avendo come altro scopo quello di far conoscere meglio il mondo
del vinile a tutti i fans della band. In seguito il club è stato aperto ad
altri tipi di collezionismo - aspetti importanti della cultura "floydiana"
- come i poster, tour programs e memorabilia (con il contributo di Danilo
Steffanina) e ogni tipo di pubblicazione, libri e giornali (con il contributo
di Nino Gatti), coinvolgendo i più importanti collezionisti italiani e
stranieri.”.
Ho avuto la possibilità di conoscerli a Milano in un Pink
Floyd Day e, come dissi a loro, in me nasce una profonda invidia per quello che
possedete e soprattutto per quello che sapete. Anche io sono amante della band
Pink Floyd e proprio per questo mi avvicino ai loro libri con una fiducia
totale, quella fiducia che non solo è ricambiata dal prodotto in analisi, ma
addirittura resto sempre stupito ogni volta che lo leggo. Ne ho letti molti
altri sulla band e anche io (nella mia modestia), pensavo di sapere non dico
tutto, ma tanto…eppure… noto leggendo le righe di “Il Fiume Infinito” che non
conosco quasi niente!
Il titolo è
emblematico, esce in concomitanza con lo storico come back di “The Endless
River” del duo Mason/Gilmour, ovviamente dedicato allo scomparso amico e
tastierista Richard Wright, nel disco presenti anche le sue tastiere immortali.
In parole povere, il disco degli ultimi decenni. Periodo fantastico dunque per
i fans dei Pink Floyd, almeno qui in Italia, dove i The Lunatics hanno colto
nel segno, perché dettagliatamente, anno per anno, ci conducono nel percorso
vitae della band.
Non solo aneddoti o storia all’interno, ma anche ritagli di
interviste ai protagonisti, testimonianze e rivelazioni.
320 pagine e fotografie sono ciò che compongono questo
“fiume infinito” di informazioni, compreso l’ultimo lavoro. Resterete colpiti
dalle nozioni e dai dettagli, come ad esempio il descrivere brano per brano di
chi lo suona, con quali strumenti, la durata, la registrazione e il produttore!
Tengo tuttavia a sottolineare che “Il Fiume Infinito” è anche un libro per
tutti, non certo solo per fans, perché è scritto davvero bene, scorrevole e la
passione che ci mettono è contagiosa, sicuramente una occasione per entrare nel
loro mondo.
Una cartina stradale particolareggiata, non vi perderete
sicuramente, un vademecum per il fans che vuole i particolari…insomma, un libro
che non può mancare se amate la musica! Grazie The Lunatics, grazie di esistere!
(MS)
Jail Underdog
JAIL UNDERDOG - Electric
Countryside
Icore Produzioni
& Toxic Sele Crew
Genere: Garage Rock
Supporto: ep – 2014
Fabriano, cittadina dell’entroterra marchigiano, cela fra i
propri abitanti una nutrita serie di musicisti, questo anche all’insaputa degli
stessi. Infatti le band si prodigano a fare concerti nella zona, esistono anche
possibilità di visione, ma il cittadino del posto non è ricettivo. Per fortuna
il mondo è più vasto, si perché di cultura Rock al riguardo ancora c’è, poca,
ma c’è.
Tutto questo potrebbe far pensare che le band di Fabriano
non sono valide, invece no, nella mia carriera di recensore ho ascoltato e
criticato migliaia di dischi e vi assicuro che qui la media è davvero elevata,
merito forse anche di internet, che a costo zero da la possibilità a chi lo
adopera di farsi una cultura elevata a livello musicale. I tempi cambiano, la
musica pure, il Rock si adegua, in quanto portavoce dei tempi.
Ma veniamo a noi, chi sono questi Jail Underdog? Giacomo
Agostinelli (Voce), Leonardo Home (Chitarra), Alessia Cimarelli (Basso) e Andrea
Pesci (Batteria) compongono il gruppo che si forma nel 2010. Gli stili a cui si
ispirano sono differenti, ogni singolo
elemento ha un proprio backgroud, anche se sono il Blues, l’Hard Rock ed il
Punk i più gettonati. Come gli Iron Maiden con Eddie, i ragazzi marchigiani hanno
una mascotte dal nome Grog ed è un cane quantomeno curioso.
La gavetta c’è, si prodigano, suonano live molto spesso e
questo crea loro un amalgama che comunque già si può apprezzare nelle
incisioni. Nel 2012 si presentano con il demo “Sentenced” e qui lasciano
presagire le potenzialità, tanto che alcuni recensori ne parlano positivamente
in diversi canali mediatici. Tornano oggi con una registrazione migliore e cinque
nuovi brani in questo EP dal titolo “Electric Countryside”.
Apre “Countryside Of Me”, simpatico breve riferimento al
genere americano che sfocia in un vigoroso Hard Rock quantomeno contagioso.
Segue “Carote e Liquori” ed il ritmo sale ancora, la voce di Giacomo
Agostinelli è graffiante, adatta a questo ruvido Hard Rock cantato in inglese.
Un pregio di questo gruppo risiede anche nel fatto che espongono assolo di
strumenti e cambi di ritmo, cosa che nel 90% dei casi di questi giovani gruppi
esordienti, non esiste. Bene fanno, perché spezzano l’ascolto e lo
impreziosiscono, mettendo anche alla luce non solo l’amalgama ma anche la
tecnica che comunque non va sminuita.
Con “El Guero” c’è un attimo stradaiolo e polveroso, accordi
solidi, quei quattro che non ti tradiscono mai e che fanno la base del genere.
