NORTHERN LINES – I Think We’re Fine
J.
Joe’s J. Edizioni Musicali Released
Genere:
Post Prog Moderno
Supporto:
Digital / Spotify – 2024
Generalmente ci appassioniamo alla musica
perché colonna sonora della nostra vita, quei brani che ci fanno ricordare il
nostro primo amore, episodi di vita, siano loro allegri che tristi, nel caso di
un musicista è vera e propria valvola di sfogo. Gli intenti possono essere
molteplici, resta il fatto che si approccia allo stile con cui musicare le
proprie intenzioni attraverso non solo il gusto personale, creato in base all’esperienza
passata degli ascolti, ma anche tramite la personalità. Quest’ultima è la
chiave dell’evoluzione della musica in senso generale, ossia apporta un
cambiamento a quello con cui si è cresciuti.
I romani Northern Lines si formano nel 2013
da un’intuizione di Stefano Silvestri
(basso), Cristiano “Cris” Schirò (batteria) e Alberto Lo Bascio (chitarra). Lo
scopo è ben descritto nella loro biografia: “Il progetto nasce come una
liberazione musicale, una sorta di paradiso sonoro in cui ognuno dei tre
musicisti può esprimersi senza barriere di genere, seguendo un filone
sperimentale, cercando una qualche logica negli incastri impossibili e con uno
spiccato senso dell'umorismo.”. Quest’ultimo è un'altra chiave di lettura della
musica, l’utilizzo degli argomenti in maniera intelligente, apporta all’ascolto
un valore aggiunto. Nel 2013 registrano l’EP “Hari Pee Hate”, mentre il debutto
completo avviene l’anno successivo grazie a “Farts From S.E.T.I. Code" grazie
al quale possono intraprendere un tour che li vede approdare anche nell'Est
Europa nel mese di
giugno. Giunto un buon livello di notorietà,
nel 2018 immettono alla line up Leonardo Disco, pianista e tastierista
proveniente dal jazz, assieme realizzano “The Fearmonger”.
Dopo un lungo periodo d’incubazione, è la
volta di questo nuovo album intitolato “I Think We’re Fine” che non è altro che
un’ulteriore esplorazione, con l'integrazione di altri linguaggi, frutto
dell'evoluzione umana e musicale di una band che pensa ancora come una band.
“That's My Son” è il singolo che anticipa
l’uscita, uno sguardo al futuro in cui frammenti di passato vengono alla
luce. L’argomento principe di tutto “I
Think We’re Fine” riguarda l’isolamento culturale umano, dove il senso critico
dei tempi non filtrato, apporta danni che tutti noi ben conosciamo. Il
risultato è una realtà distorta capitanata semplicemente da percezioni dove ogni
risposta non è incastonata in un universo immobile, ma sempre dipendente da
un'altra domanda .
Dieci i brani che compongono l’album che si
apre con “Under A Purple Sky”, e una chitarra inizialmente in stile
Hackett/Genesis degli anni ’70, che lascia spazio solo successivamente ad un
Hard Rock costruito su basi storiche degne del migliore Hard Prog. Tastiere e
chitarra elettrica dialogano fra loro al posto delle parole, fra cambi umorali
supportati da un’ottima sezione ritmica. Giocoso l’approccio di “Bear It”,
brano ruggente in cui la coesità degli elementi viene immediatamente alla luce.
Il Progressive Rock sposa a pieno questa causa a suggello di una cultura
individuale dei musicisti davvero importante.
“Neither The First, Nor The Last” parte in
crescendo, fino a sfiorare territori AOR, ma di base è l’armonia a regnare fra
le note, fra pianoforte intimistico e interventi prossimi al Jazz. In “’68” la
band mostra i muscoli con un approccio Metal Progressive di base, qui compaiono
anche interventi elettronici ad arrangiare il brano cadenzato e monolitico.
Bello il finale in pianoforte.
“That’s My Son” dimostra attraverso l’Hammond
di aver assorbito l’insegnamento dei maestri passati, non esula neppure un
richiamo ai Marillion dell’era Fish grazie all’assolo di chitarra elettrica. Si
torna a ruggire con “Brother Nick”, qui si può apprezzare maggiormente la
volontà di ricercare nel pentagramma in maniera non del tutto scontata una
struttura differente, il tutto senza mai strafare. In parole povere questa
musica viaggia in bilico fra schiaffo e bacio. La title track, è un altro
esempio di sviluppo del passato, mentre “Site Of The Ritual” intraprende
nuovamente il sentiero Hard Prog alternato a evidenti cambi umorali.
L’insegnamento di Fripp e soci avvicinano l’ascolto di tanto in tanto alla band
King Crimson, come nel caso di “Consequences Of Bad Behaviour, mentre “Wind's
Howling” chiude l’album con sapiente personalità.
