PAOLO RIGOTTO - Corpi Celesti
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Pop Elettronico
Support: CD - 2010
Paolo Rigotto è un nome che ultimamente gira spesso nel circuito Rock italiano. Lo abbiamo incontrato recentemente nel nuovo disco dei Progsters Syndone e pure nella Band Elastica Pellizza. “Corpi Celesti” è il primo disco da solista, in cui è impegnato oltre che alla batteria, suo strumento principale, anche alle tastiere ed alle programmazioni elettroniche. Un progetto che prende spunto più che da basi Prog o Rock, dall’elettronica e soprattutto dal demenziale d’autore in stile Elio E Le Storie Tese o Skiantos. L’autore riesce a portare in arte visiva il proprio suono grazie alle sculture che si aggirano nell’artwork, realizzate da Tiziana Adorni. In realtà non è semplice essere sarcastici ed intuitivi allo stesso momento quando si vanno a trattare argomentazioni quali la droga, la tecnologia, il consumismo oppure il potere, l’uomo ed il suo arrivismo, bisogna saperlo fare con acume ed intelligenza.
Il Rock demenziale riesce a far sorridere a denti stretti, perché come non mai la realtà riesce a superare la fantasia. Il potere della musica è anche questo. Quindi Rigotto inizia il discorso con “Cronofilia (Canzone Per Berta)”, idee concepite di getto e suggellate nel suono freddo e ripetitivo dell’elettronica. Il tempo è il soggetto del testo, spietato e veloce come la durata stessa del brano, il quale sfocia nella successiva “Integrazione”. Rispetto per chi costruisce il proprio futuro, ode a chi si adopera nella vita, questo è il sunto del discorso racchiuso in una simpatica ritmica ossessiva ed orecchiabile. “Male Che Vada” è più canzone nell’insieme, con tanto di ritornello e refrain, ancora una volta ritmata e giocosa. Brano molto radiofonico e tormentoso. Doveva accadere prima o poi, “Madama Dorè” tratta l’argomento prostituzione facile, denota amaramente che lo studio passa in secondo piano se ci si prostituisce con le persone giuste (ogni riferimento a casi politici non è casuale). Certamente questo atteggiamento è squallido, tuttavia la società di oggi ci propone anche di queste amenità. Ironia e sarcasmo naturalmente, un argomento forte ed attuale trattato sopra ad un Reagge che sa di presa in giro. “Il Capo invece… È il capo…. Inutile tergiversare sulla cosa, ognuno ha il proprio e la nostra opinione non c’è più! Qui si odono richiami a Freak Antoni. Per avere una parvenza di Rock bisogna giungere a “Canzoni D’Amori”.
Attenzione all’ascolto di “Scheda Madre”, geniale l’apertura del brano ed il proseguo, ma a pensarci bene non voglio rovinarvi la sorpresa, non mi sembra giusto, per cui taccio….ma che forza!!!!! Qui l’artista mi convince a pieno. La ballata non manca e si chiama “Due Di Notte”, delicata sonoramente e diretta nei testi. Essa mi fa venire alla mente qualche passaggio del cantautore Mario Castelnuovo, davvero bella nella sua coincisività. Si va di Ska con “Musica Con La Cappa” per poi chiudere con “La Fine Del Mondo”, folcloristica e popolare, anche se sempre Pop elettronica, degna chiusura di un disco sarcastico e godibilissimo.
“Corpi Celesti” è da ascoltare magari con degli amici per divertirsi assieme ed il pregio sta nel fatto che qui… c’è soprattutto da pensare. MS
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martedì 30 aprile 2013
lunedì 29 aprile 2013
Ring Of Fire
RING OF FIRE - Lapse of Reality
Frontiers
Genere: A.O.R
Supporto: cd- 2004
......e Mark Boals sta crescendo, disco dopo disco.
Con questo “Lapse Of Reality” abbiamo raggiunto un livello decisamente discreto rispetto al debuttante “Ring Of Fire”. L’ abbandono del funambolico tastierista Vitali Kuprji sembra in qualche modo aver liberato Mark da certi stilemi. La sua libertà è rispecchiata nella freschezza dei brani, sempre molto melodici ma sempre d’effetto.
L’ex ugola di Malmsteen è protagonista di brani di classe che faranno sicuramente la gioia di chi ama sonorità Metal classiche ora care ai grandi maestri come Deep Purple, ora epiche alla Symphony X. Con il ridimensionamento delle tastiere, comunque sempre presenti, le chitarre del grande Tony Mac Alpine ( per chi non lo conoscesse altro famoso axe-man al livello di Y.J. Malmsteen ) prendono il sopravvento. Potenza e melodia dunque, bella voce ed ottima produzione, cosa volere di più da un disco di sano Heavy Metal?
Ovviamente i margini di miglioramento ci sono, anzi, ci devono essere, altrimenti sarebbe la fine del gruppo, per ora ci troviamo in mano un disco più che discreto. Esso si apre con il brano che da il titolo al lavoro, “Lapse Of Reality”, Heavy dalla facile presa che fa presagire un buon proseguimento d’ascolto. Infatti così è, la successiva “Saint Fire” è veramente gradevole, classico motivo atto a mettere in evidenza le doti vocali del nostro Mark, sennonché derivante dalla scuola Malmsteen- Alcatrazz.
Le tastiere di Steve Weingart accompagnano bene ogni refrain, mai troppo invasive ed onnipresenti, come nella successiva “Change” , classica canzone Heavy Metal che potrebbe essere presa come perfetto esempio del genere. Mac Alpine si diverte a scaricare, di tanto in tanto, scale di note proibitive a molti chitarristi. Si prosegue con “That Kind Of Man” , nulla di particolarmente innovativo ma con parvenze alla Queensryche che nell’insieme non guastano. A questo punto dell’ ascolto , non può mancare la ballad, la classica ballad semplice, diretta al cuore, immediata, senza pietà. Essa mette in piena evidenza la tranquilla vena artistica attuale di Mark Boals.
Massiccia ed epica “Perfect World”, sicuramente uno dei momenti più alti dell’intero disco, anche la voce si esprime ai suoi più alti livelli. Il suono si indurisce e si rivolge ai Symphony X con le successive “The Key” e “Don’t Know What You’re Talking About”, ma forse a lungo andare potrebbero anche stancare. Nel proseguo si incontrano altri istanti artistici validi, come “One Little Mistery” e “Faithfully” ed a completamento del lavoro ecco concludere la bonus track “Lapse Of reality” in versione maggiorata.
La Frontiers sta investendo in gruppi validi in questo periodo, sembra che il tempo stia dando loro ragione, gli ingredienti per fare bene ci sono tutti. Una nota d’encomio anche alla sezione ritmica, precisa e senza sbavature, formata dal duo Philip Bynoe (basso) e dal grande Virgil Donati.
Questi Ring Of Fire hanno dimostrato come nella propria carriera musicale ci si possa migliorare e noi non possiamo fare altro che prenderne atto, sperando di ascoltare in un futuro prossimo ancora altri ‘anelli di fuoco’! Disco non indispensabile ma onesto e professionale, dategli un ascolto e chissà possa nascere qualcosa….. SM
Frontiers
Genere: A.O.R
Supporto: cd- 2004
......e Mark Boals sta crescendo, disco dopo disco.
Con questo “Lapse Of Reality” abbiamo raggiunto un livello decisamente discreto rispetto al debuttante “Ring Of Fire”. L’ abbandono del funambolico tastierista Vitali Kuprji sembra in qualche modo aver liberato Mark da certi stilemi. La sua libertà è rispecchiata nella freschezza dei brani, sempre molto melodici ma sempre d’effetto.
L’ex ugola di Malmsteen è protagonista di brani di classe che faranno sicuramente la gioia di chi ama sonorità Metal classiche ora care ai grandi maestri come Deep Purple, ora epiche alla Symphony X. Con il ridimensionamento delle tastiere, comunque sempre presenti, le chitarre del grande Tony Mac Alpine ( per chi non lo conoscesse altro famoso axe-man al livello di Y.J. Malmsteen ) prendono il sopravvento. Potenza e melodia dunque, bella voce ed ottima produzione, cosa volere di più da un disco di sano Heavy Metal?
Ovviamente i margini di miglioramento ci sono, anzi, ci devono essere, altrimenti sarebbe la fine del gruppo, per ora ci troviamo in mano un disco più che discreto. Esso si apre con il brano che da il titolo al lavoro, “Lapse Of Reality”, Heavy dalla facile presa che fa presagire un buon proseguimento d’ascolto. Infatti così è, la successiva “Saint Fire” è veramente gradevole, classico motivo atto a mettere in evidenza le doti vocali del nostro Mark, sennonché derivante dalla scuola Malmsteen- Alcatrazz.
Le tastiere di Steve Weingart accompagnano bene ogni refrain, mai troppo invasive ed onnipresenti, come nella successiva “Change” , classica canzone Heavy Metal che potrebbe essere presa come perfetto esempio del genere. Mac Alpine si diverte a scaricare, di tanto in tanto, scale di note proibitive a molti chitarristi. Si prosegue con “That Kind Of Man” , nulla di particolarmente innovativo ma con parvenze alla Queensryche che nell’insieme non guastano. A questo punto dell’ ascolto , non può mancare la ballad, la classica ballad semplice, diretta al cuore, immediata, senza pietà. Essa mette in piena evidenza la tranquilla vena artistica attuale di Mark Boals.
Massiccia ed epica “Perfect World”, sicuramente uno dei momenti più alti dell’intero disco, anche la voce si esprime ai suoi più alti livelli. Il suono si indurisce e si rivolge ai Symphony X con le successive “The Key” e “Don’t Know What You’re Talking About”, ma forse a lungo andare potrebbero anche stancare. Nel proseguo si incontrano altri istanti artistici validi, come “One Little Mistery” e “Faithfully” ed a completamento del lavoro ecco concludere la bonus track “Lapse Of reality” in versione maggiorata.
La Frontiers sta investendo in gruppi validi in questo periodo, sembra che il tempo stia dando loro ragione, gli ingredienti per fare bene ci sono tutti. Una nota d’encomio anche alla sezione ritmica, precisa e senza sbavature, formata dal duo Philip Bynoe (basso) e dal grande Virgil Donati.
Questi Ring Of Fire hanno dimostrato come nella propria carriera musicale ci si possa migliorare e noi non possiamo fare altro che prenderne atto, sperando di ascoltare in un futuro prossimo ancora altri ‘anelli di fuoco’! Disco non indispensabile ma onesto e professionale, dategli un ascolto e chissà possa nascere qualcosa….. SM
Steve Hackett
STEVE HACKETT - Out of the Tunnel's Mouth
Insideout
Distribuzione italiana: Spin Go!
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Oramai Anche i sassi sanno che Steve Hackett è stato il chitarrista dei Genesis. Lui è quello seduto sullo sgabello, rannicchiato sul proprio strumento, quasi dovesse ragionare su ogni nota da eseguire. Erano gli anni ’70, quelli del Progressive Sinfonico travolgente. Abbandonata la band di P. Collins, il chitarrista inglese intraprende una carriera solista fatta di alti e bassi.
Tuttavia in sede live, continua a riproporre perle dei Genesis, quasi a rimarcare l’importanza del suo sound all’interno della band storica. Così è in effetti, la personalità del suono di chitarra è perfettamente riconducibile al suo nome , bastano poche note per riconoscerne il tocco. Guarda caso anche in questo nuovo lavoro, nell’edizione limitata, ci sono brani come “Blood On The Rooftops”, “Firth Of Fifth” ed altri ancora che fanno parte della storia Genesis.
Una cosa è certa, Steve è un chitarrista estremamente versatile e nel Rock proposto vira fra sinfonia ed elettricità, passando in canali strumentali dal sapore vagamente psichedelico. Una nenia dal titolo “Fire On The Moon” apre il disco, toccante e dal profumo anni ’70, coinvolgente nell’incedere del crescendo. Lo attendo con ansia negli arpeggi classici, proprio come nella mitica “Horizons” e per questo non devo attendere molto, ci pensa “Nomads” ad esaudirmi. Strumenti classici in “Emerald And Ash”, canzone sognatrice e leggera come una piuma. L’Hackett più aggressivo lo si coglie in “Tubehead”, qui si che la chitarra diventa protagonista. Inconfondibile il sound di “Sleepers”, struggente negli archi e nel songwriting.
Circondato da grandi artisti come Anthony Phillips (chitarra 12 corde), Chris Squire (basso) e molti altri, Hackett ci dona queste otto canzoni senza strafare, come è il suo stile, sempre ponderato, come se avesse paura di disturbare. Personalmente promuovo questo ritorno, anche se gia so che non verrà ricordato negli annali, Steve è così, prendere o lasciare. MS
Insideout
Distribuzione italiana: Spin Go!
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Oramai Anche i sassi sanno che Steve Hackett è stato il chitarrista dei Genesis. Lui è quello seduto sullo sgabello, rannicchiato sul proprio strumento, quasi dovesse ragionare su ogni nota da eseguire. Erano gli anni ’70, quelli del Progressive Sinfonico travolgente. Abbandonata la band di P. Collins, il chitarrista inglese intraprende una carriera solista fatta di alti e bassi.
Tuttavia in sede live, continua a riproporre perle dei Genesis, quasi a rimarcare l’importanza del suo sound all’interno della band storica. Così è in effetti, la personalità del suono di chitarra è perfettamente riconducibile al suo nome , bastano poche note per riconoscerne il tocco. Guarda caso anche in questo nuovo lavoro, nell’edizione limitata, ci sono brani come “Blood On The Rooftops”, “Firth Of Fifth” ed altri ancora che fanno parte della storia Genesis.