Traspare divertimento fra le righe e questo è contagioso. In “Overnight” trapela
anche la NWOBHM, probabilmente vista la giovane età dei componenti non so
quanto voluta, perché sto parlando dei primi anni ’80, tuttavia negli ascolti
della loro vita, volente o nolente ne hanno assorbito nel dna i propri valori. Inevitabili
anche certi riferimenti ai Motorhead, qui evidenti.
Ma è con “Abandon's Trail” che danno il meglio, l’ultimo
brano è notevole, mutevole, ammaliante, caldo e alla fine anche aggressivo. Il
flauto lo impreziosisce e per quello che riguarda il sottoscritto, vi assicuro
che questo pezzo girerà spesso nel mio stereo.
Buona fantasia, le idee ci sono e così funziona, non resta
che perseverare, perché oggi il problema dei musicisti è proprio questo,
sbattere addosso ad un muro di gomma, tuttavia da come ho avuto modo e piacere
di vedere, i Jail Underdog già si divertono a suonare live, tutto quello che
può scaturire in più è solo che ben accetto! Bravi. (MS)
martedì 2 dicembre 2014
IL COMPLEANNO DI PEPPE 2014
FABRIANO PRO MUSICA Presenta: Il Compleanno Di Peppe 2014
Seconda edizione dell'evento "Il Compleanno Di Peppe" a memoria di Peppe Costarelli, noto venditore di strumenti musicali del centro Italia.
Quest'anno anche sorprese....
sabato 29 novembre 2014
Nuovo video per NICHELODEON
NichelOdeon/InSonar and Pietro Cinieri (ArtmikaStudio - ProduzioniVideo)
presentano:
TUTTI I LIQUIDI DI DAVIDE - An LGBT “Dada Pop” Ballad
Genere: Experimental, Folk, Psych, Prog, Songwriting, Theatre, Avant, Canterbury
Questa canzone parla dell'amore tra un uomo e un bel palloncino di nome
Davide, Dedicato all'amore in ogni sua forma, contro ogni razzismo e pregiudizio.
Credits:
Music and Lyrics by Claudio Milano
Arrangements by NichelOdeon/InSonar
Label: Snowdonia dischi
Directed by Pietro Cinieri (ArtemikaStudio - ProduzioniVideo)
Concept by Francesco Paolo Paladino & Claudio Milano
With Claudio Milano (storyboard, illustrations, paintings, performance)
Musicians
Claudio Milano: voices/keyboards
Erica Scherl: violin
Vanni Floreani: cister/bagpipe
Ermes Ghirardini: drums/percussion/electronics
Vincenzo Zitello: bardic harp
Vincenzo Vitti: celloPaolo Siconofi: sound designer/editing/mixing/mastering
Mimmo Frioli: sound designer/recording/editing/pre-mixing
Original concept by Francesco Paolo Paladino
presentano:
TUTTI I LIQUIDI DI DAVIDE - An LGBT “Dada Pop” Ballad
Genere: Experimental, Folk, Psych, Prog, Songwriting, Theatre, Avant, Canterbury
Questa canzone parla dell'amore tra un uomo e un bel palloncino di nome
Davide, Dedicato all'amore in ogni sua forma, contro ogni razzismo e pregiudizio.
Credits:
Music and Lyrics by Claudio Milano
Arrangements by NichelOdeon/InSonar
Label: Snowdonia dischi
Directed by Pietro Cinieri (ArtemikaStudio - ProduzioniVideo)
Concept by Francesco Paolo Paladino & Claudio Milano
With Claudio Milano (storyboard, illustrations, paintings, performance)
Musicians
Claudio Milano: voices/keyboards
Erica Scherl: violin
Vanni Floreani: cister/bagpipe
Ermes Ghirardini: drums/percussion/electronics
Vincenzo Zitello: bardic harp
Vincenzo Vitti: celloPaolo Siconofi: sound designer/editing/mixing/mastering
Mimmo Frioli: sound designer/recording/editing/pre-mixing
Original concept by Francesco Paolo Paladino
giovedì 27 novembre 2014
Se Abbaia è RADIO CANAJA
RADIO CANAJA
Ci sono Radio che si ascoltano per informarsi, altre per la
musica, altre ancora seguono sport, politica o religione, ma ci sono anche piccole
realtà che ti fanno davvero stare bene, almeno per un paio d’ore.
Sboccacciata, irriverente, ironica, satirica e demenziale, nel
centro Italia un gruppo di ragazzi “abbaiano” ai microfoni di RADIO CANAJA.
Nasce come Radio Web a Fabriano nel febbraio 2012 in una
soffitta grazie all'idea di Marco "Stens" Stagnozzi, Andrea
Battistoni (il maestro della contemporaneità), Luca Battistoni (il fratello
regista), e Francesco Belardinelli. La quota rosa spetta a Martina Morganti.
(ROCK & WORDS ospiti nel 2013)
Negli anni ’70, precursore di radio demenziale è stato il
programma “Alto Gradimento” di Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Mario Marenco,
i fratelli Giorgio e Franco Bracardi e Marcello Casco, RADIO CANAJA ne ha
involontariamente (?) colto lo spirito, ma qui si spara grosso in quanto i giovani
ragazzi sono anche attenti alla politica locale e intrattengono con un
linguaggio a cavallo fra il dialetto ed il turpiloquio.
Più di 11.000 ascolti
ed oltre 60 ore di trasmissioni sul podcast, questo il curriculum che li contraddistingue, variando da argomento
in argomento, con ospiti reali ed “inventati”. Molte le caricature all’interno
e spesso ci si diverte a punzecchiare argomenti scottanti come il sesso o la
politica locale.
Lo spirito goliardico, la voglia sincera di divertimento è
contagiosa e si percepisce a pelle durante l’ascolto. Tutto molto semplice,
improvvisato, sfiorando il caos demenziale, fra gag e battute taglienti.