Non è mai semplice realizzare un disco
strumentale, ma quando si ha la capacità di far parlare gli strumenti al posto
della bocca, la differenza non si nota, anzi, acquista un fascino maggiore
perché porge adito a varie interpretazioni, anche se di base l’artista in
questione traccia comunque un sentiero da intraprendere. La carta vincente in
questo caso sono le melodie, sempre presenti e gradevoli, che si danno
staffetta con l’energia di quel Rock ruvido al confine con l’Heavy Metal. Non
vi resta che approcciare al mondo Northern Lines con tranquillità e
consapevolezza, e apporterete benefici per l’anima. MS
Versione Inglese:
NORTHERN LINES - I
Think We're Fine
J. Joe's J. Music
Editions Released
Genre: Modern Post
Prog
Support: Digital /
Spotify - 2024
Generally we are fond
of music because it is the soundtrack of our lives, those songs that make us
remember our first love, episodes of life, whether they are happy or sad, in
the case of a musician it is true outlet. The intentions may be many, the fact
remains that one approaches the style with which to set one's intentions to
music through not only personal taste, created based on past listening
experience, but also through personality. The latter is the key to the
evolution of music in a general sense, that is, it brings a change to what one
grew up with.
The Roman Northern
Lines were formed in 2013 by an intuition of Stefano Silvestri (bass),
Cristiano “Cris” Schirò (drums) and Alberto Lo Bascio (guitar). The purpose is
well described in their biography: “The project was born as a musical
liberation, a sort of sonic paradise where each of the three musicians can
express themselves without genre barriers, following an experimental strand,
looking for some logic in the impossible joints and with a strong sense of
humor”. The latter is another key to interpreting the music, the use of topics
in a clever way brings added value to the listening experience.
In 2013 they recorded
the EP “Hari Pee Hate”, while their full debut came the following year thanks
to “Farts From S.E.T.I. Code”, thanks to which they were able to embark on a
tour that also saw them land in Eastern Europe in
June. Having reached
a good level of notoriety, in 2018 they introduce to the line up Leonardo
Disco, pianist and keyboardist coming from jazz, together they realize “The
Fearmonger”.
After a long period
of incubation, it is the turn of this new album entitled “I Think We're Fine”
which is nothing but a further exploration, with the integration of other
languages, the result of the human and musical evolution of a band that still
thinks like a band.
“That's My Son” is
the single anticipating the release, a look into the future in which fragments
of the past come to light. The main
topic throughout “I Think We're Fine” is about human cultural isolation, where
the unfiltered critical sense of the times does damage that we all know well. The result is a
distorted reality captained simply by perceptions where each answer is not
embedded in a still universe, but always dependent on another question .
Ten tracks make up
the album that opens with “Under A Purple Sky”, and a guitar initially in the
Hackett/Genesis style of the 1970s, which only later gives way to a Hard Rock
built on historical foundations worthy of the best Hard Prog. Keyboards and
electric guitar converse with each other instead of words, amid mood changes
supported by an excellent rhythm section. Playful is the approach of “Bear It,”
a roaring track in which the cohesiveness of the elements immediately comes to
light. Progressive Rock fully espouses this cause sealing a truly important
individual culture of the musicians.
“Neither The First,
Nor The Last” starts off on a crescendo, verging on AOR territories, but
basically it is harmony that reigns among the notes, between intimate piano and
interventions close to Jazz. In “'68” the band shows its muscles with a basic
Metal Progressive approach, here electronic interventions also appear to
arrange the cadenced and monolithic song. Beautiful is the keyboard.
“That's My Son”
demonstrates through the Hammond that it has absorbed the teachings of past
masters, not even a callback to Fish-era Marillion is exempt thanks to the
electric guitar solo. It comes roaring back with “Brother Nick”, here one can
appreciate more the willingness to search the stave in a not entirely obvious
way for a different structure, all without ever overdoing it. Simply put, this
music travels in the balance between slap and kiss. The title track, is another
example of past development, while “Site Of The Ritual” again takes the Hard
Prog path alternating with obvious mood changes. The teaching of Fripp and co.
bring the listen closer to the band King Crimson from time to time, as in the
case of “Consequences Of Bad Behaviour”, while “Wind's Howling” closes the
album with skillful personality.
It is never easy to
make an instrumental record, but when one has the ability to let the
instruments do the talking instead of the mouth, the difference is not
noticeable; on the contrary, it acquires a greater appeal because it gives rise
to various interpretations, even if fundamentally the artist in question is still
charting a path to take. The trump card here are the melodies, always present
and pleasing, which are given relay with the energy of that rough Rock
bordering on Heavy Metal. All you have to do is approach the world of Northern
Lines with tranquility and awareness, and you will bring benefits for the soul.
MS
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