Una cosa è certa, Steve è un chitarrista estremamente versatile e nel Rock proposto vira fra sinfonia ed elettricità, passando in canali strumentali dal sapore vagamente psichedelico. Una nenia dal titolo “Fire On The Moon” apre il disco, toccante e dal profumo anni ’70, coinvolgente nell’incedere del crescendo. Lo attendo con ansia negli arpeggi classici, proprio come nella mitica “Horizons” e per questo non devo attendere molto, ci pensa “Nomads” ad esaudirmi. Strumenti classici in “Emerald And Ash”, canzone sognatrice e leggera come una piuma. L’Hackett più aggressivo lo si coglie in “Tubehead”, qui si che la chitarra diventa protagonista. Inconfondibile il sound di “Sleepers”, struggente negli archi e nel songwriting.
Circondato da grandi artisti come Anthony Phillips (chitarra 12 corde), Chris Squire (basso) e molti altri, Hackett ci dona queste otto canzoni senza strafare, come è il suo stile, sempre ponderato, come se avesse paura di disturbare. Personalmente promuovo questo ritorno, anche se gia so che non verrà ricordato negli annali, Steve è così, prendere o lasciare. MS
sabato 27 aprile 2013
Nobody's Fool
NOBODY'S FOOL - Nobody's Fool
Jetspeed Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Hard Rock
Support: CD - 2006
Mi giunge dalla lontana Australia, più precisamente da Sydney, un debutto discografico di una Hard Rock Band dalle buone potenzialità. Il quartetto in esame ha il nome di Nobody’s Fool e di certo parte con grandi aspettative, visti gli impegni live intrapresi, a partire da Malbourne per poi giungere a Los Angeles.
Sin dalla prima traccia dal titolo “Hold On” ci sono idee ben chiare, i ragazzi non hanno certo le intenzioni di snaturare lo spirito del Rock, tantomeno la pretesa di aprire nuove strade, ma di certo hanno voglia di prendere un passaggio nel treno dell’adrenalina e di divertirsi.
Il risultato è più che dignitoso, con tanto di riferimenti a band come Motley Crue o i Gun’s & Roses. Un Rock sensuale, dalle sonorità primi anni ’90, grezzo e sudaticcio, con la voce di Milsoz a dettare i tempi e gli umori. Buona la ritmica di Steve alla batteria e di Willy al basso, mentre Marcus in “Let It Ride” ci propina un assolo di chitarra davvero divertente.
L’America è nella mente dei Nobody’s Fool, l’Hard Rock di “Here To Rock” è alquanto esplicito. La ricerca del ritornello accalappiatore è evidente ed il risultato è nelle nostre orecchie. Non mancano neppure le ballate che in questo caso hanno il titolo di “Forever” ed “All I Have”.
Questo genere di musica è semplice da assimilare, da compagnia per un percorso stradale affrontato ad alto volume, con tanto di tettino decappottabile in “on” per lunghe e polverose strade d’America e non. Contagiosa la cadenza di “Tie Me Up”, difficile restare fermi all’ascolto. E non deve nemmeno mancare una bella donna di compagnia, magari proprio come quella che gli Australiani ci presentano nel retro del cd…retro, appunto. Tutto questo fa Rock ed i Nobody’s Fool lo sanno, non stupiscono dunque, ma fanno le fusa come un gatto che sa ciò che vuole. Allora perché non lasciarsi sfregare, sappiamo bene che carezzare un gatto è antistress, pertanto ben vengano dischi come questo e se di tanto in tanto fanno capolino Saxon, Motley Crue o chi per loro, tanto meglio.
Buon debutto, ora non resta che lavorare sulla personalità che, sono certo, con il tempo non tarderà ad arrivare. Ed ora chi mi toglie dalla testa il ritornello di “Send Me An Angel”?
Rock On, Australia! MS
Jetspeed Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Hard Rock
Support: CD - 2006
Mi giunge dalla lontana Australia, più precisamente da Sydney, un debutto discografico di una Hard Rock Band dalle buone potenzialità. Il quartetto in esame ha il nome di Nobody’s Fool e di certo parte con grandi aspettative, visti gli impegni live intrapresi, a partire da Malbourne per poi giungere a Los Angeles.
Sin dalla prima traccia dal titolo “Hold On” ci sono idee ben chiare, i ragazzi non hanno certo le intenzioni di snaturare lo spirito del Rock, tantomeno la pretesa di aprire nuove strade, ma di certo hanno voglia di prendere un passaggio nel treno dell’adrenalina e di divertirsi.
Il risultato è più che dignitoso, con tanto di riferimenti a band come Motley Crue o i Gun’s & Roses. Un Rock sensuale, dalle sonorità primi anni ’90, grezzo e sudaticcio, con la voce di Milsoz a dettare i tempi e gli umori. Buona la ritmica di Steve alla batteria e di Willy al basso, mentre Marcus in “Let It Ride” ci propina un assolo di chitarra davvero divertente.
L’America è nella mente dei Nobody’s Fool, l’Hard Rock di “Here To Rock” è alquanto esplicito. La ricerca del ritornello accalappiatore è evidente ed il risultato è nelle nostre orecchie. Non mancano neppure le ballate che in questo caso hanno il titolo di “Forever” ed “All I Have”.
Questo genere di musica è semplice da assimilare, da compagnia per un percorso stradale affrontato ad alto volume, con tanto di tettino decappottabile in “on” per lunghe e polverose strade d’America e non. Contagiosa la cadenza di “Tie Me Up”, difficile restare fermi all’ascolto. E non deve nemmeno mancare una bella donna di compagnia, magari proprio come quella che gli Australiani ci presentano nel retro del cd…retro, appunto. Tutto questo fa Rock ed i Nobody’s Fool lo sanno, non stupiscono dunque, ma fanno le fusa come un gatto che sa ciò che vuole. Allora perché non lasciarsi sfregare, sappiamo bene che carezzare un gatto è antistress, pertanto ben vengano dischi come questo e se di tanto in tanto fanno capolino Saxon, Motley Crue o chi per loro, tanto meglio.
Buon debutto, ora non resta che lavorare sulla personalità che, sono certo, con il tempo non tarderà ad arrivare. Ed ora chi mi toglie dalla testa il ritornello di “Send Me An Angel”?
Rock On, Australia! MS
giovedì 25 aprile 2013
Anubi Spire
ANUBIS SPIRE
Old Lions (In the World of Snarling Sheep)
Orchard
Genere: Hard Prog
Supporto: cd - 1998
Il quartetto americano Anubis Spire trae ispirazione per il nome dalle piramidi d’Egitto. Il proprio sound vuole trasmettere l’emozione della magnificenza, la maestosità ed il mistero che emanano queste antiche strutture. Formatisi casualmente nel 1998 durante una jam session, questi strumentisti non sono per niente nuovi al mondo musicale, essi infatti suonano sin dagli anni ’70. La musica da loro proposta è un misto fra Progressive, World-Fusion, Led Zeppelin, Zappa e Jimmi Hendrix.
Spaventosa la loro tecnica chitarristica, certe fughe fanno inevitabilmente ricordare J.Y. Malmsteen, quello meno barocco. Il disco è ricco di idee e di buone canzoni, ma dannatamente castrato da una grande pecca: è registrato di getto con l’antico otto piste! Altri brani, come ad esempio “Eternal Resonance” invece sono registrati dal vivo. Il suono è decisamente scadente e questo va assolutamente rimarcato visto il costo attuale dei cd.
Solamente quattro sono i brani cantati, ma facciamo un'analisi del disco:
“So Be It” apre le ostilità con il suo incedere Hard & Egipt con chitarra in evidenza, gioia per chi ama certi assoli veloci e massicci. Sin da queste prime note si capisce che si ha a che fare con musicisti di enorme caratura. “It Has Been A Long Time,Hasn’t It…” ha un ritmo più blando del precedente, ma un riff di buona presa. Ancora la chitarra in evidenza priva però delle cascate di note della precedente. Uno dei momenti più riusciti dell’intero lavoro.
La breve strumentale “Into The Four Winds” introduce “Under Nealh The Roswell Sun” canzone commerciale, dotata di ritornello facile, facile e gradevole, ma ancora una volta non posso fare a meno di ricordare l’incredibile strazio sonoro dato dalla produzione, veramente in questo pezzo al limite della sopportazione.
Che disco potrebbe essere stato questo con le dovute attenzioni….
Ritorna l’incedere Hard Rock e suoni più Heavy con “More Weight” , figlia di “So Be It”, veramente ottima. Un arpeggio di chitarra elettrica è l’inizio di “Gone West” , brano interamente chitarristico con scalate Blues, vi ricordate i primi lavori degli argentati Rockets? Rilassante e fatto con il cuore.
Ecco ora il secondo brano con voce, ”Ransom” ancora una volta semplice ed orecchiabile, sono i Pink Floyd per il cantato e gli Ayreon per la musica a venir citati. Neanche a dirlo la chitarra elettrica è una spanna sopra tutti.
Nuovo saggio della stessa nella breve live “Eternal Resonance”, per poi ritornare in territori Metal con “Road To Damascus”. Difficile restare impassibili di fronte a questo incedere di suoni stile anni ‘70/’80, tutta l’esperienza degli Anubis Spire fuoriesce con prepotenza, ma di nuovo ridicola la produzione, il pezzo viene sfumato vergognosamente, quasi di netto.
“The Prisoner’s Song” è nuovamente Pinkfloydiana, ariosa, deturpata da una batteria veramente da nervi, ma che chitarra!
Bellissima “Amids Rising” ,da brividi, ogni cultore dei gruppi da me sopra citati non deve assolutamente mancare l’ascolto di questa canzone paradisiaca. La natura ci appare all’ascolto fissando lo sguardo nel vuoto, come in una affascinante magia.
Di nuovo breve brano dal titolo “May This Be Forever” per giungere ad “Anubis Rising”, ancora suoni Hard e fughe strumentali. Questo, sembra di aver capito, è il loro stile.
Con “Talisman Of The Dreamer” si torna a volteggiare in ambienti più rilassati ma sempre pregni di grande feeling.
Conclude la lunga “Old Lions (In The World Of Snarling Sheep)”. Sembra scritta a quattro mani con i giovani tedesci RPWL di “Trying To Kiss The Sun”.
Spero che al più presto qualcuno si accorga dei potenziali di questo gruppo per poterne godere a pieno merito tutto il succo. Togliendo il disco dallo stereo, anche se sono da solo, mi ritrovo a dire ad alta voce: "Quanto è ingiusto il mondo, è proprio vero che chi ha il pane non ha i denti". (MS)
Old Lions (In the World of Snarling Sheep)
Orchard
Genere: Hard Prog
Supporto: cd - 1998
Il quartetto americano Anubis Spire trae ispirazione per il nome dalle piramidi d’Egitto. Il proprio sound vuole trasmettere l’emozione della magnificenza, la maestosità ed il mistero che emanano queste antiche strutture. Formatisi casualmente nel 1998 durante una jam session, questi strumentisti non sono per niente nuovi al mondo musicale, essi infatti suonano sin dagli anni ’70. La musica da loro proposta è un misto fra Progressive, World-Fusion, Led Zeppelin, Zappa e Jimmi Hendrix.
Spaventosa la loro tecnica chitarristica, certe fughe fanno inevitabilmente ricordare J.Y. Malmsteen, quello meno barocco. Il disco è ricco di idee e di buone canzoni, ma dannatamente castrato da una grande pecca: è registrato di getto con l’antico otto piste! Altri brani, come ad esempio “Eternal Resonance” invece sono registrati dal vivo. Il suono è decisamente scadente e questo va assolutamente rimarcato visto il costo attuale dei cd.
Solamente quattro sono i brani cantati, ma facciamo un'analisi del disco:
“So Be It” apre le ostilità con il suo incedere Hard & Egipt con chitarra in evidenza, gioia per chi ama certi assoli veloci e massicci. Sin da queste prime note si capisce che si ha a che fare con musicisti di enorme caratura. “It Has Been A Long Time,Hasn’t It…” ha un ritmo più blando del precedente, ma un riff di buona presa. Ancora la chitarra in evidenza priva però delle cascate di note della precedente. Uno dei momenti più riusciti dell’intero lavoro.
La breve strumentale “Into The Four Winds” introduce “Under Nealh The Roswell Sun” canzone commerciale, dotata di ritornello facile, facile e gradevole, ma ancora una volta non posso fare a meno di ricordare l’incredibile strazio sonoro dato dalla produzione, veramente in questo pezzo al limite della sopportazione.
Che disco potrebbe essere stato questo con le dovute attenzioni….
Ritorna l’incedere Hard Rock e suoni più Heavy con “More Weight” , figlia di “So Be It”, veramente ottima. Un arpeggio di chitarra elettrica è l’inizio di “Gone West” , brano interamente chitarristico con scalate Blues, vi ricordate i primi lavori degli argentati Rockets? Rilassante e fatto con il cuore.
Ecco ora il secondo brano con voce, ”Ransom” ancora una volta semplice ed orecchiabile, sono i Pink Floyd per il cantato e gli Ayreon per la musica a venir citati. Neanche a dirlo la chitarra elettrica è una spanna sopra tutti.
Nuovo saggio della stessa nella breve live “Eternal Resonance”, per poi ritornare in territori Metal con “Road To Damascus”. Difficile restare impassibili di fronte a questo incedere di suoni stile anni ‘70/’80, tutta l’esperienza degli Anubis Spire fuoriesce con prepotenza, ma di nuovo ridicola la produzione, il pezzo viene sfumato vergognosamente, quasi di netto.
“The Prisoner’s Song” è nuovamente Pinkfloydiana, ariosa, deturpata da una batteria veramente da nervi, ma che chitarra!
Bellissima “Amids Rising” ,da brividi, ogni cultore dei gruppi da me sopra citati non deve assolutamente mancare l’ascolto di questa canzone paradisiaca. La natura ci appare all’ascolto fissando lo sguardo nel vuoto, come in una affascinante magia.