Nel 2013 trovano spazio negli studi di RADIO GOLD, radio
locale del Fabrianese, all’interno del palinsesto e vanno in diretta il martedì
e sera alle ore 22.00.
Non sfugge loro il
movimento cittadino e quindi neppure gli eventi, commentandoli ed ospitando i
protagonisti del caso. Può mancare il quiz con il premio? Certo che no!
(Fabriano Pro Musica ospiti nel 2014)
Personalmente sono stato ospite due volte alla trasmissione, nell'ultima per pubblicizzare l’evento “Il Compleanno Di Peppe”, una sorta di
piccola Woodstock locale con più di 20 band che suonano dal vivo per commemorare
la precoce scomparsa di Peppe Costarelli, noto venditore di strumenti del
centro Italia. Due ore di chiacchiere, battute e divertimento puro che hanno
fatto breccia anche nel mio cuore, perché dentro ognuno di noi c’è sempre un alta
percentuale di “spensieratezza” che va sempre coltivata e RADIO CANAJA (la
Radio che abbaia, come ha detto anche Luca Ward) la tiene sempre accesa.
Sostenetela con gli ascolti, perché la sincerità e l’ironia
oggi sono merce rara.
Link per ascoltare la serata in cui sono ospite:
http://www.spreaker.com/user/radiocanaja/peppe-canaja-pro-musica
Ad oggi RADIO CANAJA è composta da: Marco "Stens"
Stagnozzi, Andrea Battistoni, Luca Battistoni, Martina Morganti, Tiziano
Capalti e Franco Tiratori (nome d'arte in quanto personaggio misterioso)
http://www.spreaker.com/show/radio_canaja
https://www.facebook.com/RadioCanaja?fref=ts
https://www.facebook.com/RadioCanaja?fref=ts
mercoledì 26 novembre 2014
IL ROCK E' MORTO ! / ?
IL ROCK E' MORTO ! / ?
Partendo dal concetto che la musica rispecchia sempre la società del momento e che è l’evento a mutare il suo modo di agire, potremmo anche dire che il Rock non è morto ma tramortito. Si perché la musica non muore mai, neppure i generi che la compongono, piuttosto mutano con i suddetti eventi, compresa la tecnologia che avanza. Siamo noi che restiamo avvinghiati ai ricordi ed alla musica che ci fa tornare alla mente il primo amore, la gioventù etc. Tutto ci sembra fermo li, impossibile pensare che la musica a venire sia più bella. Ascoltate i vostri nonni e vi diranno che la musica degli anni ’50 era la migliore, così i vostri genitori,per loro la migliore è quella anni ’60 o ’70, a seconda dell’età e via dicendo. Inopinabile che sono esistite mode orribili, suoni di plastica e amenità varie, ma tutto serve per portare al dna della musica di oggi un qualcosa che ci dice“così è meglio di no”. In parole povere, anche il brutto è servito. Non dimentichiamo che anche nel Metal c’è stato il momento dei sintetizzatori e quant'altro, persino i padri JUDAS PRIEST li hanno usati in “Turbo”. Sacrilegio o evoluzione ? E quindi …il Rock è morto?
Oggi il Rock è solo tramortito, perché di artisti validi ci sono sempre, il genio non muore mai, si adatta ai tempi.
Mentre una volta negli anni ’60/70 per fare un disco spendevi soldi, fra sala d’incisione, manager, distribuzione, pubblicità, permessi etc, dovevi essere un pazzo a non voler dire qualcosa di buono, oggi invece con un pc, due strumenti, un buon programma e social network, sei produttore di te stesso, puoi registrare e camuffare ciò che vuoi a spesa quasi zero. Risultato, una volta uscivano 20.000 dischi al mese, oggi ne escono 2.000.000 al mese (cifre per fare un esempio ovviamente)! Ma gli artisti che hanno qualcosa da dire ci sono sempre, solo sotterrati da tonnellate di immondizia sonora. E’ matematico.
Questione soprattutto di CULTURA. La musica è un evento, una volta si comperava un disco e lo si ascoltava a casa con gli amici per commentarlo, studiarlo, coglierne i particolari, era un movente di relazione e ritrovo. Una gara a chi ne sapeva di più, conoscendo gli stili, l’evoluzione della musica e dell’autore in considerazione. Si spulciava.
Oggi la musica si scarica, il lavoro di un artista ha valore zero per il 90% degli italiani, un fugace ascolto, magari in macchina, nulla di più, non ci si ritrova, non si apprezza l’artwork, non si capisce nemmeno più il valore qualitativo del suono, la musica compressa (orribile) è tollerata.
Mordi e fuggi, la società corre, non ha tempo di soffermarsi su chi ha qualcosa di diverso da esporre, così anche i media snobbano i“diversi” e questi spesso fanno ROCK. Ciò accade soprattutto qui in Italia,perché all'estero la CULTURA musicale è completamente differente.
Intanto suonano Rock e non lo sappiamo.
Allora, in conclusione, CHI E’ MORTO IL ROCK O IL NOSTRO CERVELLO?
venerdì 21 novembre 2014
Roberto Fedriga
ROBERTO FEDRIGA –
Roberto Fedriga
Autoproduzione /Undersound
Genere: Cantautore –
Jazz
Supporto: cd – 2014
Non nascondo il mio divertimento nel girovagare e scoprire
nuovi talenti musicali, siano loro stranieri che italiani. Ho notato nel tempo
una stabilizzazione a livello qualitativo, ossia difficile imbattersi in brutti
dischi e difficile altrettanto in capolavori. Questo perché la tecnologia aiuta,
le culture grazie ad internet si intersecano e si contaminano. Globalizzazione.
Se poi andiamo a vedere i debutti, allora la curiosità
accresce, in quanto si può evincere come la società moderna approccia alla
musica oggi.