Di nuovo breve brano dal titolo “May This Be Forever” per giungere ad “Anubis Rising”, ancora suoni Hard e fughe strumentali. Questo, sembra di aver capito, è il loro stile.
Con “Talisman Of The Dreamer” si torna a volteggiare in ambienti più rilassati ma sempre pregni di grande feeling.
Conclude la lunga “Old Lions (In The World Of Snarling Sheep)”. Sembra scritta a quattro mani con i giovani tedesci RPWL di “Trying To Kiss The Sun”.
Spero che al più presto qualcuno si accorga dei potenziali di questo gruppo per poterne godere a pieno merito tutto il succo. Togliendo il disco dallo stereo, anche se sono da solo, mi ritrovo a dire ad alta voce: "Quanto è ingiusto il mondo, è proprio vero che chi ha il pane non ha i denti". (MS)
mercoledì 24 aprile 2013
For Absent Friend
FOR ABSENT FRIEND - Square 1
Musea
Distribuzione italiana: Frontiers
Genere: New Prog
Support: CD - 2006
La meticolosa Musea Records questa volta va a parare in Olanda. Dopo gli ottimi Cliffhanger, questa volta sono i For Absent Friends a far sentire la propria voce. Il quintetto del cantante Hans Van Lint si forma nel lontano 1988 e da come lascia ben intuire il logo, tratto dal titolo di un brano dello storico “Nursery Crime”, sono estimatori dei Genesis e dintorni.
Il Rock progressivo propostoci è melodico, non eccessivamente impegnato, imperniato su tessuti morbidi, ben coadiuvati da repentini assolo di chitarra da parte di Edwin Roes. Davvero un buon biglietto da visita l’opener “Hello World”, il gioco strumentale è davvero essenziale e ben eseguito. Piccoli interventi elettronici giocano con la chitarra, tutto si muove con cautela e le tastiere di Ron Moser sanno ben infarcire il tutto.
“Stick Around”, assieme ai suoi francesismi vocali, è una canzone senza troppe pretese, ma il sax è davvero una bella sorpresa. “Call It Chance” ha la stoffa Marillioniana, sia nell’impostazione vocale che nell’accompagnamento delle tastiere e della chitarra. E’ un lento gradevole, sicuramente uno dei momenti più interessanti di “Square 1”. Ed è proprio la volta della title-track, i For Absent Friends si caratterizzano per l’elevato approccio emotivo, dedito ad un Progressive Rock davvero essenziale e melodico. “Wonder” è l’unico momento di sperimentazione (se così vogliamo chiamarla), un mix fra Lands End e Marillion, già sentito e comunque di facile assimilazione. La ritmica sostenuta da Ed Wernke alla batteria e da Rene Bacchus al basso, è sufficientemente affiatata, in generale possiamo sostenere che il gruppo viaggia in buona sintonia.
In parole povere, un lavoro semplice senza alti ne bassi e forse proprio per questo destinato a restare anonimo. Questo genere musicale ha degli estimatori davvero esigenti, difficile colpire la loro attenzione con un lavoro mero ed onesto, serve sicuramente qualcosa di più. Bel disco, ma mi sento di consigliarlo solamente a coloro che vogliono avere tutto del New Prog. MS
Musea
Distribuzione italiana: Frontiers
Genere: New Prog
Support: CD - 2006
La meticolosa Musea Records questa volta va a parare in Olanda. Dopo gli ottimi Cliffhanger, questa volta sono i For Absent Friends a far sentire la propria voce. Il quintetto del cantante Hans Van Lint si forma nel lontano 1988 e da come lascia ben intuire il logo, tratto dal titolo di un brano dello storico “Nursery Crime”, sono estimatori dei Genesis e dintorni.
Il Rock progressivo propostoci è melodico, non eccessivamente impegnato, imperniato su tessuti morbidi, ben coadiuvati da repentini assolo di chitarra da parte di Edwin Roes. Davvero un buon biglietto da visita l’opener “Hello World”, il gioco strumentale è davvero essenziale e ben eseguito. Piccoli interventi elettronici giocano con la chitarra, tutto si muove con cautela e le tastiere di Ron Moser sanno ben infarcire il tutto.
“Stick Around”, assieme ai suoi francesismi vocali, è una canzone senza troppe pretese, ma il sax è davvero una bella sorpresa. “Call It Chance” ha la stoffa Marillioniana, sia nell’impostazione vocale che nell’accompagnamento delle tastiere e della chitarra. E’ un lento gradevole, sicuramente uno dei momenti più interessanti di “Square 1”. Ed è proprio la volta della title-track, i For Absent Friends si caratterizzano per l’elevato approccio emotivo, dedito ad un Progressive Rock davvero essenziale e melodico. “Wonder” è l’unico momento di sperimentazione (se così vogliamo chiamarla), un mix fra Lands End e Marillion, già sentito e comunque di facile assimilazione. La ritmica sostenuta da Ed Wernke alla batteria e da Rene Bacchus al basso, è sufficientemente affiatata, in generale possiamo sostenere che il gruppo viaggia in buona sintonia.
In parole povere, un lavoro semplice senza alti ne bassi e forse proprio per questo destinato a restare anonimo. Questo genere musicale ha degli estimatori davvero esigenti, difficile colpire la loro attenzione con un lavoro mero ed onesto, serve sicuramente qualcosa di più. Bel disco, ma mi sento di consigliarlo solamente a coloro che vogliono avere tutto del New Prog. MS
martedì 23 aprile 2013
Digit
DIGIT - Digit
Skipping Musez
Distribuzione italiana: -
Genere: Electronic
Support: mcd - 2011
Dall'Emilia Romagna e precisamente da Ferrara, arriva il quartetto Digit composto da Rizzo Luca (voce e synth), Gandini Michelangelo (basso), Stabellini Tommaso (chitarra) e da Grossi Alessandro (batteria).
La band si propone all'ascolto con questo ep composto da sei brani, tutti della durata di tre minuti e poco più, tanto per strizzare l'occhio anche al mondo radiofonico. Il Rock da noi in Italia tenta di mutare, perlomeno sembra provarci e proprio dall'underground spesso fuoriescono situazioni interessanti.
Con i Digit si parla di Rock, Punk ed Elettronica, la strada intrapresa da icone come Subsonica e Planet Funk, ma gli emiliani osano qualcosa in più in ambito sperimentale. Il suono è equilibrato fra Rock , distorsione ed elettronica vicina al Synth Pop. La personalità è abbastanza delineata, certamente fuoriescono quelle influenze di cui sopra (e pure qualche accenno di Litfiba), ma si tenta di comporre il tutto sulla base della melodia, ma anche dei forti assolo, come nel finale di "Farfalle Su Budapest".
E' anche un Rock a tratti trucido, grezzo e di volume, con questo c'è da sottolineare la presenza di cambi di tempo ed umorali, come in "Re Di Picche".
Più diretta e melodica, anche se non disdegna interventi sperimentali, la giocosa "Il Circo C'Est La Vie", mentre il quartetto alza la voce in "Camaleontica". "Ricordo" nella sua melodia si lascia ascoltare con piacere, grazie agli accompagnamenti della chitarra a tratti spezzati e comunque non proprio scontati. Chiude "Bestie" con impeto e convinzione questo ep che presenta una nuova band italiana che vuole dire qualcosa di differente. La strada è lunga, non è semplice da intraprendere questo percorso e risultare immediatamente credibili, in quanto è un genere non convenzionale e comunque rappresentato già da grandi artisti.
I Digit iniziano bene, ora li attendiamo alla prova del primo cd. Potrete trovare l'ep su ITunes. MS
Skipping Musez
Distribuzione italiana: -
Genere: Electronic
Support: mcd - 2011
Dall'Emilia Romagna e precisamente da Ferrara, arriva il quartetto Digit composto da Rizzo Luca (voce e synth), Gandini Michelangelo (basso), Stabellini Tommaso (chitarra) e da Grossi Alessandro (batteria).
La band si propone all'ascolto con questo ep composto da sei brani, tutti della durata di tre minuti e poco più, tanto per strizzare l'occhio anche al mondo radiofonico. Il Rock da noi in Italia tenta di mutare, perlomeno sembra provarci e proprio dall'underground spesso fuoriescono situazioni interessanti.
Con i Digit si parla di Rock, Punk ed Elettronica, la strada intrapresa da icone come Subsonica e Planet Funk, ma gli emiliani osano qualcosa in più in ambito sperimentale. Il suono è equilibrato fra Rock , distorsione ed elettronica vicina al Synth Pop. La personalità è abbastanza delineata, certamente fuoriescono quelle influenze di cui sopra (e pure qualche accenno di Litfiba), ma si tenta di comporre il tutto sulla base della melodia, ma anche dei forti assolo, come nel finale di "Farfalle Su Budapest".
E' anche un Rock a tratti trucido, grezzo e di volume, con questo c'è da sottolineare la presenza di cambi di tempo ed umorali, come in "Re Di Picche".
Più diretta e melodica, anche se non disdegna interventi sperimentali, la giocosa "Il Circo C'Est La Vie", mentre il quartetto alza la voce in "Camaleontica". "Ricordo" nella sua melodia si lascia ascoltare con piacere, grazie agli accompagnamenti della chitarra a tratti spezzati e comunque non proprio scontati. Chiude "Bestie" con impeto e convinzione questo ep che presenta una nuova band italiana che vuole dire qualcosa di differente. La strada è lunga, non è semplice da intraprendere questo percorso e risultare immediatamente credibili, in quanto è un genere non convenzionale e comunque rappresentato già da grandi artisti.
I Digit iniziano bene, ora li attendiamo alla prova del primo cd. Potrete trovare l'ep su ITunes. MS
domenica 21 aprile 2013
Steve Thorne
STEVE THORNE - Part Two: Emotional Creatures
Giant / Audioglobe
Genere:Progressive Rock
Supporto: cd - 2007
“Emotional Creatures” prosegue il suo cammino, giunge a noi a tre anni dal suo predecessore part one. Steve Thorne è sempre lui, sognante, delicato, raffinato con tutti i suoi pregi e difetti. Anche in questo caso il Progressive Rock propostoci è quello più diretto e melodico, distante anni luce da sperimentazioni di sorta, tantomeno da cambi di tempo e fughe. Molti di voi avranno già storto il naso ed avranno abbandonato la recensione, male, perché il nostro artista sa come andare a bersaglio. I brani sono semplici ma tutti supportati da una melodia avvincente, proprio come le belle song che gruppi passati (ma ancora presenti) come IQ e tanti altri del New prog ci hanno insegnato. Non a caso al suo fianco ritroviamo artisti di caratura internazionale, come Nick D’Virgilio e Dave Meros (Spock’s Beard), Tony Levin (King Crimson), Geoff Downes (Yes), Pete Trewavas (Marillion), Gavin Harrison (Porcupine Tree), John Mitchell (Arena) e Martin Orford (IQ), questo tanto per inquadrare il valore del prodotto.
La carta vincente si cela sotto la grazia e la struttura del suono, il songwriting è buono anche se in alcuni frangenti il nostro Thorne sembra ripetere troppo “certi” clichè.
Questo genere di musica nasce per riempire la mente ed il cuore, ci racconta favole fantastiche, per questo gli interventi Folk sono ben accetti. Le emozioni più grandi si raggiungono nei crescendo strumentali, ecco allora sottolineare brani come “Crossfire” o la stupenda finale “Sandheads”, come non potrebbe essere altrimenti con una squadra di musicisti come quella a sua disposizione…
Non sempre dunque bisogna necessariamente godere del genere quando si getta a capofitto in tortuosi e labirintici intrecci strumentali, la tecnica se messa a disposizione della melodia, riesce a dare frutti a volte inaspettati e dolcissimi.
Complimenti a questo artista che già avevo precedentemente annotato sul mio taccuino , a dimostrazione che la classe non è acqua e chi vuole prendere questo disco, di sicuro non si pentirà della spesa. (MS)
venerdì 19 aprile 2013
Azure Agony
AZURE AGONY - India
SG Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2012
Ritornano dopo "Beyond Belief" del 2009 i friulani Azure Agony con non poche novità. La band capitanata dal tastierista Marco Sgubin, si avvale per questa nuova realizzazione dal titolo "India" di un cantante, Federico Ahrens e la distanza fra il Metal Prog dei Dream Theater e questo degli Azure Agony, si assottiglia sempre di più. L'impostazione vocale di Federico non è proprio uguale a quella di La Brie, ma l'approccio alla melodia si. Il suo bel lavoro al microfono va ad arricchire di più il sound della band, rendendo l'insieme più scorrevole e meno impegnativo.
La caratteristica peculiare della band resta sempre a cavallo fra melodia e tecnica, proprio come nel primo album strumentale, anche se la prima è più marcata. Otto i brani che compongono "India" e le sorprese non finiscono qui, questa volta si parla di suoni, l'innesto di violoncello, Chapman Stick e fisarmonica in alcuni frangenti, donano freschezza e duttilità all'ensemble sonoro.
"Twin Babel" miscela potenza con ariosità, brano prettamente incastonato negli stilemi del genere in causa. Buono il lavoro della ritmica di Carlo Simeone (batteria) e Marco Firman (basso), così fondamentale il supporto delle tastiere. I fendenti di chitarra sono assegnati alle mani di Gabriele Pala. Punto di riferimento "Awake" e dintorni del Teatro Dei Sogni.
"Private Fears" inizialmente gioca anche con la voce filtrata al microfono, per poi svilupparsi in un alternarsi di potenza e melodia intrigante. Invece si apre voce e piano la bella "Libra's Fall", per crescere e lanciarsi in un frangente strumentale davvero efficace, specie nella cavalcata con chitarra elettrica a ritmo di doppio pedale a dimostrazione che la band è completa e che quando vuole sa picchiare.
In "My Last Time On Earth" la musica diventa immagine attraverso i suoni eterei e sognanti, più vicino al mondo New Prog per poi essere contigua alla bellissima "India", canzone clou dell'album. Quasi undici minuti di suoni ed emozioni sempre con un piede nel mondo Dream. Ad un tratto diventa soprattutto musica per la mente e gli alti e bassi emotivi colpiscono l'ascoltatore inesorabilmente.
Bella ballata "Hold My Hand", quasi una filastrocca che spezza l'ascolto dell'intero cd, concedendo una piccola tregua, uno dei pezzi che più mi hanno colpito anche per l'intervento della fisarmonica, davvero ben congeniato.
"A Man That No Longer Is" a differenza della precedente, non concede tregua e riporta il discorso Metal Prog ai livelli che generalmente più gli competono. Chiude "Forever Blind" in maniera epica e decisa.
"India" è dunque la seconda prova dei ragazzi di Udine e mette in risalto tutta la loro passione per il genere, cercando di non strafare e di badare al sodo. Consiglio soltanto di scrollarsi un poco di dosso la pellicola Dream che rischia di farli restare e quindi di perdersi, nell'enorme calderone di proseliti. Ovviamente non del tutto, perché le radici non si strappano....mai! MS
SG Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2012
Ritornano dopo "Beyond Belief" del 2009 i friulani Azure Agony con non poche novità. La band capitanata dal tastierista Marco Sgubin, si avvale per questa nuova realizzazione dal titolo "India" di un cantante, Federico Ahrens e la distanza fra il Metal Prog dei Dream Theater e questo degli Azure Agony, si assottiglia sempre di più. L'impostazione vocale di Federico non è proprio uguale a quella di La Brie, ma l'approccio alla melodia si. Il suo bel lavoro al microfono va ad arricchire di più il sound della band, rendendo l'insieme più scorrevole e meno impegnativo.
La caratteristica peculiare della band resta sempre a cavallo fra melodia e tecnica, proprio come nel primo album strumentale, anche se la prima è più marcata. Otto i brani che compongono "India" e le sorprese non finiscono qui, questa volta si parla di suoni, l'innesto di violoncello, Chapman Stick e fisarmonica in alcuni frangenti, donano freschezza e duttilità all'ensemble sonoro.
"Twin Babel" miscela potenza con ariosità, brano prettamente incastonato negli stilemi del genere in causa. Buono il lavoro della ritmica di Carlo Simeone (batteria) e Marco Firman (basso), così fondamentale il supporto delle tastiere. I fendenti di chitarra sono assegnati alle mani di Gabriele Pala. Punto di riferimento "Awake" e dintorni del Teatro Dei Sogni.
"Private Fears" inizialmente gioca anche con la voce filtrata al microfono, per poi svilupparsi in un alternarsi di potenza e melodia intrigante. Invece si apre voce e piano la bella "Libra's Fall", per crescere e lanciarsi in un frangente strumentale davvero efficace, specie nella cavalcata con chitarra elettrica a ritmo di doppio pedale a dimostrazione che la band è completa e che quando vuole sa picchiare.
In "My Last Time On Earth" la musica diventa immagine attraverso i suoni eterei e sognanti, più vicino al mondo New Prog per poi essere contigua alla bellissima "India", canzone clou dell'album. Quasi undici minuti di suoni ed emozioni sempre con un piede nel mondo Dream. Ad un tratto diventa soprattutto musica per la mente e gli alti e bassi emotivi colpiscono l'ascoltatore inesorabilmente.
Bella ballata "Hold My Hand", quasi una filastrocca che spezza l'ascolto dell'intero cd, concedendo una piccola tregua, uno dei pezzi che più mi hanno colpito anche per l'intervento della fisarmonica, davvero ben congeniato.
"A Man That No Longer Is" a differenza della precedente, non concede tregua e riporta il discorso Metal Prog ai livelli che generalmente più gli competono. Chiude "Forever Blind" in maniera epica e decisa.
"India" è dunque la seconda prova dei ragazzi di Udine e mette in risalto tutta la loro passione per il genere, cercando di non strafare e di badare al sodo. Consiglio soltanto di scrollarsi un poco di dosso la pellicola Dream che rischia di farli restare e quindi di perdersi, nell'enorme calderone di proseliti. Ovviamente non del tutto, perché le radici non si strappano....mai! MS
giovedì 18 aprile 2013
Vertigo
VERTIGO - 2
Frontiers Records
Distribuzione italiana: Frontiers
Genere: AOR
Support: CD - 2006
Joseph Williams è figlio d’arte, suo padre John Williams è noto nell’ambito musicale per essere il creatore di moltissime colonne sonore di film famosi, tra cui Indiana Jones, Star Wars ed E.T. Il talento è stato tramandato, Joseph si dedica alla musica Rock e diventa anche cantante dei Toto. Con loro nel 1986 e nel 1988 incide i fortunati albums “Fahrenheit” e “The Seventh One”. Nel 1990 lascia il gruppo di Porcaro per dedicarsi, anche lui come il padre, al cinema offrendo la voce anche a Simba nel Re Leone di Walt Disney.
Solo nel 1999 una breve reunion con i Toto e poi, sino ai giorni d’oggi, sempre colonne sonore. Nel 2003 viene contattato da Perugino, presidente della Frontiers Records ed insieme al produttore Fabrizio Grossi viene impegnato nel nuovo progetto Rock dal titolo Vertigo. La critica ed il pubblico hanno ben accolto questo lavoro, tanto da riproporlo anche oggi con l’ausilio di musicisti come Alex Masi alla chitarra, Virgil Donati (Soul Sirkus, Ring of Fire) alla batteria e Jason Scheff (Chicago), background vocals in “Hold Me”.
I nuovi brani sono tutti accattivanti e molto AOR style, dotati di un soffice tocco di musicalità commerciale da renderli appetibili soprattutto alle radio. Ecco allora volare leggere dal nostro stereo canzoni come “In The Blink Of An Eye”, “All For You” e “Hold Me” inevitabilmente influenzate dalle sonorità del suo gruppo madre. In “Part Of Me” c’è una ricercatezza Rock più marcata, un brano delicato (come tutto l’album) dal ritornello grazioso ed una buona chitarra. Il disco si lascia apprezzare nel proseguo, come in un crescendo emozionale. “Holy” è , come dicevo prima, una canzone commerciale perfettamente adatta per il mercato radiofonico, da cantare spensieratamente in macchina senza troppi impegni. Il Rock ha certamente tante prerogative, una di queste è sicuramente il sapersi adeguare a tutte le esigenze emozionali, ad esempio “I Wanna Live Forever” ti carica il corpo, mentre la ballata “Save It All Alone” l’anima, insomma ce n’è per tutti gusti.
Questo “2” è senza dubbio un lavoro di gran classe, che mi sento di consigliare a tutti coloro che fanno dell’AOR più commerciale e melodico il proprio pane quotidiano. A tutti gli altri consiglio un ascolto preventivo, per non imbattere in melodie troppo smielate che potrebbero procurarvi una fastidiosa ed inevitabile orchite. MS
Frontiers Records
Distribuzione italiana: Frontiers
Genere: AOR
Support: CD - 2006
Joseph Williams è figlio d’arte, suo padre John Williams è noto nell’ambito musicale per essere il creatore di moltissime colonne sonore di film famosi, tra cui Indiana Jones, Star Wars ed E.T. Il talento è stato tramandato, Joseph si dedica alla musica Rock e diventa anche cantante dei Toto. Con loro nel 1986 e nel 1988 incide i fortunati albums “Fahrenheit” e “The Seventh One”. Nel 1990 lascia il gruppo di Porcaro per dedicarsi, anche lui come il padre, al cinema offrendo la voce anche a Simba nel Re Leone di Walt Disney.
Solo nel 1999 una breve reunion con i Toto e poi, sino ai giorni d’oggi, sempre colonne sonore. Nel 2003 viene contattato da Perugino, presidente della Frontiers Records ed insieme al produttore Fabrizio Grossi viene impegnato nel nuovo progetto Rock dal titolo Vertigo. La critica ed il pubblico hanno ben accolto questo lavoro, tanto da riproporlo anche oggi con l’ausilio di musicisti come Alex Masi alla chitarra, Virgil Donati (Soul Sirkus, Ring of Fire) alla batteria e Jason Scheff (Chicago), background vocals in “Hold Me”.
I nuovi brani sono tutti accattivanti e molto AOR style, dotati di un soffice tocco di musicalità commerciale da renderli appetibili soprattutto alle radio. Ecco allora volare leggere dal nostro stereo canzoni come “In The Blink Of An Eye”, “All For You” e “Hold Me” inevitabilmente influenzate dalle sonorità del suo gruppo madre. In “Part Of Me” c’è una ricercatezza Rock più marcata, un brano delicato (come tutto l’album) dal ritornello grazioso ed una buona chitarra. Il disco si lascia apprezzare nel proseguo, come in un crescendo emozionale. “Holy” è , come dicevo prima, una canzone commerciale perfettamente adatta per il mercato radiofonico, da cantare spensieratamente in macchina senza troppi impegni. Il Rock ha certamente tante prerogative, una di queste è sicuramente il sapersi adeguare a tutte le esigenze emozionali, ad esempio “I Wanna Live Forever” ti carica il corpo, mentre la ballata “Save It All Alone” l’anima, insomma ce n’è per tutti gusti.
Questo “2” è senza dubbio un lavoro di gran classe, che mi sento di consigliare a tutti coloro che fanno dell’AOR più commerciale e melodico il proprio pane quotidiano. A tutti gli altri consiglio un ascolto preventivo, per non imbattere in melodie troppo smielate che potrebbero procurarvi una fastidiosa ed inevitabile orchite. MS
mercoledì 17 aprile 2013
Progetto Luna
PROGETTO LUNA - Ogni Tanto Sento le Voci
Videoradio
Distribuzione italiana: si
Genere: Rock Italiano / Pop
Support: CD - 2012
Da Torino l'esordio discografico dei Progetto Luna, Max Paudice (voce e chitarra), Gionathan D'Orazio (batteria), Emanuele Nifosì (percussioni) Alessandro De Carne (basso) e Marco Francavilla (tastiere e programmazione) compongono l'ensemble nativo nel 2009.
Il genere musicale affrontato è un Rock che si aggira fra il Pop, l'Elettronica, vintage e Funk, mentre i testi affrontano tematiche quotidiane, sociopolitica e poteri alti, il tutto in maniera molto semplice e diretta. La ricerca melodica si comporta altrettanto, lasciando molto spazio alla fantasia compositiva per un risultato gradevole e soltanto apparentemente scontato. Le differenti esperienze musicali interne alla band sono probabilmente uno degli ingredienti migliori che formano l'ossatura dei Progetto Luna e negli undici brani ne abbiamo riscontro.
Apre "Fastidiosi Rumori", descrizione di incompatibilità verbale, qui l'elettronica si fonde con una buona fase ritmica percussionistica. La composizione è lineare ed intelligente, grazie anche ad un buon arrangiamento. I brevi solo di chitarra stanno a testimoniare una certa tendenza verso il Rock vintage ed impreziosiscono il lavoro.
Reagge in "Onda", spazio anche a vocalità corali femminili nel ritornello. Piccole schegge di Litfiba di tanto in tanto si propongono all'ascolto, d'altronde Pelù e Renzulli hanno fatto la storia del Rock italiano. Sono molte le melodie vincenti in tutto il percorso e l'idea di supportarle spesso con arrangiamenti elettronici e cambi di tempo, risulta vincente.
Nel complesso il suono è avvolgente e ricco di particolari, ben equilibrato e pulito. Metriche liriche differenti, in stile Ivan Graziani, nel pezzo "Respira", mentre la musica ci regala due buoni solo centrali di tastiera e chitarra.
La strumentale title track presenta una band coesa e consapevole dei propri mezzi, pur trattandosi di un debutto è colmo di esperienza. Se invece volete ascoltare il lato più melodico e delicato della band, dovete arrivare a "Quello Che Vorrei", con effetti eco in stile Pink Floyd, ma dalla classica matrice melodica italiana, per alcuni versi vicina anche alla PFM.
"Ogni Tanto Sento Le Voci" è un debutto più che onesto, per molti istanti davvero interessante e con buone melodie, tutto questo mi fa sostenere, per l'ennesima volta, che in Italia c'è un sottobosco di ottima frutta, bisogna soltanto mangiarla e dire a tutti che è buona. Da parte mia faccio i complimenti e aspetto prove future per capire se ci sono margini di miglioramento, già così...promossi. MS
Videoradio
Distribuzione italiana: si
Genere: Rock Italiano / Pop
Support: CD - 2012
Da Torino l'esordio discografico dei Progetto Luna, Max Paudice (voce e chitarra), Gionathan D'Orazio (batteria), Emanuele Nifosì (percussioni) Alessandro De Carne (basso) e Marco Francavilla (tastiere e programmazione) compongono l'ensemble nativo nel 2009.
Il genere musicale affrontato è un Rock che si aggira fra il Pop, l'Elettronica, vintage e Funk, mentre i testi affrontano tematiche quotidiane, sociopolitica e poteri alti, il tutto in maniera molto semplice e diretta. La ricerca melodica si comporta altrettanto, lasciando molto spazio alla fantasia compositiva per un risultato gradevole e soltanto apparentemente scontato. Le differenti esperienze musicali interne alla band sono probabilmente uno degli ingredienti migliori che formano l'ossatura dei Progetto Luna e negli undici brani ne abbiamo riscontro.
Apre "Fastidiosi Rumori", descrizione di incompatibilità verbale, qui l'elettronica si fonde con una buona fase ritmica percussionistica. La composizione è lineare ed intelligente, grazie anche ad un buon arrangiamento. I brevi solo di chitarra stanno a testimoniare una certa tendenza verso il Rock vintage ed impreziosiscono il lavoro.