La musica cantautoriale italiana comunque è già da molto tempo aperta alle
contaminazioni Folk Rock angloamericane e molto spesso nel connubio di queste
culture, ne scaturiscono buoni lavori.
Roberto Fedriga è un allievo del bravissimo vocalist Boris
Savoldelli sennonché seguace del
cantautore (mai troppo rimpianto) e
grande voce Tim Buckely e si presenta al pubblico con questo album di debutto
dal titolo “Roberto Fedriga”.
Trenta minuti suddivisi in dieci tracce, contenuti in una
confezione cartonata davvero bella grazie al lavoro di Armando Bolivar,
esaustiva nei contenuti ed elegante. Tengo a sottolineare quando i dischi sono
supportati da un buon artwork, in quanto ritengo questo un valore aggiunto e
rispettoso nei confronti dell’acquirente. La musica deve andare a braccetto con
le immagini, con ciò che l’artista vuole esprimere o per meglio sintetizzare,
accompagnare l’ascolto. Letteratura,
disegni e film si uniscono nei contenuti della musica proposta dal giovane
autore nato a Lovere (BG) nel 1984.
La sua voce è coadiuvata dai strumentisti Guido Bombardieri
(sax e clarinetto), Nicola Mazzucconi (basso), Lorenzo Melchiorre (chitarra),
Andrea Lo Furno (chitarra), Matteo Marchese (percussioni), Luca Finazzi
(batteria) e Francesco Benedetti (piano).
Soffici sonorità a partire da “Trabucco”, una ricerca
strutturale non scontata che fa pensare a sperimentazione ma che in realtà non
lo vuole essere, adiacente alla canzone ed al Jazz. La voce non esagera, è
pulita, non forzata e semplice interprete di testi brevi, coincisi e
descrittivi di situazioni di vita.
“Arababy” è uno dei
pezzi che prediligo, una visione sonora che fa pensare, immaginare, mentre la cadenza della voce mostra una attenzione
particolare per l’esposizione lirica non proprio scontata.
Molto spesso quando il cantautorato si sposa al Jazz ne
fuoriesce una pesante esposizione dedita a qualche tipo di sperimentazione inesorabilmente
adatta ad un pubblico esigente ed attento, In questo caso tutto è orecchiabile,
semplice e in alcuni tratti raffinato. Le canzoni sono brevi, altro punto a
favore del fluire dell’ascolto, alternandosi fra ballate e frangenti più
animati.
Questo è il debutto di Fedriga, senza stare troppo a
trapanare al dentro, perché non serve, perché è il disco stesso che non vuole
essere sezionato. In esso c’è buona musica, probabilmente qualcuno più esigente
avrebbe preteso un azzardo ulteriore da parte dell’autore, tuttavia dipende
cosa si vuole trasmettere e quindi alterare
probabilmente sarebbe nefasto in quanto qui l’equilibrio c’è.
Buon debutto, per passare 30 minuti in santa pace. (MS)Mike 3rd
MIKE III – In The
Wood
Ma.Ra.Cash Records /
Prosdocimi Records
Distribuzione: Self
Genere: Acustic Rock
Supporto: cd – 2014
In Italia il Rock prende una fetta di ascoltatori che
comunque sono in continua crescita, grazie all’uso di nuovi innesti fra generi
senza troppo stravolgere la formula canzone, come spesso invece accade nel Progressive Rock.
Il nome di Mike 3rd sicuramente non vi giungerà nuovo,
perlomeno quello dei suoi progetti EX KGB, i divertenti Tunatones o gli
Hypnoise, analizzati dal sottoscritto anche in questi canali.
Un artista a tutto tondo, vero amante della musica, colui
che sente di fare solo quello che si prova al momento, senza badare ad
etichette o a preconcetti. Mike ha le idee chiare, affonda a piene mani in
svariati generi come il Jazz, il Blues, il Rock , il Folk ed il Progressive
Rock, per un risultato poco
focalizzabile, sicuramente sperimentale.
Il disco è suonato bene, senza interventi elettronici e con
ospiti di riguardo, come ad esempio Paul Mastellotto (King Crimson), Benny Greb
(Stoppok e il trio Ron Spielman), Alberto Stocco, Scott Steen (Royal Crown
Revue) e Roberta Canzian (soprano).
Ascoltando gli undici brani che compongono l’album
sovvengono alla memoria anche nomi forti come ad esempio quello di Tom Waits,
ma quello che funziona è l’abbinamento di situazioni differenti, come la voce
soprano in “Shining Light” con il Folk Rock.
La produzione sonora è ottima e questo quando accade tendo a
sottolinearlo. Suoni caldi come il legno che domina nell’artwork del cd. Esso è
presente addirittura fisicamente nella versione vinilica a 180gr, edizione
limitata numerata a mano dall’artista e confezionata con il legno di ciliegio.
“Back To Life” emana questo calore, un brano sinuoso che ti lascia soddisfatto,
così orecchiabile grazie alle coralità femminili ed alla tromba finale risulta
“15 Days”.
“Time” gode di una malinconia già conosciuta grazie al
lavoro di band come Opeth, ovviamente quelli acustici. “Queen Of The Night” non
si discosta molto. Ancora più intimistica “Just Because”, con un piano che
sgocciola note delicatamente. Jazz per “In The Circle”, bell’intervento di sax
in “It’s All So Quiet” e REM acustici in “Joy”. Molto bella anche la conclusiva
“Blood And I”.
Di generi Mike 3rd nella sua carriera artistica ne ha
toccati tanti, Rock, Rockabilly, Punk, ma per il suo lavoro solista ha cercato
qualcosa di più, dentro se stesso e quello che ne è scaturito è un suono
acustico, caldo, comunque ricercato nelle soluzioni e proprio per questo
interessante per la mente.
(MS)
giovedì 13 novembre 2014
Eyesberg
EYESBERG – Blue
Progressive Promotion
Records
Genere: Progressive
Rock
Supporto: cd – 2014
Gli anni ’70 hanno davvero segnato in maniera forte tutto il
circuito musicale Rock. Le atmosfere, le melodie che si ascoltano nel
Progressive Rock di molte band, soprattutto di origine inglese, incantano
ancora oggi. A seguire, il genere ha sempre mantenuto nell’ossatura questo
spirito compositivo, spesso e volentieri fanno capolino in nuove e differenti
band, anche dei nostri giorni.
Con i tedeschi Eyesberg
e con “Blue” parliamo di debutto ed anche di quel Prog incantevole che
comunque si adegua alla tecnologia ed ai tempi nostri.
Eyesberg è un trio formato da Georg Alfter (chitarra e
basso), Norbert Podien (tastiere, cori e drum programming) e Malcom
Shuttleworth (voce) che si coadiuva della presenza alla batteria di un noto
artista dell’ambito, Ulf Jacobs dei connazionali Argos.
“Blue” non è composto da suite, come spesso il genere consiglia,
ma si concentra sulle melodie senza troppe divagazioni, come si dice, bada al
sodo. Dodici brani ed un artwork cartonato che all’interno contiene il classico
libretto con i testi e le immagini, ben confezionato ed esaustivo al riguardo.
Il cantato è in inglese, lingua annosamente adeguata e musicale per questo
stile sonoro.
La magia della musica scaturisce in tutta la sua
magniloquenza con l’impatto iniziale di “Child Play” e le tastiere sono già in
cattedra, ricordando un New Prog anni ’80 caro a tutti i fans Marillioniani. Il
titolo successivo è caro a molti amanti del genere, soprattutto a quelli dei
King Crimson, “Epitaph” tuttavia non ha a che vedere con l’originale, qui si
apre con un gradevolissimo flauto e comunque ugualmente il mellotron riporta la
mente agli anni ’70. La chitarra nei suoi assolo è sempre ordinata, mai fuori
le righe, anche lei senza strafare e punta tutto al cuore. La voce di Malcolm a
volte richiama Gabriel, altre Collins, comunque ottima interprete e narratrice
di queste storie musicali. Ciò che tengo a sottolineare è la magniloquenza del
suono che è prerogativa del Prog. Più canzone “Closed Until The Resurrection”,
dove le chitarre ben si espongono tracciando voli mentali nell’ascoltatore. Il
lato più romantico della band esce nel flauto e nella delicatezza Genesiana di
“Winter Gone”, mentre sale l’allegria con “Inquisitive”. Personalmente resto
rapito dalla bellezza della mini suite (otto minuti e mezzo) “Feed Yourself”,
dove gli Eyesberg dimostrano a pieno di aver assimilato nel loro dna il suono e
lo stile anni ’70. Quando le tastiere partono imponenti sotto l’assolo
perentorio di chitarra elettrica, il pelo si alza inesorabilmente. A tratti
ricordano gli americani Glass Hammer, quelli più ispirati.
Breve strumentale con “4-2-f” e poi è la volta di “Faces On
My Wall”, canzone che risalta più la personalità del trio, anche se i Genesis
di “Wind & Wuthering” a tratti fanno capolino. Moderna nel suono e negli
effetti “Porcelain”, una sorta di staffetta fra futuro e passato con “If I Told
You The Truth”, mentre “S II” mostra il lato più aggressivo con un orecchiabile
Hard Prog. Il disco si chiude con “Detachment And Replacement”, ed ancora una
volta brividi scorrono sulla pelle.
“Blue” è un disco fatto da chi la musica non solo la suona,
ma la ama. Non è un capolavoro e questo voglio sia chiaro, tuttavia si ascolta
con grande piacere e non mancano gustosi momenti strumentali, quindi voi amanti
di quanto descritto siete avvisati. Potrebbe anche essere una buona occasione
di approccio al genere per i neofiti. Complimenti Eyesberg, buon debutto. (MS)
The Sticky Fingers Ltd
THE STICKY FINGERS
LTD – The Sticky Fingers Ltd
Logic(il)logic
Records / Andromeda Dischi
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2014
L’Hard Rock è un genere immortale, nel tempo non si sposta
di una virgola e resta fedele a se stesso, prerogativa solo delle cose che
funzionano. Non ha in Italia un seguito elevatissimo, non è un fuoco, tuttavia
in esso la brace è sempre accesa.
Non è la prima volta che mi ritrovo a parlare di un debutto
italiano dedito a questo genere adrenalinico, lo faccio comunque sempre con
estremo piacere in quanto l’energia proposta da questa musica ha un qualcosa di
estremamente puro.
In questo caso arriviamo a Vignola di Modena, dove i The
Sticky Fingers Ltd si formano nel 1996 da un idea del chitarrista Lorenzo
Mocali. Con lui suonano Inch alla chitarra, Jaypee al basso e Flash alla
batteria.
“The Sticky Fingers Ltd.” è formato da dieci canzoni, a
partire da “(Do You Feel My) Sticky Fingers”. Con lui si apre un mondo noto,
riferimenti agli anni ’70, quando il Blues Hard Rock regala emozioni notevoli.
Buono il solo di chitarra e via libera
al pezzo successivo in stile Lynyrd Skynyrd dal titolo “Sweet Delight”, canzone
ruffiana e spassosissima, difficile se non impossibile restare immobili
all’ascolto, il piede parte da se. Il discorso è analogo anche per altre
canzoni, fra le quali la bellissima “Jailhouse Tonight”. La band dimostra amalgama, l’esperienza annosa è palese, così
sanno dove andare a parare e come spezzare l’ascolto, il terzo brano ”Rain
Keeps Fallin’” infatti rallenta il ritmo divenendo più cadenzato.