Reagge in "Onda", spazio anche a vocalità corali femminili nel ritornello. Piccole schegge di Litfiba di tanto in tanto si propongono all'ascolto, d'altronde Pelù e Renzulli hanno fatto la storia del Rock italiano. Sono molte le melodie vincenti in tutto il percorso e l'idea di supportarle spesso con arrangiamenti elettronici e cambi di tempo, risulta vincente.
Nel complesso il suono è avvolgente e ricco di particolari, ben equilibrato e pulito. Metriche liriche differenti, in stile Ivan Graziani, nel pezzo "Respira", mentre la musica ci regala due buoni solo centrali di tastiera e chitarra.
La strumentale title track presenta una band coesa e consapevole dei propri mezzi, pur trattandosi di un debutto è colmo di esperienza. Se invece volete ascoltare il lato più melodico e delicato della band, dovete arrivare a "Quello Che Vorrei", con effetti eco in stile Pink Floyd, ma dalla classica matrice melodica italiana, per alcuni versi vicina anche alla PFM.
"Ogni Tanto Sento Le Voci" è un debutto più che onesto, per molti istanti davvero interessante e con buone melodie, tutto questo mi fa sostenere, per l'ennesima volta, che in Italia c'è un sottobosco di ottima frutta, bisogna soltanto mangiarla e dire a tutti che è buona. Da parte mia faccio i complimenti e aspetto prove future per capire se ci sono margini di miglioramento, già così...promossi. MS
lunedì 15 aprile 2013
Edaq
EDAQ - Dalla Parte del Cervo
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Folk
Support: CD - 2013
Il cervo è un animale fiero, libero di scorrazzare fra salti e corse, tendenzialmente buono, il cervo è un animale che sa farsi volere bene. Chi non sta dalla parte del cervo? Gli EDAQ (acronimo di Ensamble D'Autunno Quartet), sono un gruppo piemontese e trapelano nei propri suoni questa sensazione di libertà e tutto l'essere di questo regale animale.
In questo debutto gli argomenti trattati sono molteplici, si va dal Folk al materiale tradizionale piemontese e transalpino, ma anche Jazz, Rock e Pop.
EDAQ è dunque un contenitore sonoro nel quale confluiscono molteplici idee ed esperienze, quelle di Francesco Busso (ghironda), Gabriele Ferrero (violino), Flavio Giacchero (cornamusa, clarinetto, basso), Stefano Risso (contrabbasso) ed Adriano De Micco (percussioni). Dalle note dell'album, suddiviso in dodici movimenti per una durata di quasi settanta minuti, si percepiscono chiaramente le influenze transalpine, ma anche Folk inglese, mazurche, valzer e polche! La confezione cartonata del cd ed un libretto interno fatto a poster, impreziosiscono l'acquisto del prodotto.
Liberi di scorrazzare dunque e questa sensazione di ariosità vigorosa, denota comunque radici profonde, salde al passato culturale dei popoli. Musica che potrebbe benissimo far parte di una colonna sonora di un film, in quanto si presta notevolmente all'accoppiamento con le immagini. Prevalenza di strumenti ad arco rendono calore ai pezzi che comunque non disdegnano passaggi acustici di chitarra e di risvolti a fiato.
Fra libertà e tradizione, l'album ci accoglie con due pezzi di buona fattura, come "Bollito Crudo" e la più folcloristica "Hanter-Dro Du Trehic/Buxus Semper Virens". Buona l'idea di unire al tutto dei frangenti melodici di facile presa, l'ascolto ci guadagna in fluidità.
Dallo scaturire di queste note si ha persino come la sensazione di sentire gli odori di ciò che circonda questi paesaggi sonori, una metafora per rimarcare ulteriormente il profondo lavoro folcloristico...ma non solo.
Gli arrangiamenti sono una delle armi vincenti del progetto, spesso si danza, ma quello che risalta di più è la popolarità della proposta, forse nata e cresciuta per i campi, per i bar e per le strade, questa è la personale sensazione che mi pervade.
Anche suoni moderni accompagnano l'ascolto, gli EDAQ dunque percorrono anche un nuovo sentiero, di certo non scontato pur se popolare. Piccole puntate nel Rock, in definitiva "Dalla Parte Del Cervo" è davvero una boccata di aria nuova nel panorama musicale italiano. Musica che unisce, fa stare bene anche nell'animo, che riscalda e trasmette il DNA della tradizione popolare, per dare in pasto alla mente la cultura dei nostri popoli del Nord e non solo. Approfittatene. MS
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Folk
Support: CD - 2013
Il cervo è un animale fiero, libero di scorrazzare fra salti e corse, tendenzialmente buono, il cervo è un animale che sa farsi volere bene. Chi non sta dalla parte del cervo? Gli EDAQ (acronimo di Ensamble D'Autunno Quartet), sono un gruppo piemontese e trapelano nei propri suoni questa sensazione di libertà e tutto l'essere di questo regale animale.
In questo debutto gli argomenti trattati sono molteplici, si va dal Folk al materiale tradizionale piemontese e transalpino, ma anche Jazz, Rock e Pop.
EDAQ è dunque un contenitore sonoro nel quale confluiscono molteplici idee ed esperienze, quelle di Francesco Busso (ghironda), Gabriele Ferrero (violino), Flavio Giacchero (cornamusa, clarinetto, basso), Stefano Risso (contrabbasso) ed Adriano De Micco (percussioni). Dalle note dell'album, suddiviso in dodici movimenti per una durata di quasi settanta minuti, si percepiscono chiaramente le influenze transalpine, ma anche Folk inglese, mazurche, valzer e polche! La confezione cartonata del cd ed un libretto interno fatto a poster, impreziosiscono l'acquisto del prodotto.
Liberi di scorrazzare dunque e questa sensazione di ariosità vigorosa, denota comunque radici profonde, salde al passato culturale dei popoli. Musica che potrebbe benissimo far parte di una colonna sonora di un film, in quanto si presta notevolmente all'accoppiamento con le immagini. Prevalenza di strumenti ad arco rendono calore ai pezzi che comunque non disdegnano passaggi acustici di chitarra e di risvolti a fiato.
Fra libertà e tradizione, l'album ci accoglie con due pezzi di buona fattura, come "Bollito Crudo" e la più folcloristica "Hanter-Dro Du Trehic/Buxus Semper Virens". Buona l'idea di unire al tutto dei frangenti melodici di facile presa, l'ascolto ci guadagna in fluidità.
Dallo scaturire di queste note si ha persino come la sensazione di sentire gli odori di ciò che circonda questi paesaggi sonori, una metafora per rimarcare ulteriormente il profondo lavoro folcloristico...ma non solo.
Gli arrangiamenti sono una delle armi vincenti del progetto, spesso si danza, ma quello che risalta di più è la popolarità della proposta, forse nata e cresciuta per i campi, per i bar e per le strade, questa è la personale sensazione che mi pervade.
Anche suoni moderni accompagnano l'ascolto, gli EDAQ dunque percorrono anche un nuovo sentiero, di certo non scontato pur se popolare. Piccole puntate nel Rock, in definitiva "Dalla Parte Del Cervo" è davvero una boccata di aria nuova nel panorama musicale italiano. Musica che unisce, fa stare bene anche nell'animo, che riscalda e trasmette il DNA della tradizione popolare, per dare in pasto alla mente la cultura dei nostri popoli del Nord e non solo. Approfittatene. MS
domenica 14 aprile 2013
Atomic Clocks
ATOMIC CLOCKS - Magdan In Charleroi
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2011
La Toscana è regione ricca d'arte e del buon mangiare e bere, insomma, in Toscana si vive la vita con cultura e gusto. Firenze è l'epicentro, città da vivere in tutte le sue sfaccettature. Proprio da qui provengono gli Atomik Clocks, quartetto di Jazz sperimentale nato nel 2006 da un progetto d'improvvisazione collettiva. Il gruppo cambia line up nel corso degli anni, ma in questo ultimo lavoro si propone con Francesco Li Puma (Basso e sax), Marco Ruggiero (batteria), Filippo Pratesi (sax alto) e Massimo Peroni. La musica proposta è dunque Jazz, ma non disdegna puntate verso il Funk, per un risultato finale che paradossalmente definirei anche Punk, non per la strumentazione ovviamente, ma per quell'approccio a tratti aggressivo verso lo strumento che contraddistingue il genere. Dopo una serie di demo, ep e live, scaricabili gratuitamente anche dal loro sito http://atomikclocks.bandcamp.com/ , è la volta del debutto ufficiale dal titolo "Magdan In Charleroi". Il progetto è suddiviso in dieci fragmenti sonori, tutti diretti verso una ricerca sonora a tratti destabilizzante, ma che in realtà segue un suo perchè. Infatti le ritmiche, pur essendo spesso spezzate e le fughe strumentali a volte dissonanti, si sposano alla perfezione con i momenti di melodia. Il tutto viene legato da buoni fraseggi melodici. La tecnica non è soffocante, ossia, si corre ma non si precipita, tutto accade ponderatamente e l'improvvisazione dimostra di essere supportata da una lunga intesa fra i componenti, sicuramente forgiata dal tempo e dai live.
Il sax in generale è lo strumento a cui si affidano le maggiori evoluzioni, mentre il basso e la batteria dialogano ritmiche a tratti minimali ma ben congeniate. A volte si sente il bisogno di partire velocemente, mentre in altri momenti c'è più stasi emotiva, ma nel complesso fuoriescono buone intuizioni. Lo strumento a fiato viene vissuto e vivisezionato in molte delle sue possibilità, in una sorta di schiaffo o bacio che può lasciare l'ascoltatore anche attonito o perlomeno incuriosito. Musica per la mente dunque, ma serve una preparazione d'ampio respiro, tuttavia il piede spesso e volentieri parte da solo e questo sta a significare già molte cose. Un lavoro godibile, ma che forse necessita anche di un riempimento sonoro alternativo in ambito strumentale, in quanto a lungo andare le soluzioni si potrebbero ripetere ciclicamente, a discapito delle buone idee. Comunque interessanti! MS
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Jazz / Sperimentale
Support: CD - 2011
La Toscana è regione ricca d'arte e del buon mangiare e bere, insomma, in Toscana si vive la vita con cultura e gusto. Firenze è l'epicentro, città da vivere in tutte le sue sfaccettature. Proprio da qui provengono gli Atomik Clocks, quartetto di Jazz sperimentale nato nel 2006 da un progetto d'improvvisazione collettiva. Il gruppo cambia line up nel corso degli anni, ma in questo ultimo lavoro si propone con Francesco Li Puma (Basso e sax), Marco Ruggiero (batteria), Filippo Pratesi (sax alto) e Massimo Peroni. La musica proposta è dunque Jazz, ma non disdegna puntate verso il Funk, per un risultato finale che paradossalmente definirei anche Punk, non per la strumentazione ovviamente, ma per quell'approccio a tratti aggressivo verso lo strumento che contraddistingue il genere. Dopo una serie di demo, ep e live, scaricabili gratuitamente anche dal loro sito http://atomikclocks.bandcamp.com/ , è la volta del debutto ufficiale dal titolo "Magdan In Charleroi". Il progetto è suddiviso in dieci fragmenti sonori, tutti diretti verso una ricerca sonora a tratti destabilizzante, ma che in realtà segue un suo perchè. Infatti le ritmiche, pur essendo spesso spezzate e le fughe strumentali a volte dissonanti, si sposano alla perfezione con i momenti di melodia. Il tutto viene legato da buoni fraseggi melodici. La tecnica non è soffocante, ossia, si corre ma non si precipita, tutto accade ponderatamente e l'improvvisazione dimostra di essere supportata da una lunga intesa fra i componenti, sicuramente forgiata dal tempo e dai live.
Il sax in generale è lo strumento a cui si affidano le maggiori evoluzioni, mentre il basso e la batteria dialogano ritmiche a tratti minimali ma ben congeniate. A volte si sente il bisogno di partire velocemente, mentre in altri momenti c'è più stasi emotiva, ma nel complesso fuoriescono buone intuizioni. Lo strumento a fiato viene vissuto e vivisezionato in molte delle sue possibilità, in una sorta di schiaffo o bacio che può lasciare l'ascoltatore anche attonito o perlomeno incuriosito. Musica per la mente dunque, ma serve una preparazione d'ampio respiro, tuttavia il piede spesso e volentieri parte da solo e questo sta a significare già molte cose. Un lavoro godibile, ma che forse necessita anche di un riempimento sonoro alternativo in ambito strumentale, in quanto a lungo andare le soluzioni si potrebbero ripetere ciclicamente, a discapito delle buone idee. Comunque interessanti! MS
giovedì 11 aprile 2013
Lunatic Asylum
LUNATIC ASYLUM - Lunatic Asylum
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2008
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2008
I Lunatic Asylum provengono da Milano e con questo album dal titolo omonimo giungono alla seconda realizzazione, dopo “From Beyound…” del 2003. Si formano grazie a Davide De Paolis (voce), Andrea Rendina e Cristian Brugnara (chitarre), Francesco Elia (basso), Nicola Cozzi (tastiere) e Stefano Cerri alla batteria, tutti provenienti dalla band di Black Metal dal nome Khrysos Anthemon. Ma qui stiamo parlando della fine degli anni ’90, ne è passata d’acqua sotto i ponti, defezioni e vicissitudini avverse varie temperano la band e ce la presentano oggi più forte e coesa che mai. Restano le asce Rendina-Brugnara, mentre Mario Scalia (voce), Gianluca Tissino (basso) e Cristian Marino (batteria) completano odiernamente la line up. Il nome della band rappresenta al meglio il significato della musica proposta, infatti il Lunatic Asylum è stato uno dei primi istituti ospedalieri per malati mentali, sorto a Toronto (Canada) nel 1850.
Musica oscura, introversa, ma assolutamente ben confezionata. La band si sente benissimo che è rodata, anni di esperienza si ripercuotono negli strumenti e sulla composizione dei pezzi. Una musica legata da un sottile filo conduttore, sentimenti in evidenza dunque, per un percorso fosco e doloroso. Cinque i brani per una durata di quasi trenta minuti. Il primo si intitola “Breathless”, un palcoscenico con una variegata sceneggiatura. Le chitarre si esprimono al meglio nei propri spazi, la voce è pulita e bella. Melodica e di matrice Prog è “Lunatic Asylum”, una finestra nel buio, dove squarci di luce sonora irrorano la nostra mente. I ragazzi sanno suonare, presentano bene il prodotto e non deludono in nessun aspetto, “My Walls” è un esempio di maturità. La lezione dei maestri del genere sembra essere stata assorbita e rielaborata. “Red Dragon” prosegue il cammino intrapreso e lancia stilemi vocali di diversa natura, esaltando le buone capacità di Scalia. Chiude “Cloud” (scusate il gioco di parole), un breve brano tastiere e chitarre acustiche.
I Lunatic Asylum si presentano così nel mondo del Metal Prog, con tanta passione e professionalità. Certamente sono una goccia nel mare del genere, ma sono le gocce che fanno la pioggia, per cui complimenti ragazzi, bagnateci pure! MS
Musica oscura, introversa, ma assolutamente ben confezionata. La band si sente benissimo che è rodata, anni di esperienza si ripercuotono negli strumenti e sulla composizione dei pezzi. Una musica legata da un sottile filo conduttore, sentimenti in evidenza dunque, per un percorso fosco e doloroso. Cinque i brani per una durata di quasi trenta minuti. Il primo si intitola “Breathless”, un palcoscenico con una variegata sceneggiatura. Le chitarre si esprimono al meglio nei propri spazi, la voce è pulita e bella. Melodica e di matrice Prog è “Lunatic Asylum”, una finestra nel buio, dove squarci di luce sonora irrorano la nostra mente. I ragazzi sanno suonare, presentano bene il prodotto e non deludono in nessun aspetto, “My Walls” è un esempio di maturità. La lezione dei maestri del genere sembra essere stata assorbita e rielaborata. “Red Dragon” prosegue il cammino intrapreso e lancia stilemi vocali di diversa natura, esaltando le buone capacità di Scalia. Chiude “Cloud” (scusate il gioco di parole), un breve brano tastiere e chitarre acustiche.
I Lunatic Asylum si presentano così nel mondo del Metal Prog, con tanta passione e professionalità. Certamente sono una goccia nel mare del genere, ma sono le gocce che fanno la pioggia, per cui complimenti ragazzi, bagnateci pure! MS
mercoledì 10 aprile 2013
Pandora
PANDORA - Sempre e Ovunque Oltre il Sogno
BTF
Distribuzione italiana: AMS Records
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2011
Il 2011 in ambito nazionale sembra davvero iniziare sotto una buona stella, specialmente per chi predilige sonorità Genesis ed anni ’70. C’è molta carne al fuoco, compreso il secondo disco in studio dei Pandora. Ci avevano fatto sentire di che pasta erano fatti gia nel 2008 con il debutto dal titolo “Dramma Di Un Poeta Ubriaco”, ma qui con “Sempre E Ovunque Oltre Il Sogno” sembrano fare un ulteriore passo in avanti. Accompagnato da una veste grafica molto suggestiva ed elegante, creata dalla pittrice Emoni Viruet, il disco si suddivide in otto tracce. Con la dipartita del chitarrista Christian Dimasi, la band ritorna alla sua formazione originale, cioè un trio composto da Beppe Colombo (Tastiere), Claudio Colombo (Batteria, Basso, Chitarra) e Corrado Grappeggia (Voce e Tastiere).
Le atmosfere a tratti forti e sinfoniche esprimono al meglio il concetto fantastico e perfino mitologico che i Pandora vogliono rappresentare. Gia nell’iniziale “Il Re Dei Scemi” si coglie l’essenza stilistica della band, ovviamente rivolta verso un suono anni ’70. Altra fuga strumentale è la breve successiva “L’Altare Del Sacrificio” dove le doti tecniche degli artisti vengono maggiormente valorizzate. Ancora una volta unita come in una lunga suite, “L’Incantesimo Del Druido” esce legata al brano precedente con potenza e personalità, dove si propongono perfino suoni psichedelici. Qui i Pandora fanno seriamente e mettono in evidenza anche una passione per le vecchie Orme. “Discesa Attraverso Lo Stige” con l’arpeggio di chitarra acustica, ricorda gli Osanna de “L’Uomo” e per chi scrive questo è uno dei frangenti più toccanti dell’intero lavoro, impreziosito dal supporto delle tastiere. Ancora unito come in un'unica suite, procede il cammino per giungere ad “Ade, Sensazione Di Paura”, nuova composizione articolata, ricca di numerosi passaggi strumentali che alternano cambi umorali e di ritmo a della buona Psichedelìa. Non sfugge un piccolo richiamo a “Shine On You Crazy Diamond”dei Pink Floyd, un ammiccamento simpatico nel contesto. “03.02.1974” è un pezzo dedicato al concerto che in quella data i Genesis di “Selling England By The Pound” hanno tenuto a Torino. Qui si narrano i ricordi e le sensazioni di una serata assolutamente indimenticabile. “La Formula Finale Di Chad-Bat “ gode di un solo di chitarra a dir poco ammaliante, quasi in stile Steve Hackett , che ci conduce verso la lunga suite finale “Sempre E Ovunque”. Qui i Pandora, come in un finale dei fuochi d’artificio, tirano fuori tutto il proprio arsenale, lasciando inesorabilmente steso il Prog fans di vecchia data.
Questa musica è quindi senza tempo, oppure per alcuni potrebbe risultare datata, tuttavia questo è ed il termine Progressive Rock appunto andrebbe rivisto, per non incappare in qualche incomprensione. Qui siamo a fronte di un Symphonic Prog davvero ben eseguito e le forti emozioni non mancano di certo. Complimenti ai Pandora per un disco che si lascia ascoltare così bene che io, guarda un po’, rischiaccio il tasto “Play”. MS
BTF
Distribuzione italiana: AMS Records
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2011
Il 2011 in ambito nazionale sembra davvero iniziare sotto una buona stella, specialmente per chi predilige sonorità Genesis ed anni ’70. C’è molta carne al fuoco, compreso il secondo disco in studio dei Pandora. Ci avevano fatto sentire di che pasta erano fatti gia nel 2008 con il debutto dal titolo “Dramma Di Un Poeta Ubriaco”, ma qui con “Sempre E Ovunque Oltre Il Sogno” sembrano fare un ulteriore passo in avanti. Accompagnato da una veste grafica molto suggestiva ed elegante, creata dalla pittrice Emoni Viruet, il disco si suddivide in otto tracce. Con la dipartita del chitarrista Christian Dimasi, la band ritorna alla sua formazione originale, cioè un trio composto da Beppe Colombo (Tastiere), Claudio Colombo (Batteria, Basso, Chitarra) e Corrado Grappeggia (Voce e Tastiere).
Le atmosfere a tratti forti e sinfoniche esprimono al meglio il concetto fantastico e perfino mitologico che i Pandora vogliono rappresentare. Gia nell’iniziale “Il Re Dei Scemi” si coglie l’essenza stilistica della band, ovviamente rivolta verso un suono anni ’70. Altra fuga strumentale è la breve successiva “L’Altare Del Sacrificio” dove le doti tecniche degli artisti vengono maggiormente valorizzate. Ancora una volta unita come in una lunga suite, “L’Incantesimo Del Druido” esce legata al brano precedente con potenza e personalità, dove si propongono perfino suoni psichedelici. Qui i Pandora fanno seriamente e mettono in evidenza anche una passione per le vecchie Orme. “Discesa Attraverso Lo Stige” con l’arpeggio di chitarra acustica, ricorda gli Osanna de “L’Uomo” e per chi scrive questo è uno dei frangenti più toccanti dell’intero lavoro, impreziosito dal supporto delle tastiere. Ancora unito come in un'unica suite, procede il cammino per giungere ad “Ade, Sensazione Di Paura”, nuova composizione articolata, ricca di numerosi passaggi strumentali che alternano cambi umorali e di ritmo a della buona Psichedelìa. Non sfugge un piccolo richiamo a “Shine On You Crazy Diamond”dei Pink Floyd, un ammiccamento simpatico nel contesto. “03.02.1974” è un pezzo dedicato al concerto che in quella data i Genesis di “Selling England By The Pound” hanno tenuto a Torino. Qui si narrano i ricordi e le sensazioni di una serata assolutamente indimenticabile. “La Formula Finale Di Chad-Bat “ gode di un solo di chitarra a dir poco ammaliante, quasi in stile Steve Hackett , che ci conduce verso la lunga suite finale “Sempre E Ovunque”. Qui i Pandora, come in un finale dei fuochi d’artificio, tirano fuori tutto il proprio arsenale, lasciando inesorabilmente steso il Prog fans di vecchia data.
Questa musica è quindi senza tempo, oppure per alcuni potrebbe risultare datata, tuttavia questo è ed il termine Progressive Rock appunto andrebbe rivisto, per non incappare in qualche incomprensione. Qui siamo a fronte di un Symphonic Prog davvero ben eseguito e le forti emozioni non mancano di certo. Complimenti ai Pandora per un disco che si lascia ascoltare così bene che io, guarda un po’, rischiaccio il tasto “Play”. MS
martedì 9 aprile 2013
Mario Cottarelli
MARIO COTTARELLI – Prodigiosa Macchina
Crotalo Edizioni Musicali
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2007
Chi suona Progressive Rock in tempi non sospetti, cioè oggi dove il genere non è di moda, è sicuramente un grande appassionato di musica! La vita ci mette continuamente alla prova e molto spesso impedisce di realizzare ciò che desideriamo o che pensiamo. Ma le passioni non si sopiscono mai, Mario Cottarelli ne sa qualcosa.
Cremonese e polistrumentista, si dedica alla musica sin dagli anni ’70. Proprio qui compone dei brani che non vedranno mai luce a causa di una sfortunata coincidenza, quella della chiusura della casa discografica a cui aveva proposto il progetto. E qui mi riallaccio alla passione ed alla caparbietà iniziale, quella che il tempo non riesce a scalfire, perché vera. Si può realizzare nel 2007 un cd composto da tre suite di musica che cavalca le onde dei Genesis, Goblin, della musica più sinfonica e quant’altro è retrò? Certamente dico io, perché la musica in realtà non ha tempo. C’è da dire che l’artista è comunque all’interno del music business, ossia ha collaborato con Ivana Spagna e Claudio Simonetti , per cui ferrato ed indirizzato, ma questa “Prodigiosa Macchina” sembra voler gridare al mondo intero chi è Mario Cottarelli.
Trattandosi di Progressive Rock, il disco è composto come dicevo da tre suite, la prima dal titolo “Prodigiosa Macchina” è della durata di quasi 22 minuti. In essa convivono numerose soluzioni e varianti, conquistando l’attenzione dell’ascoltatore travolto da liriche importanti e musica coinvolgente.
Le parti vocali non sono il piatto forte del disco, tuttavia Cottarelli riesce a sopperire il tutto con un songwriting quantomeno intelligente ed emotivo. Il centro del concetto è la mente dell’uomo ed il suo sviluppo, con l’auspicio che l’evoluzione elimini “Ogni forma d’approssimazione”.
Una suite piena, rotonda dove i cambi di tempo si alternano a passaggi ipnotici dal profumo anni ’70. La strumentazione esalta questo concetto, portando il suono in giochi strutturali, spesso cari anche alle Orme. Mario gioca, si diverte ed espone una cultura musicale eccellente. Il secondo pezzo si intitola “Il Pensiero Dominante” ed estrae dal cilindro delle idee stile Gentle Giant, accennate anche nella suite precedente.
Come potrete capire è un lavoro ricco di buoni passaggi, specialmente nella conclusiva “I Cori Della Via Lattea”, strumentale dove classicismo e Goblin vanno a nozze. Non conoscevo questo artista per mia ignoranza, per me è una felice scoperta e mi auguro con tutto il cuore di poterlo riascoltare in un progetto più completo, magari riuscendo a limare il canto, unica pecca di un disco assolutamente da godere. Consigliatissimo agli amanti del Prog Italiano! (MS)
lunedì 8 aprile 2013
P.C.Translate
P.C. TRANSLATE - Lo-Fi Lovers
Tra Bla Records
Distribuzione italiana: Tra Bla Records
Genere: Experimental
Support: mCD - 2006
Chi segue attentamente il mercato musicale nostrano conosce già il nome di Paolo Catena e la sua lunga e travagliata carriera artistica. Dopo diverse vicissitudini, il polistrumentista di Pesaro decide drasticamente di dare una svolta alla sua vita, abbandona il “nome” inglese, che è la traduzione letterale del proprio, per rinascere con un nuovo progetto. Del resto chi lo conosce sa bene che Paolo non è mai stato capace di star fermo in senso artistico.