Torna la chitarra Rock sudista con “In The Night”, ancora
più spassosa “You’re Wrong” dove la polvere della strada si alza all’ascolto.
I The Sticky Fingers Ltd. sono duri ma in maniera ponderata,
ogni brano denota la capacità di controllo della tecnica e dell’insieme, il
tutto a favore della buona e semplice melodia, “Serial Killer” è li a
dimostrarlo. Notevole anche la
conclusiva “It Ain’t Over”, chitarre e voci.
Disco perfetto per nostalgici del genere, ma anche per chi
vuole respirare Rock incontaminato e soprattutto è consigliato a chi ascolta band
come Humble Pie, Cream, Faces e Beatles…scusate se è poco. (MS)
Diamante
DIAMANTE – Ad Vitam
Reditus
Atomic Stuff Records
/ Andromeda Dischi
Genere: Hard Rock /
Prog ‘70
Supporto: cd – 2014
Un uccello di fuoco descrive al meglio ciò che sentono i
Diamante e cosa vogliono rappresentare oggi per il mondo Hard Rock. La loro carriera
musicale è annosa, si formano a Brescia nel 1994 mentre la discografia
racchiude tre album, il primo ”Riflesso” del 2000, “Diamante” del 2007 e questo
ritorno dal titolo “Ad Vitam Reditus”. Una terribile disgrazia priva la band
nel 2011 del tastierista Nicola Zanoni, da qui la difficile scelta e la forza
di unirsi ed andare avanti.
Il gruppo ad oggi formato da Nicola Sala (voce, basso),
Claudio “Caio” Alloisio (batteria, cori), Michele “volpe” Spinoni (chitarra e
cori) ed Alan Garda (organo Hammond, tastiere e cori, prosegue imperterrito il
proprio cammino stilistico dedito ad un Hard Rock dal sapore anni ’70, quando gruppi come Deep
Purple ed Uriah Heep si intersecano con il Prog italiano di Biglietto Per
L’Inferno ed Il Rovescio Della Medaglia. Lo stile è dunque impegnativo anche
per chi lo propone, in quanto la tecnica ricopre un ruolo quantomeno
importante, ma ciò che sa rendere emotivamente è davvero forte.
“Ad Vitam Reditus” è composto da nove brani, fra canzoni
edite anche nel precedente album, come nel caso di “Vedi Fratello”, qui
riproposto in veste più Hard per sottolineare al meglio le forti tematiche dei
campi di concentramento, e cover come la ballata portata al successo da Angelo
Branduardi “Ballo In Fa Diesis Minore”.
Andando per ordine, l’album si apre con “Il Pagliaccio”,
comportamento burlone nei confronti della vita. Vigoroso e dalle sonorità bene
orecchiabili, mostra una band che vuole farsi ascoltare con attenzione, in
quanto consapevole dei propri mezzi. Di certo servono anni di gavetta per
riuscire a smussare certi angoli. Uno dei pezzi che ho apprezzato di più è “Io
Sono…E Sarò”, riff tagliente, Hammond, ritmo trascinante, tutti ingredienti che
fanno dell’Hard Rock un genere intramontabile.
Non da meno “Respirare Te”, solo un annotazione per certi
volumi di suono, non sempre equilibrati.
Non esulano frangenti pacati, molto bello l’intro di piano
in “Profumo D’Oriente”, così come sono buoni gli arrangiamenti. Un breve
viaggio nella Mille e una Notte. Con “Non Resisto” trattano di differenza fra
amore e sesso, i Diamante suonano bene e le chitarre si fanno apprezzare per i
gradevoli assolo. La voce di Sala spesso è buona interprete. Ma il brano che
più ho apprezzato, per corposità e struttura è “Gloria”, decisamente più Prog
Rock e riflessivo, qui la band sa fare qualcosa in più, anche a livello lirico.
Il disco si chiude con un divertente saltello medievale dal
titolo “Ballata Del Buon Vino”.
I Diamante sono una realtà italiana che sa divertirsi e
divertire, senza troppi ed inutili orpelli, una formazione sicuramente da
seguire e questo lo dico soprattutto a chi ama l’Hard Rock orecchiabile. (MS)
giovedì 30 ottobre 2014
venerdì 24 ottobre 2014
Vuoto Pneumatico
VUOTO PNEUMATICO –
Vuoto Pneumatico
La Cantina Appena
Sotto La vita
Genere:
Avanguardia/Poesia Rock
Supporto: cd – 2014
…E scopri che è possibile unire la poesia con la
sperimentazione, la teatralità con un trapano, il canto sciamanico con il Rock acustico
ed elettrico. Tutto è possibile nell’arte, perché è l’espressione dello stato
d’animo dell’uomo espresso con un differente linguaggio, c’è poi chi si sente
esploratore e chi no. Nel tempo passato ci sono stati nomi illustri che hanno
lasciato lavori singolari, ad esempio John Cage tanto per citarne uno, ma la
sperimentazione e l’avanguardia non hanno confini e neppure mete. Gianni
Venturi (voce) e Giacomo Marighelli (chitarra) dopo alcune serate live dedite
all’improvvisazione, uniscono le forze per creare in studio “Vuoto Pneumatico”.
Venturi probabilmente lo conoscerete già, poeta e cantante del gruppo Prog Jazz,
Altare Thotemico, mentre Marighelli lavora con lo pseudonimo di Margaret Lee ed
è compositore di musiche per video e spettacoli teatrali. “Vuoto Pneumatico” è
proprio il titolo di uno spettacolo teatrale della compagnia TEATROSCIENZA di
Alex Gezzi, Eugenio Squarcia ed Elena Pavoni. Ebbene ci lasciano un disco per
pensare, per colpire la mente, per emozionare lo spirito che è in noi, tutto questo
soltanto se si ha la capacità di sapere ascoltare.
Tredici pezzi che
sferzano il cervello, la poesia di Venturi non è mai scontata, è ricolma
di parole stridule come riesce a fare un gessetto sulla lavagna, ma anche
accarezzare, coccolare, il tutto sempre con spavalderia ed irruenza. Spesso
è sbattere in faccia la realtà, grida di
chi è stanco di vedere attorno a se cose che sfuggono alla norma del vivere
degnamente. Il Vuoto Pneumatico è vessillo di questo progetto, un viatico per
riflettere, supportato da un suono a volte anche elettronico, grazie all’ausilio
di Federico Viola e Friedrich Canè e di altri amici come il violoncellista
Eugenio Squarcia e Mario Montalbano (percussioni).
Curato ed esaustivo l’artwork con i testi scritti, oltre che
elegante la confezione cartonata.
Immagini che fotografano un significato, su questo Venturi
ne è maestro.
Ma il disco si apre con il testo di Giacomo Marighelli, dal
titolo “Vuoto Pneumatico”, l’unico a suo nome e recitato a sua voce, in cui la
tristezza viene descritta come “La marionetta della gioia che si rompe!”. Si
tratta della donna che è vita in quanto “Fiore Uterino”, mentre il maschio fa
la guerra ed è dolore. “Madre che a tutto davi un nome che la sofferenza tua
hai chiamato: MAI PIU’”. Significati forti e veri sottolineati dalla ricerca
fonetica e dalla perfetta musica di Marighelli.
Bellissimo sunto della società odierna in “Aaaah”, dove
l’autore si sente estraniato, dal cuore freddo, ma che comunque conclude con un
auspicio, “Che possa il deserto che avanza sciogliere il mio cuore di neve…”.
Il suono acustico della chitarra accompagna anche “La Notte”, inno a questa
parte della giornata che sempre ha affascinato l’uomo facendolo meditare, privo
degli isterismi giornalieri. Incongruenze nella bella “Ventose Vie”, fra amore
e vita avversa.
A questo punto un “Intermezzo” sonoro dato dalle chitarre in
stile The Shadows con una punta di Psichedelia, per poi riprendere con “Polline
Di Sogno” dove siamo connessi con il dolore e siamo “tutti muti”.
Dedica sensibile con “A Tutte Le Madri” tra il bagno di Gong
ed il bastone della pioggia di Mario Montalbano, atmosfere surreali fra suoni e
parole. Campana tibetana, cimbali, basi elettroniche voci e chitarra per
“Numeri Primi”, saggio di matematica e spiritualità. I mondi di “Vuoto
Pneumatico” sono elastici, perscrutativi, caldi e freddi. E allora ecco “Buon
Natale”, fra augurio e constatazione, oppure l’inno alla vita di “Perso Nella
Danza”.
Altro bell’esempio di descrizione poetica a riguardo di ciò
che ci circonda, lo possiamo ascoltare in “Buio Asmatico”, un insieme di
tasselli visivi che compongono un puzzle di quotidianità dal quale se ne possono sentire gli odori
tanto sono ben esposti. Ed il disco si conclude con “La Rete”, lode alla vita.
Chi lo ha detto che le poesie non si possono cantare? Se
amate ascoltare, se amate la poesia, la rappresentazione sentita ed il pensare,
non fatevi sfuggire questo esordio per nessun motivo, vi farà sentire vivi. Il
suo nome? Poetry-Rock.(MS)lunedì 13 ottobre 2014
News Prog Ottobre e Novembre 2014
COSA USCIRA' A BREVE IN AMBITO PROG
Novità interessanti oltre i già citati PINK FLOYD fra fine ottobre e primi di novembre. Come non rimarcare gli storici GONG e gli altrettanto colleghi olandesi KAYAK con un doppio album di Opera Rock Sinfonica. Per i Metal Progsters consigliatissimi i polacchi OSADA VIDA, ma anche i "canterburiani" ARGOS sapranno incuriosirci. Altra band storica, quella dei svedesi KAIPA e molto altro ancora, a voi le copertine con i titoli degli album. Buona musica a tutti.
sabato 11 ottobre 2014
Hans Van Even
HANS VAN EVEN – Stardust
Requiem
BP 12
Genere: Virtuoso
chitarra
Supporto: cd – 2014
Chi non ha mai suonato nella propria stanza una chitarra
immaginaria ascoltando gli assolo al fulmicotone di gente come Jimi Hendrix o
Jimi Page, solo per fare due nomi? Ti
senti l’adrenalina uscire da dentro e poi chi è nell’età della gioventù può
anche restarne attratto in maniera fatale, l’amore per la chitarra elettrica
può scoccare ferocemente.
Questo è ciò che è accaduto anche a Hans Van Even,
chitarrista belga nato nel 1969. Negli anni studia musica classica e Jazz,
formando una tecnica davvero invidiabile. L’esperienza si rafforza grazie alle
aperture di concerti ad artisti come Joe Cocker, Christopher Cross e John Miles,
questo negli anni ’90. Successivamente insegna chitarra ed improvvisazione.
Tutto questo bagaglio si evince all’ascolto dei diciannove brani del primo
album solista dal titolo “Stardust Requiem”, un disco che sarebbe anche potuto
uscire in versione doppio cd, in quanto la durata è di ben 77 minuti.