Fonda la Tra Bla Records e si getta a capofitto assieme alla sua collaboratrice e vocalist Lola Sprint nel nuovo progetto sperimentale P.C. Translate. Infatti proprio di questo si tratta, nuove sperimentazioni, quelle a cui Paul ci ha abituati. Il cd in questione raccoglie dei brani che Catena ha registrato in questi anni, ma col nuovo progetto è già andato oltre e presto avremo nuova musica da ascoltare. “Lo-Fi Lovers” propone fughe repentine fra la Psichedelica, il subconscio, il Prog, ancora del Doom e tutte quelle che sono vibrazioni, che in questa nuova veste vogliono essere positive. La sua chitarra ci racconta storie fantastiche, piccoli affreschi cromatici che mutano durante l’ascolto. “The Song Of Crazy Cow” ha questa magia, la potenza della sua musica risiede proprio nell’estraniare l’ascoltatore dalla realtà, per rapirlo in un mondo di suoni e suggestioni coadiuvate dalla fonetica dei testi puramente inventati. Non deve stupire nemmeno il folklore quasi alla Branduardi di “Classical Solution”, Catena del resto ha sempre amato spaziare continuamente all’insegna della creatività, per questo non ha mai amato i “limiti”, anche se il doom è il genere che più lo ha reso celebre.
Il termine “artista”, che oggi viene usato troppo spesso e troppo spesso a sproposito, calza a pennello per Catena, che ha seguito la propria vocazione musicale contro ogni logica di mercato e sempre controcorrente. In questo nuovo progetto offre un tipo di comunicazione sonora, apparentemente anacronistico, che in realtà è un bagaglio di cultura e sincerità alla quale, in un mondo di uscite piatte, non siamo nemmeno più preparati ad ascoltare.
Sembrerà banale, ma mai come in questo caso mi sento in dovere di ringraziare un vero artista per il proprio operato, senza urlare “al capolavoro!”, perché non è così che si fa del bene a chi ha qualcosa di diverso da dire. Sia inteso, questo disco non è un capolavoro, se mai il capolavoro è l’uomo Catena, che con la sua creatività ci dona arte sincera, scomoda, spesso difficile da accogliere, ma sempre interessante.
Sempre in linea con la sua natura Paolo ha deciso di rendere disponibile gratuitamente la sua musica in Internet al sito: http://www.paolocatena.it/musica.asp
Il mio animo è in fondo come il suo, ingenuo, sincero e lontano dal denaro che, intendiamoci bene, serve per vivere ma non deve snaturare il proprio essere. GB e MS
Tra Bla Records
Distribuzione italiana: Tra Bla Records
Genere: Experimental
Support: mCD - 2006
Chi segue attentamente il mercato musicale nostrano conosce già il nome di Paolo Catena e la sua lunga e travagliata carriera artistica. Dopo diverse vicissitudini, il polistrumentista di Pesaro decide drasticamente di dare una svolta alla sua vita, abbandona il “nome” inglese, che è la traduzione letterale del proprio, per rinascere con un nuovo progetto. Del resto chi lo conosce sa bene che Paolo non è mai stato capace di star fermo in senso artistico.
Fonda la Tra Bla Records e si getta a capofitto assieme alla sua collaboratrice e vocalist Lola Sprint nel nuovo progetto sperimentale P.C. Translate. Infatti proprio di questo si tratta, nuove sperimentazioni, quelle a cui Paul ci ha abituati. Il cd in questione raccoglie dei brani che Catena ha registrato in questi anni, ma col nuovo progetto è già andato oltre e presto avremo nuova musica da ascoltare. “Lo-Fi Lovers” propone fughe repentine fra la Psichedelica, il subconscio, il Prog, ancora del Doom e tutte quelle che sono vibrazioni, che in questa nuova veste vogliono essere positive. La sua chitarra ci racconta storie fantastiche, piccoli affreschi cromatici che mutano durante l’ascolto. “The Song Of Crazy Cow” ha questa magia, la potenza della sua musica risiede proprio nell’estraniare l’ascoltatore dalla realtà, per rapirlo in un mondo di suoni e suggestioni coadiuvate dalla fonetica dei testi puramente inventati. Non deve stupire nemmeno il folklore quasi alla Branduardi di “Classical Solution”, Catena del resto ha sempre amato spaziare continuamente all’insegna della creatività, per questo non ha mai amato i “limiti”, anche se il doom è il genere che più lo ha reso celebre.
Il termine “artista”, che oggi viene usato troppo spesso e troppo spesso a sproposito, calza a pennello per Catena, che ha seguito la propria vocazione musicale contro ogni logica di mercato e sempre controcorrente. In questo nuovo progetto offre un tipo di comunicazione sonora, apparentemente anacronistico, che in realtà è un bagaglio di cultura e sincerità alla quale, in un mondo di uscite piatte, non siamo nemmeno più preparati ad ascoltare.
Sembrerà banale, ma mai come in questo caso mi sento in dovere di ringraziare un vero artista per il proprio operato, senza urlare “al capolavoro!”, perché non è così che si fa del bene a chi ha qualcosa di diverso da dire. Sia inteso, questo disco non è un capolavoro, se mai il capolavoro è l’uomo Catena, che con la sua creatività ci dona arte sincera, scomoda, spesso difficile da accogliere, ma sempre interessante.
Sempre in linea con la sua natura Paolo ha deciso di rendere disponibile gratuitamente la sua musica in Internet al sito: http://www.paolocatena.it/musica.asp
Il mio animo è in fondo come il suo, ingenuo, sincero e lontano dal denaro che, intendiamoci bene, serve per vivere ma non deve snaturare il proprio essere. GB e MS
domenica 7 aprile 2013
X Carnation
XCARNATION - Grounded
Frontiers
Genere: progressive Rock
Supporto: cd - 2005
Cenk Eroglu è il nome di questo artista turco proveniente dalla scuola pianistica di Jazz e fondatore nel 2002 del progetto dal nome X Carnation. Le sue realizzazioni solistiche incominciano nel lontano 1991, ma è verso la fine del millennio che, grazie alla collaborazione con personaggi del calibro di Pat Mastellotto (Mr. Mister e King Crimson), Robert Fripp e Tony Levin, si fa un vero e proprio bagaglio culturale nel campo, con tanto di naturale maturazione artistica.
Oggi lo ritroviamo autore, arrangiatore ed ingegnere del suono di questo nuovo album dal titolo “Grounded”. La musica proposta si tratta di Hard Rock con giochi elettronici in evidenza, come nell’iniziale “Personal Antichrist”. Voci filtrate e buona personalità completano la stesura del brano.
“Everlasting” è sorniona, ma ricca di emozioni in crescendo. Cenk sembra trovarsi molto a suo agio anche nelle ballate, “Without You” è un lento d’atmosfera che sottolinea la buona vena compositiva del turco. Ma in generale è l’elettronica a far la voce grossa, in “Desperately Sad” ad esempio è la ritmica ad esserne coinvolta, effetti sonori ed un ritornello da paura, orecchiabile e di semplice memorizzazione completano l’opera. Saltuariamente fuoriesce l’anima “arabeggiante” di Cenk con tanto di annessi strumenti del luogo, intriganti ad esempio i momenti iniziali di “Reason To Believe”, altro brano bello e melodioso. Le sperimentazioni sonore sono dunque il trendmark del disco, una gradevole scoperta questi X Carnation che in molti tratti fanno venire in mente gli ultimi Spock’s Beard di Nick D’Virgilio (scusate se poco).
“Grounded” si conclude con l’alienatico e massiccio brano dal titolo “Pictures”.
La qualità sonora è buona, il risultato nell’insieme è più che gradevole, anche se qualche smussata a certi prolissi momenti andrebbe fatta. Hard Rock, Prog, elettronica e arabica in un solo prodotto… buon colpo Frontiers. MS
Frontiers
Genere: progressive Rock
Supporto: cd - 2005
Cenk Eroglu è il nome di questo artista turco proveniente dalla scuola pianistica di Jazz e fondatore nel 2002 del progetto dal nome X Carnation. Le sue realizzazioni solistiche incominciano nel lontano 1991, ma è verso la fine del millennio che, grazie alla collaborazione con personaggi del calibro di Pat Mastellotto (Mr. Mister e King Crimson), Robert Fripp e Tony Levin, si fa un vero e proprio bagaglio culturale nel campo, con tanto di naturale maturazione artistica.
Oggi lo ritroviamo autore, arrangiatore ed ingegnere del suono di questo nuovo album dal titolo “Grounded”. La musica proposta si tratta di Hard Rock con giochi elettronici in evidenza, come nell’iniziale “Personal Antichrist”. Voci filtrate e buona personalità completano la stesura del brano.
“Everlasting” è sorniona, ma ricca di emozioni in crescendo. Cenk sembra trovarsi molto a suo agio anche nelle ballate, “Without You” è un lento d’atmosfera che sottolinea la buona vena compositiva del turco. Ma in generale è l’elettronica a far la voce grossa, in “Desperately Sad” ad esempio è la ritmica ad esserne coinvolta, effetti sonori ed un ritornello da paura, orecchiabile e di semplice memorizzazione completano l’opera. Saltuariamente fuoriesce l’anima “arabeggiante” di Cenk con tanto di annessi strumenti del luogo, intriganti ad esempio i momenti iniziali di “Reason To Believe”, altro brano bello e melodioso. Le sperimentazioni sonore sono dunque il trendmark del disco, una gradevole scoperta questi X Carnation che in molti tratti fanno venire in mente gli ultimi Spock’s Beard di Nick D’Virgilio (scusate se poco).
“Grounded” si conclude con l’alienatico e massiccio brano dal titolo “Pictures”.
La qualità sonora è buona, il risultato nell’insieme è più che gradevole, anche se qualche smussata a certi prolissi momenti andrebbe fatta. Hard Rock, Prog, elettronica e arabica in un solo prodotto… buon colpo Frontiers. MS
sabato 6 aprile 2013
Sciarada
SCIARADA - The Addiction
Lizard Records
Distribuzione italiana: Lizard Records
Genere: Ambient / Post Rock
Supporto: CD – 2009
Prosegue la ricerca della Lizard su band dedite alla musica sperimentale. Questa volta ci propongono gli Sciarada, attualmente un trio composto da Michele Nicoli, Matteo Sorio e Mario Tuppo. Il progetto Sciarada nasce a Verona nel 2005 e da alla luce un primo cd autoprodotto. Oggi con “The Addiction” la band si stabilizza a trio, il lavoro della mente compositrice di Michele Nicoli prende così forma e stabilità.
In questo viaggio sonoro i veronesi si circondano pure di special guest, per cui Francesco Tomè (soundscapes), Giulio De Boni (batteria) ed Antonella Bertini (voce), danno il loro prezioso contributo. L’artwork del disco è minimale, in bianco e nero, rappresentato da opere pittoriche di Igor Compagno. Tutto questo sposa alla perfezione l’impatto sonoro della band.
Suoni legati a ritmica spezzata, graffi nella mente, forse suggeriti da Fripp (King Crimson), coinvolgono l’ascoltatore. Un film di diapositive rovinate che solo a tratti lasciano intravedere con nitidezza le immagini di questa musica. Non si riesce a mettere a fuoco l’anima dei Sciarada nella globalità degli ascolti, ogni singolo brano è un diverso trip, che affronta l’impalpabile mondo sonoro con inattesa maturità. Aloni di Pinkfloydiana memoria, pervadono nelle chitarre di “Senica Star”, brano completamente differente dall’etereo ed instabile precedente dal titolo “Devon PTU”. Vortici sonori a tratti ripetitivi, lasciano spazio ad inattese melodie, come quelle del piano di “Odessa”. Lo strumento è solitario, apparentemente protagonista, in quanto il suono ce lo propone in lontananza, come pentirsi del protagonismo, lasciando spazio a suoni circondari meno reali.
Ariosità, restrizione, timidezza e nuovi paesaggi, sono le sensazioni che più affiorano. Il mondo Sciarada trova vetrina nella conclusiva suite “Baratio”, un susseguirsi di suoni e melodie che si incastonano fra chitarra e piano. Ma il vero protagonista è il silenzio che ci avvolge lungo tempo per poi sfociare in suoni d’acqua e nella bella voce di Antonella.
Sciarada è proprio come la sua copertina, una perfetta rappresentazione grafica, apparentemente uno scarabocchio che lascia immaginare qualcosa, quel qualcosa che deciderà solo la vostra mente. MS
Lizard Records
Distribuzione italiana: Lizard Records
Genere: Ambient / Post Rock
Supporto: CD – 2009
Prosegue la ricerca della Lizard su band dedite alla musica sperimentale. Questa volta ci propongono gli Sciarada, attualmente un trio composto da Michele Nicoli, Matteo Sorio e Mario Tuppo. Il progetto Sciarada nasce a Verona nel 2005 e da alla luce un primo cd autoprodotto. Oggi con “The Addiction” la band si stabilizza a trio, il lavoro della mente compositrice di Michele Nicoli prende così forma e stabilità.
In questo viaggio sonoro i veronesi si circondano pure di special guest, per cui Francesco Tomè (soundscapes), Giulio De Boni (batteria) ed Antonella Bertini (voce), danno il loro prezioso contributo. L’artwork del disco è minimale, in bianco e nero, rappresentato da opere pittoriche di Igor Compagno. Tutto questo sposa alla perfezione l’impatto sonoro della band.
Suoni legati a ritmica spezzata, graffi nella mente, forse suggeriti da Fripp (King Crimson), coinvolgono l’ascoltatore. Un film di diapositive rovinate che solo a tratti lasciano intravedere con nitidezza le immagini di questa musica. Non si riesce a mettere a fuoco l’anima dei Sciarada nella globalità degli ascolti, ogni singolo brano è un diverso trip, che affronta l’impalpabile mondo sonoro con inattesa maturità. Aloni di Pinkfloydiana memoria, pervadono nelle chitarre di “Senica Star”, brano completamente differente dall’etereo ed instabile precedente dal titolo “Devon PTU”. Vortici sonori a tratti ripetitivi, lasciano spazio ad inattese melodie, come quelle del piano di “Odessa”. Lo strumento è solitario, apparentemente protagonista, in quanto il suono ce lo propone in lontananza, come pentirsi del protagonismo, lasciando spazio a suoni circondari meno reali.
Ariosità, restrizione, timidezza e nuovi paesaggi, sono le sensazioni che più affiorano. Il mondo Sciarada trova vetrina nella conclusiva suite “Baratio”, un susseguirsi di suoni e melodie che si incastonano fra chitarra e piano. Ma il vero protagonista è il silenzio che ci avvolge lungo tempo per poi sfociare in suoni d’acqua e nella bella voce di Antonella.
Sciarada è proprio come la sua copertina, una perfetta rappresentazione grafica, apparentemente uno scarabocchio che lascia immaginare qualcosa, quel qualcosa che deciderà solo la vostra mente. MS
venerdì 5 aprile 2013
Red Onions
RED ONIONS - Diario d'un Uomo Qualunque
Red Onions Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Quando il Rock più eclettico, denominato generalmente Progressive, si incontra con la musica d’autore, spesso nascono belle emozioni. Non necessariamente la musica deve essere colta o logorroica, tantomeno scialba e sfruttata, c’è un posto dove essa si sposa con l’arte e risiede a volte in quelle band che non ti aspetti. I Red Onions sono umbri, precisamente di Perugia e suonano assieme dal 2004. Il loro primo risultato musicale è un singolo dal titolo “Libero Fuori” del 2009, mentre questo concept album “Diario D’Un Uomo Qualunque” è il loro debutto ufficiale. Il diario è suddiviso in undici capitoli, dove la musica si alterna a diversi generi, spaziando dalla psichedelìa al Prog più chitarristico, fino a giungere ai gia citati territori della musica cantautoriale. Molti di voi affermeranno che non si può trattare di Progressive Rock, in quanto nella musica non ci sono tastiere, invece se intraprenderete questo percorso con noi, noterete che di spunti storici ne affiorano a volontà. Non mancano riferimenti a band storiche italiane , quale PFM oppure i più acustici Osanna e appunto il cantautore Prog degli anni ’70 Claudio Rocchi.
Una musica a tratti anacronistica, dove risiede inalterata l’essenza degli anni ’70, quando la sera ci si incontrava per suonare assieme e parlare guardandoci negli occhi e non avanti ad uno schermo freddo e piatto. Forse suonare oggi tutto questo è alquanto penalizzante, non per demeriti degli artisti, in quanto la società è cambiata, anche se c’è un ritorno alla curiosità, almeno da parte delle giovani generazioni verso questa musica passata. I Red Onions sono Davide Grillo alla chitarra e voce, Leone Pompilio alla chitarra e voce, Ali Adamu al basso e voce e Marcello Mangione alla batteria.
Si comincia con il “Prologo”, una radio che scorre fra le frequenze, fermandosi su stazioni che leggono le news. Sopra un arpeggio chitarristico si sente parlare di pedofilia e molto altro, questo per mettere subito all’erta l’ascoltatore su quali argomentazioni sociali si va a discutere nell’opera in questione. E’ quindi “Diario D’Un Uomo Qualunque” che ci porta dentro il contesto, analizzando il potere mediatico e le conseguenze di una guerra. Chitarre elettriche tessono tappeti sonori che reggono la durezza di questi testi, per poi lanciarsi in fughe strumentali qui decisamente Progressive. Ancora più Rock è “Numinosa Diagnosi”, scarna e diretta nelle sonorità quanto trascinante nei riff che solo successivamente lasciano lo spazio al lato più cantautoriale della band. Le doti tecniche affiorano in “Night Time Blues”, canzone cantata in inglese che da il meglio di se nell’assolo finale di chitarra. Una chitarra acustica apre “Epitaffio Per La Prima Morte Di Un Sogno”, canzone che potrebbe aver scritto benissimo un Ivano Fossati più ispirato. Anche lo stile vocale tende a rimarcare il periodo e lo stile, per poi lanciarsi nel solito turbinio Rock al quale i Red Onions credono fermamente. “Paesaggio Notturno” è eroticamente ruvida, mentre “Ricordo Di Bimba” racconta il lato intimistico della band. “Serpenti” ritorna a fare capolino nelle scale più Progressive, alternandosi a riff Hard Rock. “Occhio Del Giorno” ha il profumo degli anni ’70, entra in testa ed estranea l’ascoltatore, ammaliandolo con le sue strumentazioni acustiche, molto spesso radicate nella psichedelìa passata. “Disarmonico Allegro” fa ancora riflettere, un mix della loro complessa personalità , mentre il disco è chiuso da “Epilogo?”, praticamente la ripresa del “Prologo”.
I Red Onions hanno realizzato un lavoro sincero e profondo, toccando argomentazioni di non facile narrazione, per cui vanno ascoltati, perché sono le classiche band che non potranno mai avere un ampio palco mediatico su cui proporre le proprie idee. Consiglio loro di lavorare meglio sulle parti vocali, non sempre all’altezza della situazione, ma questa è solo una mia idea, magari ad altri invece piace così. MS
Red Onions Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Quando il Rock più eclettico, denominato generalmente Progressive, si incontra con la musica d’autore, spesso nascono belle emozioni. Non necessariamente la musica deve essere colta o logorroica, tantomeno scialba e sfruttata, c’è un posto dove essa si sposa con l’arte e risiede a volte in quelle band che non ti aspetti. I Red Onions sono umbri, precisamente di Perugia e suonano assieme dal 2004. Il loro primo risultato musicale è un singolo dal titolo “Libero Fuori” del 2009, mentre questo concept album “Diario D’Un Uomo Qualunque” è il loro debutto ufficiale. Il diario è suddiviso in undici capitoli, dove la musica si alterna a diversi generi, spaziando dalla psichedelìa al Prog più chitarristico, fino a giungere ai gia citati territori della musica cantautoriale. Molti di voi affermeranno che non si può trattare di Progressive Rock, in quanto nella musica non ci sono tastiere, invece se intraprenderete questo percorso con noi, noterete che di spunti storici ne affiorano a volontà. Non mancano riferimenti a band storiche italiane , quale PFM oppure i più acustici Osanna e appunto il cantautore Prog degli anni ’70 Claudio Rocchi.
Una musica a tratti anacronistica, dove risiede inalterata l’essenza degli anni ’70, quando la sera ci si incontrava per suonare assieme e parlare guardandoci negli occhi e non avanti ad uno schermo freddo e piatto. Forse suonare oggi tutto questo è alquanto penalizzante, non per demeriti degli artisti, in quanto la società è cambiata, anche se c’è un ritorno alla curiosità, almeno da parte delle giovani generazioni verso questa musica passata. I Red Onions sono Davide Grillo alla chitarra e voce, Leone Pompilio alla chitarra e voce, Ali Adamu al basso e voce e Marcello Mangione alla batteria.
Si comincia con il “Prologo”, una radio che scorre fra le frequenze, fermandosi su stazioni che leggono le news. Sopra un arpeggio chitarristico si sente parlare di pedofilia e molto altro, questo per mettere subito all’erta l’ascoltatore su quali argomentazioni sociali si va a discutere nell’opera in questione. E’ quindi “Diario D’Un Uomo Qualunque” che ci porta dentro il contesto, analizzando il potere mediatico e le conseguenze di una guerra. Chitarre elettriche tessono tappeti sonori che reggono la durezza di questi testi, per poi lanciarsi in fughe strumentali qui decisamente Progressive. Ancora più Rock è “Numinosa Diagnosi”, scarna e diretta nelle sonorità quanto trascinante nei riff che solo successivamente lasciano lo spazio al lato più cantautoriale della band. Le doti tecniche affiorano in “Night Time Blues”, canzone cantata in inglese che da il meglio di se nell’assolo finale di chitarra. Una chitarra acustica apre “Epitaffio Per La Prima Morte Di Un Sogno”, canzone che potrebbe aver scritto benissimo un Ivano Fossati più ispirato. Anche lo stile vocale tende a rimarcare il periodo e lo stile, per poi lanciarsi nel solito turbinio Rock al quale i Red Onions credono fermamente. “Paesaggio Notturno” è eroticamente ruvida, mentre “Ricordo Di Bimba” racconta il lato intimistico della band. “Serpenti” ritorna a fare capolino nelle scale più Progressive, alternandosi a riff Hard Rock. “Occhio Del Giorno” ha il profumo degli anni ’70, entra in testa ed estranea l’ascoltatore, ammaliandolo con le sue strumentazioni acustiche, molto spesso radicate nella psichedelìa passata. “Disarmonico Allegro” fa ancora riflettere, un mix della loro complessa personalità , mentre il disco è chiuso da “Epilogo?”, praticamente la ripresa del “Prologo”.
I Red Onions hanno realizzato un lavoro sincero e profondo, toccando argomentazioni di non facile narrazione, per cui vanno ascoltati, perché sono le classiche band che non potranno mai avere un ampio palco mediatico su cui proporre le proprie idee. Consiglio loro di lavorare meglio sulle parti vocali, non sempre all’altezza della situazione, ma questa è solo una mia idea, magari ad altri invece piace così. MS
mercoledì 3 aprile 2013
Echolyn
ECHOLYN - Mei
Velveteen Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 2002
Ricordo ancora con immenso piacere l'emozione che ebbi quando ascoltai per la prima volta questo gruppo Americano e soprattutto quando fui deliziato da quel capolavoro datato 1995 dal titolo ' As The World '! Certamente il disco Progressive più bello di quell'anno musicale.
Ne è passata da allora d’acqua sotto i ponti , compreso lo split del combo. I componenti si sono impegnati in altri progetti separati negli anni successivi , ricordo i buoni Finneus gauge del tastierista Chris Buzby e gli assolutamente abominevoli sennonché simil-Grunge Still composti addirittura dai tre quarti degli Echolyn , Brett Kull ( chitarra e voce ), Ray Weston ( basso ) e Paul Ramsey ( batteria ). Uno schiaffo per le mie orecchie... Grazie a Dio i nostri si riuniscono e tornano più ispirati che mai a navigare quei mari a noi tanto cari.
Per chi non li avesse mai ascoltati posso dire che il loro sound è molto personale anche se si denotano influenze di Gentle Giant e Yes ma effettivamente nulla di marcato. Tecnica molto elevata e mai fine a se stessa, a tratti logorroica ma sempre supportata da un notevole songwriting che risulta essere la carta vincente di questi americani.
Cosa dire di 'Mei '? Concept che si articola in cinquanta minuti di un solo brano, sfida presuntuosa e certamente anticommerciale. Finalmente gli Echolyn tornano a suonare per se stessi e non per il Dio danaro. Apre il cd il fantastico refrain che fa da ossatura al lungo brano con piano e voce in una melodia molto ma molto bella. Questa sarà in qualche modo lo scheletro del lavoro che si impreziosisce strada facendo di flauti e violini in un mix di Rock, Jazz e Hard Rock. Logicamente si ascoltano numerosi cambi di tempo altrimenti il tutto sarebbe una mattonata! Ma è proprio qui il forte di questi ragazzi, non insistere troppo su certe soluzioni e cercare di rendere il discorso molto fluido. Il risultato è ottimo, passano questi cinquanta minuti e quasi non me ne accorgo, la mia attenzione viene rapita e non mi distraggo un attimo.
Ad alcuni non basterà un ascolto per apprezzare questo disco, per altri invece potrà essere un colpo di fulmine nei confronti di un gruppo che come gli Spock's Beard e pochi altri hanno saputo stupire in quegli anni. Comunque sia, tutti d'accordo nel dire che gli Echolyn hanno segnato un percorso importante in questo genere. (MS)
Velveteen Records
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 2002
Ricordo ancora con immenso piacere l'emozione che ebbi quando ascoltai per la prima volta questo gruppo Americano e soprattutto quando fui deliziato da quel capolavoro datato 1995 dal titolo ' As The World '! Certamente il disco Progressive più bello di quell'anno musicale.
Ne è passata da allora d’acqua sotto i ponti , compreso lo split del combo. I componenti si sono impegnati in altri progetti separati negli anni successivi , ricordo i buoni Finneus gauge del tastierista Chris Buzby e gli assolutamente abominevoli sennonché simil-Grunge Still composti addirittura dai tre quarti degli Echolyn , Brett Kull ( chitarra e voce ), Ray Weston ( basso ) e Paul Ramsey ( batteria ). Uno schiaffo per le mie orecchie... Grazie a Dio i nostri si riuniscono e tornano più ispirati che mai a navigare quei mari a noi tanto cari.
Per chi non li avesse mai ascoltati posso dire che il loro sound è molto personale anche se si denotano influenze di Gentle Giant e Yes ma effettivamente nulla di marcato. Tecnica molto elevata e mai fine a se stessa, a tratti logorroica ma sempre supportata da un notevole songwriting che risulta essere la carta vincente di questi americani.
Cosa dire di 'Mei '? Concept che si articola in cinquanta minuti di un solo brano, sfida presuntuosa e certamente anticommerciale. Finalmente gli Echolyn tornano a suonare per se stessi e non per il Dio danaro. Apre il cd il fantastico refrain che fa da ossatura al lungo brano con piano e voce in una melodia molto ma molto bella. Questa sarà in qualche modo lo scheletro del lavoro che si impreziosisce strada facendo di flauti e violini in un mix di Rock, Jazz e Hard Rock. Logicamente si ascoltano numerosi cambi di tempo altrimenti il tutto sarebbe una mattonata! Ma è proprio qui il forte di questi ragazzi, non insistere troppo su certe soluzioni e cercare di rendere il discorso molto fluido. Il risultato è ottimo, passano questi cinquanta minuti e quasi non me ne accorgo, la mia attenzione viene rapita e non mi distraggo un attimo.
Ad alcuni non basterà un ascolto per apprezzare questo disco, per altri invece potrà essere un colpo di fulmine nei confronti di un gruppo che come gli Spock's Beard e pochi altri hanno saputo stupire in quegli anni. Comunque sia, tutti d'accordo nel dire che gli Echolyn hanno segnato un percorso importante in questo genere. (MS)