Con Hans suonano Christine Lanusse al basso, Xavier Richard
alla batteria ed Oliver Sousbie alle tastiere. Ma quello che colpisce di più è
la lunga lista di special guest che contornano il progetto, a partire dal
virtuoso chitarrista Tony McAlpine, suo l’apporto nella title track “Stardust
Requiem”.
L’artwork è semplice, elegante e comunque esaustivo,
dettagliato nella descrizione dei componenti che si esibiscono nelle singole
canzoni, mentre la produzione sonora rientra nei canoni dei prodotti del genere.
Apre le danze “Angeli Ex Galaxia”, un intro dall’impronta
marcatamente Pinkfloydiana e comunque spaziale, un crescendo che porta a
“Stardust Requiem”. Qui l’impatto sonoro è come un muro elettrico, riff
granitico e scale di note come se piovessero. Tutto questo sarebbe inutile ai
fini emotivi dell’ascolto se non fosse supportato comunque da melodie
orecchiabili, questo succede nella successiva “Tribute”. Qui Hans duetta con
Brett Garsed, noto chitarrista australiano di genere Jazz Fusion. Le dita
sembrano volare.
Un accenno di Reggae in “N-Land”, pezzo decisamente più
intimo e riflessivo, dove il calore del basso avvolge l’ascolto per poi tornare
a ritmi più alti con “Mystic Tale” ed il violino di Bubu Boirie. Orchestrazioni
per l’interludio “Flight Of The Belgian Bumble Bee” ed il “Volo Del Calabrone”
fa capolino, tanto per mettere in evidenza le capacità tecniche se ancora ce ne
fosse stato il bisogno.
C’è spazio anche per un brano abbastanza elettronico, con batteria
programmata dal titolo “The Fifth Gate”. Per tornare ad atmosfere più ampie e
solari bisogna giungere alla bellissima “Walking In The Air”, qui gli occhi si
chiudono e l’anima di Hans Van Even fuoriesce come una farfalla dal bozzolo. Il
lato più tecnico e sperimentale lo si ascolta in “Tapping Into Eternity”,
saggio di questo stile (il tapping) oramai in voga fra molti chitarristi
odierni. “Glassy Sky” farà invece piacere agli estimatori di gruppi come i
canadesi Uzeb, ma il pezzo che straborda di special guest alla chitarra si
intitola “Hans’ Blues”, qui come in una enorme jam session si susseguono ben
nove artisti!
Dopo una overdose di assolo, giustamente serve spezzare. Suoni
etnici e rilassati giungono all’uopo, e qui si capisce anche l’intelligenza
musicale di Hans Van Even, capire di spezzare l’ascolto alternando brani
vigorosi con altri riflessivi serve all’elasticità
ed alla fluidità, e non è cosa da tutti. L’album prosegue con frangenti
acustici e settantasette minuti sembrano essere volati via. Se ciò è accaduto,
qualcosa sta a significare. “Stardust Requiem” è un disco consigliato sia ai
fans delle scale impossibili che agli amanti della pelle d’oca e Hans Van Even
è una bella sorpresa, almeno per il sottoscritto. (MS)
venerdì 26 settembre 2014
Società oggi e gli "Zerbini"
INCOMMUNICADO
Parliamo e non ascoltiamo, questo è ciò che sta portando a
male il nostro paese. Incapaci di distinguere la realtà dalla bugia, perché
amiamo solo non essere contraddetti. Il tutto dove? Nell’era della
comunicazione e dei social. E’ come morire di fame in un centro commerciale.
Perché questo fenomeno?
Giustifichiamo tutto per partito preso, anche se è
palesemente sbagliato, cambiare idea sembra cosa per deboli…oppure i deboli
siamo noi che abbiamo paura di lasciare il nostro pensiero alle spalle?
Cambiare pensiero fa parte dell’evoluzione umana, serve per migliorare e
migliorarsi, sempre è stato così, tuttavia noi oggi sembriamo subire un momento
di pericolosa stasi mentale. Lobotomia.
Abbiamo tutti da lamentarci, ma sono pochi quelli che
propongono soluzioni e quei pochi vengono ignorati, proprio per paura che
invece le cose cambino. Controsenso? No, l’uomo in quanto animale socievole ha
bisogno di stare in branco e si sente protetto se ha un leader, da lui dipende,
l’importante è aver mangiato un pezzo di pane alla fine della giornata. E il
nostro famoso “pensiero” personale dove è andato a finire? E’ sempre li, ma tenuto
a bada dalla necessità di ”dipendere”, sai…quella situazione che ti rende
tranquillo.
Can che abbaia non morde, e lo fa per il padrone.
A questo punto la domanda è: “ma chi è il padrone?”, ce ne
sono in ogni dove, non sono tanti, ma sono coloro che hanno invece la forza di
pensare e di agire, di ascoltare e capire, perché con il sapere hanno il popolo
in mano. A volte sanno farsi strada con mezzi più o meno leciti, fare di
necessità virtù, ma più la fanno grossa e più vengono rispettati.
Esistono anche “Padroni” bravi, ma vengono rispettati di
meno. Attenzione però, Padrone non è solo quello chi ti da il lavoro, ma è
soprattutto colui che ti gestisce nella società, quello che ti governa.
Siamo zerbini, e siccome la nostra lingua europea è
l’inglese, almeno sulla schiena scriviamoci “Welcome” anzi che “benvenuti”, poi
restiamo tranquillamente sdraiati avanti alla nostra cuccia, sperando che il
padrone anche domani si pulisca su di noi e ci dia un poco di pappa. Eppure
dentro ringhiamo….
La pappa è quasi finita, ma ancora non si cambia idea, che
situazione… ho solo due opzioni, diventare SCHIAVO o cambiare idea. Sia mai!
Meglio schiavo! Qui si sfà l’Italia o si muore, l’importante è che ho ragione. (Max)